Introduzione
Sono in molti a pensare che la stampa italiana rifletta molti difetti tipici della società italica; Piero
Ottone parlava di troppa superficialità ,poca inventiva , qualità queste, presenti e molto diffuse tra i
giornalisti del bel paese. La stampa è messa seriamente in difficoltà da fattori molto importanti
come la concorrenza televisiva , ma ancor di più dalla debolezza delle strutture editoriali in quanto
operanti in un contesto legislativo più che mai confuso a differenza di altri paesi - continua Ottone
1
.Si è parlato e scritto molto negli ultimi anni dello stato attuale della stampa italiana ,usando
spesso il termine “crisi”. Lo scopo del presente lavoro non è quello di continuare questo dibattito,
ma soffermarsi su un argomento che è sempre stato affrontato in modo frammentario eppure, risulta
un nodo cruciale per capire il panorama odierno dei giornali italiani, ovvero la storica assenza dei
giornali popolari.
Alla luce dei grandi cambiamenti in atto nell’era dell’ società dell'informazione”; la progressiva e
rapidissima tecnologizzazione dei media, divenuti ormai più personali che “mass oriented”, il
crescente divario tra chi è già ricco di informazione e chi lo è sempre di meno, è importante capire
cosa fa il giornalismo in Italia, paragonandolo con quello degli altri paesi. E’ necessario un
confronto da cui trarre delle conclusioni. Se il livello di democrazia e modernità di un paese si
misura ancora , in questo scorcio di inizio millennio, dalle copie di giornali venduti, se è vero che
“senza una stampa seria …..non esiste una democrazia matura”
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allora le intenzioni di questo lavoro
non sono del tutto sbagliate.
Per prima cosa cercheremo di dare una definizione di giornale popolare attraverso le diverse
accezioni che il termine “popolare” contiene in sè; quella legata all’audience, quella politica e
quella estetica. Noi le utilizzeremo come sfondo per parlare poi specificatamente della stampa
1
P. Ottone, in Jader Jacobelli, Check-up del giornalismo italiano,Laterza, Roma-Bari 1995,pp110-111
2
A. Polito,Cool Britannia,Donzelli Editore, 1998,p35
popolare, tracciando una breve storia della sua nascita in Inghilterra nel XIX° secolo.
Parleremo del “Sun”, il più popolare dei tabloid, e delle caratteristiche estetiche e sociologiche di
questo tipo di stampa.
Poi passeremo ai tentativi fallimentari in Italia, ripercorrendo tutti gli esempi di tabloid che ci sono
stati nel corso della storia del giornalismo italiano(dalla “Notte” all’ “Occhio”, al
“Telelegiornale”).Analizzando il loro fallimento e le possibili ragioni. Una parte interessante, poi,
sarà quella che riguarderà il ruolo della stampa sportiva e dei settimanali, che rappresentano una
delle ragioni dell’ assenza dei giornali popolari nel nostro paese.
Da qui scaturirà un confronto con la stampa inglese e tedesca, dove vedremo la netta
contrapposizione tra giornali d’élite e tabloid.
I Capitolo
Una definizione di giornale popolare.
Che cosa si intende per “popolare”?
Per capire che cosa sia un “giornale popolare”, è necessario cercare di analizzare il termine nella
lingua inglese che lo ha generato in tutte le sue sfaccettature. Non è un compito semplice , data la
contraddittorietà del termine, ma è necessario per affrontare nel migliore dei modi il seguente
lavoro.
Etimologicamente “popolare” ha a che fare con il popolo, ma è pressoché superfluo sottolineare
che questo non comprende ogni singolo individuo e che numerose sono le distinzioni da fare….Ci
sono almeno tre comuni accezioni nelle quali il termine è stato utilizzato.Un primo intuitivo senso
da attribuire alla nozione di “popolare è legato alla sua corrispondenza con l’entità dell’audience.
Così un prodotto giornalistico come The Sun con una vendita giornaliera di circa quattro milioni di
copie, può essere definito più “popolare” del The Times che ne vende solo quattrocentomila…
Questo, dunque, è quello che noi chiamiamo il senso “quantitativo”del termine; gli altri due
significati sono molto più complessi: si possono definire “politico” ed “estetico” rispettivamente…
Le posizioni di Stuart Hall e John Fiske sono forse le discussioni sul “popolare” più famose e degne
di attenzione in tutto il mondo di lingua inglese. Nonostante molte affinità, esse sono, infatti,
piuttosto diverse e hanno i loro principali centri d’interesse rispettivamente nella sfera politica e in
quella estetica.
La teoria di Hall deriva direttamente da Laclau e Gramsci,
1
e così guarda indietro ad una delle tante
versioni del socialismo marxista, mentre Fiske sembra essere legato più fortemente a de Certeau e
Foucalt, quindi alla tradizione anarchica europea…
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Le classi sociali, e in particolare la borghesia e
il proletariato, non hanno un’esistenza empirica, ma sono astrazioni teoretiche che comunque
1
Stuart Hall , la cultura e il potere:conversazione sui cultural studies, Meltemi,Roma,2007, pp.26-29
2
John Fiske , Understanding popular culture, Routlege, London , 1989, p.43
servono a descrivere i modi di produzione storicamente possibili: nel capitalismo avanzato questi
due gruppi rappresentano le “classi storiche”, le cui forme alternative di organizzazione sociale,
oggettivamente possibili, sono quelle del capitalismo e del socialismo.Ma in realtà nella vita
politica concreta esistono raggruppamenti più o meno eterogenei, piuttosto che classi vere e proprie,
che possono essere “catturati” alternativamente da una delle suddette configurazioni. Nella realtà
politica di una società moderna i due effettivi poli di opposizione sono il “popolo” e la cerchia del
potere da cui deriva la classe dirigente; da questa opposizione dipende il rapporto tra le forze
politiche in gioco.
Il popolo può stringere alleanze sia con i gruppi dominanti che con la classe operaia, che, a loro
volta, devono avere la sicurezza che la loro “interpellanza” domini. Ciò può accadere solo
attraverso una lotta ideologica : gli elementi particolari di ogni ideologia non sono esclusivamente
legati ad una sola classe sociale, infatti diversi elementi ideologici possono essere articolati secondo
la natura della classe a cui si vogliono riferire in un dato momento: per esempio, il nazionalismo
riferito alla classe dominante diventa ideologia borghese, mentre se posto in relazione al proletariato,
si trasforma in ideologia proletaria.
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Il meccanismo grazie al quale questa “articolazione” è possibile, è chiamato da Hall “interpellation”,
mezzo con il quale una data ideologia si offre ed è accettata da un particolare gruppo sociale, in
qualità di espressione dei suoi interessi. Per essere accettata da un grande pubblico, piuttosto che
semplicemente da una singola classe, un’ideologia deve avere la più ampia forma di “interpellanza”
possibile:deve essere “popolare”.Nel caso in cui una delle classi contrapposte riesca ad “interpellare”
altri gruppi può anche arrivare a dominare i processi politici fondamentali, diventando così la classe
egemonica. Non c’è, però, una garanzia automatica che il “popolare” sia anche “progressista”: la
forma dominante di “popolare” in Gran Bretagna, quando Hall stava sviluppando le sue
osservazioni critiche (dopo essere diventato professore di sociologia all'Open University nel 1979)
3
S.Hall , La cultura e il potere , cit. pp.36-37
si può chiamare, per esempio, “autoritarismo popolare”.
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Fu, infatti, la Thatcher a costruire
un’ ”interpellanza di successo”, mentre la sinistra fallì nel produrre un’alternativa definizione di
“popolare”. Gli sforzi di Hall erano tesi ad incentivare la costituzione di una nuova formazione
ideologica sul versante politico della sinistra, che fosse in grado di legare il “popolare” a tale
schieramento, in opposizione alla formazione dominante di allora
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… Nonostante la forza retorica
con cui Hall porta avanti le sue tesi, esiste, un punto debole nella sua trattazione…. Se l’ideologia
effettivamente qualifica gli individui o i gruppi sociali come “soggetti”, come si può parlare di
questi al di fuori dell’ideologia? In ultima analisi, pare non esserci in questa teoria spazio per
l’attività autonoma (“self-activity”), sia della classe operaia sia di qualsiasi altro gruppo
sociale….Gli artefatti della cultura popolare sono parte di ciò che costituisce la soggettività degli
individui: essi in se stessi non hanno attività né produttività. La “politica del popolare” viene così
ridotta alle attività di coloro che parlano dell’ideologia dall’esterno, costruendo una versione del
“popolare” che è collegata ad un progetto politico “reazionario” o “progressista”.
Fiske offre una prospettiva completamente diversa da quella di Stuart Hall; nella versione di Fiske,
il popolare è una costruzione interamente soggettiva. La sensibilità popolare, secondo Fiske, ha il
potere di trasformare gli artefatti commercializzati della cultura di massa in “luoghi di resistenza nei
confronti del power- bloc e dell’ordine culturale sociale e politico dominante.
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La vita quotidiana è satura di questi microscopici elementi di attività oppositiva del popolo.Il
momento di resistenza non risiede nella natura dei testi culturali che sono disponibili, poiché questi
sono prodotti esclusivamente per il profitto di grandi corporazioni, oggettivamente lontane dal
popolo, ma è il momento del consumo che rende possibile la produttività della cultura popolare.
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Dagli assunti di Fiske si deduce che il “popolare” s’identifica semplicemente e univocamente con il
“progressismo”, e non c’è spazio, quindi, per la possibilità di un “popolare reazionario”,
4
Ivi , pp.45-48
5
Ivi, p.56
6
J.Fiske , Understanding popular culture, cit. pp.159-168
7
Ivi , p.32
contemplata invece da Hall… In conclusione , il “popolare” si presenta come una categoria
attraversata da correnti politiche diverse, alcune tendenti alla sovversività tattica, altre alla
complicità con le strategie dei potenti e altre ancora votate all’aperta rivolta… Estrapolare un
qualsiasi significato”serio” dalle letture popolari presuppone il riconoscimento di un meccanismo
che ci permetta di distinguerle. Tali discriminazioni devono essere basate sulla consapevolezza che
la “struttura oggettiva” dei testi ha almeno qualche influenza sul tipo di produttività possibile in un
contesto popolare. La polisemicità di un testo non implica la sua disponibilità a qualunque
interpretazione. Più concretamente, il senso che le persone attingono dai giornali dipende, almeno
parzialmente, da cosa i giornalisti vi hanno scritto.
Breve storia del “giornale popolare”.
“ La storia della stampa popolare del XIX secolo deve essere centrata, in realtà, sullo sviluppo del
“giornale della domenica”, il cosiddetto “Sunday paper”, che presenta, ancora oggi, numerosi tratti
distintivi rispetto ai quotidiani.
Al fine di comprendere il “Sunday paper” nella sua qualità di forma culturale, con la sua specifica
selezione di contenuti, è necessaria una previa comprensione di certe caratteristiche generali della
cultura popolare urbana presa nel suo insieme.
L’esatta estensione dell’alfabetizzazione nel XIX secolo è impossibile da quantificare.Una prima
testimonianza, comunque, è costituita dalla frequenza scolastica; è stato calcolato che nel 1816 circa
875,000 ragazzi – su un potenziale di 1,500,000 – frequentavano qualche tipo di scuola e nel 1835
divennero 1,450,000 – su un potenziale di 1,750,000. Ma fu solo alla fine del secolo che
virtualmente tutti i ragazzi frequentavano una scuola fino all’età di dodici anni.Un altro tipo di dati
utili, ai fini di questa ricostruzione, potrebbero essere quelli relativi alla capacità di firmare il
registro matrimoniale: nel 1839 il 58% degli iscritti erano in grado di scrivere il proprio nome e
cognome, cifra che quasi decuplicata nel 1893. Eppure non si può pensare che lo sviluppo di una