Capitolo 2
Il dibattito dottrinale in ordine alla qualificazione dell’attività lavo-
rativa dei religiosi
Ogni volta che si affronta il tema della qualificazione dell’attività lavorativa svolta
dai religiosi, insieme alla questione, strettamente correlata, del riconoscimento della
tutela previdenziale in favore di detti soggetti, ci si divide nell’attribuire un peso
più o meno preponderante al dibattito dottrinale piuttosto che agli interventi della
giurisprudenza, sia essa di merito che di legittimità.
Come sottolinea CINELLI, « il tema [...] è ricco di questioni estremamente appas-
sionanti [...] Il dibattito sull’applicabilità della disciplina giuslavoristica all’attività
dei religiosi e dei problemi che essa comporta è, infatti, già da anni assai vivace nella
dottrina ecclesiasticistica [...] Anche il contributo della giurisprudenza – compresa
quella della Corte costituzionale – [...] è tuttora ricco ed appassionato».
103
NOTARO osserva come, se da un lato l’ampia elaborazione dottrinale in ordine
alla « rilevanza esterna nell’ordinamento statuale»
104
del lavoro svolto dai religiosi,
all’interno o a favore dell’associazione religiosa di appartenenza, non ha offerto un
panorama ampio sull’argomento, dall’altro lato la giurisprudenza si è occupata « con
maggior frequenza di questa problematica» solo negli ultimi anni,
105
« chiamata sempre
più sovente a risolvere il problema se possa considerarsi rapporto di lavoro subordinato
l’attività del religioso nella propria comunità».
106
Dal canto suo, BOTTA ricorda che « del dibattito sviluppatosi con una certa vivacità
nella metà degli anni ’80, circa la possibilità di considerare in un’ottica giuslavoristica le
prestazioni oggettivamente lavorative svolte dai religiosi a favore del rispettivo Istituto
103
V . M. CINELLI, Disciplina giuslavoristica, cit. a nota 76.
104
V . L. NOTARO, Lavoro subordinato, cit. a nota 59, p. 277.
105
Ibidem.
106
Cfr. Luigi NOTARO, Sulla natura giuridica delle attività lavorative del religioso nella sua
associazione, in Diritto ecclesiastico (1979), I, p. 407 e segg. P. 407.
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di appartenenza, non sembra essere rimasto molto in quest’ultimo decennio».
107
Ed
anzi, « si ha la netta sensazione che la conflittualità in proposito tra religiosi ed Istituti di
appartenenza si sia avviata come ad un progressivo ‘spegnimento’», cui si accompagna
un progressivo consolidamento delle posizioni della giurisprudenza, contrarie alla
configurabilità di un rapporto di lavoro tra il religioso ed il proprio istituto.
108
Secondo CINELLI, invece, « si deve prendere atto [...] che, nonostante il tempo
ad esse dedicato, gli sforzi compiuti e i pur innegabili risultati di chiarificazione
conseguiti negli anni, non poche questioni – e non tra le secondarie – risultano, di fatto,
tuttora aperte e lungi dall’essere risolte».
109
In tal senso, l’« annoso quanto dibattuto»
problema del « lavoro dei religiosi nel diritto dello Stato» è ancor oggi « oggetto di viva
discussione da parte di molti autori che si cimentano nel dare ad esso una soluzione
definitiva».
110
Peraltro, secondo NOTARO,« il quesito su cui si appunta ogni dibattito e ogni
approfondimento è se sia configurabile come rapporto di lavoro subordinato quello
che viene a crearsi tra l’associazione ed il religioso che opera nell’interesse di questa
svolgendo una qualche attività».
111
Secondo l’A., « è evidente che una prima ed ormai acquisita distinzione va effettuata
tra le seguenti ipotesi: attività svolta all’interno della associazione di appartenenza;
oppure attività prestata all’esterno della organizzazione o direttamente attraverso un
rapporto con un terzo; o, indirettamente attraverso la c.d. convenzione stipulata
tra l’Associazione di appartenenza ed altro ente».
112
In particolare, nell’ipotesi del
religioso che svolge un’attività all’interno del suo istituto, « abbiamo l’incontro tra
107
Cfr. Raffaele BOTTA, Dieci anni di giurisprudenza su fattore religioso e diritto del lavoro, in Quaderni
di diritto e politica ecclesiastica (2001), n. 3, dicembre 2001, p. 729 e segg. P. 729.
108
Ibidem.
109
M. CINELLI, Disciplina giuslavoristica, cit. a nota 76, p. 150.
110
Cfr. Luigi NOTARO, Brevi note sull’attività del religioso non qualificabile quale rapporto di lavoro
subordinato, in AA.VV ., Rapporti di lavoro e fattore religioso, Atti del convegno di Napoli 8-10
ottobre 1987, Napoli, Jovene, 1988, p. 255 e segg. P. 255.
111
Ibidem.
112
Ibidem.
33
esso istituto e una persona che, per motivi strettamente personali (vocazione), entra
a far parte della vita e della tradizione della Chiesa Cattolica»; atteso, quindi, che
« i due momenti tipici di questo rapporto sono il soggetto religioso e la comunità di
appartenenza», questi « non possono prendersi ed analizzarsi separatamente».
113
In
conclusione, secondo l’A., qualunque indagine « può senza dubbio essere opportuna
soltanto nell’ipotesi di attività prestata all’interno della propria struttura religiosa [...]
Se il dibattito ha un qualche interesse per la dottrina ecclesiasticista, questo è dato
soltanto se vi è un ‘proprium’ che incida nella qualificazione dell’attività svolta dal
soggetto religioso».
114
Per CINELLI, « gran parte delle difficoltà, che si incontrano ancor oggi nel persegui-
re soluzioni affidanti sui criteri e sui limiti di applicabilità della disciplina giuslavoristica
delle attività dei religiosi, derivano innanzitutto dalla diversità dei piani sui quali si
pongono, rispettivamente, il fenomeno da regolare (l’attività dei religiosi, innanzitutto
quale considerata dalla norma canonica) e le regole delle quali si postula l’applica-
zione in relazione a quel fenomeno (la legge civile); piani inevitabilmente sfalsati e
rispondenti a logiche normative e ordinamentali distinte (anche se non reciprocamente
indifferenti)». A ciò si aggiunga « la grande varietà modale delle possibili esplicitazioni
dell’attività lavorativa dei religiosi, e di circostanze in presenza delle quali la stessa
prestazione può essere richiesta, varietà per effetto della quale risulta comunque ogget-
tivamente arduo [...] un inquadramento del fenomeno secondo schemi predeterminati e
fissi».
115
113
Ivi, p. 255. L’A. sottolinea come anche parte della dottrina giuslavoristica abbia compiuto un’evolu-
zione in tal senso. Per esempio, MAZZIOTTI, se inizialmente riteneva « la messa a disposizione della
forza lavorativa, quale elemento determinante per l’individuazione e il riconoscimento del rapporto di
lavoro» (Diritto del lavoro, 1976), successivamente riconosceva che vi sono « rapporti di lavoro che
assumono il carattere della specialità per l’ordinamento particolare nel quale si svolgono» (Diritto
del lavoro, 1984), per poi concludere che tali rapporti potevano essere ricondotti « nell’ambito del
lavoro gratuito che potrebbe svolgersi religionis causa, anche a favore di attività gestite da ordini
religiosi con scopo di lucro», qualora « la prestazione venga svolta in adempimento di doveri religiosi
e non di un contratto di lavoro» (Diritto del lavoro, 1987).
114
Ivi, p. 255.
115
M. CINELLI, Disciplina giuslavoristica, cit. a nota 76, p. 150. Per l’A., un altro fattore che « con-
tribuisce ad arricchire ulteriormente la già ampia problematicità del quadro» è rappresentato dalla
disciplina previdenziale: « i possibili riflessi sul piano previdenziale rappresentano indubbiamente
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Anche per COLELLA « il problema concernente la natura, i caratteri e la tutela delle
prestazioni lavorative poste in essere da ecclesiastici e da religiosi, sia nell’ambito degli
uffici, enti ed associazioni di appartenenza che fuori di esse, cioè compiute presso terzi,
pur presentando proprie peculiari caratteristiche, va esaminato disgiuntamente in diritto
canonico e nel diritto statuale»; seppure, « indubbiamente l’appartenenza del soggetto
prestatore d’opera ai due ordinamenti fa sorgere connessioni ed interferenze».
116
Osserva sul punto NOTARO che « il problema del lavoro dei religiosi, anche se
oggettivamente non sembra involgere una questione di primaria importanza, [...] non è
certo senza rilievo perché il suo inquadramento tecnico importa il riferimento al tema
già assai dibattuto dei rapporti fra ordinamento statuale ed ordinamento canonico».
117
Ed infatti esso presenta aspetti « ancorati ad un diritto interno quale quello canonico,
ma presenta continuamente problemi di coesistenza di due ordinamenti, il canonico
ed il civile, senza che si riscontri una espressa norma di collegamento; ed allora sorge
un primo quesito di ordine generale: se, cioè, alcuni fenomeni propri di vita interna
della Chiesa (vita associata – vita consacrata), riflessi in particolare negli statuti di
associazioni religiose, siano del tutto irrilevanti per l’ordinamento dello Stato».
118
Inoltre, per l’A., tale quesito si accompagna ad « un altro più specifico che ci interessa
uno degli aspetti pratici, di maggior rilievo sostanziale, che si ricollegano alla qualificazione giuridica
dell’attività lavorativa dei religiosi, e in relazione ai quali, dunque, le questioni che attengono a
tale qualificazione hanno maggiori ragioni di essere vivacemente dibattute. Tuttavia, si deve tener
presente che la tutela previdenziale dell’attività lavorativa dei religiosi (ove ammissibile) non è
rigidamente collegata alle sorti di quella, quale apprezzata dalla legislazione civile che regolamenta
il rapporto di lavoro subordinato: non è necessariamente collegata, cioè, alla possibilità che tale
attività sia qualificabile (alla stregua di quella legislazione) come prestazione di lavoro subordinato.
Nel vigente ordinamento previdenziale italiano, infatti, la garanzia di tutela previdenziale – sia per
vincolo istituzionale sia per indirizzo del legislatore ordinario – non è prerogativa riservata ai soli
lavoratori subordinati, né, d’altra parte, conosce pregiudiziali riserve ad alcune attività o funzioni
umane, rispetto ad altre, che, anzi, il principio di cui all’art. 4 della Costituzione, espressamente,
come è noto, fa riferimento a qualsiasi attività o funzione, purché ‘concorra al progresso materiale e
spirituale della società’. Ne consegue che gli aspetti che attengono alla tutela previdenziale finiscono
con l’aggiungere problematiche ulteriori (e in parte di diverso genere), rispetto a quelle, di per sé
già notevoli, che si prospettano in ordine alla applicabilità all’attività dei religiosi della disciplina
giuslavoristica strettamente intesa».
116
P. COLELLA, Considerazioni sul lavoro, cit. a nota 82.
117
L. NOTARO, Sulla natura giuridica, cit. a nota 106, p. 407.
118
Ivi, p. 408.
2.1 Il carattere particolare delle prestazioni svolte dal religioso: il « lavoro spiritualizzato» 35
particolarmente. Ci chiediamo se le attività prestate nell’ambito dell’associazione
religiosa da un proprio membro si possano inquadrare nei comuni rapporti di lavoro,
oppure (cosa che noi crediamo) essi non siano caratterizzati dai motivi che hanno spinto
il soggetto alla prestazione».
119
2.1 Il carattere particolare delle prestazioni svolte dal religioso: il « lavoro spiri-
tualizzato»
Molteplici sono le posizioni dottrinali concernenti la natura dell’attività prestata
dai religiosi a favore, o per conto, dell’Istituto cui appartengono; attività che, secondo
l’opinione maggioritaria di dottrina e giurisprudenza, non sarebbe riconducibile alla
fattispecie del rapporto di lavoro, sulla base di varie ragioni, tra le quali, in primo luogo,
il concetto di ‘lavoro spiritualizzato’.
Per NOTARO è merito della dottrina se possono dirsi superati i vecchi schemi del
« lavoro spiritualizzato »; ed ogni sforzo compiuto in questa direzione « va guardato
con profondo interesse».
120
In particolare, secondo questo A., « il voler considerare il lavoro prestato dal
religioso come lavoro spiritualizzato, può essere un utile espediente forse ancora valido,
ma certamente in tal modo non si può dare una risposta giuridica ad un problema
oggi molto sentito; si veda il numero delle controversie tra associazioni religiose e
religioso che esce volontariamente o viene escluso dalla religio (egressus o dimissus
secondo la terminologia canonica) e che ha bisogno di un supporto di diritto positivo.
La formula ‘lavoro spiritualizzato’ può avere un significato per individuare un tipo
particolare di mansioni, riscontrabili nella vita della Chiesa, ma dubito si possa dare a
questa espressione una portata giuridica per trarne le giuste conseguenze. Vedrei nella
spiritualizzazione del lavoro un modo per non affrontare il problema nei suoi termini
corretti, usando cioè i mezzi messi a disposizione dall’ordinamento statuale, ma per
119
Ivi, p. 409.
120
L. NOTARO, Brevi note sull’attività del religioso, cit. a nota 110, p. 257.