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Introduzione
Le arti marziali con la loro storia millenaria hanno accompagnato l’uomo nella lotta per la
sopravvivenza e nella comprensione della vita diventando un aspetto fondamentale dell’esistenza in
diverse culture. Esse, come viene analizzato nella tesi, nascono nel mondo orientale e si diffondono
nel mondo occidentale. E’ evidente che esiste un rapporto tra queste due culture, così come esistono
sostanziali differenze tra cui il modo di intendere le arti marziali stesse, lo sport, la società, la
psicologia, la vita.
Una problematica che ha orientato il percorso di tesi riguarda il rapporto tra queste due culture
attraverso le arti marziali.
Il Kung fu di Okinawa, l’arte marziale specifica che viene trattata nella tesi, rappresenta proprio un
ponte possibile tra queste due culture. In essa sono racchiuse, infatti, la cultura cinese, giapponese,
angloamericana e italiana.
Oltre a questa dimensione interculturale, che fa da sfondo sostanziale, l’aspetto centrale su cui verte
l’elaborato riguarda l’impatto educativo che il kung Fu di Okinawa può avere sul giovane adulto,
un’età caratterizzata principalmente dalla definizione e concretizzazione dei propri obiettivi per
proseguire nel miglior modo possibile nei cicli di vita successivi, e dalla sperimentazione e
comprensione dei propri bisogni affettivi, piø o meno orientati alla ricerca dell’intimità con l’altro e
dell’isolamento. Ciò può essere opportunamente sostenuto attraverso una congrua definizione degli
obiettivi educativi e delle conseguenti adeguate pratiche pedagogiche.
Nella tesi, quindi, si intrecciano ed arricchiscono reciprocamente i temi della vastità delle arti
marziali (e nello specifico del Kung Fu di Okinawa) e del loro valore pedagogico (nello specifico
per la giovane età adulta).
Le domande a cui cerca di rispondere la tesi sono dunque le seguenti: Che tipo di arte marziale è il
Kung fu di Okinawa e come nasce? Che rapporto c’è tra le arti marziali orientali e quelle
occidentali e di conseguenza tra le rispettive culture? Quale relazione c’è tra questa disciplina ed il
concetto di sport in senso moderno? Dove e come si inserisce il praticante nel Kung fu di Okinawa?
E il giovane adulto? Quali sono gli obiettivi educativi che quest’arte può assolvere in quest’età?
Per rispondere a queste domande si è proceduto attraverso il confronto teorico con i testi, le
interviste rilasciate da tre illustri maestri di questa nobile arte; il tutto passato al vaglio della mia
esperienza personale sia di allievo che di giovane adulto, è in questa età, infatti, che mi sono reso
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conto per la prima volta che dentro di me cominciavano a delinearsi davvero degli obiettivi
educativi e dei compiti evolutivi, e tale comprensione è nata, non a caso, da quando ho cominciato a
praticare quest’arte marziale.
Tra le varie arti marziali quelle che hanno lasciato un segno profondo sono senza alcun dubbio il
Kung fu e il Karate, entrambe nate con analoghi principi filosofici ma evolutesi con metodologie di
educazione profondamente diverse. Dall’unione di questi due mondi nasce il Kung fu di Okinawa.
Questo argomento viene affrontato nel primo capitolo della tesi in cui viene inizialmente analizzata
in sintesi la storia del Kung fu da prima della sua nascita fino ad oggi. In questo epico viaggio
storico, ci si sofferma sull’approdo del Kung fu in Giappone, il quale in seguito dà vita ad una
moltitudine di stili che diventeranno famosi nel mondo, come il Karate. Ci si rende conto in questo
modo dell’enorme vastità di stili che si sono originati nel tempo e che ancora oggi continuano ad
evolversi, promuovendo in questo modo la nascita di altri nuovi stili. Si arriva così alla
comprensione che tutti i vari stili nascono principalmente da due famiglie fondamentali della Cina:
gli stili del nord e quelli del sud. Gli stili appartenenti ad entrambe le famiglie sono caratterizzati da
filosofie di pensiero assai differenti, ma in generale, come verrà approfondito, tutti gli stili si rifanno
in diversa misura alle filosofie taoiste, confuciane e buddhiste.
Dall’unione degli stili di Kung fu della Cina del sud con il Karate di Okinawa ( definito
originariamente Okinawa-te ), in Giappone, nasce quello che viene definito comunemente Kenpo
giapponese. In seguito un maestro di nome Ky Tomotashi darà luogo al Kung fu di Okinawa nel
1922, un tipo di Kenpo caratteristico ad Okinawa. In Italia questo stile verrà portato solo nel 1971
da un giovane John Armstead sotto il nome di Okinawan Kung fu Self Defence Academy, piø
comunemente definito Kung fu di Okinawa.
Okinawa è l’isola dove tutto ha avuto inizio, è rappresentata dal gruppo centrale dell'arcipelago
giapponese delle Ryukyu (1485 km²) comprendente l'omonima isola ed altre minori.
Nel secondo capitolo ci si sofferma proprio su questo “magico”luogo che sembra capace di donare
la vita eterna ai suoi abitanti. Inizialmente vengono introdotti concetti importanti sulla relazione
esistente tra il modo di concepire il corpo, la mente e lo spirito nella cultura orientale e in quella
occidentale. A seguire viene approfondita la cultura degli abitanti di Okinawa per tentare di
intravedere la radice della nascita di concetti pedagogici presenti nelle arti marziali provenienti da
queste aree geografiche.
Per capire in che maniera si sono sviluppate le arti marziali in occidente, mi è sembrato doveroso
soffermarmi su una breve panoramica della storia delle arti marziali occidentali, a partire dalla loro
nascita con i combattimenti e la caccia dell’ uomo primitivo, passando per gli anni gloriosi della
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Grecia, fino ai giorni nostri in cui vengono praticati stili da combattimento militare moderno. Solo
in questa maniera si può arrivare ad una minima comprensione del rapporto esistente tra il modo di
concepire le arti marziali in occidente, e quello in oriente.
Salteranno subito all’occhio tutti gli elementi di continuità e quelli di discontinuità tra questi due
universi apparentemente opposti ma in realtà molto simili, soprattutto se si pensa allo sport che,
soprattutto oggi, continua ad accomunarli. Lo sport è un concetto universale che funge da ponte tra
tutte le culture del mondo, e proprio in questo sta la sua massima importanza. Un compito così
delicato deve essere ben valutato dalla pedagogia, la scienza che studia l’uomo come essere educato
ed educabile, facendogli da guida nella riscoperta dei valori verso l’acquisizione di compiti di
sviluppo per poter maturare nel modo corretto e proseguire in questo modo il proprio percorso di
vita. Ciò è vero soprattutto in ambito sportivo, dove esistono moltissimi valori educativi, ma allo
stesso modo coesistono moltissime degenerazioni diseducative.
Arriviamo sino ai giorni nostri analizzando, nel terzo capitolo, in modo specifico i bisogni educativi
della giovane età adulta, caratterizzati da problematiche e compiti esistenziali, da valori e percorsi
pedagogici propri.
Come vedremo tutti questi elementi confluiscono nel Kung fu di Okinawa e vengono analizzati e
compresi attraverso quest’arte che ormai conta piø di 100 anni.
La maggior parte delle informazioni riguardanti quest’arte e presenti nella tesi provengono dal
Gran Master John Armstead, fondatore dello stile in Italia nel 1971 a Roma, a cui è stata dedicata
un’ intervista esplicativa nel quarto capitolo.
Altre interviste sono state dedicate ai maestri che si sono succeduti negli anni e che hanno preferito
scegliere un tipo di insegnamento del Kung fu di Okinawa sempre piø incentrato sull’aspetto
educativo. Attraverso l’analisi e il confronto di tali interviste ci si rende conto di questa evoluzione
nel tempo sempre piø pedagogicamente orientata.
Dalla tradizione antica riguardo il metodo di insegnamento di quest’arte fino ad oggi, scopriamo
nuovi metodi di insegnamento, meno duri mentalmente e fisicamente, ma con un occhio di riguardo
per lo spirito.
L’intervista al maestro Paolo Santilli ci rivela nuovi metodi di insegnamento ed educazione che
hanno come obiettivo la trasformazione dell’individuo a essere umano tramite la fondamentale
guida del maestro che accompagna l’allievo cercando di fargli ritrovare il suo spirito affievolito che
lo condurrà verso la risoluzione dei problemi legati al suo attuale ciclo di vita e verso
l’affermazione dei suoi compiti esistenziali tramite il rapporto con i suoi valori.
Infine verranno analizzate dapprima le tre dimensioni dell’uomo, corpo, mente e spirito in chiave
pedagogica e a seguire verranno analizzati gli elementi didattico-pedagogici .
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CAPITOLO
1
KUNG FU DI OKINAWA: TRA VERITA’ E MISTERI
Chi è bravo a ricoprire il ruolo di soldato non è marziale.
Chi è bravo a combattere non è iroso.
Chi è bravo a vincere sui nemici, non li
provoca.
Chi è bravo ad utilizzare gli altri, ad essi si mostra inferiore.
Questo si dice il virtuosismo del non lottare.
Questo si dice il potere di usare le
persone.
Questo si dice essere pari alla natura.
L’apice dell’antichità.
(Tao te Ching).
1.1 Cenni storici sul Kung fu cinese
Prima di addentrarci nella breve panoramica storica del Kung Fu, è bene capire qual è il significato
etimologico di quest’ultimo e cosa rappresenta. In seguito sarà descritto com’ è divenuto il Kung Fu
di oggi.
Il Kung Fu
Il termine Kung Fu in generale rappresenta “l’esercizio eseguito con abilità”,
1
per cui potrebbe
essere riferito a numerosi ambiti, ma se analizziamo l’etimologia della parola, scopriamo che
“Kung” significa meriti, servizi, effetti, durezza e Fu significa lavoro”
2
. Per questo motivo i cinesi
spesso adoperano altri nomi per far riferimento alle discipline marziali, come ad esempio “wu i” e
“wu shu”(arte marziale), “kuo shu” (arte nazionale), “chung kuo ch’uan” (boxe cinese), “ch’uan
1
C.Dsu yao-R.Fassi,Enciclopedia del Kung Fu Shaolin. Edizioni Mediterranee, Roma 1993, p. 17. E’ importante
tenere sempre presente che le definizioni di Kung fu sono molteplici.
2
G. Giuseppe, viaggio nel Kung Fu, Storia e metodi. Luni Editrice, Milano 2003, p. 15
~ ~
9
shu” (arte del pugno), “ch’uan fa” (metodo dei pugni o pugilato)
3
. Dato che queste denominazioni
in occidente sono poco conosciute si preferisce utilizzare il termine piø popolare di Kung Fu.
E’ importante osservare che Kung Fu (o Wu I
4
), non deve essere immaginato come esempio di
un’asettica violenza, ma piuttosto come arte di esprimere se stessi in relazione alla pace. Dobbiamo
ricordare, inoltre, che il Kung Fu nasce come stile di combattimento in un periodo (500 d. C.) in cui
gli scontri erano all’ordine del giorno, dato che le zone in cui si sviluppa erano infestate da briganti.
John Armstead che ha introdotto il Kung Fu di Okinawa in Italia nel 1971, afferma: “La fiducia nei
propri mezzi è indispensabile per intraprendere un serio studio del Kung Fu. Ogni esercizio deve
essere intrapreso assumendo un atteggiamento assolutamente positivo”
5
. Anche il maestro Chang
Dsu Yao, primo esponente del Kung Fu Shaolin della Cina del Nord ad insegnare in Italia dal 1977,
afferma: “E’ assai importante che gli allievi amino la pace, non la violenza e la guerra. Essi
dovranno pertanto studiare il Kung Fu come Arte e non praticarlo con il solo scopo di
combattere”
6
.
Scrivere anche solo dei cenni riguardo la storia delle arti marziali, come si può dedurre, è un’impresa
di non poco conto, dato che non esistono documenti scritti sufficientemente attendibili
sull’argomento. Gran parte di ciò che sappiamo è stato tramandato oralmente di generazione in
generazione nell’ambito delle varie scuole.
Tenendo presente che il Kung fu di Okinawa è influenzato sia dal Kung fu cinese, sia dal karate
giapponese, percorrerò in breve le tappe principali della storia delle arti marziali che iniziano con la
storia del Kung fu cinese. A seguire verranno trattati, la storia del Karate che inizia con il Karate di
Okinawa e gli aspetti di questo stile che influenzano il Kung Fu di Okinawa.
Storia
Sembra che nel 2650 a. C. , periodo preistorico in cui regnava l’Imperatore Giallo Huang Ti,
esistesse già una forma di lotta a mani nude, denominata Chiao Ti, in cui gli avversari combattevano
caricandosi con il capo.
Le prime notizie riferite alle arti marziali risalgono al periodo della dinastia Chou (1030-256 secolo
a. C.), durante il quale, probabilmente, si sviluppò un tipo di pugilato denominato Quanyong, citato
3
Cfr.C.Dsu yao-R.Fassi,Enciclopedia del Kung Fu Shaolin. cit., p. 17
4
Wu= marziale; I= arte.
5
J Armstead, Kung Fu di Okinawa. Edizioni Mediterranee, Roma 1975,cfr., p. 20
6
C.Dsu yao-R.Fassi,Enciclopedia del Kung Fu Shaolin. cfr., p. 15
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10
in una raccolta di poesie (shiji)
7
. Tra il sesto e il quinto secolo a. C. fiorirono arti marziali simili alla
scherma e una forma di pugilato chiamata Wu-I (arte marziale) o anche Chi-chi (colpire con abilità).
L’epoca compresa tra quinto e terzo secolo a. C. è detta degli “Stati Combattenti”, poichØ avvenne la
scomparsa dei feudi minori, sopraffatti dai maggiori e di conseguenza la Cina si trovò suddivisa in
numerosi stati.
Nel 221 a. C. Il principe di Ch’in unificò la Cina, sconfiggendo gli stati nemici ed assumendo il
nome di Shih Huang Ti ossia Primo Augusto Imperatore. Egli instaurò una politica di assolutismo e
centralismo monarchico, determinando la scomparsa del feudalesimo. Fece bruciare tutti i libri
tranne quelli di medicina, agricoltura e divinazione (I Ching). Nel rogo andarono distrutti anche i
libri di arti marziali.
Dopo la morte dell’imperatore, la rivolta contadina determinò l’ascesa al potere di Liu Pang
fondatore della dinastia Han (206 a. C.- 220 d. C.), che offrì al paese un periodo di prosperità, pace e
sviluppo culturale. Nel primo secolo d. C., il maestro Kuo I mise a punto uno stile denominato
Ch’ang Shou (“lunga mano”), da cui sembra che derivi lo Shaolin.
Nel 184 d. C. scoppiò la rivolta dei “Turbanti Gialli” guidata dai taoisti, che fu soppressa da alcuni
capi militari i quali, successivamente,
combatterono tra loro per il dominio
dell’Impero.
Nel 220 d. C. gli Han vennero spodestati e si
frantumò l’unità politica della Cina. Il paese fu
suddiviso in tre regni (Wei a nord, Wu a sud-
est e Shu a ovest) che
(Fig. 1 L’odierno Tempio Shaolin) guerreggiarono tra loro per la supremazia. Sarà
questa l’epoca chiamata appunto “Periodo dei tre regni” (220-280 d. C.).
Le arti marziali, così come le macchine belliche, furono notevolmente perfezionate.
In questo periodo visse il medico taoista Hua To che ideò un tipo di ginnastica basata sui movimenti
di 5 animali: tigre, scimmia, orso, cervo e gru. In seguito questa pratica ginnica influenzò le ricerche
dei maestri di Kung Fu.
Nel 280-316 d. C. la Cina fu nuovamente riunificata sotto la dinastia Chin, ma successivamente i
barbari si impadroniranno della parte settentrionale del paese, dando origine ad altri stati. Nella zona
sud, invece, rimasero intatte le tradizioni e le culture antiche. In questo, che verrà ricordato come
“Periodo del nord e sud”, si diffuse il Buddhismo in tutta la Cina e sorsero vari templi e monasteri. Il
7
Cfr.Y. Kieffer-L. Zanini, Il Kung Fu. Xenia Edizioni, 1993, p. 14. In questo testo viene utilizzato il metodo Pinyin
per la trascrizione dei termini cinesi, il quale è in vigore presso la Repubblica popolare cinese.
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piø importante tra essi è senz’altro il monastero di Shaolin Szu (“giovane foresta”), eretto verso la
fine del quinto secolo d. C. sul monte Sung, nella provincia di Honan.
Nel 520 circa d. C. sotto il regno dell’imperatore buddhista Wu Ti della dinastia Liang della Cina del
sud, arrivò al tempio Shaolin il monaco Bodhidarma, proveniente dall’India meridionale, conosciuto
col nome cinese di Ta Mo o con quello giapponese di Daruma. Egli è considerato il fondatore del
Buddhismo Ch’an (meditazione), secondo la cui scuola, l’illuminazione si raggiunge, appunto,
attraverso la meditazione. Il Buddhismo Ch’an sarà l’elemento principale che renderà complete le
arti marziali e in grado di perfezionare e trasformare l’individuo in persona.
Bodhidarma insegnò alcuni esercizi fisici ai monaci cinesi, che dovevano servire a dare ascolto
anche alle esigenze corporee dopo essere stati assorti in lunghe meditazioni dove il corpo era
costretto alla staticità. Egli morì nel 557 ed è considerato il patriarca dello Shaolin.
Durante il sesto secolo d. C. i monaci Shaolin cominciarono ad avere la fama di essere combattenti
invincibili, quindi possiamo dedurre che in questo periodo iniziarono a praticare le arti marziali. Le
tecniche utilizzate servivano ai monaci per difendersi dai briganti che infestavano quelle zone
all’epoca.
Il Kung Fu Shaolin cominciò così a conoscere un periodo di grande ascesa, sia per quanto riguarda la
fama sia a livello di perfezionamento tecnico.
La Cina fu unificata sotto la dinastia Sui dal 589 al 618 e quella successiva dei T’ang durò quasi tre
secoli (618-907), portando il paese a un livello di splendore mai conosciuto prima. E’ questo il
periodo in cui le arti marziali raggiungono il massimo sviluppo, si diffondono storie e leggende sui
maestri Shaolin che vengono reclutati per sconfiggere i nemici dell’imperatore e si sviluppa la forma
morbida dello Shaolin costituita dallo stile Mien Ch’uan (pugno di cotone) e da quello Jou Ch’uan
(pugilato morbido).
Tra 840 e 846, per ordine imperiale, forse per il pericolo rappresentato da questi monaci, per motivi
religiosi o di prestigio, furono incendiati 4500 templi maggiori e 40000 templi minori, compreso
quello di Honan. Nel 907 crollò la dinastia T’ang a causa della rivolta contadina.
Dopo un periodo di confusione ed anarchia, salì al trono nel 960 il generale Chao K’uang Yin che
diede origine alla dinastia Sung (960- 1279). Questa fase sarà ricordata, oltre che per la grave crisi
politica e militare, anche perchØ l’imperatore fondò lo stile T’ai Tzu Ch’ang Ch’uan (boxe lunga di
T’ai Tzu). Nel 1279 la dinastia Sung fu sconfitta dai mongoli guidati da Qubilai Khan, il nipote di
Gengis Khan, che fondò la dinastia Yuan (1279-1368). In questo periodo un famoso monaco taoista
di nome Chang San Feng ed esperto di Shaolin diede vita al T’ai Chi Ch’uan (pugilato del polo
supremo) il cui nome si riferisce all’unione di Yin con Yang che rappresentano i due principi base
dell’universo.
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Nel 1351 vi fu la rivolta nazionalista dei “Turbanti Rossi”, i mongoli furono cacciati e Chu Yuan
Chang,fondatore della dinastia Ming, divenne imperatore. In questo contesto si sviluppò il Mei Hua
Ch’uan (boxe del fiore di prugno), per opera del maestro Pai Chin Tou.
Nel secolo sedicesimo il monaco Chueh Yuan decise di perfezionare ed ampliare lo Shaolin. Così
cercò i migliori maestri della Cina e con essi mise a punto uno stile composto da 170 tecniche e 5
esercizi: il Wu Hsing Ch’uan (pugilato delle 5 forme), che era basato sui movimenti di 5 animali:
tigre, drago, gru, serpente e leopardo. A quanto pare queste forme non sono a noi pervenute e lo
Shaolin, oggi, è uno stile che si basa soprattutto sulla forma della tigre.
Si diffuse lo Shaolin sull’isola di Okinawa (arcipelago delle Ryu Kyu), generando in questo modo il
Karate. Originariamente la parola karate veniva scritta con due ideogrammi che significano mano
(Te) di T’ang (Kara), ovvero “mano cinese”. Fu usato il termine T’ang perchØ questo è il nome della
dinastia durante la quale lo Shaolin conobbe il maggior sviluppo. In seguito i giapponesi sostituirono
l’ideogramma Kara (T’ang) con un altro che si pronuncia nella stessa maniera, ma che significa
“vuoto”. Per questo la parola Karate, oggi, si traduce “mani vuote”. Nel 1640 si verificò una rivolta
durante la quale Pechino fu conquistata dagli insorti e l’ultimo imperatore Ming si impiccò. Così un
generale della dinastia chiese aiuto alle tribø mancesi le quali accorsero e domarono la rivolta, ma,
successivamente, invece di lasciare il territorio come concordato, elessero un loro imperatore dando
origine alla dinastia manciø Ch’ing (1644-1911).
Iniziarono, allora, le resistenze da parte dei patrioti cinesi e, soprattutto, dei pirati cinesi guidati da
Chen Ch’eng Kung (conosciuto dagli europei col nome di Coxinga) il quale conquistò l’isola di
Formosa in cui stabilì uno stato indipendente. La resistenza era rappresentata anche dai monaci
Shaolin i quali non perdevano occasione per combattere i nemici e dare asilo ai perseguitati politici.
Nel 1659 un maestro di Shaolin di nome Ch’en Yuan Pin fu inviato in Giappone per chiedere aiuto
contro i Manciø, ma i giapponesi non soddisfecero la richiesta. Tuttavia, notando le straordinarie
capacità del maestro, i samurai lo pregarono di restare ed insegnar loro le tecniche da lui conosciute.
Ch’en rimase in Giappone fino alla sua morte, nel 1670, contribuendo al futuro sviluppo del ju jitsu.
Nel frattempo i Manciø, che esercitavano il potere assoluto, repressero le ribellioni distruggendo
anche il monastero di Shaolin. Si dice che i monaci superstiti fuggirono nella Cina del sud e nella
provincia di Fukien e diedero vita al secondo tempio di Shaolin ( Tempio Shaolin del Sud) che fu
successivamente raso al suolo dai Manciø.
I maestri si dispersero in tutta la Cina e lo Shaolin fu avversato dall’impero. Per questo motivo tutte
le nuove sette che si costituirono in segreto assunsero nomi diversi e gli stili si differenziarono
sempre piø, dato che i maestri non erano piø riuniti in un unico luogo e dunque l’insegnamento di
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ognuno assunse caratteristiche specifiche. Il Kung Fu si diffuse nella Cina del sud, dove non era
ancora giunto, poichØ i principali stili erano nati nella Cina del nord e del centro.
Con il tempo, nel sud, gli stili Shaolin (Sil Lam in cantonese) si diversificarono sempre piø da quelli
del nord e ne nacquero nuovi tra cui: Ts’ai Li Fu Ch’uan (Choi Li Fut in cantonese) che combina gli
stili di due maestri Shaolin; Yung Ch’un Ch’uan (Wing Chun in cantonese) che prende il nome dalla
monaca buddhista che lo inventò; Pai Ho Ch’uan (Pak Hok in cantonese), cioè la boxe della gru
bianca.
Nel nord della Cina, invece, si svilupparono altri stili tra cui: Hung Ch’uan o boxe del maestro
Hung; Ho Ch’uan, cioè la boxe della grø; Lung Ch’uan o boxe del drago; Ts’ui Pa Hsien o boxe
dell’ubriaco; Hou Ch’uan o boxe della scimmia; Ch’a Ch’uan o boxe del maestro Ch’a; Pi Kua
Ch’uan o boxe per spaccare e sollevare; Lo Han Ch’uan o boxe dei discepoli di buddha; Tang Lang
o boxe della mantide.
Durante la dinastia Ch’ing si svilupparono notevolmente gli stili interni
8
e, in particolar modo, il T’ai
Chi Ch’uan, lo Hsing Ch’uan ed il Pa Kua Ch’uan, inoltre aumentò notevolmente la differenza con
quelli esterni, soprattutto perchØ i praticanti degli stili interni, per non avere problemi con le autorità,
presero le distanze dallo Shaolin. Fra il diciassettesimo e il diciannovesimo secolo lo Shaolin si
diffuse notevolmente a Okinawa grazie a numerosi maestri cinesi che visitarono l’arcipelago delle
Ryu Kyu. In particolare il maestro Kung Hsiang Ch’un (Ku Shan Ku in giapponese) contribuì allo
sviluppo del Karate che prenderà piø tardi il nome di Shorin o Shuri, dal nome della città in cui
venne praticato, quindi, Shuri-Te. Nel 1900 alcuni abitanti di Okinawa si recarono a studiare le arti
marziali in Cina e i piø importanti, di cui ci sono pervenuti riferimenti storici, sono Kanryo
Higashionna e Kanbun Uechi. Il primo si recò nel 1860 nel sud della Cina e studiò alla scuola del
maestro Liu. Tornato in patria mise a punto uno stile di Karate che fu chiamato Naha-Te, dal nome
della città di Naha, e che diede origine al moderno Goju Ryu.
Kanbun Uech,i verso la fine dell’ottocento, si recò nella Cina del sud e studiò il Pang Ying Juan
(Pang Gai Nun in cantonese) ovvero “stile mezzo duro e mezzo morbido”. Successivamente questo
diventerà uno dei principali stili del Karate di Okinawa conosciuto come Uechi Ryu.
In questo periodo nacque il Kung Fu di Okinawa grazie a Ky Tomotashi, frutto delle continue
influenze della Cina sull’isola di Okinawa. A quell’epoca i veri e leggendari monaci Shaolin
8
Le arti marziali cinesi sono state suddivise in quattro grandi gruppi, due gruppi vengono distinti in base al tipo di
energia che viene utilizzata che può essere fisica o spirituale e che sono rappresentati rispettivamente dagli stili esterni
o dagli stili interni. Gli altri due gruppi vengono distinti in base al punto geografico in cui prendono origine e sono
rispettivamente rappresentati dagli stili della Cina del nord e stili della Cina del sud. Nel paragrafo 1.2 di questo
capitolo verranno esaminate in dettaglio le varie differenze che caratterizzano ogni gruppo.
~ ~
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non esistevano piø ed erano stati rimpiazzati da attori che recitavano la parte dei monaci
guerrieri
9
.
Tutto ciò ebbe inizio nel 1966, quando le Guardie Rosse, durante la Rivoluzione Culturale,
distrussero il tempio, mandarono i novizi a lavorare nei campi, relegarono gli anziani maestri in un
cortile separato del tempio e bruciarono tutti i testi riguardanti lo Shaolin, reputati immondizia
feudale. Nel 1976 la classe dirigente cinese, per sfruttare la fama del Kung Fu che cominciava a
diffondersi in tutto il mondo, decise di ristrutturare il tempio e di aprirlo per attirare turisti. Terzani
in uno dei suoi numerosi libri parla della Cina riferendosi al Kung fu e riesce a spiegare
perfettamente come oramai viene inteso il Kung fu in Cina: “ Il monastero è un elemento importante
per la rinascita e lo sfruttamento del Kung fu, sia come sport sia come attrazione turistica; ed è per
questo che Shaolin è stato riaperto, che sono stati fatti investimenti e che i vecchi monaci
sopravvissuti alla Rivoluzione Culturale sono stati riportati qui a far da comparse su questo
palcoscenico rimesso a nuovo.” Poi in seguito parla di un vecchio monaco (l’ultimo arrivato) di 84
anni famoso perchØ in tutti gli anni di pratica del Kung fu non ha mai dormito in un letto, bensì
seduto come, nella sua caverna, fece Ta Mo, che 1400 anni prima creò questa inseparabile
combinazione di Kung fu e di meditazione. Alla fine l’autore traccia le conclusioni: “Ora, questa
tradizionale unità di meditazione e azione è finita proprio qui dove nacque. Buddismo e Kung Fu
devono per forza avere un destino diverso”
10
.
Di tutte, questa è forse la piø dura prova che il tempio abbia mai dovuto sopportare in 1500 anni di
storia. “L’isolamento e la meditazione sono interrotti, i dettami dello Zen messi in secondo piano
rispetto quelli del mercato del tempo libero”
11
.
9
T. Terzani, La porta proibita, TEA edizioni, Milano 2007, p. 190
10
Ivi, p. 201
11
M. Morello, Airone numero 168 aprile 1995, Mondadori, Milano 1995, p. 84
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( Fig. 2 Albero genealogico del Kung fu: dal libro C.Dsu yao-R.Fassi,Enciclopedia del Kung Fu Shaolin. Edizioni Mediterranee )
1.2 Stili del Kung fu
Oggi le arti marziali cinesi vengono classificate in stili Interni e stili Esterni, stili del Nord e stili del
Sud.
E’ importante sottolineare che il Kung Fu di Okinawa si sviluppa attraverso tutti e quattro gli stili,
ma principalmente attraverso quello del sud. Gli stili interni (Nei Chia) erano di ispirazione taoista,
legati all’esoterismo ed atti ad esprimere l’armonia della Natura e delle sue leggi. Tecnicamente
questi stili si esprimevano attraverso la respirazione, l’atteggiamento mentale, la forza dello spirito,
la concentrazione, la meditazione, l’uso e la ricerca del Ch’i. Fanno parte degli stili interni: Il Tai chi
chuan in cui troviamo la scuola Chen, la Yang, Wu, Sun, Fu; il Pakua chang; lo Hsing-i chuan; il Liu
ho-pa fa chuan; l' I-chuan, o Ta cheng chuan.
Gli stili esterni (Wai Chia), di ispirazione buddhista, esprimevano concetti piø concreti: velocità,
forza, tecnica, metodo ecc.
Fanno parte degli stili esterni: lo Hung gar chuan; il Choi li fut; il Tang lang chuan; il Pai hok kuen;
lo Shuaijiao.
Kung fu
Di
Okinawa
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Per quanto riguarda gli stili del nord va ricordato che queste terre erano formate da pianure aperte e
ondulate, dove la gente era abituata a camminare a piedi o ad andare a cavallo per lunghi percorsi.
Le loro forti gambe sono divenute così le loro migliori armi di difesa e di attacco.
La maggior parte delle posture sono ampie e aperte. Le braccia e le gambe spesso sono
completamente distese sia nell’attacco che nella difesa; inoltre si eseguono salti molto rapidi,
piroette volanti e altri movimenti ampi. Durante il riscaldamento si dedica molta attenzione allo
stretching, questo per aumentare la scioltezza nell'eseguire le tecniche soprattutto di gamba nonchØ
per aumentare l’efficacia di tecniche in volo. Gli stili del nord si dedicano soprattutto, durante
l’allenamento, alla pratica delle forme le quali si eseguono per la maggior parte in linea retta o
lateralmente, oppure con un’angolazione di 45 gradi. In generale lo stile del nord è caratterizzato da
colpi di attacco e di difesa sferrati con gambe e braccia completamente distese, in un combattimento
senz’armi ad ampio raggio. Troviamo infine diversi tipi di armi, fra cui la spada, la lancia, il bastone,
la scimitarra, l’alabarda, il ventaglio da guerra.
I principali stili del nord sono rappresentati da: il Chang chuan; il Tang lang; lo Hou chuan; il Lan
Shou; il Pi kua chuan; il Pa chi chuan; il Cho chiao; il Mien chuan; il Mi tsung-i chuan; il Liu ho
chuan; il Kung ki chuan; il Tsui chi chuan.
Gli stili del sud si differenziano non poco da quelli del nord. Le terre del sud infatti erano
attraversate da una fitta rete di fiumi, lungo i quali sorgevano abitazioni. La popolazione del sud era
quindi abituata a remare per spostarsi con le imbarcazioni, per questo motivo hanno sviluppato la
forza nelle braccia utilizzando i pugni come arma principale.
Per i praticanti di questi stili è fondamentale tenere una posizione solida e rimanere sempre in
equilibrio. Ciò probabilmente deriva dall’abitudine a combattere sulle barche e sul terreno fangoso
delle zone paludose della Cina meridionale, motivo per cui vengono utilizzate piø tecniche di
braccia.
Molte scuole del sud traggono ispirazione dalla natura tendendo ad imitare i movimenti rapidi ed
energici tipici della tigre, del leopardo, dell’aquila e della scimmia.
Uno degli aspetti piø importanti di questi stili è l’uso delle braccia: “mentre il braccio sinistro para
un pugno in arrivo, per poi scivolare lungo il braccio che ha evitato verso la gola dell’attaccante,
contemporaneamente il pugno destro scarica un diretto al viso, al collo o al tronco dell’avversario”
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.
Il tutto avviene in una frazione di secondo.
Il fondamento ideologico dei praticanti degli stili del sud sta nella velocità e nella potenza del loro
attacco e della loro difesa (la difesa in realtà viene concepita come un attacco). Lo scopo diventa,
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Cfr. H. Reid, M. Croucher, la via delle arti marziali, il controllo della mente e del corpo nelle arti orientali di
combattimento, tr. it. Red edizioni Como, 1996, cfr., p. 84
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quindi, di reagire istantaneamente e distruggere subito l’attaccante. Le forme che vengono insegnate
comprendono sequenze di rapidi gesti delle mani, momenti di ritirata e pochi movimenti ampi, calci
bassi alle ginocchia o dietro di esse, agli stinchi e all’inguine. Solitamente ci si allena con manichini
di legno formati da una trave centrale o costruiti appositamente. In alcune scuole gli allievi in
passato venivano incoraggiati a provare le loro capacità in combattimenti veri e propri e senza
protezioni, le quali sono state introdotte successivamente. In generale è disapprovata la competizione
sportiva perchØ ritenuta troppo artificiosa, mentre la lotta in combattimento libero è considerata
esperienza vera e propria perchØ piø simile alla realtà
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.
I principali stili del sud sono rappresentati da: Hung gar; Wing chun; Choy li fut; Pak mei; Ying jow
pai; Tsui pa hsien; Fut gar; Lama pai; Hop gar; Pak hok.
Infine è importante quantomeno accennare il Chin Na ossia lo stile dell’ afferrare (Chin) e
controllare (Na). Questo stile consiste nell’afferrare un pugno o un calcio dell’avversario per poi
applicare una leva articolare al fine di controllarlo. Nel Kung Fu le tecniche di Chin Na sono
utilizzate in quasi tutti gli stili e in particolar modo in quelli del sud.
( Fig. 3 Il maestro Yip man e il suo allievo Bruce Lee in allenamento di Wing Chung)
1.3 Pensiero filosofico e pedagogico delle arti marziali cinesi
Quando si parla di pensiero cinese si intendono ovviamente le diverse filosofie orientali che hanno
influenzato la Cina nei vari periodi della sua storia, alcune sono state dimenticate col tempo mentre
altre non solo sono state portate avanti ma sono anche state studiate approfonditamente nella storia e
questo soprattutto nell’ambito delle arti marziali giapponesi che ne hanno fatto, in alcuni casi, un
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Ivi, p. 85