Con la fine del conflitto tra i kosovari di etnia albanese e la Serbia, nel qua-
le intervenne anche la NATO, sulla base della risoluzione 1244 del 10 giu-
gno 1999 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
2
, il Kosovo rimane
una provincia della Repubblica Serba, sebbene dotata di “una sostanziale
autonomia e di una significativa auto-amministrazione”; la sovranità ed in-
tegrità territoriale della Repubblica Federale di Yugoslavia (RFY) continua
ad essere formalmente riconosciuta.
La risoluzione individua nella Missione d’Amministrazione Interinale delle
Nazione Unite (UNMIK) l’organo di governo del processo di amministra-
zione transitoria, ed attribuisce al Rappresentante Speciale del Segretario
Generale delle Nazioni Unite (SRSG), la responsabilità ed il coordinamen-
to delle articolazioni dell’UNMIK
Dal gennaio 2000 è stata formata una “Joint Structure of Interim Admini-
stration” (Struttura Comune di Amministrazione ad Interim), composta
da 20 dipartimenti guidati simultaneamente da esperti internazionali e da
dirigenti locali, mentre nel 2001 sono state costituite delle “Provisional In-
stitutions of Self-Government” (Istituzioni Provvisione di Auto-governo)
attraverso libere elezioni: l’assemblea legislativa, il Governo ed il presiden-
te del Kosovo, Ibrahim Rugova, cui è succeduto, nel 2006, dopo la sua
morte, Fatmir Sejdiu.
Quella del Kosovo è una delle economie più povere d’Europa, ed è sempre
stata la regione più povera della Jugoslavia.
Oltretutto, durante tutti gli anni Novanta, politiche economiche errate, scar-
si investimenti e la guerra hanno contribuito a danneggiare ulteriormente la
già povera economia kosovara.
Almeno a partire dalla fine dell’Ottocento c’è stata una notevole regolarità
negli effetti che gli interventi delle potenze occidentali hanno prodotto nei
Balcani. Questo non significa però che questi interventi abbiano avuto degli
2
Vedi Capitoli 1 e 2 per approfondimenti su ruolo, struttura ed obiettivi della missione.
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effetti positivi. In molte circostanze hanno prodotto odio ed aumento delle
tensioni, esaltando lo spirito nazionalista delle popolazioni balcaniche, au-
mentando la frammentazione interna alla regione, ed aggravando le già
precarie condizioni economiche di molti dei territori balcanici, tra cui, per
l’appunto, il Kosovo.
Anche il primo intervento della NATO nei territori della ex-Jugoslavia ha
confermato questa “regolarità”: la pace di Dayton
3
, non diversamente da al-
tre soluzioni di pacificazione imposte dalla Russia zarista o dall’Austria a-
sburgica, ha avuto come effetto finale il controllo politico militare della re-
gione da parte delle potenze intervenute. L’intera regione bosniaca è già da
molti anni occupata da contingenti militari della NATO, formalmente di-
pendenti dalle Nazioni Unite. L’economia della regione è dipesa, soprattut-
to negli anni della guerra ed in quelli immediatamente successivi ad essa,
dall’assistenza economica occidentale che, fra l’altro, vi ha introdotto strut-
ture economiche e commerciali estranee al contesto economico-culturale
del paese, inclusi enormi supermercati sostenuti da capitale straniero e
spesso controllati da organizzazioni mafiose. Questo non ha però contribui-
to, perlomeno nell’immediato dopoguerra, a mitigare le tensioni etniche e
sociali, e a ridurre il livello di povertà della popolazione kosovara.
Anche l’intervento umanitario ha fallito il raggiungimento degli obiettivi
dichiarati alla fine della guerra. La guerra ha leso profondamente i diritti
umani delle popolazioni balcaniche, e la NATO, in quel contesto, non si è
potuta ergere a garante della tutela dei diritti umani di tutti. Si prefigurava,
nel 2000, la necessità di affidare la protezione dei diritti umani ad una or-
ganizzazione che fosse altro da una alleanza militare, come lo era la NA-
TO, e che l’intervento avrebbe richiesto delle modalità d’azione preventive
e non successive, basate sul dialogo interculturale e non sull’imposizione
coercitiva di una particolare visione del mondo.
3
Vedi capitolo 1
- 3 -
La guerra non ha portato la pace, ma ha contribuito alla distruzione dei
Balcani, sia da un punto di vista politico, che etnico che culturale che, so-
prattutto, economico. La “pulizia etnica” non è stata fermata, ma ha solo
mutato direzione, ed altrettanto si può dire per il dramma dei profughi.
Il Kosovo deve essere economicamente definito come un “paese periferico
ed in via di sviluppo”. Come tale, le strategie di sviluppo indirizzate alla
crescita economica del paese devono riguardare:
1. La crescita del prodotto nazionale lordo, e la risoluzione dei proble-
mi relativi alla distribuzione del reddito e/o della ricchezza, soprat-
tutto per ottenere la riduzione e/o l’eliminazione della povertà, per lo
meno di quella assoluta
4
.
2. Cercare di accumulare un grande volume di capitale fisico ed umano,
che permettono il rilancio e lo sviluppo dell’economia;
3. Migliorare la posizione del paese rispetto al mercato mondiale.
4. Migliorare la struttura economica della società, fare cioè in modo che
l’agricoltura, che è sempre stata il perno del PIL della regione, sia
affiancata dall’industria.
5. Coinvolgere lo Stato nello sviluppo. Questa è una delle questioni più
delicate, essendo il Kosovo una regione caratterizzata dalla mancan-
za di uno status definitivo, dall’assenza di un governo centrale, dalla
dipendenza dalla Serbia e dall’ONU.
L’economia ha conosciuto un breve periodo di crescita negli anni a cavallo
tra il 2000 ed il 2003, quando grazie agli investimenti ed alle donazioni di
paesi esteri ed organizzazioni internazionali il Kosovo è stato in grado di
provare a ridimensionare la propria situazione economica.
Ma adesso? Ora che non c’è più l’appoggio dei donatori e il Kosovo sta
cominciando a camminare con le proprie gambe, cosa succederà?
4
Condizione di coloro che hanno un reddito inferiore ad una certa soglia, chiamata “linea della povertà” e
corrispondente ad un livello di vita giudicato minimo.
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Sarà l’economia kosovara in grado di uscire dalla stagnazione e ripartire
verso una nuova era?
Questo è lo scopo del nostro lavoro di tesi. Alla luce dei recenti
avvenimenti e di quanto fino ad ora è stato fatto, cercheremo di vedere e
capire se il Kosovo sia in grado di sviluppare un proprio sistema
economico autonomo, in grado di fronteggiare le grandi sfide che gli si
prospettano all’orizzonte, come una possibile indipendenza ed un possibile
ingresso nell’Unione Europea.
Il lavoro si snoderà in questo modo.
Nel primo capitolo andremo ad affrontare una analisi storica, economica e
politica del Kosovo, riguardante gli anni immediatamente precedenti la
guerra balcanica, cercando di capire altresì quali siano le cause del proble-
ma etnico che da secoli affligge il territorio. Successivamente, affronteremo
il problema sociale della regione nell’immediato dopoguerra, caratterizzato
dalla questione etnica, da questo profondo e violento scontro tra l’etnia al-
banese e quella serba, che sfocerà nel caso limite della città di Mitrovica,
da sempre divisa in due parti, una albanese e l’altra serba, divise dal fiume
Ibar.
Nel secondo capitolo analizzeremo invece la situazione socio – economica
del paese negli anni del dopoguerra, durante i quali il paese ha conosciuto
una fase di profondo rilancio, dovuta all’intervento economico di numerose
organizzazioni internazionali ed umanitarie e paesi esteri. Analizzeremo
poi il successivo declino della stessa, a causa del ritiro dei donatori e
dell’impossibilità dell’economia di svilupparsi autonomamente, senza di-
pendere dagli aiuti.
Nel terzo ed ultimo capitolo faremo un piccolo passo indietro. Dato che lo
scopo del nostro lavoro di tesi è quello di analizzare, verificare e commen-
tare le azioni dell’Unione Europea nella prospettiva di una futura e possibi-
le integrazione della regione, cercheremo di presentare e commentare tutte
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le politiche, i programmi ed i progetti preparati ed implementati
dall’Unione a partire dal 2000, ponendo particolare attenzione a due impor-
tanti programmi: il CARDS (Community Assistance for Reconstruction,
Development and Stabilization), attivo dal 2002 al 2006, e l’IPA (Stru-
mento di Pre Adesione), attivo dal 2007 al 2013.
Concluderemo il lavoro tirando le somme di quanto detto precedentemente.
Ma cominciamo dal principio, dalle origini della regione e dalla sua lunga e
travagliata storia.
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CAPITOLO 1
IL KOSOVO: UNA VISIONE D’INSIEME
1.1 Storia del Kosovo e questione kosovara
Il Kosovo con la Slovenia, la Croazia, la Bosnia-Erzegovina, la Serbia, il
Montenegro e la Macedonia, costituiva la Jugoslavia.
Dopo aver costituito in età medievale il cuore dello stato serbo dei Neman-
ja e dell'impero di Stefano Dusan, il Kosovo fu conquistato nel 1389 dai
Turchi ottomani, dopo un'epica battaglia con le forze cristiane. In seguito a
tale vicenda storica, la regione acquisì un valore simbolico nella tradizione
culturale dei Serbi e di altri popoli balcanici e fu oggetto di una letteratura
eroica, la cui riscoperta nell'Ottocento alimentò lo sviluppo dei movimenti
nazionali slavo-meridionali; a questa tradizione culturale (che comprendeva
tra l'altro l'esaltazione del tirannicidio) fecero esplicito riferimento gli stessi
autori dell'attentato di Sarajevo (1914) contro Francesco Ferdinando d'A-
sburgo. Nel corso dei secoli la composizione demografica del Kosovo era
mutata a favore degli Albanesi e nel 1878 fu proprio in questa regione che,
con la costituzione della Lega di Prizren, si sviluppò il primo embrione del
movimento nazionale albanese. Dopo la prima guerra balcanica (1912), il
Kosovo fu annesso alla Serbia, ma gli Albanesi subirono l'evento come una
divisione in due della loro nazione: nel 1918 esso entrò a far parte della Ju-
goslavia, ma nel 1941, con la spartizione di quest'ultima tra le potenze del-
l'Asse, fu unito all'Albania sotto l'egida italiana. L'ampia partecipazione dei
Serbi del Kosovo al movimento partigiano fu quindi motivata anche da ra-
gioni di riscatto nazionale. La vittoria di Tito in Jugoslavia e l'aiuto da que-
7
sti fornito a E.Hoxha permise il ritorno del Kosovo alla Serbia, nell'ambito
della quale, con la costituzione iugoslava del 1946, acquisì lo status di re-
gione autonoma. Con la nuova costituzione del 1974, le regioni autonome
ottennero una condizione assai vicina a quella delle repubbliche federate,
ma ciò alimentò il malcontento fra i Serbi del Kosovo, che divenivano
sempre più una minoranza rispetto agli albanesi. La crescita dei contrasti
fra i due gruppi etnici e lo sviluppo del nazionalismo serbo nel corso degli
anni Ottanta portarono infine all'annullamento dell'autonomia del Kosovo
nel 1990. Dopo l'esplosione della guerra civile e la dissoluzione dello stato
jugoslavo nel 1991, il Kosovo, che ha seguito le sorti della Serbia, è dive-
nuto il principale fattore di tensione all'interno di quest'ultima.
1.1.1 Le due guerre mondiali
Durante la prima guerra mondiale il Kosovo era conteso dall'Austria-
Ungheria e dalla Bulgaria. Dopo che, nel 1915-16, i due alleati lo occupa-
rono e se lo divisero, entrambi mirarono alla conquista dell'Albania, ma una
conferenza degli ambasciatori di Londra raggiunse un accordo che lasciava
i confini albanesi sostanzialmente invariati. L'Italia ottenne come base mili-
tare l'isola di Sasseno, nel Golfo di Valona, mentre il Kosovo e le zone del-
la Macedonia, abitate in maggioranza da albanesi, rimasero alla Serbia. La
popolazione interessata non venne mai interpellata.
Nel Kosovo sottomesso alla Serbia non cessarono né il banditismo né le in-
cursioni contro i coloni serbi; spesso la guerriglia veniva guidata dall'Alba-
nia, che, con la sua azione cercava di istigare alla rivolta gli albanesi del
Kosovo, del Montenegro e della Macedonia.
I regni della Serbia, della Croazia e della Slovenia si dividevano sulla que-
stione se agli albanesi spettassero o meno i diritti di minoranza previsti dal
trattato di pace di Saint Germain. Ne uscì una discriminazione profonda
nell'ambito della cultura e dell'istruzione perché, a differenza delle altre
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minoranze meno consistenti, gli albanesi non godevano di alcun diritto allo
sviluppo della propria cultura. Le autorità serbe non tentarono nemmeno
una politica di assimilazione; consideravano gli albanesi un corpo estraneo
nel proprio territorio, da controllare e da opprimere. I serbi dunque punta-
rono alla deportazione collettiva, volendo creare un clima di drammatica
psicosi in tutto il gruppo albanese, rendendogli impossibile la convivenza.
Fu proprio questa politica serba a spingere gli albanesi ad attività sovversi-
ve per difendere un minimo di diritti civili e politici. I serbi non aspettava-
no altro: ogni forma di resistenza venne considerata attività terroristica cui
rispondere con atroce brutalità. Dopo che la 'Dzemjet', una specie di asso-
ciazione per la difesa dei musulmani che partecipava anche alle elezioni ri-
vendicando un'autonomia per il Kosovo, fu vietata, gli albanesi non ebbero
alcuna rappresentanza politica e il Kosovo divenne, nei fatti, una regione
sotto regime coloniale.
Quando Mussolini, il 7 Aprile 1939, occupò l'Albania, questa divenne un
protettorato italiano. Lo smembramento della Jugoslavia da parte della
Germania e dell'Italia modificò anche il destino del Kosovo. Questo infatti
fu occupato dall'esercito italiano ed unificato sul piano amministrativo e
politico con l'Albania: nacque così una specie di "Grande Albania", che
rimase in piedi anche quando le unità italiane furono disarmate dall'esercito
tedesco. La creazione della Grande Albania, per gli albanesi del Kosovo,
significò soprattutto la liberazione immediata dall'oppressione serba; otten-
nero infatti amministrazione, polizia e giurisdizione autonome, proprie
scuole ed istituzioni politiche. Per i serbi del Kosovo, invece, s'aggravò la
persecuzione già iniziata nel 1941 con lo smembramento della Jugoslavia.
Il movimento dei partigiani comunisti albanesi stentava a prendere piede
nel Kosovo, anche a causa della linea poco chiara del partito comunista ju-
goslavo (Pcj) sulla questione delle nazionalità. Fino al 1942 non ci fu alcun
contatto fra il Pcj e i partigiani di Tito, che quando si riunirono nel 1943
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posero le fondamenta per un nuovo stato federale jugoslavo; per i comuni-
sti del Kosovo, invece, il desiderio rimase quello di essere unificati con
l'Albania, e l'unica via per realizzarlo la lotta comune con gli altri popoli
jugoslavi contro gli invasori. Tutto ciò venne visto da Tito come un atto an-
tijugoslavo e nel gennaio 1945 i governi di Jugoslavia e Albania stipularo-
no un trattato nel quale si prevedeva che il Kosovo restasse alla Jugoslavia.
Ancora una volta la popolazione non venne consultata.
1.1.2 Il governo di Tito e l’indipendenza kosovara
La fine della guerra vide salire al potere Tito il quale, nel 1945, disse basta
alle esecuzioni e alla pena di morte. Agli albanesi venne riconosciuta una
certa indipendenza, e si aprì la strada ad una loro integrazione nella società
serba. Vennero aperte le prime scuole elementari in lingua albanese, poi le
medie ed i licei, ma le bandiere albanesi erano vietate e costituivano motivo
d’arresto.
Il conflitto del 1948 fra Tito e Stalin comportò l'interruzione di ogni
rapporto fra i partiti comunisti serbo e albanese; di questa situazione ne
approfittarono agenti e gruppi armati albanesi, che cercarono di infiltrarsi
nel Kosovo per operazioni di sabotaggio. La Jugoslavia reagì rafforzando il
proprio regime poliziesco e avviando una vera e propria campagna di terro-
rismo di stato, terrorismo che si attenuerà solo all'inizio degli anni 60,
quando al Kosovo verrà riconosciuto lo status di provincia autonoma.
Tre anni più tardi, nel 1966, con la riunione di Brioni, si ebbero nuovi im-
pulsi per la federalizzazione della struttura statale, per la liberalizzazione e
la democratizzazione della vita pubblica. Gli albanesi del Kosovo, liberati
dalla pressione, cercarono di tradurre in pratica alcune rivendicazioni na-
zionali, e di estendere lo spazio di autonomia. Fu ridefinita la posizione
giuridica della "provincia autonoma del Kosovo", il che determinò nuove
polemiche fra serbi, che sottolineavano l'appartenenza della provincia alla
10
Serbia, e albanesi, che lo ritenevano fattore costitutivo della federazione
Jugoslava. Il Kosovo ottenne la piena equiparazione alle repubbliche, ossia
importanti competenze legislative ed esecutive; nel 1947 si diede inoltre
una propria costituzione, che non derivava più dalle leggi della repubblica
serba. La posizione della Serbia era ambigua: il partito nazionalista era
contrario all'equiparazione del Kosovo, tuttavia non riuscì ad avere la me-
glio fino alla morte di Tito, dopo del quale salì al potere Slobodan Milose-
vic. Intanto il Kosovo aspirava sempre di più a diventare repubblica a tutti
gi effetti all'interno della federazione jugoslava.
Il periodo che va dal 1966 al 1981 rappresentò per la nuova provincia auto-
noma una fase di grande sviluppo positivo, culminato nel 1974, con la co-
stituzione federale.
La direzione nazionale collettiva prevedeva Tito come Presidente, più un
membro per ognuna delle unità federali, in rotazione alla vicepresidenza.
Questo significava che un anno la vice-presidenza sarebbe stata croata, un
anno albanese, un anno serba e così via. Dopo la morte di Tito (che era pre-
sidente a vita) vi sarebbe stata una presidenza collettiva di otto membri,
uno dei quali doveva essere albanese. Il Kosovo ricevette rappresentazione
nei tribunali federali e nel tribunale costituzionale, ed ebbe diritto di veto su
tutta la legislazione serba che lo riguardava, mentre la Serbia non aveva il
veto sulle leggi in vigore in Kosovo, che ora aveva un proprio parlamento,
una propria polizia, il proprio sistema giudiziario e la propria corte supre-
ma.
Nell’impiego pubblico l’80% dei posti di lavoro venne riservato agli alba-
nesi, mentre la conoscenza dell’albanese divenne obbligatoria. La letteratu-
ra e la cultura albanese prosperarono.
La maggior parte del fondo di sviluppo Jugoslavo andò al Kosovo, ma
l’altissima natività (tre volte la media jugoslava) causò il permanere della
povertà.
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Poiché la disoccupazione giovanile aumentava, il governo tentava di risol-
vere il problema assumendo solo i giovani albanesi nelle Università, con-
traddicendo una tradizione di bilinguismo o trilinguismo (albanese, serbo,
turco).
Questa decisione ebbe, come devastante effetto sociale, la chiusura dei gio-
vani albanesi in un ghetto linguistico. Venne creata una classe di intellet-
tuali scontenti, senza prospettive di usare le loro lauree, mentre lo sviluppo
dell’infrastruttura universitaria non manteneva il passo col numero degli
studenti. Questi ultimi non erano soddisfatti col cibo e con le condizioni
dell’Università.
Il 26 Marzo dell'81 ci furono a Pristina diverse manifestazioni studentesche
sul tema delle cattive condizioni di studio. Nei loro cortei gli studenti pro-
nunciavano slogan nazionalisti e anti-serbi: molti serbi e montenegrini ven-
nero assaliti e bastonati, i loro negozi e le loro case vennero saccheggiati ed
incendiati. Questo portò ad una durissima repressione da parte della polizia
serba, la quale cercava di contenere una situazione che andava aggravando-
si sempre di più. Per la prima volta a Pristina si fece uso di carri armati
contro pacifici manifestanti e molti manifestanti albanesi (circa un centi-
naio) vennero uccisi. Vennero però uccisi anche dei poliziotti. C’è chi pen-
sa che troppa forza venne utilizzata contro gli albanesi, ma gli albanesi
stessi hanno sbagliato, in quanto nonostante avessero ottenuto molta più li-
bertà di qualsiasi altra minoranza nel mondo, e degli albanesi stessi in Al-
bania, cercarono di ottenere ulteriori benefici, loro negati dal ghetto di na-
tura linguistica e sociale in cui si erano chiusi per questioni etniche.
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1.1.3 La fine dell’indipendenza kosovara e la “provincia fantasma”
Gli avvenimenti del 1981 causarono una profonda rottura tra serbi e alba-
nesi, con questi ultimi che, una volta ottenuto il controllo della Polizia, cer-
carono in tutti i modi di convincere i Serbi ad abbandonare le loro case, per
ottenere il controllo totale del territorio kosovaro. Da questo momento si
susseguirono diverse rappresaglie e contestazioni, fino ad avere nel no-
vembre del 1988 la più grande manifestazione di albanesi a Pristina. Un
anno più tardi, nel 1989, il movimento autonomista della minoranza alba-
nese venne stroncato militarmente: ciò significava un'approvazione da parte
del parlamento del Kosovo per una riforma della costituzione serba, la qua-
le limitava i diritti degli albanesi. Nello stesso anno Slobodan Milosevic ri-
tirò ufficialmente l’autonomia del Kosovo, reincorporandolo nella Serbia,
per cercare di mettere fine al processo di pulizia etnica che stava interes-
sando il territorio. Nessun intervento era però ormai possibile, il ritiro
dell’autonomia del Kosovo, la sospetta pulizia etnica, e una serie di altre
motivazioni
5
, porteranno ben presto allo scontro diretto tra le etnie e alla
guerra.
5
Cfr. paragrafo 1.2.1
13