IL GOVERNO CLINICO MILITARE
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A livello mondiale la spesa media in IT per addetto è di circa
300 euro l'anno, contro i quasi 7.000 del comparto bancario e i
2.500 delle utilities.
La sanità, per quello che riguarda la spesa in sistemi informativi,
viene surclassata anche dalle comunicazioni, dai trasporti, dal
settore pubblico. Insomma, pur trattandosi di un settore
strategico che costituisce in certi Paesi anche il 50% della spesa
pubblica, esso continua ad essere uno di quelli in cui gli
investimenti in tecnologie ad alto valore aggiunto sono minori.
In Italia la situazione è in molti casi ancora peggiore che altrove
in quanto la spesa in informatica degli enti sanitari si limita quasi
sempre all'acquisto di personal computer e, quando va bene, di
sistemi per la prenotazione.
A questo si aggiunga il fatto che troppo spesso l'informatica
nella sanità è stata concepita come un mero accumulo di
hardware o software specifico, acquistato e introdotto in modo
del tutto scollegato da un analisi di impatto: in parole povere, per
la sanità
manca quello che le riforme Bassanini sono state per il settore
pubblico, ovvero un insieme di norme che definiscano la regia
integrata del settore e che modulino in maniera armonica
l'inserimento di innovazione tecnologica da un lato e la
ridefinizione dei processi dall'altro.
Le parole chiave dovrebbero essere proprio queste due:
integrazione e reingegnerizzazione.
- Integrazione, perché oggi il problema più sentito è che, nel
quadro dell'autonomia delle ASL, anche i sistemi informativi (e
quindi dati e informazioni) sono spesso contenuti in luoghi e
archivi diversi con scarsa possibilità di ottenere una visione
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unitaria e univoca (ad esempio l'anamnesi e la cartella clinica
"storica" del paziente);
- Reingegnerizzazione perché nessun tipo di spesa in IT potrà
portare a risultati soddisfacenti senza un corrispettivo impatto
sulla articolazione dei processi (a livello di singola entità
sanitaria così come a livello di interscambio tra tali entità e, ad
esempio, gli Enti
Regionali). La questione è molto semplice: allo stesso modo in
cui il cittadino può oggi accedere a servizi di e-government, o
può effettuare un bonifico tramite Internet (operazioni, entrambi,
che richiedono alti livelli di integrazione e che sono il frutto di
una revisione profonda dei processi), egli (o il suo medico)
dovrebbe poter accedere alla propria situazione sanitaria e ai
servizi ad essa connessi, in modo indipendente dal dove e dal
come.
Per far questo, però, occorre mettere on line l'intero sistema. La
connessione in rete del sistema sanitario (medici di base,
ospedali, laboratori, farmacie, assicuratori) costituisce un fatto
che, pur relativamente semplice sotto il profilo tecnico, necessita
di uno sforzo titanico sotto quello della definizione dei processi
generali e di una forte capacità di governo per assicurare
l'interoperabilità tra settori. Il che significa trasformare ognuna
di queste "monadi informative" (il singolo medico, come la
ASL, la singola farmacia come la grande compagnia di
assicurazione) in un nodo di una rete sanitaria che funzioni in
maniera integrata e generi risparmi che possono arrivare al 25-
30% di tutta la spesa sanitaria (importanti aziende di consulenza
hanno stimato che la spesa per la redundancy, ovvero la
duplicazione di dati e informazioni e la mancanza di
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integrazione, ha un costo di circa 3.500 miliardi di euro a livello
mondiale, ovvero tra il 25 e il 40% di tutta la spesa sanitaria).
Un'operazione di questo genere, lo si sa, non comporta solo uno
sforzo tecnologico, ma il superamento di resistenze, spesso
corporative, che sinora hanno mostrato essere più forti di
qualsiasi spinta all'integrazione. Tuttavia si tratta di una sfida
che non si può più rimandare: in tal senso un ruolo cardine sarà
giocato dalle Regioni che, proprio su questo tema, dovranno
mostrare la loro forza cogente. Siamo appena all'inizio di un
processo complesso e faticoso: ma in qualche caso si
intravedono, se non altro, delle aree di buona volontà che
portano a ben sperare.
Il Governo Clinico Digitale è una necessità, sia dal punto di vista
economico che, soprattutto, dal punto di vista di corretta, e
scevra da errori o lungaggini, gestione del “processo salute”.
Per l’ infermiere l’ultimo decennio ha comportato l’affermazione
di numerose novità che stanno determinando, e sempre di più
determineranno in futuro, una grande evoluzione culturale e
professionale:
Questi cambiamenti, unitamente alla necessità di assicurare la
continuità delle cure, la loro appropriatezza e tempestività anche
con apporti provenienti da professionalità e discipline molto
diverse fra loro hanno consentito di far nascere e diffondere
anche in Italia esperienze che portano l’infermiere ad assumere il
ruolo di case manager. La capacità storica di presidio
ospedaliero e territoriale di questa figura sanitaria è la migliore,
se non unica garanzia della possibilità di migrare verso le “scelte
digitali” con rapidità, competenza e duttilità. Scelte, a nostro
avviso, non più procrastinabili.
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CAPITOLO I
DIGITAL HEALTHCARE
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IL QUADRO ATTUALE
Una situazione ospedaliera:
(informazioni basate su un ospedale reale, leggermente
modificate per salvaguardare l'identità dell'ospedale)
• circa 950 posti letto
• 11 dipartimenti medici
• 6 laboratori diagnostici
• 6 dipartimenti chirurgici
• 20 camere operatorie
• 36 corsie d'infermeria
• 1 farmacia centrale
• 1 deposito centrale di materiale
• 12 software specializzati di tipo proprietario
• numerosi software applicativi per ufficio (circa 90)
I problemi principali
Tutti i software specializzati di tipo proprietario NON sono fra
loro compatibili. Non riescono a collaborare tra di loro.
Molti di questi software sono strettamente dipendenti dalla
piattaforma e dal Sistema Operativo. Questo rende la rete
altamente rigida.
Ogni software ha il suo database e il suo formato dei dati.
Questo comporta una ridondanza nell'immagazzinamento dei
dati. La condivisione di questi è impossibile.
La comunicazione tra alcune delle principali installazioni
software è limitata a interfacce di import/export rilasciate tramite
patch e non standardizzate.
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Questo comporta una maggiore difficoltà nell'aggiornamento e
nello sviluppo del sistema, alti costi e lunghi tempi morti.
Alcune installazioni software sono completamente non
comunicanti con altri programmi.
Questo costringe il dover copiare manualmente i dati in altri
programmi causando alti costi, ritardi, alta percentuale di dati
errati e bassa efficienza.
Ogni programma ha una propria e differente interfaccia e
modalità di navigazione. Tutto ciò comporta maggiori difficoltà
nell'apprendimento e nell'uso del programma e costringe il
personale ad imparare differenti modalità di navigazione e
differenti usi.
Questo presenta un'alta curva d'apprendimento, un grosso carico
per un personale già sovraccaricato e causa un'alta incidenza di
errori nella documentazione. Il training forzato e l'assenza del
personale dal loro attuale luogo di lavoro diventa più lungo.
Tutto ciò comporta un rischio clinico, elevatissimo, con ricadute
economiche rilevanti per qualsiasi azienda sanitaria.
Il rischio clinico è definibile come “l’eventualità di subire un
danno come conseguenza di un errore”. Attualmente il tema del
rischio clinico si pone come problematica di rilevanza nazionale
che interessa vari settori dell’assistenza sanitaria e si colloca nel
tema più generale della Qualità e della valutazione dell’
outcome.
Il rischio clinico in sanità può essere contenuto con iniziative di
Risk management che rappresenta l’insieme di varie azioni
complesse messe in atto per migliorare la qualità delle
prestazioni sanitarie e garantire la sicurezza del paziente,
sicurezza, tra l’altro, basata sull’apprendere dall’errore. Solo una
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gestione integrata del rischio può portare a cambiamenti nella
pratica clinica, promuovere la crescita di una cultura della salute
più attenta e vicina al paziente ed agli operatori, contribuire
indirettamente ad una diminuzione dei costi delle prestazioni ed,
infine, favorire la destinazione di risorse su interventi tesi a
sviluppare organizzazioni e strutture sanitarie sicure ed
efficienti.
La sanità territoriale non è certamente in migliori condizioni,
ADI, Medici di medicina generale, volontari, sono slegati, non
coordinati pur avendo come oggetto “missione” la salute del
cittadino.
Oggi il medico stampa la prescrizione su supporto cartaceo da
un programma digitale, l’assistito la presenta in farmacia (che
effettua il riconoscimento dell’assistito con tessera sanitaria o
codice fiscale) ed il farmacista effettua la lettura del codice a
barre con apposito lettore ottico.
I dati vengono poi inviati al MEF direttamente dalle farmacie e
digitalizzati, assurdo ed inconcepibile se si vorrà convenire che
il percorso anzi descritto, è privo di ogni congruità logica.
Tanto più che ad oggi, esistono i mezzi, gli strumenti e
soprattutto la cultura per “fare di meglio”.