2
Tale giuoco, praticato sino al Medio Evo, decadde quando furono
inventati i tarocchi.
Non si sa se il giuoco d’azzardo fosse punito presso i Greci, mentre varie
testimonianze conclamano che a Roma era represso da antiche leggi.
Perché si avesse giuoco d’azzardo erano necessari il fine di lucro e
l’aleatorietà preminente del risultato.
Parecchi autori classici danno notizia di una lex alearia, che qualcuno
daterebbe intorno al 204 a.C.
Non se ne ha il testo, ma si può ritenere che essa colpisse i giocatori
d’azzardo penalmente e civilmente.
Nel libro XIX ad edictum di Paolo
1
si ricordava un senatoconsulto in cui
si ribadiva il divieto di giocare d’azzardo, ma si faceva una deroga a
favore degli sportivi che avessero interessato il giuoco agonistico, al
quale partecipavano, promettendo di penalizzarsi di una certa somma a
favore del vincitore.
Di data incerta sono le due leggi de aleatoribus : la Titia e la Publicia.
Esse autorizzavano le sponsiones, cioè le scommesse, dei terzi estranei
alla competizione agonistica, sull’esito della medesima.
Quindi il diritto romano ben distingueva tra le due ipotesi.
1
D. 11, 5, 2, 1
3
Una deroga, di natura sostanzialmente consuetudinaria, veniva fatta da
Roma anche in occasione dei Saturnalia in dicembre, durante i quali
erano tollerate manifestazioni vietate e punite durante l’anno.
Per i giuochi aleatori esisteva un ordinamento retto da un codice d’onore,
che si era venuto instaurando fra i giocatori fino dai tempi più antichi.
Esso aveva come presupposto una moralità particolare per cui anche i
debiti di giuoco, che la legge non riconosceva e per i quali non dava
alcuna azione a tutela del creditore dovevano essere onorati.
Si trattava di obbligazioni naturali improprie, fondate soprattutto
sull’impegno morale di pagare in caso di sconfitta.
Chi non onorava i propri debiti di giuoco non poteva essere in qualche
modo legalmente perseguito, ma accettava quella squalifica morale che
lo poneva al bando nella società dei giocatori d’azzardo.
E’ da credersi che, invece, i debiti contratti durante i Saturnalia fossero
produttori di legittimi effetti giuridici.
Lo si può dedurre da quanto accadeva nei Comuni Italiani, ove
quell’usanza resistette durante il Medioevo.
La legislazione statutaria di parecchie città, infatti, pur essendo
dichiaratamente contraria ai giuochi d’azzardo, li autorizzava durante le
feste natalizie, pasquali, o di calendimaggio, o estive o patronali.
4
In tal maniera non faceva che legittimare una consuetudine che le leggi
emanate per impedire il giuoco d’azzardo non erano riuscite ad estirpare.
Nel Medioevo, fin dal secolo VIII, molti statuti proibirono il giuoco
d’azzardo e spesso tutti i giuochi anche d’abilità, ma con posta in denaro.
Si comminarono pene varie che prima furono in denaro e poi anche
l’esilio, il carcere, la berlina, la frusta e altre pene corporali, oltre la
confisca delle case in cui era avvenuto il giuoco.
I principali giuochi d’azzardo erano quelli dei dadi e quello delle tavole.
Le scommesse sportive furono ammesse sulla base del diritto romano e
con l’estendersi dell’attività economica, non mancò di essere attuata su
scala sempre maggiore una forma singolare di scommessa, quella
assicurativa, in rapporto soprattutto all’esito dei viaggi marittimi.
Non si facevano scommesse legate al verificarsi di un fatto puramente
aleatorio, ma le parti contraenti usavano o imponevano tutte le cautele
possibili per ridurre il rischio.
Come nella previsione dell’esito di un incontro agonistico, così in quella
relativa al buon esito di un viaggio marittimo venivano valutati
molteplici elementi di fatto e si teneva conto d’esperienze precedenti, in
modo che il premio della scommessa potesse essere effettivamente in
rapporto all’alea che era corsa.
5
Così mancava all’assicurazione almeno in parte il carattere di contratto
del tutto aleatorio.
Il dilagare del giuoco, ormai entrato nel costume, aveva orientato la
Chiesa verso una certa tolleranza.
In riferimento ai giuochi d’azzardo essa rinviava alle norme civili, per
questo giocare era da considerarsi peccato mortale là ove era vietato, e
cosa moralmente lecita là ove era concesso.
Dettò tuttavia alcuni precetti: è da considerarsi peccato mortale giocare
d’azzardo con persone giuridicamente incapaci ad obbligarsi, con
parenti, o con persone costrette con la paura, il giuoco di sacerdoti, frati
e religiosi che arrischiassero somme elevate, e il tenere comportamento
troppo astuto o addirittura fraudolento.
I precetti della Chiesa in materia erano rivolti più a dare norme di
carattere morale, che a valutare il giuoco d’azzardo sotto il profilo del
danno sociale che esso può arrecare.
In seguito, nel secolo XVIII e nella prima metà del secolo XIX la
proibizione fu limitata ai soli giuochi d’azzardo e per lo più le pene
furono mitigate al più con una multa.
Il codice penale sardo – italiano del 1859, nell’art. 474, stabiliva: sono
vietati tutti i giochi d’azzardo e d’invito nei quali la vincita e la perdita
6
dipende dalla mera sorte, senza che vi abbia parte o combinazione di
mente, o destrezza od agilità di corpo e, con l’art. 475 puniva col carcere
da tre mesi ad un anno, oltre ad una multa da lire cento a lire seicento
“coloro che, o in case ove concorre il pubblico, od in case private,
terranno giuochi d’azzardo e d’invito, ammettendovi indistintamente
qualunque persona od anche solamente chi si presenta a nome o per
opera degli interessati.
Queste pene avranno luogo contro i colpevoli suddetti, siano essi i
banchieri, gli amministratori od agenti, od in altra maniera interessati ai
giuochi stessi ”.
L’art. 476 puniva i semplici giocatori con la multa estensibile a lire
seicento e l’art. 477 assoggettava alle pene di cui all’art. 475 “coloro che
prestano o concedono per l’esercizio dei giuochi d’azzardo e d’invito, la
casa, o bottega, o locanda, o bettola, od altro luogo di loro uso o
proprietà. Qualora però a costoro sia stata usata violenza per costringerli
a permettere o non impedire il giuoco, non soggiaceranno a pena, se di
tale violenza, appena cessata avranno fatto formale denunzia”.
Il codice Zanardelli, approvato con r.d. 30 giugno 1889, n. 6133
disciplinava agli artt. 484-487 i giuochi d’azzardo al capo I, tit. III, lb.III.
7
Tali disposizioni costituiscono l’immediato antecedente degli artt. 718-
722 cod. pen. vig..
2
2
Pioletti,Il giuoco nel diritto penale, 1970, 20
8
1.2 NOZIONE ED ELEMENTI DEL GIUOCO D’AZZARDO
La nozione del giuoco d’azzardo è data dall’art. 721 cod. pen., che
stabilisce: “Sono giuochi d’azzardo quelli nei quali ricorre il fine di lucro
e la vincita o la perdita è interamente o quasi interamente aleatoria”.
Il riferimento alla vincita od alla perdita comporta che giuoco d’azzardo
può essere soltanto quello nel quale “si costituisce un rapporto tra due o
più persone (giochino o non giochino tutte) poiché soltanto in tal caso si
possono avere vincite o perdite”.
3
Per aversi giuoco d’azzardo è necessario il concorso di due elementi,
l’uno di carattere oggettivo, l’aleatorietà della vincita o della perdita,
inerente al giuoco stesso, l’altro di carattere soggettivo, il fine di lucro
della persona che lo esercita.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza dominanti, la valutazione
normativa dei due elementi del giuoco d’azzardo non è dissociabile in
termini di priorità, ma è unitaria e inscindibile ed entrambi gli elementi
concorrono in pari modo a caratterizzare il giuoco d’azzardo.
I giuochi aleatori praticati non per fine di lucro, sono meri giuochi di
sorte, di fortuna, ma non d’azzardo; allo stesso modo, non sono giuochi
3
Manzini, Trattato di Diritto penale, vol. X, 962
9
d’azzardo quelli praticati per fine di lucro, il cui esito non sia tuttavia
rimesso (interamente o quasi) all’aleatorietà, ma dipenda dall’abilità dei
giocatori.
4
A) Esaminando per primo l’elemento dell’alea notiamo che per aversi
giuoco d’azzardo si richiede che la vincita o la perdita sia interamente o
quasi interamente aleatoria, dipenda in pratica interamente o quasi
interamente dal caso, dalla sorte e non dalla perizia del giocatore.
Nel codice sardo-italiano si volle che la sorte dominasse interamente sui
giuochi d’azzardo che furono definiti quelli “….. nei quali la vincita e la
perdita dipende dalla mera sorte, senza che vi abbia parte o
combinazione di mente, o destrezza od agilità di corpo ”.
In realtà pochi sono i giuochi nei quali non abbia una qualche influenza
l’iniziativa del giocatore.
Tra giuoco di sorte ed abilità non è possibile elevare una barriera netta ed
è stata opportuno l’allargamento della nozione di giuoco d’azzardo, fatta
sia dal codice abrogato sia da quello vigente, anche a quei giuochi in cui
la vincita o la perdita è “quasi interamente “ aleatoria.
4
Cass. Pen sez. III, sent. n. 1738 del 26 febbraio 1983, CED 157637
10
Sarà aleatorio sia quel giuoco in cui la vincita o la perdita dipenda
interamente dal caso sia quello in cui il fortuito sia notevolmente
preponderante sull’abilità.
D’altra parte non sono aleatori non solo i giuochi d’abilità ma anche
quelli in cui vi sia una mixtura ingenii et fortunae, quando l’abilità abbia
un’efficacia apprezzabile sull’esito del giuoco.
Il giuoco deve essere considerato aleatorio o d’abilità con criteri
obiettivi, avendo cioè riguardo alle condizioni normali e generali del
giuoco che si vuol definire senza considerare le condizioni particolari in
cui per avventura può svolgersi.
L’aleatorietà di un giuoco non può essere esclusa per l’abilità
eccezionale dei singoli giocatori, che riescano a prevedere con una certa
approssimazione il giuoco dell’avversario.
Sono aleatori quei giuochi che normalmente e per loro natura dipendono
dal caso senza che nulla possa l’abilità del giocatore.
L’accertare se in un determinato giuoco la vincita o la perdita sia
interamente o quasi interamente aleatoria costituisce indagine di fatto,
che compete al giudice di merito, da eseguirsi caso per caso tenendo
conto delle regole e delle combinazioni del giuoco stesso; regole che
11
devono essere considerate non solo nella loro astrattezza, ma anche con
riguardo alla loro concreta applicazione.
5
B) L’ altro elemento richiesto per la sussistenza del giuoco d’azzardo è il
fine di lucro.
Tale fine si ha tutte le volte che il giuoco è esercitato con lo scopo di
conseguire vantaggi economicamente valutabili (danaro o altra utilità ),
senza che sia necessario il loro effettivo conseguimento essendo
sufficiente che il giuoco abbia come scopo immediato il vantaggio
economico, giacché la legge colpisce l’intenzione piuttosto che il
risultato e senza la necessità che il fine di lucro sia presente
contemporaneamente nei tenutari, negli agevolatori e nei partecipanti al
giuoco, essendone sufficiente il riscontro almeno in questi ultimi.
6
Nulla osta a che si configuri il fine di lucro qualora il denaro o le altre
cose non siano materialmente esposte, potendosi giocare anche sulla
parola. Non sarebbe invece configurabile il giuoco d’azzardo nei casi in
cui sia oggettivamente impossibile l’esposizione materiale del bene in
giuoco; si pensi ad un bene immobile. Il fine di lucro non ricorre tutte le
5
In giurisprudenza: Cass. 28 gennaio 1969, in Mass. Decis. Pen. Cass., 1969, CED 110653
In dottrina : MAZZA , Giochi d’azzardo e proibiti nel diritto penale , Dpen,V, 1991, 410
6
BERNARDI, Note critiche sulla giurisprudenza in materia di giuochi d’azzardo, Riv. it. dir e proc.
pen., 1982, 413
12
volte in cui la posta consista in una soddisfazione morale o in
un’umiliazione.
Lo scopo mediato della destinazione della vincita, ad esempio ad opere
di beneficenza, non vale ad escludere il fine di lucro.
Controversa è la determinazione del limite al di là del quale non possa
dirsi integrato il fine di lucro.
La dottrina e la giurisprudenza sono state a lungo divise in ordine
all’incidenza della tenuità della posta in giuoco sulla sussistenza del
fine di lucro. Secondo l’orientamento della giurisprudenza
tradizionale, la tenuità della posta non esclude il fine di lucro,
necessario per aversi giuoco d’azzardo ai sensi dell’art. 721 cod. pen..
Il fine di lucro non potrebbe essere escluso neanche nei casi in cui la
posta sia modesta e in ogni caso destinata all’impiego per l’acquisto di
consumazioni, come caffè, vivande etc.
La legge prescinde dall’entità e dalla natura della posta impegnata nel
giuoco stesso, della quale ultima tiene conto come circostanza
aggravante se è di notevole ammontare.
7
In dottrina l’orientamento dominante ritiene, al contrario, che le piccole
poste escludono il fine di lucro “ poiché servono solo a dare maggiore
7
Cass. Pen. sez. III, sent. n. 1784 del 21 febbraio 198, CED 168005
13
vivacità al giuoco, suscitando l’interesse e l’amor proprio dei giocatori,
come segno tangibile di vincita e perdita ” e finalizzano il giuoco al mero
divertimento, e non al perseguimento di un guadagno.
8
Si deve tener conto che il concetto d’esiguità della posta è relativo e deve
essere considerato anche avendo riguardo alla condizione delle persone e
ad altre circostanze, quali ad esempio le modalità del giuoco e la celerità
delle partite, perché anche una posta particolarmente esigua ripetuta più
volte può portare ad un complesso di poste la cui somma sia non
indifferente. Il fine di lucro deve inoltre essere escluso quando le vincite
siano preventivamente destinate a ricoprire le spese del giuoco, perché in
tal caso viene a mancare ogni ipotetico vantaggio economico. Se si tratta
di spese notevoli, inerenti alla stessa organizzazione del giuoco, importa
una concreta utilizzazione economica del giuoco, che si riallaccia alla
nozione del fine di lucro.
L’accertamento dell’esistenza del fine di lucro, come l’accertamento
dell’aleatorietà del giuoco costituisce indagine di fatto, che spetta al
giudice di merito
9
,
da eseguirsi valutando sia la tenuità o meno della
posta sia le condizioni dei giocatori, sia le modalità del giuoco ed ogni
altra circostanza.
8
PIOLETTI, op. cit., 30 ss.
9
Cass. Pen. 19 maggio 1949,in Cass. Pen., II, 590
14
Esistono giuochi che per loro natura sono tali da dover necessariamente
essere esercitati per fine di lucro, con esclusione d’ogni altra finalità: si
pensi alla zecchinetta (o zecchinetto) che consiste nel pescare dal mazzo
una carta, che potrà essere vincente o perdente, senza alcun’altra attività
del giocatore, oppure alle slot machines, che consentono al giocatore
unicamente di innescare il giuoco per poi attendere di conoscere quale
sia la sequenza finale d’immagini che si materializza visivamente, senza
potere in alcun modo incidere su di essa.
In altri casi (si pensi al giuoco del Bridge) l’abilità del giocatore assume
rilevanza assorbente rispetto al caso fortuito, ed il giuoco può essere
praticato non soltanto per fini di lucro (ponendo in giuoco somme di
denaro rilevanti), ma anche per mero divertimento, senza scopo di lucro
(ponendo in giuoco poste esigue).
L’accertamento della sussistenza del fine di lucro costituisce indagine di
fatto, di competenza del giudice di merito, e la relativa valutazione è
insindacabile in sede di legittimità se è ispirata a corretti principi, ed è
esaurientemente e coerentemente motivata.
10
In particolare, ai fini della prova del fine di lucro il giudice dovrà tener
conto di una serie d’indici sintomatici, quali:
10
Cass. Pen. sez. IV, sent. 9 febbraio 1966, Pecorari, in La sett. Giur. 1966, III, 273
15
- la natura della posta in giuoco
- il luogo dove il giuoco si svolge
- la durata del giuoco, e la frequenza con la quale le vincite o le perdite si
susseguono
- le modalità d’organizzazione del giuoco (la professionalità che può
essere attestata dalla divisione dei compiti tra i tenutari e più in
generale tra gli organizzatori es. presenza stabile di un croupier).
- l’identità dei giocatori ( se il giuoco si svolge tra familiari o amici
oppure in un altro contesto).
- l’entità della posta, che va valutata in relazione alle capacità
patrimoniali dei singoli giocatori.