3
furono senza dubbio elementi decisivi nella nascita di
quella nuova classe sociale.
Tali masse di “ex contadini eslegi”
2
si dedicarono
principalmente al brigantaggio, al vagabondaggio e alla
mendicità, in dimensioni tali da mettere in crisi le
strutture allora preposte a far fronte a questi fenomeni
3
.
2
Così definiti da Marx in Il Capitale, Roma, 1970, I, 3, p. 192, citato in
MELOSSI-PAVARINI, op. cit., p. 33.
3
MELOSSI, Il Lavoro in carcere: alcune osservazioni storiche, in
CAPPELLETTO-LOMBROSO, Carcere e Società, Padova, 1976, p. 136.
4
1.1.2 Le “Houses of Correction” o “Bridewells”.
La risposta politica delle autorità inglesi, in un primo
momento, consisté in una violenta repressione, che però
si rivelò inefficace. Nel 1555 il Re concesse il Palazzo di
Bridewells per internare vagabondi, oziosi, autori di
piccoli reati e riformarli attraverso il lavoro obbligatorio e
la disciplina; l’esperimento ebbe successo ed in poco
tempo sorsero “houses of correction” nelle più importanti
città inglesi.
Da queste istituzioni nascenti restarono esclusi gli autori
dei reati più gravi, i cosiddetti “fellonies”, ancora
sottoposti alle pene tradizionali (mutilazione,
deportazione, pena di morte, ecc.).
Il lavoro obbligatorio era l’elemento centrale della casa di
correzione
4
; l’internato non poteva rifiutarlo, pena la
facoltà del giudice di trasferirlo al carcere comune.
4
MELOSSI-PAVARINI, op. cit., p. 35.
SELLIN, Appunti storici su problemi penali e penitenziari, in Rass. st.
penit.,1934, pp. 500 ss..
5
1.1.3 La “Rasp-huis” olandese.
Il contesto storico in cui sorsero le case-lavoro in Olanda
differì da quello inglese e non ne subì l’influenza
5
; i
fattori determinanti furono l’incremento dei traffici
commerciali e, diversamente dall’Inghilterra, la
mancanza di offerta-lavoro sul mercato.
La “workhouse” olandese, denominata “rasp-huis”,
poiché vi si svolgeva una particolare lavorazione del
legno, si finanziava con il lavoro degli internati e, per
assicurare il conseguimento di utili elevati, le attività
lavorative erano praticate con metodi produttivi arretrati,
con un basso investimento di capitali.
La casa-lavoro olandese raggiunse il modello più
sviluppato fra le istituzioni carcerarie del XVII secolo e
divenne il punto di riferimento per la costituzione di
istituti simili in Europa
6
.
5
MELOSSI-PAVARINI, op. cit, p. 37.
Sull’incertezza del rapporto fra le case-lavoro inglesi ed olandesi si veda anche
SELLIN op. cit., p. 501.
6
SELLIN, op. cit., p. 501.
6
1.1.4 La funzione delle case - lavoro. Le teorie di Rusche
e Kirchheimer.
Un particolare studio sulla funzione delle istituzioni case-
lavoro è stato svolto da Rusche e Kirchheimer.
Essi hanno sostenuto che l’impiego del lavoro forzato
svolgeva un ruolo fondamentale nel controllo del livello
dei salari “liberi”: il lavoro forzato poteva essere
utilizzato quando aumentava la domanda e diminuiva
l’offerta di lavoro, cioè quando saliva il costo del lavoro
libero. L’attività lavorativa forzata finiva, quindi, per
svolgere una funzione calmieratrice sull’andamento dei
costi del mercato del lavoro.
Circoscrivere all’aspetto sopra citato la funzione delle
case di lavoro sarebbe tuttavia troppo riduttivo; esse,
infatti, assolsero ad altri due compiti fondamentali.
In primo luogo realizzarono la conversione di “ex
contadini eslegi” in proletariato da impiegare nel nascente
7
sistema capitalistico; la cosiddetta funzione formativa,
che permise l’apprendimento della disciplina del lavoro
salariato
7
.
In secondo luogo risposero ad una esigenza di
prevenzione generale, scoraggiando gli uomini liberi
dalla commissione di reati per il miglioramento delle loro
condizioni di vita e di lavoro, infatti qualsiasi condizione
lavorativa nel libero mercato era, comunque, migliore di
quella che veniva riservata agli internati nelle istituzioni
carcerarie. Le “workhouses” furono quindi un deterrente
alla lotta di classe
8
.
7
MELOSSI op. cit., p. 140.
8
MELOSSI-PAVARINI, op. cit., pp. 43-44.
8
SEZIONE SECONDA
L’esperienza americana nei penitenziari di Auburn e
Philadelphia
1.2.1 Il “solitary confinement” di Philadelphia.
Il problema delle istituzioni segreganti fu affrontato e
risolto a cavallo tra il XVIII e XIX secolo negli Stati
Uniti d’America con la scelta dell’isolamento cellulare,
che si articolò in due differenti sistemi penitenziari.
Il primo fu realizzato alla fine del XVIII secolo in
Pennsylvania, nella città di Philadelphia.
I cardini di questa istituzione erano l’isolamento
continuato, anche diurno, l’obbligo del silenzio, la
meditazione e la preghiera. Il lavoro, svolto nelle celle in
isolamento e in silenzio, consisteva in attività artigianali
condotte con sistemi antieconomici. Il suo compito
9
principale era l’esercizio di una funzione terapeutica
psico-fisica, per nulla curandosi delle esigenze
economiche e produttive: il lavoro era per se stesso un
premio, in quanto rappresentava l’unica alternativa
all’ozio e all’inerzia forzati
9
.
Questo sistema, detto anche “solitary confinement”, entrò
presto in crisi per la necessità di introdurre il lavoro
produttivo anche nelle istituzioni carcerarie.
1.2.2 La risposta di “Auburn prison”.
Determinante per la fine del modello filadelfiano fu il
crescere della domanda di lavoro ed il conseguente
aumento del suo costo
10
.
Si rese allora necessario che le istituzioni segreganti
contribuissero, con l’impiego della forza lavoro a loro
disposizione, a far fronte alle nuove esigenze del mercato.
9
MELOSSI-PAVARINI, op. cit., p. 214.
10
MELOSSI-PAVARINI, op. cit., p.180.
10
Fu realizzato un esperimento nel penitenziario di Auburn,
dove l’isolamento era solo notturno ed il lavoro diurno si
svolgeva in silenzio, ma in comune. Ciò permise
l’introduzione di strutture lavorative simili a quelle della
fabbrica e l’ingresso, anche in carcere, del lavoro
produttivo.
La concessione a privati dello sfruttamento del lavoro
forzato contribuì ad abbassare i costi di alcuni settori
industriali
11
e istituzioni modellate su quella di Auburn si
diffusero in tutti gli Stati Uniti d’America.
11
MELOSSI, op. cit., p. 142, aderisce alla tesi di Rusche e Kirchheimer che
attribuisce al lavoro forzato una funzione calmieratrice del salario “libero”.
11
SEZIONE TERZA
La situazione italiana nel periodo preunitario
1.3.1 Il contesto storico generale.
Tentare di ricostruire l’evoluzione dell’istituzione
carceraria, con particolare riguardo all’aspetto lavorativo,
nell’Italia preunitaria, è cosa assai difficile per la
mancanza di unità nazionale, di una storia comune e
talvolta anche di documenti
12
.
Dovendo necessariamente prendere in esame le situazioni
dei diversi Stati che formavano la compagine italiana, si
scopre che non esistevano istituti degni di stare al passo
con il resto d’Europa, e ciò per le condizioni di
arretratezza economica diffusa
13
.
12
MELOSSI, op. cit., p. 143.
13
MELOSSI-PAVARINI, op. cit., p. 97.
12
1.3.2 L’illuminismo in Lombardia e Toscana.
Le prime esperienze degne di nota risalgono al periodo
illuministico
14
.
La regione che più beneficiò del pensiero illuministico fu
la Lombardia. Nel ‘700 a Milano intensi erano i contatti
con le culture austriaca e francese; il risultato fu il fiorire
di nuove idee attorno ad un folto gruppo di intellettuali,
primi fra tutti Pietro Verri e Cesare Beccaria.
In questo periodo sorsero due tipologie di stabilimenti
carcerari, la “casa di correzione” e “l’ergastolo”; in essi il
lavoro dei reclusi si articolava diversamente. Nel primo si
praticavano lavorazioni produttive tipiche dell’epoca (la
manifattura tessile in particolare); nel secondo, i
condannati a pene molto lunghe venivano impiegati in
opere di pubblica utilità.
Per quanto riguarda le altre regioni italiane, l’unica in cui
attecchì il pensiero illuministico fu la Toscana. Qui già in
14
MELOSSI-PAVARINI, op. cit., p.108.
13
passato si registrò un episodio degno di nota: a metà del
XVII secolo, Filippo Franci, un sacerdote protetto da
Leopoldo de’ Medici, decise di dar vita ad una istituzione
in cui venivano accolti giovani disoccupati e ragazzi
“ribelli” di buona famiglia, rieducati attraverso il lavoro
in botteghe cittadine.
Nel XVII secolo, sotto la guida di Pietro Leopoldo,
intensa fu l’attività di riforma, con l’abolizione della pena
di morte e la sua sostituzione con i lavori forzati. Gli
internati erano impiegati nello svolgimento di opere
pubbliche, per la quali venivano retribuiti.
Una situazione di arretratezza caratterizzava invece il
Regno di Napoli e lo Stato Pontificio; in quest’ultimo si
registrò solo la costituzione di una casa di correzione per i
giovani, l’Ospizio di S. Michele, dove la pena si scontava
con lo svolgimento in comune di lavorazioni tessili.
14
1.3.3 Il XIX secolo.
a) Nel Regno di Sardegna.
Lo Stato sabaudo, il più sviluppato della penisola, assunse
un ruolo di guida, così come in molti settori, anche in
quello penitenziario; sulle basi del suo ordinamento
carcerario sarebbe nato poi l’ordinamento italiano
15
.
Nella prima metà dell’800, contemporaneamente alla
pubblicazione di un nuovo codice penale, il conte Ilarione
Petitti di Roreto si occupò di riformare l’istituzione
carceraria. Nell’acceso dibattito fra il sistema filadelfiano
e quello auburniano, egli si schierò a favore del secondo.
Questa fu dunque la scelta compiuta dal Piemonte, in
quanto meglio rispondente alle esigenze economiche
dell’industria nascente.
15
MELOSSI-PAVARINI, op. cit., p. 126.
15
Non fu però una scelta definitiva, perché, ben presto,
grazie all’inserimento di Cavour nel dibattito, il
parlamento approvò il passaggio alla scuola di
Philadelphia.
b) Nel Granducato di Toscana.
In Toscana, dopo la Restaurazione, fu svolta un’opera
fondamentale nella riforma delle istituzioni carcerarie,
introducendo il sistema dell’isolamento continuato in tutti
gli stabilimenti.
Severe furono le critiche, soprattutto sulle condizioni
igieniche; ne seguì un dibattito che si concluse con una
nuova riforma, entrata in vigore il 10 gennaio 1860, in
clima preunitario, con la quale venne introdotto il sistema
misto. Con esso si stabiliva che la prima parte della
condanna venisse scontata in isolamento continuato e la
seconda svolgendo lavoro in comune ed in silenzio.
16
La normativa del 1860 ebbe una importanza particolare
perché restò in vigore fino al codice Zanardelli, ma ancor
più perché questo stesso codice adottò il sistema misto
per le pene detentive
16
.
16
MELOSSI-PAVARINI, op. cit., p. 130.