6
Introduzione
Sommario: 1. L’oggetto della tesi; 2. Le motivazioni legate alla scelta
dell’argomento; 3. Gli obbiettivi dello studio; 4. La metodologia
utilizzata; 5. La struttura del lavoro.
1. L’oggetto della tesi
Per poter definire con precisione l’oggetto di questo lavoro si rende
necessario dire qualcosa a proposito del processo di razionalizzazione
dell’esecuzione penale. Razionalizzare significa qualificare una serie di
comportamenti rivolti verso specifici obbiettivi ed inquadrarli in procedure
sistematiche e in un apparato organizzativo. Ciò è stato fatto anche per
l’esecuzione penale, così come per molti altri settori, con l’avvento della
modernità. L’esito di un sempre più incisivo processo di razionalizzazione
dell’esecuzione penale ha dato vita nel tempo all’Amministrazione
penitenziaria, al Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità e ad
un’altra serie di organismo aventi ad oggetto servizi connessi alla procedura
penale.
La presente esposizione si può dire che abbia ad oggetto l’analisi di una
sola parte dell’esito del processo di razionalizzazione dell’esecuzione penale,
ovvero del governo delle carceri. Nel momento in cui si è arrivati a definire
come oggetto di studio l’Amministrazione penitenziaria, si è imposta una
scelta: capire se ampliare lo studio, oltre che ad un’analisi delle funzioni e
dell’organizzazione penitenziaria in termini statici, anche ad un esame delle
reazioni dello stesso apparato agli stimoli imprevisti e, dunque, passare da uno
studio mono-disciplinare in Diritto amministrativo ad uno interdisciplinare a
cavallo tra quest’ultimo e l’Analisi delle organizzazioni (per la parte attinente
allo studio del medesimo oggetto, ma in termini dinamici). Per motivi legati,
oltre che all’estrema complessità di un lavoro di tal genere, al limitato tempo
a disposizione, la scelta è caduta sulla prima opzione.
In definitiva, il lavoro qui presentato vorrebbe rappresentare una sorta di
planimetria delle funzioni e dell’organizzazione dell’Amministrazione
penitenziaria in condizioni nella sua dimensione statica.
7
2. Le motivazioni legate alla scelta dell’argomento
Dovrebbe essere la cosa più semplice del mondo individuare uno o più
motivi che hanno condotto ad una determinata scelta, tuttavia spesso non lo è:
in molti casi nelle scelte di ciascuno entrano in gioco dinamiche diverse, a
volte legate a fattori esterni, altre volte, invece, a questioni attinenti alla
propria personalità. In tal senso si può dire che alla base della scelta
dell’oggetto di questo studio vi siano tante motivazioni, tutte diverse tra loro,
tutte legate a fattori vari.
Sicuramente ha giocato un ruolo fondamentale la specificità
dell’argomento, dunque la particolarità e la sua poca popolarità. È risaputo
che l’interesse spesso si posiziona laddove vi sia la possibilità di essere
curiosi: siccome le questioni più attuali, più conosciute in quanto tali non
destano molta curiosità, per via di un automatismo quest’ultima si concentra
solitamente sui fatti meno noti, sulle questioni di cui non si parla
frequentemente. Questa volta è andata così.
Tuttavia la specificità dell’argomento da sola realisticamente non si può
dire sia bastata. Infatti, una spinta verso l’interessamento alla questione
penitenziaria si può tranquillamente affermare che sia venuta da un forte
desiderio di fare del mondo penitenziario la strada per una soddisfacente
carriera professionale, che sarebbe tale nel momento in cui si dovesse
coronare con la qualifica di dirigente penitenziario nelle vesti di direttore di
uno degli istituti di prevenzione e pena della Repubblica. L’interesse
professionale è inevitabilmente collegato ad un altro, quello per le istituzioni
totali in generale, nonché per la loro organizzazione, il loro funzionamento e
il loro management.
3. Gli obbiettivi dello studio
Il presente lavoro, avente l’oggetto poc’anzi definito, come obbiettivo
principale ha quello di disegnare un quadro dettagliato delle funzioni e
dell’organizzazione del governo delle carceri, ovvero di raccogliere in un
unico luogo ideale l’ordinamento dell’Amministrazione penitenziaria. Un
obbiettivo rilevante, complesso, forse ambizioso, che si è scelto di realizzare
attraverso l’attenta definizione di alcuni quesiti a cui dare una risposta, con la
8
convinzione che le risposte fornite, incastrandosi tra loro come i pezzi di un
puzzle, possano restituire un quadro rispondente al macro-obbiettivo prima
descritto. Tali quesiti sono cinque:
In quale contesto storico, politico e sociale si è sviluppata
l’Amministrazione penitenziaria?
In quale contesto giuridico è incardinata?
Quali sono le sue funzioni ed in che modo è organizzata?
Quali sono le risorse umane che le conferiscono la professionalità
di cui necessità per il proprio corretto funzionamento?
Come si relaziona tale amministrazione con il contesto
penale/penitenziario internazionale?
4. La metodologia utilizzata
Questo studio è stato portato avanti nell’arco di un periodo oscillante tra i
dieci ed i dodici mesi, durante i quali si è seguito un preciso percorso di
ricerca, analisi e scrittura.
In modo particolare, all’intero lavoro è stata premessa un’ampia fase
d’indagine conoscitiva del contesto relativo al tema affrontato, ferme restando
le conoscenze generali basilari nell’ambito del Diritto amministrativo. La
scelta dell’argomento, legata alle motivazioni poc’anzi specificate, non
includeva una conoscenza profonda dello stesso, pertanto all’interesse per
l’Amministrazione penitenziaria si è dovuta affiancare una solida base di
conoscenze preliminari, acquisite essenzialmente attraverso due modalità: a)
la partecipazione ad un corso di formazione per operatori volontari in carcere,
tenuto da professionisti del settore e composto da circa dodici incontri su temi
quali la giustizia, la pena e la vita in carcere; b) lo svolgimento di circa
ventiquattro colloqui vis a vis con soggetti operanti nell’ambito
dell’Amministrazione penitenziaria, nonché con detenuti di vario genere. Si
può, dunque, parlare di oltre sessanta ore spese in formazione iniziale,
fondamentale per il buon esito del lavoro.
All’acquisizione delle conoscenze preliminari ritenute necessarie è
seguita una fase di ampia ricognizione di materiale bibliografico in diversi
9
archivi e biblioteche italiane, nonché in quelle dello stesso D.A.P., alle quali
mi è stato consentito di accedere. Tale fase di ricognizione bibliografica ha
riguardato anche numerosi siti web del settore, nonché diverse tesi conclusive
di master e di corsi di formazione dell’Amministrazione penitenziaria e
numerosissime fonti normative (sia nazionali che internazionali).
Soltanto dopo aver delineato un quadro chiaro del contesto relativo
all’oggetto di studio ed aver raccolto diverse fonti, si è avviata la fase di
elaborazione del lavoro, la quale non si è mai sganciata del tutto dalle fasi
precedenti: durante la stesura del presente scritto sono stati mantenuti i
contatti con i soggetti coinvolti nei colloqui, nonché con l’ambiente
penitenziario. Per ciascun capitolo, infatti, sono stati ripetuti gli incontri con:
volontari ex art. 17 O.P., appartenenti alla Polizia penitenziaria, dirigenti
penitenziari, operatori sanitari distaccati in carcere, dirigenti R.E.M.S. (ex
O.P.G.), cappellani penitenziari, garante dei detenuti, esponenti
dell’associazione Antigone ed altre figure professionali quali, ad esempio, i
funzionari amministrativi del D.A.P.. Sono state, inoltre, effettuate visite
presso la Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) di
Ceccano (FR), che in Italia rappresenta una delle prime strutture di tal genere
ed un modello studiato anche fuori dai confini nazionali, oltre che ad alcuni
istituti del polo penitenziario di Rebibbia ed alle sedi del D.A.P., del
Provveditorato Lazio-Abruzzo-Molise e della DG formazione. In linea con
questo approccio, per ciascuno dei capitoli che compongono questo scritto è
stata approfondita la ricognizione bibliografica.
5. La struttura del lavoro
La tesi si sviluppa attraverso cinque capitoli, rispondenti ognuno ad un
singolo quesito tra quelli rappresentanti gli obbiettivi dello studio. Ciascun
capitolo è articolato per specifici paragrafi e sotto-paragrafi, i quali
suddividono il macro-argomento in diversi periodi logici, con lo scopo di
semplificare l’esposizione della questione, nonché di dare al lettore la
possibilità di potersi costruire uno schema mentale preciso relativo alla
questione trattata.
10
Il primo capitolo rappresenta una premessa a tutto il lavoro: delinea il
contesto storico, sociale e politico esistente attorno alla questione penale ed in
modo particolare a quella penitenziaria. Rifacendosi agli studi di Cesare
Beccaria, Michel Foucault, Guido Neppi Modona, Massimo Pavarini, Dario
Melossi e molti altri, il primo capitolo traccia un filo storico dell’evoluzione
del concetto di pena, della nascita del carcere moderno e dei cambiamenti
legislativi collegati, partendo dalla storia antica ed arrivando fino agli ultimi
decreti legislativi adottati dal governo ora in carica, passando per il periodo
dei Lumi. Un resoconto storico-sociale e politico del contesto, per linee
essenziali, è qualcosa da cui nessuno studio di carattere giuridico può
prescindere, se è vero che il diritto è qualcosa che ha origine nella società.
Il secondo capitolo rappresenta un completamento alla premessa posta col
primo: si concentra sul contesto giuridico esistente attorno al governo delle
carceri. Descrive, dunque, la rete delle fonti normative in materia di
esecuzione penale, nonché il relativo procedimento al fine di chiarire in quale
posizione giuridica agisce l’Amministrazione penitenziaria, quali sono i limiti
a cui è sottoposta e qual è il suo raggio d’azione. Si pensi ai capitoli di questo
studio come una serie di cerchi concentrici il cui centro è dato dall’oggetto di
analisi: ebbene, il secondo capitolo è un anello importantissimo, il cui
posizionamento contribuisce in misura rilevante all’avvicinamento verso il
centro.
Il terzo capitolo è il vero e proprio cuore di questo lavoro: analizza in
modo puntuale le funzioni e l’intero apparato organizzativo del D.A.P.,
andando a chiarirne gli aspetti salienti e prestando estrema attenzione agli
istituti di prevenzione e pena, di cui è offerta una disamina completa.
L’analisi in questione è preceduta da una esposizione delle fonti normative in
materia di organizzazione penitenziaria e della struttura del Ministero della
Giustizia e prosegue, oltre che rilevando l’importanza dello status
dipartimentale per l’Amministrazione penitenziaria, disegnando la planimetria
di questa partendo dal suo nucleo centrale fino alle unità decentrate
(provveditorati, istituti di pena e prevenzione, scuole di formazione).
Il quarto ed il quinto capitolo contengono ulteriori specificazioni su
questioni particolari relative all’Amministrazione penitenziaria. Vengono,
11
infatti, sottoposti ad esame le risorse umane operanti nell’ambito del governo
delle carceri e i rapporti internazionali del D.A.P. . In particolare il quarto
capitolo dà conto dell’assetto e della disciplina normativa delle risorse umane
che operano nell’ambito dell’organizzazione penitenziaria, offrendo una
trattazione delle specifiche procedure di reclutamento e dei rapporti di lavoro
delle diverse categorie di personale interessate.
12
L’Amministrazione penitenziaria, un profilo storico-giuridico
Sommario: 1. Il problema del governo delle carceri e lo sviluppo della
prigione; 2. Le soluzioni italiane, nel tempo, al problema; 2.1 Il sistema
zanardelliano e la Direzione Generale delle carceri; 2.2 Il sistema
Rocco e la Direzione Generale per gli istituti di prevenzione e pena; 2.3
Il sistema repubblicano ed il Dipartimento dell’Amministrazione
Penitenziaria (D.A.P.).
1. Il problema del governo delle carceri e lo sviluppo della prigione
La materia penitenziaria non rappresenta sicuramente qualcosa di
semplice da studiare. Esistono diverse prospettive attraverso cui è possibile
esaminarla, per ognuna di esse diversi sono i fatti che si possono porre in
rilievo rispetto ad altri, il tutto dipende chiaramente dall’esaminatore. In
questo caso il titolo assegnato al presente paragrafo dice già qualcosa: si vuole
affrontare la trattazione di un problema e si vuole agganciare quest’ultima allo
sviluppo del carcere. Ma viene da chiedersi, per avere ben chiara la
situazione, di quale problema s’intende parlare? La materia penitenziaria offre
innumerevoli questioni complesse e colme di problematiche, ma in questa
sede l’attenzione la si vuole porre sul governo delle carceri. Ecco perché si
vuole instaurare un collegamento tra l’analisi del problema ed il racconto
dello sviluppo delle prigioni, è chiaro: laddove un’azienda muta nella sua
sostanza, è necessario che a mutare sia anche la sua gestione e lo stesso
concetto è valido per il sistema delle prigioni, che nel tempo ha subito diversi
cambiamenti. Proprio il mutare della gestione di un sistema che cambia vuole
essere l’oggetto da studiare in questa sede. Per poter affrontare il problema del
governo delle carceri è necessario che si sciolga il nodo del significato che
s’intende attribuire del termine pena e dunque dello scopo con cui la si
concepisce. Proprio a questo concetto è agganciato lo sviluppo della prigione
e dunque il cambiamento della gestione penitenziaria.
La parola pena in linea generale indica quei “motivi sensibili” (Beccaria
1764) che fanno desistere dal compiere violazioni della norma coloro che
vorrebbero far precipitare di nuovo la società nel caos dell’anarchia. Dunque
13
la pena nasce con la legge
1
come strumento del sovrano, utile affinché sia
garantito il mantenimento dell’ordine sociale costituito. Prima della legge, la
pena non esisteva, dunque non si poneva alcun problema di natura penale. La
prima interpretazione che nella storia l’umanità ha attribuito alla pena risiede
nel binomio vendetta-deterrenza. Lo stesso termine implica una connotazione
afflittiva
2
ed il fatto stesso che affligge dovrebbe renderla spaventosa. È
quindi ben evidente che la funzione della pena sicuramente è quella di
mantenere inalterato l’ordine costituito, ma attraverso un’azione successiva
alla violazione commessa, in grado di punire uno ed insegnare a cento.
L’ottica in cui l’autorità ha sempre agito, fino al XVIII secolo, è quella che
segue la c.d. dottrina assoluta o retributiva e la teoria dell’intimidazione.
Sulla base della prima teoria, la pena riguarda unicamente il male compiuto e
cioè la sanzione di un comportamento del passato. Possiamo riassumere
questo concetto nella formula: occhio per occhio, dente per dente. Dunque il
male chiama male ai fini di una retribuzione in primo luogo morale, ma in
secondo luogo anche giuridica, in quanto l’autorità non può tollerare la
violazione di una norma che potrebbe riportare la società nel caos, e quindi ha
la necessità di mettere in campo un’azione mirata a ristabilire l’ordine:
quest’azione è la condanna ad una pena, che appunto rappresenta la
retribuzione. Un’accezione, questa, tutta kantiana: “la legge penale è un
imperativo categorico e pertanto la pena deve essere inflitta al colpevole
semplicemente perché egli ha commesso un delitto […]” (Kant 1797)
Si accompagna alla prima dottrina una seconda teoria, che alla punizione
di uno associa l’insegnamento per cento. Secondo i fautori della teoria
dell’intimidazione, la pena nel momento in cui affligge il reo non cessa i suoi
effetti su di lui, ma li espande sul resto degli individui che compongono la
società in quanto questi, vedendo la sofferenza che scaturisce dalla pena,
dovrebbero desistere dal compiere violazioni. Si tratta di un meccanismo di
coazione psicologica secondo cui tutte le violazioni sono mosse dalla volontà
di un soggetto di procurarsi un piacere, e tale stimolo può essere eliminato
andando a dimostrare al soggetto in questione che alla sua azione segue
1
In questo caso l’interpretazione da conferire al termine legge non ha a che vedere col diritto, bensì
con l’autorità, ovvero con la fine dell’anarchia.
2
pena=poena, dal latino e cioè castigo, molestia, sofferenza.
14
certamente un male maggiore del rammarico che egli avrebbe non compiendo
la violazione che vorrebbe compiere. L’interpretazione appena descritta
implica un sistema penale sicuramente diverso da quello che conosciamo
oggi. Tuttavia l’idea “[…] della segregazione dell’uomo malvagio, violento,
delinquente, criminale, anarchico, in appositi locali, è vecchia come lo è il
mondo […]” (A. Parente 2007), e con il passare degli anni è mutata a seconda
di come è mutata la società e dunque l’ordine da difendere. Chiaramente le
prigioni dei tempi passati non erano quelle di oggi, per ovvi motivi di diversa
interpretazione del concetto di pena, per le diversità del sistema penale e per
ragioni anche legate alle conoscenze tecniche. Si utilizzavano come prigioni
edifici di diversa natura: cisterne, conventi, pozzi, torri. Ciò accadeva perché
la pena non era la detenzione stessa, bensì un qualcosa di successivo ad essa,
e quindi non occorrevano particolari strutture adatte a lunghe prigionie.
L’imprigionamento, per molti secoli, è stata una pratica concepita
semplicemente come il trattenimento forzato del reo in attesa che risarcisse in
denaro la propria vittima evitando così la pena di morte, in attesa di condanna
o, diversamente, in attesa di giudizio ai fini cautelari e dunque per evitarne la
fuga dal castigo. Nel caso del trattenimento di un soggetto condannato ed in
attesa di esecuzione della punizione, la custodia in prigione poteva anche
avere un senso logico. Tuttavia ciò che appare curioso è la sistematica
carcerazione anche dei presunti rei, cioè di quelle persone non ancora
condannate e quindi in attesa di giudizio, che si presumevano colpevoli e che
spesso venivano torturate al fine di ottenere una confessione, che ovviamente
oggi non si riterrebbe attendibile essendo estorta mediante la tortura. Questo
punto appena sottolineato è un tratto importante di un sistema penale che è
stato in vigore per secoli e secoli: dall’antichità fino poi ai tempi
dell’Illuminismo.
Un’eccezione, in tema di carcerazione, è rappresentata dall’Impero
Romano, di gran lunga all’avanguardia rispetto a ciò che la storia ha
conosciuto in precedenza e successivamente ad esso. Nell’antica Roma
esisteva un sistema di carceri, che servivano come luoghi in cui rinchiudere
pazzi, prostitute, condannati ed accusati. Talvolta, se la giustizia si presentava
lenta nel suo corso, i prigionieri restavano tali per molto tempo. Per alcuni
specifici reati, il diritto romano prevedeva anche l’istituto degli arresti