3
Introduzione
Il presente elaborato si propone di delineare il percorso con cui le aziende si orientano verso la
responsabilità sociale e lo sviluppo sostenibile, incorporando nel proprio core business principi etici
e sociali. Il percorso descritto inizia con la descrizione del fenomeno dell’iperconsumismo e delle
conseguenti tecniche di marketing più aggressivo ed invasivo, fenomeni sempre più sentiti al giorno
d’oggi. Questo discorso viene condotto parallelamente alla questione della perdita di fiducia dei
consumatori nei riguardi delle aziende che tende a trasformarsi in un’accesa diffidenza difficile da
spazzare via. L’unico rimedio per le aziende per ricostruire un rapporto di fiducia e di credibilità
con i propri clienti è orientarsi verso la responsabilità sia sociale che ambientale equiparandole alle
proprie finalità di guadagno. Risulta fondamentale nella nostra epoca che il marketing operato dalle
aziende cambi modalità e strategie. Negli anni sono state sempre più frequenti pratiche di
greenwashing, ovvero quelle pratiche delle aziende che fingono di “tingersi” di verde per dare
un’immagine di sé green e sostenibile, quando in realtà ciò non è assolutamente vero. Grazie allo
strumento interattivo di Internet, sono sempre più i consumatori che ricercano informazioni sulle
attività svolte dalle aziende e, si sa, la conoscenza è potere. Le persone sono sempre più disposte a
denunciare le aziende e i loro prodotti perché la domanda di trasparenza, di qualità e di fiducia è
forte, così forte che non si può ignorare. Il green marketing è l’orientamento strategico che le
aziende dovrebbero adottare perché permette, da una parte di limitare gli impatti inquinanti
sull’ambiente garantendone il rispetto, e dall’altra permette di instaurare una relazione di fiducia
con i propri clienti. L’elaborato comprende l’analisi delle linee guida teoriche sottese all’adozione
del marketing sostenibile, in aperto confronto con le pratiche ingannevoli del greenwashing. Oltre
ai contributi teorici, la tesi procede con l’analisi di diversi cases histories di aziende famose a
livello mondiale al fine di evidenziarne sia le best practices che i flop. L’ultima parte dell’elaborato
è, invece, dedicato alla ricerca empirica realizzata, orientata a studiare i comportamenti d’acquisto e
l’importanza della sostenibilità nella vita di tutti di giorni, oltre che la fiducia o la sfiducia nei
confronti delle attività aziendali, sia produttive che promozionali.
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Capitolo 1
Iperconsumismo e responsabilità sociale d’impresa
1.1 Iperconsumismo e autodistruzione
L’espressione “società dei consumi di massa” è diventata popolare a partire dagli anni Cinquanta e
Sessanta del Novecento in uno scenario di riferimento prettamente materialistico, principalmente
improntato sui capisaldi del benessere materiale, del denaro e della sicurezza fisica. Si parla a tal
proposito di “società dell’abbondanza” per far riferimento ai risultati raggiunti grazie alla crescita
economica e all’efficienza produttiva della fabbrica taylor-fordista: i livelli di consumo crescevano
a dismisura in tutti gli strati sociali della popolazione per effetto di un aumento generalizzato delle
retribuzioni. La società, di riflesso, è cambiata radicalmente: si assisteva al trionfo dell’edonismo,
dell’estetica, del materialismo in una logica caratterizzata dalla continua creazione e stimolazione di
bisogni e desideri. Gli oggetti diventano simboli per ostentare lo status e l’integrazione sociale e
questo grazie soprattutto all’azione di mass media e pubblicità che hanno incoraggiato le persone a
consumare sempre di più
1
. Col passare degli anni, ben presto in ambito accademico, si incontra la
necessità di rivedere il concetto stesso di società dei consumi di massa in conseguenza del
consolidamento di nuove dinamiche economiche e sociali. Emerge, così, l’idea di “post-società di
massa” che trova un immediato riferimento nel cosiddetto fenomeno dell’iperconsumismo. Per
iperconsumismo si intende quel consumismo esagerato e ingiustificato che, anziché migliorare il
benessere degli individui, li trascina in un vortice di inutili desideri e sprechi che danneggiano
l’ambiente e minano lo stock di risorse naturali a disposizione dell’uomo, oltre che a metterli in una
condizione di incessante insoddisfazione. Gli oggetti in questa fase rivestono una nuova funzione in
quanto diventano utili alla persona per ottenere soddisfazioni emotive, fisiche, estetiche o
sensoriali; in altre parole permettono al consumatore di essere più indipendente, di emanciparsi nel
suo percorso d’acquisto e di migliorare sensibilmente la qualità di vita, circondandosi di
innumerevoli ed impensabili confort. Il consumo si fa sempre più emotivo, sensoriale ed
esperienziale perché lo scopo dell’acquisto, della vendita e del consumo non è più basato sulla sola
funzionalità dei prodotti: ora i brand, la pubblicità e la forza vendita mira all’immersione dei
consumatori nel mondo del consumo a 360 gradi, sollecitando i sensi e le emozioni. Ne è un chiaro
1
Lipovetsky G., Una felicità paradossale. Sulla società dell’iperconsumo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2007, da p.7
a p.14
5
esempio la pubblicità che tende ad enfatizzare i valori e le immagini costruiti attorno ai prodotti
reclamizzati e ai brand, realizzando il potente strumento di marketing della costruzione
dell’immaginario della marca. L’era dell’iperconsumo emancipa l’individuo e le scelte di consumo
dalla pressione della società per immergerlo in una dimensione in cui può dedicarsi unicamente a sé
stesso. Tutto ciò avviene all’interno del “turbo-capitalismo”
2
in cui le dimensioni spazio-temporali
risultano irreversibilmente stravolte. Il consumo viene reso accessibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7, in
qualsiasi luogo e con infinite possibilità grazie soprattutto all’avvento delle nuove tecnologie e
dell’e-commerce. In una realtà scandita dall’eterno bisogno di consumare, dall’incessante e
martellante pubblicità, dal susseguirsi di mode e novità, l’imperativo “Consumo, dunque sono"
3
sembra essere ormai assodato. Ovviamente, però, bisogna tener conto del rovescio della medaglia e
a fornici un’attenta analisi è Gilles Lipovrtsky
4
il quale delinea cinque grandi modelli, ognuno
sostenuto da una figura mitologica emblematica, che determinano la felicità e, più spesso,
l’infelicità nella nostra società:
1. La società dei consumi sarebbe così profondamente legata ad un sistema di stimolazione
infinito di bisogni che la felicità spesso viene ritenuta a portata di mano quando in realtà non
lo è affatto. Sono in molti a parlare della “maledizione dell’abbondanza”, ossia del
meccanismo per cui la continua creazione di bisogni condannerebbe il consumatore a vivere
in una condizione di carenza continua, di insoddisfazione cronica e di profonda delusione.
Figura emblematica è Penia, la dea della povertà;
2. L’insieme dei bisogni stimolati rispecchierebbe una ricerca estenuante dell’edonismo, della
soddisfazione degli istinti e dei sensi. Figura emblematica in questo caso è Dionisio, dio
dell’estasi, del vino, dell’ebbrezza e della liberazione dei sensi;
3. Secondo alcune correnti della cultura contemporanea, invece, si assisterebbe ad una
accentuazione degli antichi valori puritani per cui gli imperativi dell’individuo sarebbero
competizione, eccellenza e superamento dei propri limiti. E questo in ogni ambito della vita
quotidiana, dal lavoro alla salute, dall’alimentazione all’istruzione e così via. Il
rappresentante di questa categoria è Superman;
4. L’era del super-consumo, in quanto permette di mostrare, pubblicizzare e anche ostentarla
propria vita privata rendendola pubblica e accessibile praticamente a tutti, condurrebbe ad
un’esasperazione dei conflitti interpersonali, all’invidia, all’odio, alla rivalità, alla gelosia. È
2
Ivi, pp.76-77
3
Bauman, Consumo, dunque sono, Economica Laterza, Roma-Bari, 2008
4
Lipovetsky, Op. Cit. da p.121 a p.124
6
Nemesi la rappresentante di questo modello in quanto dea della vendetta e della giustizia il
cui compito era quello di punire gli eccessi di felicità dei mortali;
5. La società dei consumi avrebbe spinto l’individuo a concentrarsi unicamente su ciò che
attiene la sua vita privata, il quale sarebbe perciò portato ad enfatizzare le soddisfazioni
personale ignorando di conseguenza tutto il resto. Narciso rappresenta questo modello in
quanto concentrato solo su di sé e sul culto del proprio corpo.
1.2 Critiche al marketing: vita, morte e rinascita
Nel primo decennio del ventunesimo secolo, due sistemi sono stati incolpati di aver avuto un ruolo
determinante nel contesto della grave crisi finanziaria, economica, ambientale, sociale e lavorativa
che si è manifestata. Finanza e marketing. Il marketing, in particolare, è stato accusato a più riprese
di aver realizzato e venduto prodotti ad elevato impatto ambientale, incoraggiando al contempo il
fenomeno prima citato dell’iperconsumismo. La martellante pressione pubblicitaria avrebbe infuso
negli individui bisogni e desideri incessanti nell’ambito del consumo illudendoli di poter migliorare
sensibilmente il proprio benessere e la propria felicità. Da sempre il marketing non ha mai goduto di
una reputazione positiva, specie agli occhi dell’opinione pubblica che, a più riprese, gli ha lanciato
gravissime accuse
5
.
Le primissime critiche al marketing risalgono agli anni Cinquanta e vengono mosse da Vance
Packard
6
, il quale accusava la pubblicità di manipolare le scelte e le preferenze dei consumatori. Nel
suo libro “I persuasori occulti” scrisse che “molti di noi vengono influenzati assai di più di quanto
non sospettino, e la nostra esistenza quotidiana è sottoposta a continue manipolazioni di cui non ci
rendiamo conto. Sono all’opera su vasta scala forze che si propongono, e spesso con successi
sbalorditivi, di convogliare le nostre abitudini inconsce, le nostre preferenze di consumatori, i nostri
meccanismi mentali, ricorrendo a metodi presi in prestito dalla psichiatria e dalle scienze sociali”
7
.
Questa forte critica contribuì all’affermazione del movimento consumerista, ossia quel movimento
nato in America alla fine del diciannovesimo secolo con l’obiettivo di tutelare i consumatori, specie
quelli appartenenti agli strati più poveri della popolazione, dal monopolio e dall’oligopolio
esercitato da quelle aziende che vendevano prodotti di prima necessità a prezzi molto elevati e di
scarsa qualità. La protesta dei consumatori si affievolì solo negli anni Ottanta, i cosiddetti “anni
d’oro” del marketing, durante i quali i prodotti immessi sul mercato furono accolti con un
5
Mattiacci, Pastore, Marketing. Il management orientato al mercato, Hoepli, Milano, 2014, p. 592
6
Packard, I persuasori occulti, Einaudi, Torino, 1958
7
Ivi, p.5