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comizi elettorali del tempo: la questione sul divorzio e quella
sull'aborto.
Nel 1971 arriva il primo scossone alla grande famiglia dei
quotidiani cosiddetti "familiari", con l'ingresso nel mondo della
stampa cartacea del Manifesto, in formato "tabloid", senza
pubblicità e posto in vendita a 50 lire anziché a 90 come gli
altri quotidiani. Dopo un primo brillante successo, però anche
questa nuova testata di sinistra vede calare le proprie vendite,
così si vede costretta a togliere il veto alla pubblicità per
riuscire a finanziarsi e rimanere in piedi.
Ma l'importanza di questo giornale la si riscontra
soprattutto nel suo dare il via ad un vero e proprio movimento
di nuova stampa di denuncia antigovernativa; l'anno successivo,
infatti, si dà alle stampe Lotta continua, un tabloid particolare
che usa titoli-slogan, vignette pungenti e brevi articoli per
compiere la propria denuncia e le proprie contestazioni; il
"pezzo" breve e mirato, contrapposto alla prolissità delle grandi
testate nazionali, riscuote molto successo tra i giovani militanti
della sinistra che acquista il giornale. Due anni più tardi viene
alla luce un altro quotidiano di questo stesso filone, Il
Quotidiano dei lavoratori, anche se dovrà cessare le
pubblicazioni solo cinque anni più tardi. In verità fra tutti
questi esempi, solo Il Manifesto è riuscito a sopravvivere alle
sempre più pressanti richieste di mercato della concorrenza
giornalistica, anche se probabilmente testate come Lotta
continua hanno smesso le pubblicazioni perché avevano cessato
la loro essenziale ragione di esistere.
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Il "clima rosso".
Sono anni caldi, questi, sconvolti dal terrore che le "faide
rosse" seminano in tutta la nazione e culminati con il rapimento
e l'assassinio di colui che più di ogni altro si era battuto per
l'ingresso comunista al governo; l'on. Aldo Moro. Durante il
rapimento Moro, il giornale di Scalfari, come la maggior parte
dei quotidiani nazionali più importanti quali il Corriere della
sera, La Stampa, Il Messaggero, sceglie la linea della fermezza
anche se segue con occhio critico la linea trattativista seguita
dal Psi di Craxi. E' veramente un periodo particolare questo per
la stampa italiana; vi è una netta spaccatura fra le testate che si
vogliono battere per lo "scendere a patti" con i brigatisti per la
liberazione dello statista e quelli che invece si allineano con la
fermezza del governo Andreotti. "Trattiamo", urla via etere
Radio Radicale, seguita dalla voce ufficiale del partito
socialista e dai due estremisti Manifesto e Lotta Continua.
Il governo non chiede ai giornali di schierarsi da una parte
o dall'altra, ma prevale in tutte le altre testate lo scetticismo
per un episodio tanto assurdo quanto cruciale; Moro, è risaputo,
è colui che più di ogni altro tesse la trama per arrivare al
compromesso storico con il partito comunista di Berlinguer,
patto aspramente osteggiato da buona parte della democrazia
cristiana. Il momento politico della Dc, oltretutto, è grave;
nonostante il notevole balzo alle politiche del 1976, si
prospetta un avvicinamento troppo marcato da parte dello stesso
partito comunista, capace ora di far sentire la propria voce in
una eventuale presenza al governo. Bisogna dare un segno
tangibile del fatto che la vera democrazia in Italia è in pericolo
e Moro probabilmente è la vittima designata per far tornare gli
equilibri al Palazzo, grazie anche agli "inviti" marcati che
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arrivano dagli Stati Uniti, preoccupati per una eventuale
presenza al governo del Pci
Ed infatti il segnale di tale riequilibrio lo si può notare nei
risultati delle elezioni amministrative parziali del 14 maggio
(pochi giorni dopo l'assassinio di Moro); la Dc si avvantaggia
dell'ondata emotiva che ha accompagnato l'assassinio dell'ex
presidente del consiglio, guadagnando gran parte del terreno
perduto politicamente in precedenza, mentre il partito
comunista paga a caro prezzo la condotta troppo accomodante,
tenuta in quei drammatici giorni, nei confronti del governo. Le
posizioni sono ristabilite!
I giornali di allora, però, non riescono a capire, (o sono
costretti ad adeguarsi al sistema), quali subdoli giochi di potere
stanno avvenendo in quel periodo e, anche se la stampa attuale
comincia a nutrire forti sospetti su ciò che è effettivamente
accaduto, la vicenda Moro è tutt'altro che risolta.
***
E' lo stesso giornalismo che viene scosso dai "colpi" di
stampo brigatista rivolti a grandi firme della carta stampata;
dal 1977 al 1980 numerosi attentati vengono indirizzati ad
importanti penne di testate nazionali come Indro Montanelli,
rimasto fortunatamente illeso, o altri meno fortunati del
direttore del Giornale, come Walter Tobagi, giovane inviato del
Corriere della sera, o Mino Pecorelli, direttore del settimanale
scandalistico "OP", attentati che non possono non aver avuto
ripercussioni sui metodi di far giornalismo dei loro colleghi. Si
cerca di fermare con la violenza il giudizio di commentatori
troppo "moderati" o decisamente ostili alla politica di sinistra.
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I quotidiani "stile di vita": La Repubblica, Il Manifesto,
Il Giornale.
All'inizio degli anni '70 prende sempre più il sopravvento,
fra i quotidiani il cosiddetto giornale "stile di vita", che va
gradualmente a soppiantare il quotidiano "tradizionale".
La storia del giornalismo italiano si è sempre
contraddistinta per una fondamentale differenza dal giornalismo
anglosassone e cioè quella del privilegiare le opinioni alle
notizie. Questo tipico modo di fare giornalismo risale al
periodo dell'unità d'Italia, quando la stampa moderna sente il
bisogno di educare il lettore allo spirito nazionale che deve
contraddistinguere le coscienze degli italiani. Quindi il
giornalismo italiano fa da vero e proprio educatore per quanto
riguarda la politica da seguire e da propugnare fra i cittadini,
cercando in tutti i modi di costruire la notizia a seconda del
lettore che ne prenderà possesso.
Non a caso The Economist, in un articolo del 18 marzo
1967, inquadra in modo molto schematico ma decisamente
chiaro, il modo di fare giornalismo italiano, e in una singola
frase riassume tutto il pensiero che l'opinione pubblica
straniera ha del nostro modo di fare informazione; "In
Inghilterra le notizie sono sacre, le opinioni sono libere; in
Italia le notizie sono libere, le opinioni sono sacre".
Il periodo post-unitario vede la nascita di numerose testate
nelle varie città, e molte di queste sono fondate grazie
all'appoggio di piccoli esponenti politici, che cercano di
accaparrarsi buona parte dell'elettorato facendo leva sul mezzo
di informazione più diffuso; ogni giornale cerca di identificarsi
con il proprio modello politico, anche se deve subire la
fragilità del mercato della carta stampata. La professione del
giornalista si identifica sempre più con l'appartenenza ad un
ceto politicizzato, non si dà una vera e propria informazione; si
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pongono le basi per quello che verrà definito il "giornalismo
militante", e che tanta fortuna avrà nel nostro paese.
Viene così in parte spiegato il perché del nostro tipo di
giornalismo perennemente schierato politicamente; bisogna
sottolineare che le aperture del mercato degli anni successivi
vedranno un maggior grado d'indipendenza del sistema
giornalistico rispetto alle logiche e agli ambienti di partito,
anche se si riscontra in modo molto limitato.
Fino alla fine degli anni '60, quindi, la nostra stampa
quotidiana ha mantenuto queste prerogative basilari di fare
giornalismo; la regionalizzazione che subisce il nostro
giornalismo moderno, e di cui parleremo più approfonditamente
in seguito, deriverebbe quindi dal modello d'informazione del
periodo post-unitario, che subisce una vera e propria
rivoluzione solamente con l'ingresso sul mercato dei cosiddetti
giornali "stile di vita" quali Il Manifesto, Il Giornale, e La
Repubblica, i quali smantellano la tradizionale impostazione
per regioni e si installano in tutto il territorio, puntando
decisamente ad un giornalismo rivolto all'approfondimento. I
toni piuttosto compassati che si possono trovare su testate
prestigiose quali il Corriere, vengono rigettati dalle nuove
testate; non si opera solo sull'approfondimento, ma si scardina
la notizia con un intervento deciso da parte del "Columnist", un
intervento che, in una stagione difficile come quella degli anni
'70, trova campo fertile. La connotazione politica di queste
testate si riconosce con il lettore-tipo, che può avere una
visione personale del mondo che lo circonda, e questa visione
personale la ritrova decisamente fra le pagine del giornale che
il mattino si appresta ad acquistare.
E' per questo motivo che i nuovi quotidiani, in edicola
dagli anni '70, vengono definiti giornali "stile di vita", perché
il lettore non si riconosce più geograficamente, come accadeva
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in precedenza con i giornali tradizionali, ma politicamente, non
intendendo con questo termine il riconoscersi del lettore con il
partito politico al quale la nuova testata fa riferimento, ma più
in generale alla condivisione dei valori che il giornale ha con i
propri lettori. Ormai si ha un vero e proprio rapporto di fiducia
fra quello che è un nuovo tipo di giornale-partito (inteso non
solo politicamente, ma soprattutto come ideologia sociale) e il
nuovo lettore politicizzato, che si riconosce più in uno stile di
vita che di appartenenza territoriale.
Indipendenti, ma non neutrali.
Scalfari si schiera decisamente a favore del "compromesso
storico", sostenendo questa linea politica in ogni suo
intervento; facendo ciò, egli compie subito una scelta di campo
e lo dichiara apertamente nel primo editoriale del suo giornale,
affermando che il suo è un quotidiano fatto da uomini che
appartengono alla sinistra italiana. Ed anche se dichiara il suo
La Repubblica un giornale indipendente, si affretta subito dopo
a specificare che non per questo il suo è un quotidiano
"neutrale".
Solo due anni prima era nato Il Giornale Nuovo (solo più
tardi semplificherà la testata in Il Giornale) di Montanelli, su
posizioni politiche totalmente differenti da quelle della
Repubblica, quasi che il giornale di Scalfari dovesse nascere
per contrastare in modo pratico le eventuali ingerenze
politiche del grande Indro. E' vero, il "moderatismo"de Il
Giornale lo si riscontra soprattutto nella sua totale
indisponibilità a vedere nel compromesso storico fra Dc e Pci
una capace via d'uscita per la politica italiana, e proprio questa
è una delle numerose differenze che lo distinguono dal giornale
di Scalfari favorevole all'accordo; ma bisogna precisare che
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quando Montanelli dà vita al proprio quotidiano, lo fa per
contrastare soprattutto la linea giornalistica del Corriere della
sera, proponendosi subito come l'anti-corriere, come un
giornale che si rivolge ai lettori che "non ne possono più".
Inoltre la nascita de Il Giornale rientra in una complicata
operazione editoriale del presidente della MONTEDISON
Eugenio Cefis, vicino all'ambiente democristiano il quale tenta
una nascosta entrata nel mondo dell'editoria, fornendo il
capitale a Montanelli per fondare il nuovo quotidiano milanese,
comprando nello stesso anno Il Messaggero ed entrando al
Corriere della Sera elargendo liquidi alla famiglia Rizzoli
indispensabili per acquistare il quotidiano di Via Solferino. E'
una mossa azzardata ma fruttifera, visto l'importanza politica
che ha la carta stampata in quegli anni.
Anche Il Giornale di Montanelli compie una importante
opera di rinnovamento nel giornalismo degli anni '70, anche se
non rischia, come farà due anni dopo Scalfari, un nuovo tipo di
impostazione grafica; infatti la formula del nuovo quotidiano
milanese non si discosta di molto da quella del "Corrierone",
tranne che per la presenza dei necrologi per beneficenza e
dell'ampio spazio dato alle lettere del pubblico.
***
Il Manifesto, Il Giornale Nuovo, La Repubblica, sono, come
abbiamo visto, giornali che contribuiscono in modo
determinante a quella svolta editoriale che i quotidiani
subiscono fra la metà degli anni '70 e la metà degli anni '80 e
che continua tuttora ad avere ripercussioni in un tipo di
giornalismo sempre meno informativo e sempre più di inchiesta.
Prima della comparsa sul mercato dei quotidiani di queste
tre rivoluzionarie testate il giornalismo italiano aveva sempre
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subito il fascino del giornale regionalizzato, dove il lettore
poteva trovare le notizie nazionali per andare irrimediabilmente
a cercare i fatti della propria regione nella parte finale o
centrale del quotidiano stesso; anche i giornali cosiddetti
"nazionali", quali Il Corriere della Sera o La Stampa, Il
Messaggero o Il Mattino, erano contraddistinti dalla regione
d'appartenenza; Milano o Torino, Roma o Napoli. Avevano sì
una diffusione su tutto il territorio, ma più ci si allontanava
dalla zona di appartenenza, minore era il numero delle copie
vendute. Nonostante tutto, la mancanza di giornali forti, capaci
di contrastare l'egemonia pluridecennale di queste grandi
testate, ha permesso di continuare un oligopolio giornalistico
che poteva essere scalfito solamente da una nuova testata
veramente innovativa.
E' per questo motivo che Scalfari va a rompere un
giocattolo che pareva indistruttibile; Il suo quotidiano si stende
su tutto il territorio e, anche se si stampa a Roma, non ha
quella regionalità propria dei tipici giornali nazionali italiani.
La necessità di un "secondo giornale"
La denominazione che viene data al quotidiano dal suo
stesso direttore nel primo numero, quella di "secondo giornale",
rispecchia la differenza fondamentale che si vuole dare a
Repubblica rispetto agli altri giornali nazionali. Lo stesso
Scalfari annuncia che vuole ritagliare dalla massa del pubblico
la classe dirigente, prendendo come riferimento non il reddito
ma il ruolo esercitato nella società; studenti, quadri sindacali,
imprenditori, funzionari, insegnanti, politici locali e nazionali,
questi sono i ceti ai quali il direttore di Repubblica si rivolge.
E proprio a queste classi dirigenziali, Scalfari vuole fornire un
giornale di "seconda lettura", dove trovare gli approfondimenti
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riguardanti le notizie riportate nel "primo giornale" acquistato
dal lettore.
La prospettiva della redazione è quella di fare un giornale
che a differenza dei "grandi vecchi" del tempo ("Corrierone" e
Stampa in primis) si "sregionalizzi", e perda quella
identificazione settaria tipica dei giornali più importanti,
costruendo un quotidiano che non si limiti ad informare, ma che
cominci ad accentrare l'attenzione sui commenti, le opinioni e
le spiegazioni di determinati avvenimenti.
Scalfari vede prima di altri la stanchezza dei lettori per un
giornalismo cartaceo che si limita ad informare, rispettando
solamente le logiche di partito interne alle singole testate. In
Italia i quotidiani nazionali seguono la tradizione
pluridecennale della formula "Omnibus", cioè del "giornale per
tutti" che deve avere fra le proprie pagine i più svariati
argomenti in modo da coprire il maggior numero di tipi di
lettori, curando in modo esaustivo la cronaca locale a seconda
dell'appartenenza geografica di ogni testata.
La Repubblica, invece nasce come primo vero giornale
nazionale; Scalfari si rende conto che i mezzi di informazione
quali la radio e la televisione, stanno prendendo sempre più il
sopravvento con la loro "velocizzazione", entrando nelle case
degli italiani molto prima del quotidiano, fornendogli tutte le
notizie in tempo quasi reale. Alla mattina, il lettore non ha più
bisogno di essere informato su di un determinato avvenimento,
radio e televisione hanno già provveduto; ora, dopo un buon
caffè e una rilassante sigaretta, hanno bisogno di spiegazioni su
quel determinato fatto di cui hanno sentito parlare la sera
precedente nell'ultima edizione del telegiornale o del giornale
radio.
E Scalfari tenta di fornirgliela questa spiegazione,
cercando di rimanere il più "liberal" possibile, lontano dalle
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influenze di partito e facendo trovare fra le pagine del suo
quotidiano il maggior numero di commenti, opinioni ed
interviste, vagliando con occhio critico anche gli avvenimenti
che riguardano quell'area di sinistra alla quale il quotidiano si
collega. Se viene assassinato il presidente degli Stati Uniti,
quasi sicuramente il lettore lo ha già imparato il giorno prima;
ora ha bisogno di sapere altre cose dal giornale, come la
matrice di tale attentato, le ripercussioni politiche di tale
omicidio, la probabile storia che ha portato l'assassino o il
gruppo di assassini a compiere tale folle gesto. Sfogliando il
giornale, quindi, si cerca non l'assassinio o la cronistoria di
tale omicidio, che radio e televisione hanno già ampiamente
trattato la sera precedente, ma il perché storico-politico di
quell'atto.
***
Proprio per questo motivo le firme prestigiose che
compaiono nella Repubblica fin dalle prime uscite sono
numerosissime; da Andrea Barbato a Giorgio Bocca, da Miriam
Mafai allo stesso Scalfari, che non si limita a dirigere il
giornale facendo comparire il classico "Editoriale" in prima
pagina, ma raccogliendo personalmente interviste di commento
alla situazione politica. A loro spetta l'arduo compito di
"opinionare" sugli avvenimenti più disparati, cercando di
scrutare il più attentamente possibile fra le strette maglie che
legano politica, società e storia, non lesinando opinioni e
commenti molto personali. I cosiddetti "Columnist" diventano
sempre più numerosi nel corso della storia di Repubblica.
Compare da subito anche la penna "impertinente" di Giorgio
Forattini, che in una singola vignetta riesce a costruire un vero
e proprio commento a riguardo di un determinato avvenimento,
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in modo così sottile e pungente da guadagnare ben presto la
prima pagina del giornale; famosa rimarrà la sua caricatura di
Craxi con stivaloni e modi di fare da nuovo Duce.
***
Repubblica ha sempre avuto un rapporto molto particolare
con il partito socialista di Craxi, fin dal 1977, quando si
comincia a notare fra le pagine del giornale di Scalfari, un
rilevante occhio di riguardo per l'area comunista e per la sua
legittimazione come partito di governo. Questa nuova
posizione del giornale, con Scalfari che comincia a fare politica
vera e propria, scatena le ire dei socialisti e soprattutto del suo
"mussoliniano" segretario (secondo, appunto la rivisitazione del
vignettista di Repubblica), il quale comparirà sempre più spesso
nelle prime pagine del giornale in rigorosa "camicia nera". Non
a caso sull'Avanti del febbraio del 1978 si scriverà che il motto
di Repubblica è "Calunniate, calunniate, qualche cosa resterà",
mentre in giugno lo stesso organo di informazione socialista si
chiede se la Repubblica non sia l'organo ufficiale di stampa del
Pci e l'Unità un giornale fiancheggiatore. Il giornalista di
Repubblica per eccellenza da combattere per Craxi è Giampaolo
Pansa, che dalle pagine del giornale di Scalfari non perde
occasione di attaccare i vertici del garofano ed in particolar
modo del suo condottiero.
***
"La radio lancia la notizia, la televisione la mostra, ma
solo il giornale può spiegarla"; sembra questo il nuovo motto di
Scalfari, quasi una legge per il suo giornale come vero e
proprio strumento di risveglio delle coscienze italiane. Nel
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primo numero, ad esempio, compare una lunga intervista al
segretario del partito socialista De Martino, curata dallo stesso
direttore del quotidiano, dove vengono trattati e commentati, in
modo abbastanza analitico, i problemi intercorrenti fra le
direzioni del Psi e del Pci e delle cause che hanno portato alla
crisi del governo Moro. Non solo avvicinamento alla notizia,
quindi, da parte del lettore, ma quasi una partecipazione diretta
e indipendente esortata dallo stesso autore del pezzo. Anche lo
stile che il direttore del giornale usa risente di questo nuovo
modo di fare giornalismo; lo stile è colloquiale, quasi
romanzato, con descrizioni particolareggiate pure sul luogo
dell'intervista e con domande ben studiate rivolte in modo
molto informale. Ci si allontana in modo deciso dal vecchio e
caro modo di fare giornalismo delle più antiche testate
nazionali, per lasciare spazio prima al commento e all'opinione,
dando quasi per scontata la conoscenza della notizia da parte
del lettore.
Una nuova impostazione.
Scalfari lascia da parte la tradizionale impostazione
"omnibus" e decide di puntare sulle pagine che un lettore
sempre più "nazionale" e sempre meno "regionalizzato" si
aspetta di trovare in edicola. Il settimanale L'Espresso ha
fornito al direttore di Repubblica un buon campo di allenamento
per sperimentare questo giornalismo e proprio al modello del
periodico si rifa' Scalfari per "Settimanalizzare" il suo
quotidiano, secondo un termine tanto in voga alla fine degli
anni '80. Si punta su una titolazione a forte connotazione
politica, a meno che l'avvenimento non meriti la prima pagina
di grido; e proprio tra la prima pagina e le successive due si
alternano commenti e opinioni sulla situazione politica italiana;
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alla cronaca sono riservate solo due pagine, per poi passare ai
commenti e alle inchieste; scompare la classica "Terza pagina"
per fare posto ad un paginone centrale di cultura e spettacoli; la
cronaca locale, che tanta fortuna aveva portato ai grandi
giornali nazionali, si riduce sul quotidiano di Scalfari ad una
pagina che per "Par condicio" si dividono le due "capitali"
italiane: quella vera e propria, Roma e quella economica,
Milano. La parte finale del giornale è dedicata, in modo ampio,
all'economia e al sindacato anche perché la nuova classe di
lettori alla quale il quotidiano si rivolge è molto più
interessata che in passato ai problemi del proprio portafoglio e
dei propri diritti di lavoratore. Scompare quasi totalmente la
pagina sportiva, anche perché non si sente l'esigenza di fornire
ulteriori commenti ad una sezione già ampiamente coperta dai
tre quotidiani sportivi nazionali.
***
Ma anche l'impostazione grafica contribuisce alla
rivoluzione attuata dalla Repubblica al nuovo modello di
giornalismo italiano. Quando Scalfari decide di iniziare le
pubblicazioni del proprio quotidiano, la scelta più difficile è
quella riguardante il modello dell'impaginazione da adottare;
Non riesce a togliersi dalla testa l'idea di lanciarlo in una
nuova veste grafica, più maneggevole, differente da tutti gli
altri classici modelli italiani di quotidiani; quello del Tabloid.
La mossa rischia di essere azzardata, anche perché l'italiano
medio è famoso per il proprio tradizionalismo. Il timore di
Scalfari è quello di proporre un modello che un ipotetico lettore
rischia di non riconoscere come vero e proprio giornale, e
confonderlo con un semplice foglio di propaganda.
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Ma la redazione è tutta con il direttore, e dopo un breve
consulto si decide di uscire con questa nuova formula, più
maneggevole e meno ingombrante; in autobus, in treno e nei
luoghi affollati è possibile fare una prima lettura veloce del
giornale, senza infastidire nessuno, viste le dimensioni ridotte
del giornale stesso, e questo è un vantaggio non di poco conto
per lettori che hanno sempre meno tempo per leggere se non le
prime ore del mattino o le ultime della sera, prima e dopo il
lavoro; anche questo è da considerare fra i tanti motivi di
successo del giornale di Scalfari, Inoltre il lettore può anche
approfondire la lettura di alcuni argomenti, visto e considerato
che sia la prima che l'ultima pagina sono utilizzate non solo per
dare i titoli delle principali notizie della giornata, ma vengono
ampiamente utilizzate per commentare o discutere i principali
avvenimenti, politici e sociali, presenti sul quotidiano; la
regola diventa: poche notizie in prima pagina, ma già
decisamente approfondite. Il fatto poi che l'ultima pagina venga
utilizzata dal giornale di Scalfari per continuare un articolo
iniziato in prima pagina, permette al lettore di continuare e
concludere la lettura di un determinato argomento, senza dover
aprire lo stesso quotidiano, con conseguenti noie per eventuali
compagni di viaggio.
Anche la titolazione subisce un evidente cambiamento; non
si utilizza più il titolo informativo, presente nelle gloriose
testate quali Il Corriere della sera o La Stampa, ma si cerca di
stimolare il lettore con caratteri più marcati, che occupano
buona parte della prima pagina, capaci di dare oltre che una
vera e propria informazione, un vero e proprio commento con
tanto di spiegazione già nell'occhiello e nel sottotitolo; il titolo
quindi viene utilizzato in modo totalmente differente che in
precedenza, in poche parole si cerca di spiegare al lettore ciò
che poi verrà commentato più approfonditamente nell'articolo.