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1. La mafia ieri e oggi
1.1 Cosa è la mafia?
Con il termine mafia ci si riferisce ad una particolare tipologia di organizzazioni
criminali; viene anche definita come “una associazione di individui che cooperano
segretamente ed in contrasto con le leggi e il potere dello Stato per procurarsi
vantaggi” (Calvi, 1989). Sul dizionario Devoto-Oli (2008) la definizione di mafia recita :
“Complesso di piccole associazioni clandestine (cosche), rette dalla legge dell'omertà e
del silenzio, che esercitano il controllo di alcune attività economiche e del sottogoverno
nella Regione Siciliana".
Il termine mafia, infatti, venne inizialmente utilizzato per indicare una organizzazione
criminale originaria della Sicilia, più precisamente denominata come Cosa Nostra, che
viene definita:
“un'organizzazione criminale di stampo terroristico-mafioso
presente in Sicilia dagli
inizi del XIX secolo e trasformatasi nella prima metà del XX secolo in una organizzazione
internazionale” ( http://it.wikipedia.org/wiki/Cosa_nostra).
Con il termine Cosa Nostra ci si riferisce oggi esclusivamente alla mafia siciliana
( comprendendo anche le sue ramificazioni intercontinentali ), per distinguerla dalle
altre genericamente denominate “ mafie” . Per capire cosa è la mafia, nelle sue forme,
nelle sue infiltrazioni e nelle sue caratteristiche, è necessario un excursus storico che
consenta di capirne le origini, l’organizzazione e l’attuale situazione nel panorama della
società.
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1.2 Origini storiche e rapporto Mafia-Stato
La nascita di Cosa Nostra è collocabile all’indomani dell'abolizione del sistema feudale,
proclamata dal parlamento siciliano nel 1812(Airoma 2007 ). Il progressivo
inurbamento dell'aristocrazia, la compravendita delle terre da parte dei nobili ai
gabelloti
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, ai quali era in precedenza affidata l'amministrazione del latifondo e quindi il
rapporto con i contadini in assenza degli aristocratici, l'usurpazione delle proprietà
comunali e l'acquisto delle terre ecclesiastiche espropriate, determina il trasferimento
di gran parte della proprietà terriera nella disponibilità di questa emergente
"borghesia". Il venir meno del tradizionale sistema repressivo, affidato soprattutto
all'aristocrazia e il nascente accentramento amministrativo, perseguito dai governi
ispirati dal cosiddetto assolutismo illuminato, inducono i nuovi proprietari a ricorrere a
milizie private. Si trattava di "bande" o "squadre" che erano ritenute uno strumento
indispensabile per la realizzazione del controllo territoriale. Esse andarono
affermandosi nel corso del tempo come delle “istituzioni di soccorso” consolidate
nelle comunità locali; il rivolgersi dei proprietari terrieri a queste bande, era dovuto al
fatto che esse si erano dimostrate capaci di superare con successo ogni conflitto con gli
organi di Stato, anche ricorrendo alla violenza. Queste unioni, che successivamente
presero il nome di “ cosche “ erano composte da individui – “ i mafiosi” – che si
definivano e venivano definiti “ uomini”, in particolare “uomini d’onore”, cioè
coraggiosi e astuti, capaci di crimini efferati e contemporaneamente "rispettosi" della
morale tradizionale e soprattutto di quella familiare.
Il periodo seguente l'Unità d'Italia, a partire dal 1860, registra il compimento del
processo di "istituzionalizzazione" della mafia e i primi esperimenti di coordinamento
fra cosche. La sottovalutazione del fenomeno mafioso da parte del governo centrale,
che si dimostrava riluttante nell’avviare un'efficace azione repressiva, l'accordo fra
politici e mafiosi in sede locale (in virtù del quale i primi si assicuravano il consenso
elettorale delle popolazioni, mentre i secondi ottenevano in cambio la gestione della
riscossione dei tributi, la possibilità di incidere sulle finanze dei comuni e sulle forze di
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Il gabelloto era, nella Sicilia dell'Ottocento e prima metà del Novecento, colui che non era proprietario
di un fondo agricolo, ma lo aveva in affitto (gabella).Tratto da : http://it.wikipedia.org/wiki/Gabelloto
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polizia) e infine il ricorso alle cosche per sconfiggere il Brigantaggio, consentono la
penetrazione della mafia nelle istituzioni legali, contribuendo a legittimare
ulteriormente il potere mafioso agli occhi dei siciliani. Da fenomeno esclusivamente
rurale e relegato nelle zone interne del Sud, la Mafia inizia così a trasformarsi in
fenomeno cittadino, controllando la massa della popolazione economicamente debole
e arrivando ad essere la principale forza economica delle moderne città nei decenni
dello sviluppo economico post-bellico (Serra, 2007).
La prima campagna repressiva nei confronti della Mafia, è voluta da Benito Mussolini
che, dopo un viaggio in Sicilia nel 1925, affida al prefetto Cesare Mori una repressione
che si articola sia sul piano repressivo sia su quello sociale; da un parte si registra il
massiccio ricorso a misure di polizia che si proponevano lo scopo di sradicare i mafiosi
dai territori controllati e di attaccarne il prestigio presso le comunità; dall’altra, l'azione
venne rivolta a neutralizzare il peso del ceto intermedio dei gabelloti e dei campieri
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,
affidando i compiti di mediazione e di rappresentanza a organi burocratici, abolendo le
elezioni politiche e amministrative, riservando allo Stato le funzioni di protezione e di
regolamentazione economica. Fu un’azione repressiva temporanea, poiché con la
caduta di Mussolini, alla fine della seconda guerra mondiale, la mafia riapparve. Gli
“uomini d'onore”, passarono dal carcere alle cariche pubbliche (Airoma, 2007). In
realtà, gran parte dei mafiosi era sfuggita alla repressione fascista rifugiandosi negli
Stati Uniti d'America, dove avevano dato vita all'Unione siciliana, che più tardi
assumerà il nome di Cosa nostra.
La riemersione del potere mafioso negli anni del dopoguerra, con una funzione ed una
struttura che sono rimaste invariate, viene spiegata proprio con la perdurante assenza
nel tessuto sociale di organismi di mediazione e di rappresentanza. Rendendo palese la
sua capacità di allearsi con il fronte separatista, di sostenere la proprietà agraria e di
schierarsi con il movimento contadino (Airoma, 2007). Cosa Nostra, in questi anni, si
erige nel panorama siciliano come una coesione in grado di allargare la propria
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Campiere, nella Sicilia dell'Ottocento, era la guardia privata di una tenuta agricola. Rispondeva del suo
operato al gabelloto in primis e indirettamente al proprietario latifondista. Tratto da :
http://it.wikipedia.org/wiki/Campiere
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influenza a più settori della comunità, senza essere relegata ad una sola classe sociale.
Coesione fortemente legata a un determinato ambito territoriale, anche se dotata di
una preziosa rete di collegamenti internazionali dovuta alla parentesi americana.
Con l'espansione dell'intervento dello Stato nell'economia, decisa negli anni ‘50, la
mafia da "rurale" diventa "urbana", attirata da nuove fonti di profitto: l'edilizia, i
mercati generali e gli appalti. In tali settori, presentandosi inizialmente nelle vesti di
protettrice, imponendo tangenti agli imprenditori, finisce poi per gestire in proprio
l'iniziativa imprenditoriale, che può contare su efficaci metodi di "scoraggiamento"
della concorrenza e sull'accaparramento dei finanziamenti pubblici. Questi sono gli
anni in cui diviene intenso il rapporto fra cosche mafiose e partiti politici, per i quali la
mafia non mostra interesse "ideologico", ma si limita a indirizzare il consenso verso lo
schieramento in grado di fornire le maggiori garanzie di conservazione del proprio
potere, anche economico.
Superati, senza danni strutturali, i primi processi di Catanzaro e Bari alla fine degli anni
’60, la mafia, durante il decennio successivo, compie un’imponente rafforzamento del
proprio tessuto organizzativo allo scopo di renderlo adeguato ai mutati scenari
criminali. Infatti, in quegli anni, approfittando dell’impegno dello Stato nel contrastare
il fenomeno delle Brigate Rosse e delle altre forme terroristiche, prende il via il
contrabbando di tabacchi e il traffico degli stupefacenti, che comportano un ingente
afflusso di liquidità e impongono alle cosche mafiose la necessità di un raccordo
operativo, per evitare "conflitti di competenza". Le singole "famiglie", che sono
governate da un "rappresentante", vengono raggruppate seguendo un criterio di
contiguità territoriale e affidate al controllo di "capi-mandamento", i quali fanno parte
di un organismo sovraordinato, la "Commissione" o "Cupola". La rigidità di questa
struttura verticistica e il severo codice comportamentale di cui si è dotata, rendono
Cosa Nostra inattaccabile, vanificando qualsiasi intervento sanzionatorio nei suoi
riguardi. Il rapporto con le istituzioni, pur obbedendo al criterio della "coabitazione"
utilitaristica (il celeberrimo, detto in modo semplicistico, ” tu fai un favore a me e io lo
faccio a te” ), incomincia a farsi più conflittuale, prevedendo, come alternativa alla
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corruzione dei rappresentanti dei poteri statali, l’eliminazione degli stessi, con lo scopo
di rendere sempre più palese l'incontrollabilità del territorio da parte dello Stato. Nello
stesso tempo, Cosa Nostra stringe rapporti con organizzazioni criminali straniere. Tale
estensione quantitativa e qualitativa del fenomeno mafioso costringe il potere
esecutivo e quello legislativo a prendere provvedimenti tramite l’utilizzo un intervento
definito come "logica del funerale", avvalendosi di misure emergenziali finalizzate a
calmare la "piazza" piuttosto che ad affrontare radicalmente la questione (Airoma,
2007); questo anche a seguito di clamorosi eccidi di magistrati e di rappresentanti
delle forze dell'ordine (si ricordi,fra tutte, la strage di Via Carini nel 1982 in cui perse la
vita il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa allora prefetto di Palermo).
Le efferatezze commesse durante questi anni, spinsero alcuni mafiosi a consegnarsi
allo Stato. Fra questi c'era il boss Tommaso Buscetta, che nel 1984 incontra Giovanni
Falcone. Buscetta sceglie di fidarsi di questo magistrato e comincia a parlare: sulle sue
rivelazioni Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e il suo team - il famoso Pool
antimafia ideato da Rocco Chinnici - istruirono contro Cosa nostra i maxiprocessi di
Palermo, con oltre 1.400 imputati, sferrando il primo vero, duro colpo a Cosa nostra. Il
maxiprocesso inizia il 10 febbraio 1986 e si conclude in primo grado il 16
dicembre 1987 con 342 condanne, 2665 anni di carcere e 19 ergastoli (tra cui Luciano
Liggio, Bernardo Provenzano e Salvatore Riina). Il 30 luglio1991 la sentenza d'appello
ridimensiona le condanne, ma la Cassazione il 30 gennaio 1992 riconferma tutte le
condanne del primo grado che sono diventate realtà giudiziarie
(http://it.wikipedia.org/wiki/Cosa_nostra#La_stagione_dei_maxiprocessi).
Queste sconfitte inducono Cosa Nostra a cercare nuovi referenti politici, apparendo
quelli fino ad allora utilizzati non più in grado di assicurare l' "aggiustamento" dei
processi e l'erogazione di finanziamenti pubblici. In questa stagione la mafia tenta di
riprendersi: nei primi anni novanta il clan dei Corleonesi, che si era imposto nella
guerra di mafia dei primi anni ottanta, riorganizza ciò che resta di Cosa nostra,
soprattutto in seguito all’ introduzione dell'articolo 41 bis che introduce il carcere duro
per i reati di mafia. Inizia quindi il periodo, soprannominato il biennio terribilis del ’92-