PREMESSA
Il Gruppo Ferruzzi nasce a Ravenna nel 1948 su iniziativa di Serafino Ferruzzi e di
due soci locali, Leo Manetti e Lorenzo Benini. Serafino, che si laurea in Agraria
all'Università di Bologna nel 1942, all'inizio della sua attività lavora come
rappresentante di fertilizzanti per la Montecatini, la più importante società chimica
nazionale e intraprende nello stesso periodo diverse esperienze, dal commercio del
legname a quello delle granaglie e comprende che nell'epoca della Ricostruzione il
Paese necessita di tutto e, in modo particolare, di generi alimentari.
L'attività di rappresentante gli consente oltre tutto di ottenere una buona
conoscenza del tessuto socio-economico ravennate e dei suoi maggiori esponenti, tra i
quali figura Attilio Monti che stava costruendo un impero basato sul petrolio. Serafino è
una persona introversa, schietta e di poche parole, ma determinata e convincente e
questa sua qualità viene apprezzata dai rappresentanti degli istituti di credito che non
esitano a finanziare la sua avventura imprenditoriale, partita da un piccolo ufficio con
annesso magazzino. Inoltre, il suo carattere riservato lo porta ad avere un atteggiamento
di diffidenza rispetto agli ambienti politici.
Alla fine della guerra la Ferruzzi, Benini e C. inizia ad operare nel commercio dei
cereali come importatore e distributore rifornendosi dalle multinazionali americane del
grano, le “cinque sorelle”. Tale attività si sviluppa rapidamente grazie anche
all'imponente opera di investimenti attuata che gli consente di assumere una posizione
di leader nel mercato nazionale. Nel corso di pochi anni, anche in seguito ad una serie
di circostanze favorevoli unite alla capacità del fondatore, la società si espande a tal
punto che estende il proprio raggio d'azione non solo su tutta l'Italia ma anche sul
continente americano e alle nazioni più importanti del globo. La Ferruzzi diventa in
breve tempo una società a carattere internazionale che, nel suo tumultuoso e imperioso
sviluppo, inizia anche a diversificare la sua attività in nuovi settori economici e
produttivi e di trasformazione dei prodotti agricoli, avendo interessi in quello
cementiero, oleario e saccarifero. La mentalità contadina del fondatore lo porta ad
acquistare aziende agricole e vasti appezzamenti di terra in giro per il mondo (più di 1
milione di ettari) che “sfrutta” non solo come bene rifugio in anni di elevata inflazione,
ma anche a garanzia dei futuri finanziamenti bancari.
I
Negli anni '60 e '70 la compagnia di Ravenna è paradossalmente più conosciuta
all'estero che in Italia. Serafino è molto famoso e stimato negli Usa, alla Borsa Merci di
Chicago, dove mette in luce le sue notevoli qualità di trader, realizzando notevoli affari.
Il gruppo di Ravenna, quasi sconosciuto ai più, diventa famoso alla fine degli anni '70 in
seguito all'acquisto di Eridania dal petroliere Monti in grosse difficoltà economiche, e
per l'incidente aereo a Forlì nel quale Serafino perse la vita. Qui ritorna in mente la sua
frase, forse esemplificativa del suo carattere, che “sui giornali bisogna andarci solo
quando si nasce e quando si muore”. Serafino infatti era noto per non rilasciare
interviste e per il suo atteggiamento di generale distacco dalla politica. Anche il suo
erede, Raul Gardini, manterrà una certa diffidenza verso il mondo politico, ma farà
irruzione invece nel mondo mediatico.
Gli eredi di Serafino e del suo “impero” sono i quattro figli Ida, moglie di Raul
Gardini, Franca, moglie di Vittorio Giuliano Ricci, Arturo e Alessandra. Tra costoro vi
è solo una persona che ha la reale possibilità di continuare il cammino intrapreso da
Serafino, in quanto l'unica in possesso di visione globale delle società costituenti il
gruppo Ferruzzi: Raul Gardini. All'indomani della sua scomparsa il genero, Gardini,
inizia ad intraprendere una profonda riorganizzazione del gruppo per il fatto che la
politica agricola comune stava portando l'Europa ad una situazione di autosufficienza
alimentare. Il trading cerealicolo, il cuore dell'attività della Ferruzzi che aveva permesso
alla società di accumulare notevoli risorse finanziarie trasportando le derrate agricole
dalle Americhe all'Europa, aveva difatti iniziato a mostrare una notevole diminuzione
nel trend di crescita. C'era il pericolo che tutto si arrestasse, che gli imponenti
investimenti effettuati in navi e in silos rimanessero inutilizzati, travolgendo il gruppo
ravennate. Ecco che nel giro di 5 anni, a partire dal 1980, dopo un assestamento iniziale
il gruppo, sotto la guida di Gardini che ne imprime una nuova rotta, si espande
rapidamente sia nei settori tradizionali sia in altri settori, nuovi e pioneristici, mettendosi
in evidenza come gruppo dedito alla ricerca di nuove applicazioni industriali degli stock
di derrate agricole e di nuove fonti di energia rinnovabile, come per esempio con il
“progetto etanolo”.
In questi anni il gruppo intraprende una politica di potenziamento delle proprie
società attraverso nuove acquisizioni di aziende nazionali ed estere, come nel settore
saccarifero dove si realizza la scalata alla Beghin-Say e l'acquisizione della British
Sugar (che sarà successivamente annullata dalla Comissione inglese antimonopoli). Il
II
gruppo di Ravenna si espande ulteriormente nel settore oleario attraverso la Italiana Olii
e Risi che diventerà la prima azienda nazionale nella lavorazione dei semi oleosi, sia in
seguito all'acquisizione di aziende già esistenti sia in seguito al “progetto soia”, che
introdurrà una coltura nuova e quasi sconosciuta in Italia, ma molto importante sia per
le farine proteiche da utilizzare nella zootecnia sia per l'alimentazione umana.
Infine, Gardini si cimenterà in quella che è stata definità la “più colossale
operazione di Borsa della storia italiana”, quella tesa alla conquista della Montedison,
che per lui rappresentava il tassello mancante per ottenere nel “suo” gruppo quella
integrazione tra il settore agro-industriale e quello industriale. Negli ultimi tempi la
Montedison, dopo la privatizzazione finalizzata ad ampliare le partecipazioni, era
controllata da un patto di sindacato sotto la regia di Mediobanca ma nessuno degli
azionisti privati aveva voluto in realtà “possederla industrialmente” e sfruttarne le sue
enormi potenzialità. Nei primi mesi del 1987 Raul Gardini riesce a diventare l'unico
vero padrone della Montedison, inserendo quel tassello che tanto mancava al gruppo
Ferruzzi. Verso la fine dello stesso anno, in seguito al conflitto con Mario Schimberni,
diviene presidente del gruppo di Foro Buonaparte.
Pertanto, dalla metà degli anni '80 la società di Ravenna viene investita da una
rapida crescita che la porta ad essere il secondo gruppo economico-finanziario
nazionale, subito dietro alla Fiat.
Questa performance troverà poi il declino con il fallimento del Gruppo Ferruzzi e
con l'inchiesta della magistratura sulla maxi tangente Enimont, fino al tragico epilogo di
Raul Gardini, “suicidatosi” il 23 luglio del 1993, dopo quasi 3 anni da quel novembre
del 1990 in cui aveva lasciato tutti gli incarichi nel Gruppo, ad eccezione della
presidenza della Serafino Ferruzzi, tenuta sino all'11 giugno 1991.
III
CAP. 1 – IL CONTESTO ECONOMICO DI RA VENNA NEL
SECONDO DOPOGUERRA
1.1 LA SITUAZIONE GENERALE ITALIANA ALLA FINE DELLA GUERRA
Nel maggio del 1945 finisce la guerra. Se gravi erano i problemi derivanti dal
crollo delle istituzioni politiche che avevano governato per quasi un quarto di secolo,
non da meno erano i danni derivanti dal conflitto che, fortunatamente, non avevano
intaccato in profondità l'apparato produttivo il quale, quindi, non riversava in condizioni
disastrose. Si registra, comunque e inevitabilmente, sia una caduta del PIL, che passa
dai 125 miliardi del 1938 ai 70 del 1945, sia una diminuzione dello stock di capitale
pubblico derivante dalla distruzione di strade, ponti, ferrovie, porti, reti idriche ed
elettriche; tutto ciò fa quindi presagire ad una non veloce ripresa.
Dove la situazione era più grave è nel settore agricolo: buona parte del patrimonio
arboreo e zootecnico era andata distrutta, in particolare, in quelle regioni in cui più a
lungo era durata la lotta tra le truppe tedesche e gli alleati: Emilia, Veneto, Toscana,
Marche, Abruzzo e il Lazio. Anche la produzione cerealicola aveva subito grossi danni
tant'è che si era ridotta a poco più della metà di quella prebellica.
Tutto ciò si tradusse in una condizione di scarsità alimentare la quale, unita alla
politica monetaria degli occupanti, generò una violenta inflazione.
Per quanto concerne il comparto industriale si può dire che le condizioni non erano
particolarmente gravi, in quanto la capacità produttiva e il valore degli impianti si erano
ridotti a poco più di un decimo. Risultava però diseguale la distribuzione dei danni: le
regioni del “triangolo industriale”, cioè la zona compresa tra le città di Milano, Torino,
Genova, e quelle del Triveneto erano state colpite in modo marginale rispetto ai centri
dell'industria pesante meridionale
1
.
In alcuni comparti industriali il ritorno alla normalità fu molto rapido, grazie anche
all'aprirsi di alcune opportunità favorevoli. L'industria tessile, ad esempio, torna quasi
subito ai livelli consueti di attività, grazie ad una competitività basata su una politica di
1
F. Amatori e A. Colli, Impresa e industria in Italia,Venezia, Marsilio 2003, p. 194.
1
bassi salari che stimolava un considerevole flusso di esportazioni capaci di compensare
la crisi sul mercato interno, derivante dalla contrazioni dei consumi e dalla tendenza di
negozianti e grossisti ad esaurire le scorte accumulate più che ad effettuare nuovi
acquisti.
I grandi cotonifici dell'area milanese (Cantoni, De Angeli) riuscirono a tornare ai
livelli consueti di produzione, sia grazie all'impiego di terzisti locali sia in conseguenza
dei finanziamenti e degli aiuti americani che garantivano la disponibilità della materia
prima. Le aziende laniere, come ad esempio la Marzotto, già nel 1946 tornavano ad una
normalità produttiva grazie ad una consistente domanda estera, nonostante i gravi danni
subiti a seguito dell'occupazione tedesca. Va sottolineato il fatto che le condizioni
particolarmente favorevoli in cui si veniva a trovare il settore tessile hanno
successivamente avuto degli effetti negativi sulle imprese stesse; in un settore
sovrappopolato esistevano aziende di ogni dimensione che operavano con attrezzature e
impianti obsoleti.
Per quanto concerne il settore delle fibre artificiali, nel quale l'Italia era il quarto
produttore mondiale prima di entrare in guerra, la “ripresa della domanda estera
consentiva alle principali imprese del settore, Snia e Châtillon, a fare leva
principalmente sulle produzioni tradizionali di origine autarchica – ovvero le fibre
derivanti da materie prime vegetali (il rayon, dalla cellulosa) e animali (il lanital, o
merinova, dalla caseina)”
2
- trascurando l'adeguamento tecnologico degli impianti e
l'acquisizione del più avanzato know-how (specialmente nel campo della sintesi
petrolchimica, con la produzione di nylon).
Per quanto riguarda invece le altre imprese, si sottolinea che la situazione era buona
soprattutto per quelle aziende che, a cavallo dei due conflitti mondiali, avevano attuato,
più o meno volontariamente, delle strategie di diversificazione di natura conglomerale.
Ad esempio, non soltanto la Montecatini già alla fine del 1946 riprende la
produzione nei suoi settori chiave di perfosfati, azoto e energia elettrica, ma anche
un'altra grande industria, la Terni, - gruppo polisettoriale con interessi nel campo
siderurgico, elettrico, chimico e del cemento – già nel 1945 lavora a pieno regime
3
.
Il conflitto bellico porta con sé anche altre conseguenze negative, le quali si
manifestano subito dopo la fine delle ostilità. I problemi derivano dal fatto che
l'apparato industriale, soprattutto quello manifatturiero, era stato sovradimensionato sia
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F. Amatori e A. Colli, Impresa e industria in Italia, cit., p. 194.
3
Ivi, pp. 194-95.
2
in termini di capacità produttiva sia per quanto riguarda il numero degli addetti. Il
problema della riconversione colpirà, in modo particolare, quelle aziende che erano
quasi totalmente dipendenti dalla committenza dello Stato, come ad esempio l'Alfa
Romeo, e che ora deve ricominciare la produzione civile di automobili e autocarri.
L'eccesso di manodopera conseguente al sovradimensionamento degli impianti
costituisce un ulteriore problema per le imprese di medio-grandi dimensioni a causa del
blocco dei licenziamenti. Di problemi di overstaffing soffrivano un po' tutti i comparti
industriali, anche se la situazione peggiore si aveva nel settore della meccanica pesante.
Nel frattempo, la disoccupazione continuava ad aumentare e passava dal milione e
mezzo del 1945 ai due milioni e mezzo del 1947. Il ritorno ad una situazione di
normalità dopo i disastri della guerra si scontrerà però con innumerevoli difficoltà e
compromessi di natura politica
4
.
La situazione generale restava però quella di un'Italia che, all'uscita del ventennio
fascista, presentava un forte ritardo nello sviluppo rispetto alle economie industriali più
avanzate (quali erano ad esempio Francia e Germania), sia in termini di occupazione sia
in termini di prodotto.
1.2 IL “CAMBIAMENTO” DELL'INDUSTRIA ITALIANA E IL MODELLO DI
CAPITALISMO CHE SI AFFERMA NELL FASE DELLA RICOSTRUZIONE
Negli anni Venti l'andamento della produzione industriale vede sostanzialmente
proseguire la crescita che era iniziata alla fine della I° guerra mondiale. Questo processo
segna però due battute d'arresto: la crisi nel 1921 e nel biennio 1926-1927, in seguito
alla politica deflazionistica e di stabilizzazione della moneta. A queste segue l'impatto
della grave Crisi del '29 che determina una drastica riduzione dei livelli della
produzione industriale. La congiuntura negativa si protrarrà fino al 1932. Negli anni
Trenta l'industria italiana riprende la crescita in seguito alle politiche autarchiche rivolte
a favorire le produzioni nazionali e a rilanciare l'economia di guerra. La crescita
proseguirà poi fino agli anni 1939-1940 per arrestarsi, quasi fino al collasso, negli anni
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Ivi, p. 196.
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