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pure lui ha scelto di apparire, e non solo sporadicamente, in tv (anche lui locali e non).
Ripercorrendo la storia di Brera per verificare se la sua figura sia stata fondamentale per la tv così
come per la carta stampata, ho voluto tornare anche sulle sue battaglie (contro i colleghi Antonio
Ghirelli, Luigi Palumbo, Giovanni Arpino) per vedere se in un certo senso abbiano qualcosa in
comune con quelle di oggi in tv. Un modo anche per ripercorrere la storia del giornalismo sportivo
dagli anni Sessanta ad oggi.
Via via che procedevo con il lavoro e facevo le interviste sono emersi dei temi che non
avevo intenzione di trattare. Gli argomenti Qui Studio a Voi Stadio (storica trasmissione sportiva
locale) e Aldo Biscardi (giornalista sportivo) sono stati toccati troppe volte perché non concedessi
almeno uno spazio.
Infine nell‟appendice ci sono per intero le mie ventuno interviste ai giornalisti, lasciate nella
formula classica domanda e risposta.
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PARTE PRIMA
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Capitolo 1
Le trasmissioni delle tv locali hanno cambiato il giornalismo sportivo
della carta stampata?
Il giornalismo sportivo in Italia è messo male. Tre importanti (forse le firme più autorevoli)
giornalisti sportivi italiani descrivono una situazione che è poco rassicurante.
“L‟urlo – scrive Gianni Mura - ha cancellato la parola, l‟iperbole la normalità, la passionalità la
passione, la faziosità il ragionamento. In passato qualche eccesso c‟è stato, ma adesso è la regola.
[…] C‟è molta omologazione in giro”. A fare autocritica ci pensa Roberto Beccantini: “La mia
generazione ha fallito: il sottoscritto in testa. Consegniamo ai giovani uno sport malato e un calcio
più marcio di quello che ricevemmo in eredità dai Brera e dagli Zanetti. Ci sono troppi conflitti di
interessi. […] Il rotocalco è diventato borotalco. Si usa troppa cipria. La faziosità ha sbriciolato il
Piave della credibilità. Va di moda l‟incompetente di successo. Le domande normalmente serie
vengono considerate attentati di lesa maestà. Mancano, nel giornalismo sportivo, cronisti d‟assalto
capaci di condurre inchieste come Dio comanda. Prova ne sia, il doping: fu Zeman ad aprire le
farmacie. Un allenatore, non un giornalista. […]scrivete sempre quello che avete paura di scrivere.
La mia generazione ha pronunciato troppi sì e pochi no”.
Mario Sconcerti ricorda pure lui i tempi che furono: “Com‟è lontano il tempo in cui i
cronisti di politica o di economia copiavano i loro colleghi sportivi. Per migliorarsi”.
C‟è da chiedersi quindi di chi sia la colpa, se la situazione è questa. E quello che ho
domandato ai giornalisti che ho intervistato. L‟abbassamento di livello del giornalismo sportivo è
dovuto anche alle trasmissioni sportive trasmesse dalle tv locali: una metà degli intervistati è
colpevolista, l‟altra non lo è e cerca da un‟altra parte i motivi di questo degrado.
Non sembra dunque essere tutto figlio della sentenza 202 con la quale la Corte
Costituzionale dichiarò legittime le emittenti private operanti via etere “di portata non eccedente
l‟ambito locale”. Era il 28 luglio 1976, finiva il monopolio Rai. In quegli anni il volto del
giornalismo sportivo cominciò, per una cosa o per l‟altra, a cambiare. Prima era diverso. Per
Sebastiano Vernazza “negli anni Sessanta e Settanta, in Italia il massimo della trasgressione tele-
calcistica era rappresentato dalla tv svizzera, dove le telecronache delle partite erano affidate a
Giuseppe Albertini, un signore che diceva punto anziché gol e che non cambiava tono di voce
neppure di fronte a una rovesciata di Cruijff con triplo salto mortale incorporato”.
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Emanuele Gamba è colpevolista nei confronti delle tv locali, ma fa un discorso più ampio: è la
televisione in generale, non soltanto le emittenti locali, ad avere trasformato il modo di fare il
mestiere del giornalista. “Non soltanto nello sport, ma anche negli altri settori del giornalismo, la
stampa scritta si è appiattita sul modello televisivo. Lo ha copiato anziché fargli concorrenza, e non
a caso l‟Italia è il paese europeo in cui si vendono meno quotidiani e non soltanto per la storica
ritrosia dell‟italiano a dedicarsi alla lettura. La televisione ha imposto un modello di superficialità
che si è man mano esteso alle redazioni dove, a causa di una specie di circolo vizioso, si è
moltiplicato lo spazio a vantaggio dei tribuni televisivi: si pensa che se fanno audience, possono
contribuire anche a vendere più copie. In televisione prevale il dibattito sterile, urlato e limitato a
pochissimi temi (quindi a pochissime squadre, nel caso del calcio): i giornali si sono adeguati. Il
concetto di approfondimento ormai è sconosciuto. Del resto, se i giornalisti sono sempre in
televisione e quasi mai allo stadio, o al campo d‟allenamento, come possono aggiornare le loro
conoscenze?”. È d‟accordo con Gamba il suo collega di Repubblica, Andrea Sorrentino: “Senz‟altro
il livello si è abbassato e senz‟altro la colpa è di certe trasmissioni, dal Processo in giù. La continua
ricerca del titolo sulla polemica del giorno, che affligge i giornali da alcuni anni, è figlia del
successo di pubblico di certe trasmissioni. Praticamente tutti i giornali hanno abboccato all‟amo,
andando dietro alla tv, e ora ne vediamo le conseguenze”. Ma per Sorrentino la colpa è anche della
stampa. “L‟errore è ovviamente dei giornali, che dovrebbero mantenere un livello più alto rispetto a
certe immondizie”. La tv è un brutto modello che il giornalismo ha voluto seguire, anche nei
quotidiani: è la tesi di Italo Cucci. “Il giornalismo sportivo ha certo subito l‟esempio televisivo, ma
è andato oltre con le sue gambe e le sue teste. Non dimentichiamo che le famose Bombe di Mosca -
scoop di mercato proposti da Maurizio Mosca spesso in chiave paradossale – hanno trasformato i
quotidiani sportivi in bombe quotidiane. Svolta storica di un settore che, pur fra tante difficoltà, non
aveva mai rinunciato all‟intelligenza”.
Anche per Gianni Mura le trasmissioni delle locali hanno condizionato il giornalismo
sportivo “negativamente. In economia si dice che la moneta cattiva scaccia quella buona. Nel
giornalismo è la stessa cosa. Il livello sempre più basso e sempre più gridato (o drogato) dell‟
informazione sportiva si spiega anche così”. Non solo colpa delle tv, ma anche di “scelte editoriali
sbagliate. Abbiamo anche noi i nostri ultras, tirano il sasso e nascondono la mano”. E aggiunge:
“Anticipo un danno prodotto da queste trasmissioni. Per il pubblico, Mosca è un giornalista, Corno
e Crudeli sono giornalisti. E lo sono, innegabilmente, ma il secondo passaggio è arbitrario. Questo
passaggio: tutti i giornalisti sono così. Gente che non si sovrappone, non urla, non insulta non fa il
gioco della trasmissione, quindi non viene invitata. E comunque (parlo per me) se anche la
invitassero non ci andrebbe, vista la compagnia di giro”.
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Colpevolista anche Giancarlo Dotto. “Giornali sportivi e comunque il giornalismo sportivo
hanno assunto negli anni la disinvoltura assoluta come metodo, nel riportare le notizie, nel tracciare
titoli e profili. Titolo strillato oggi, domani è già smentito dai fatti, ma non importa, si riparte in
un‟altra direzione. E‟ un gioco al massacro ormai accettato da tutti”. Ma non è solo colpa della tv.
“A forza di urlare – mi ha risposto Maurizio Crosetti - e di inseguire la tivù in ogni piega dei
palinsesti, dei linguaggi e degli argomenti, una parte non esigua del giornalismo scritto si è
involgarita. Ma chi l‟ ha fatto, era già molto dotato di suo. Possedeva, intendo, una forte
predisposizione naturale”.
Per Gianpiero Scevola “il livello del giornalismo si è abbassato perché è andato di pari passo
coi tempi. Cambiano gli usi e i costumi, è cambiato anche il modo di fare giornalismo. È
un‟evoluzione naturale, ma non è detto che sia meglio, anzi, tutt‟altro. Certe trasmissioni (vedi
quelle di Biscardi) hanno poi accentuato negativamente questo cattivo andazzo, con un modo urlato
che ha portato qualche giornalista a comportarsi così anche nella scrittura”.
Per Giorgio Micheletti la tv ha modificato il modo di fare giornalismo sulla carta stampata.
Ma non necessariamente in negativo. “Almeno nel trattar l‟argomento con un altro linguaggio. Un
linguaggio che sia molto più vicino al parlato che allo scritto, un linguaggio che se si vuole è stato
contaminato dall‟unità di misura della tv, che è il tempo, a scapito di quella dei giornali, che è lo
spazio. Sicuramente poi i giornali hanno anche subito una sorta di sollecitazione nella trattazione
della notizia dato che non puoi ignorare la presa che un argomento ha in tv. Perché ignorare qualche
cosa che ti fa vendere copie, soprattutto se la sera prima ha fatto fare numeri alla televisione?
Esempio: se faccio (ovviamente in una tv che abbia un peso specifico notevole) una trasmissione
sul rientro di Adriano, il giornale sa che ne deve parlare dato che il giorno dopo il telespettatore
diventa lettore e si aspetta di trovare, tanto o poco che sia, un accenno all‟argomento della sera
prima”.
Beccantini invece, molto duro nel tracciare il quadro della situazione del giornalismo sportivo, non
è assolutamente colpevolista nei confronti della tv. “Il declino del giornalismo sportivo è colpa di
noi giornalisti sportivi. Mai confondere il contenitore (talk show, giornali, eccetera) con il
contenuto”. Massimo Norrito punta il dito sulle scelte editoriali. “Ci sono giornali che fanno di certe
scelte di campo una loro precisa linea editoriale. Le trasmissioni c‟entrano poco. Per fortuna ci sono
ancora giornali che fanno lo sport in un certo tipo e anche, purtroppo rare eccezioni, trasmissioni
che non urlano. Nella stragrande maggioranza dei casi però chiunque si mette in mano un
microfono, va in onda senza fare distinzione tra uno studio televisivo e una curva dello stadio”.
Per Ivan Zazzaroni è colpa “dello scadimento della qualità dei giornalisti, della mancanza di
scuole e maestri, di artigiani veri. Colpa degli editori, anche: hanno privato i giornali