Secondo il pensiero di alcune organizzazioni femminili siamo di fronte ad un paradosso:
come se in un'azienda il lavoro eseguito da un impiegato non venisse pagato perché
quest'ultimo è legato da vincoli affettivi e familiari con il suo superiore. Una situazione che
in un ufficio non sarebbe tollerata, o quantomeno susciterebbe clamore, mentre si verifica
quotidianamente tra le quattro mura domestiche. A questa posizione si potrebbe obiettare
che, mentre in un ambiente di lavoro extra-familiare si svolge un'attività che viene
remunerata perché commissionata da terzi, e destinata all'ottimizzazione delle condizioni
della società, o almeno di una parte di essa, il lavoro casalingo è direttamente finalizzato al
benessere di sé stessi e della propria famiglia, e come tale non dovrebbe essere pagato.
Quello che intendono sottolineare le associazioni femminili a favore del lavoro casalingo è
allora la necessità di guardare al nucleo familiare come ad una realtà sociale, oltre che
naturale, che non può prescindere dal rapporto di relazione con le altre famiglie, e di
conseguenza con la società tutta. La donna che lavora in casa non è semplicemente la
"madre" o la "moglie" che per amore si dedica alle opere di cura, ma viene ormai
considerata dalle suddette organizzazioni femminili come una operatrice sociale che, anche
se non ne ha la piena coscienza, collabora per il miglioramento della qualità della vita della
collettività. Il fatto che essa agisca nella propria abitazione e a favore dei propri familiari,
senza un datore di lavoro effettivo, induce ancora l'opinione comune a ritenere inopportuna
una remunerazione.
"...il datore di lavoro delle casalinghe è lo Stato, in quanto la casalinga lavora in casa, e si
occupa delle cure familiari senza percepire nulla dallo Stato, ma anzi sgravando di tali oneri
la società stessa." così ha risposto il Movimento Italiano Casalinghe
Una questione che, alla luce dei progressi compiuti sino ad ora in ambito civile e sociale, ha
fatto emergere la necessità di una soluzione, nonostante la sua reale difficoltà: si richiede
infatti l'intervento dello Stato, la mobilitazione dei raggruppamenti politici, provocando
inevitabili attriti con il Codice Civile e con alcuni articoli della Costituzione italiana.
Sfogliando ancora il fedele Zingarelli ci si imbatte poi nella determinazione della parola
"casalinga": "donna di casa, che si dedica esclusivamente ai lavori della propria casa, che si
occupa soltanto delle faccende domestiche e familiari." E' un profilo in cui non si identifica
più la donna del terzo millennio, ma che di fatto appartiene ancora all'immaginario
collettivo delle vecchie e nuove generazioni, quello zoccolo duro di resistenza ad ogni
rivoluzione culturale che i movimenti femminili attualmente cercano di smantellare,
esortando la casalinga ad una vera e propria "presa di coscienza", ed invitando l'opinione
comune ad abbattere lo steccato che separa due mondi che da sempre sono stati concepiti
come antitetici: lavoro e famiglia.
Nel corso degli anni è radicalmente mutato l’impegno della casalinga: all'archetipo della
casa-rifugio, dominata da una donna solerte ma sostanzialmente passiva, si è sostituita la
realtà della casa-azienda, gestita con dinamismo e accortezza da quella che potrebbe essere
definita la "manager della famiglia". In questa ottica il lavoro domestico acquista una nuova
valenza ed una nuova dignità che si manifestano in quella che sempre più viene descritta e
indicata come un'attività lavorativa, allo stesso livello di un lavoro socialmente utile.
Questa prospettiva pone il lavoro casalingo sotto una luce nuova, evidenziando quelle
caratteristiche che ne fanno un'attività stimolante e produttiva al pari di qualsiasi altro
lavoro svolto fuori dalle mura domestiche, e per questo appetibile per donne di ogni
estrazione sociale e livello di istruzione.
Un grande passo in avanti si è compiuto con la sentenza 12 gennaio 1995 n. 28 della Corte
Costituzionale, che ha riconosciuto il valore sociale ed economico del lavoro casalingo: un
traguardo importante, che ha rafforzato soprattutto nelle donne, spesso le prime a dimostrare
sfiducia e scetticismo su questo argomento, la coscienza dello spessore del proprio ruolo
nella società. La dichiarazione della Corte Costituzionale ha in parte fugato quell'alone di
negatività che per molto tempo ha caratterizzato l'immagine della casalinga, penalizzata
dall'opinione comune a causa della sua presunta improduttività.
Il riconoscimento del lavoro domestico non remunerato intende infatti
smantellare da una parte il mito conservatore che lo interpreta come un mero atto d'amore
verso la famiglia e la comunità, dall'altra l'utopia "progressista" che lo considera inutile e
destinato all'oblio, a favore di un lavoro retribuito svolto da operatori statali. Secondo queste
scuole di pensiero è improponibile una remunerazione per il lavoro casalingo: per gli uni il
solo tentativo di calcolo quantitativo delle attività svolte dalla donna in ambito familiare
comporterebbe un abbassamento del suo valore morale, per gli altri un riconoscimento
economico suonerebbe come una forma di assistenzialismo fine a se stessa, equiparando le
casalinghe alla compagine degli inoccupati o degli invalidi.
Secondo le oltre 1200 organizzazioni che in tutto il mondo negli ultimi vent'anni si sono
mobilitate per il riconoscimento del lavoro casalingo, rendere visibile l'entità del lavoro non
remunerato è il passaggio che consente di dimostrare la sua effettiva produttività e il suo
contributo allo sviluppo socioeconomico di ogni paese.
Nell'ambito della IV Conferenza Mondiale sulla Donna, svoltasi a Pechino nel 1995, sono
stati approvati dai Governi degli stati membri dell'ONU alcuni paragrafi della Piattaforma
d'azione redatta dalle associazioni ospiti del convegno, riguardanti la necessità di effettuare
un computo del lavoro casalingo, storicamente escluso dalle contabilità nazionali,
rispecchiando il suo valore in ufficiali conti "satellite".
Se è ancora utopico ipotizzare il calcolo del lavoro non remunerato nell'ambito del PIL
(Prodotto Interno Lordo) di ogni nazione, la disponibilità espressa da molti paesi a rendere
manifesti questi conti "satellite" ha ulteriormente stimolato le organizzazioni non
governative ad abbattere il muro di pregiudizi e di stereotipi culturali che deprezzano il
ruolo della casalinga nella società, negando l'accesso ai diritti di cui godono le risorse
umane ufficialmente riconosciute.
Sono queste le tappe fondamentali che hanno segnato l'evoluzione dell'immagine del lavoro
casalingo negli ultimi anni: in Italia, le recenti approvazioni da parte della Camera dei
Deputati di leggi a sostegno della donna e della famiglia hanno rinnovato il riconoscimento
del lavoro domestico, allineando sempre più la casalinga alla categoria delle "forze lavoro",
e rivalutando fortemente la sua attività di "sviluppo e cura", dalla gestione della casa
all'istruzione dei figli e all'assistenza ad anziani o lungodegenti. Nei capitoli seguenti viene
illustrata infatti la situazione più aggiornata delle legislazioni all’esame della Camera dei
Deputati, di quelle già applicate e di quelle per cui si attendono al più presto i decreti
attuativi.
Parallelamente alla nascita di nuovi provvedimenti governativi, è anche la forma mentis dei
cittadini in relazione al lavoro casalingo che sta progressivamente mutando. Sono infatti
sempre più numerose in Italia le donne che dichiarano di realizzarsi nell'attività di cura e
sviluppo dell'ambiente familiare; specialmente nel Sud non è poi così radicato il mito
della donna in carriera, che sembra sempre più appartenere agli anni '80, scenario del
fenomeno dello yuppismo e del rampantismo anche femminile.
Si esaurisce con il ventesimo secolo lo stereotipo della casalinga frustrata perché emarginata
dai processi di sviluppo economico e sociale: il lavoro domestico per molti si identifica ora
come una vera e propria professione per cui sono necessarie competenze specifiche. Da
questa visuale si accorcia sempre più la distanza tra l'attività svolta da una casalinga e quella
degli impiegati che da qualche anno a questa parte sperimentano il tele-lavoro, trasformando
la casa in un ufficio: un ambiente lavorativo senza l'interferenza di colleghi e di diretti
superiori, caratterizzato dalla flessibilità di orario e dalla stretta vicinanza dei propri
familiari.
E' importante sottolineare tuttavia che il lavoro domestico possiede una struttura temporale
propria, fondata non su rapporti di produzione, ma su rapporti sociali ed affettivi. La donna
che lavora in casa si trova infatti di fronte alla difficoltà di gestire il suo tempo secondo i
ritmi di vita familiare, la cui regolarità può essere talvolta compromessa da un'infinità di
variabili non sempre prevedibili. Altrettanto complessa la condizione della donna che ha un
impiego fuori casa, part time o full time, e che raramente si sottrae agli obblighi e alle
incombenze del lavoro domestico: anche se per un minor numero di ore giornaliere,
anch'essa ricopre il ruolo di casalinga, con la variante dell'annoso problema della
conciliazione dei tempi, una questione che ha spinto le principali associazioni femminili, in
Italia e in tutta Europa, a sollecitare la promozione di direttive comunitarie per il
miglioramento della qualità della vita delle famiglie.
Conclude pertanto la ricerca una panoramica delle organizzazioni femminili che in questi
anni si sono occupate delle problematiche legate al lavoro domestico, e che con pianificate
azioni di informazione e promozione sono riuscite a sensibilizzare i cittadini, oltre a stabilire
un dialogo aperto con gli enti e le istituzioni.