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Questo tipo di pubblicazione, fa notare Agostini, va considerata molto più
di un semplice esercizio di passioni storiche finalmente libere dalla
macchina redazionale. Si tratta di una vera e propria prosecuzione del
lavoro giornalistico stesso. Il pubblico cresce. Crescono le esigenze
d’informazione e s’affinano i modi di fruizione.
L’era dell’informazione non designa solo una grande valanga informativa
con rischio entropia, ma è soprattutto un menù variegato di prodotti per
diete mediali sempre più ricche e varie.
La visione apocalittica di un consumatore alienato e manovrabile è stata
da tempo smentita, ma oggi appare ancora più inverosimile. E’ chiaro per
tutti come il pubblico sia sempre più attento, differenziato ed esigente.
Il moltiplicarsi dei mezzi, la loro pervasività e la multimedialità
permettono fruizioni sempre più personalizzate. Così se le breaking news
possono raggiungerci in ogni momento sul telefonino ed il telegiornale si
può sbirciare comodamente da internet, non resta forse tempo e voglia
d’approfondire con diversi supporti - magari le pagine di un libro - gli
argomenti che altri mezzi ci pongono all’attenzione più sommariamente?
Il complesso rapporto tra i media, attinente dinamiche anche prettamente
economiche, non fa pensare forse che la paventata scomparsa
dell’approfondimento sia l’incapacità di scorgere la sua ridefinizione in
formati più concorrenziali?
Il giornalismo d’approfondimento non è scomparso: si sta ritagliando
nuovi spazi d’azione, nelle sue diverse declinazioni, nel quadro di un più
generale mutamento del giornalismo stesso.
È necessario porre una nuova attenzione a riguardo, abbandonando
stereotipi e luoghi comuni.
L’obiettivo di questo lavoro è tentare di rispondere alla richiesta di seria
riesamina dell’argomento inchiesta, avanzata da Angelo Agostini dalle
pagine di “Problemi dell’informazione” nel citato articolo.
L’opera è un resoconto delle condanne ricevute da una certa sinistra, che l’ha accusato di
un’inammissibile revisione della Resistenza, per le sue testimonianze su omicidi e
violenze perpetrate dai partigiani sul finire del conflitto. Un incontro di presentazione
tenutosi a Reggio Emilia lo scorso ottobre 2006 è stata teatro dell’ingresso di un gruppo
di militanti dei centri sociali decisi ad interrompere la riunione alla voce di “Bella ciao” e
“Revisionisti assassini”.
Indipendentemente da giudizi ideologici ecco una testimonianza di quanto un saggio di
questo tipo possa fare discutere toccando nervi scoperti della società italiana
contemporanea.
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Data la complessa trama d’influenze che caratterizza l’ambito di studio,
utilizzeremo un approccio il più possibile multitematico e organico.
Individuare i nuovi spazi di ridefinizione del giornalismo d’inchiesta passa
attraverso l’analisi dell’evoluzione dei media che storicamente l’hanno
ospitato e di quelli che ne hanno accolto le nuove sfide. Sarà necessario
allora approfondire i rapporti di reciproca influenza tra i mutamenti del
giornalismo e delle modalità di fruizione e quelli della dinamiche sociali,
economiche e politiche che hanno caratterizzato la seconda metà del
secolo scorso. Definiti i nuovi formati dell’inchiesta, resta da chiedersi
come mai non vengano riconosciuti quanto tali. Forse l’incapacità di
riconoscere la viva presenza dell’inchiesta passa attraverso una concezione
viziata di ciò che questo termine designa. E’ un problema ermeneutico.
Le nuove leve del giornalismo non condividono la stessa rappresentazione
mentale del termine. Qui entra in gioco il ruolo determinante di una
socializzazione alla cultura americana (in buona parte idealizzata), che fa
scambiare i risultati connessi ad particolar humus sociale con i fini stessi
dell’inchiesta giornalistica. La cultura anglosassone differisce
profondamente dalla nostra, nonostante una crescente esterofilia tenda
miopemente ad appiattire ogni fenomeno sul modello dominante.
Per riportare un quadro esauriente della fenomenologia del giornalismo
d’approfondimento in Italia è necessario vagliare anche le aberrazioni del
genere, che tanto materiale danno alla litania che vuole il giornalismo
d’inchiesta scomparso. Osserveremo così quella forma di asservimento di
parte degli operatori alla promozione di poteri forti. Per fini utilitaristici o
per scarse capacità professionali, prodotti di dubbia qualità abusano della
dicitura d’inchiesta. La questione si aggrava maggiormente quando la
promozione è inversa: non parlare della mafia significa appoggiare il suo
moderno gioco del silenzio. E’ necessario allora interrogarsi sul ruolo dei
giornalisti, soprattutto quelli d’inchiesta, nella società civile. Il dovere
professionale termina rispettando il diritto negativo (non fare del male)
oppure richiama anche quello positivo (fare del bene, quindi offrire al
cittadino il massimo delle informazioni possibili)? Il criterio della
notiziabilità è un deterrente? Ma allora, chi è responsabile della
notiziabilità e dell’agenda? A questo proposito ricordiamo il penetrante
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quesito posto da Agostini: sono le inchieste ad essere scomparse o è la
loro capacità di incidere sull’agenda? Una domanda dalle implicazioni
complesse, alla quale questa analisi cerca di rispondere.
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I La latitanza del giornalismo d’approfondimento in
Italia: un luogo comune da sfatare
1.1 L’inchiesta nell’era dell’informazione: la complessa
relazione tra i media
L’osservazione sociologica di quella che viene definita l’era
dell’informazione, ci ricorda come i media siano la principale agenzia di
socializzazione odierna. La crisi delle agenzie più tradizionali, quali la
famiglia, la scuola e la religione è identificabile in quest’ottica con
l’incapacità comunicativa che permette loro di legittimarsi. Questo non
significa certo che il loro ruolo sia stato completamente scalzato, ma è
innegabile come la pervasività dei media si sia loro affiancata, via via
ottenendo la posizione primaria. Lasciamo però ad altre sedi il dibattito
etico – sociale sulla morte delle Grandi narrazioni
2
e sull’incapacità delle
agenzie tradizionali d’imporsi come un tempo. La discussione è peraltro
interessante sotto molti altri punti di vista: semiotico, psicologico storico
ed economico. Ci soffermiamo qui ad una visione più generale della
complessa relazione tra i media, con un approccio d’insieme che possa
mettere in luce la situazione fattuale odierna. Ci sono ragioni ordinarie e
chiarificatorie che vale la pena ricordare per spiegare l’importanza dei
media nella società.
2
La definizione di Grandi narrazioni (o meta-narrazioni) è dovuta a Jean Francois
Lyotard. La sua teoria a riguardo sarà punto di riferimento per i più importanti dibattiti
sociologici e filosofici della fine del novecento. Nella sua opera più famosa “La
condizione post-moderna”(1979) egli teorizza la fine delle Grandi narrazioni come la
decadenza di tutti quei sistemi che impongono dogmaticamente una visione unica e
definitiva della realtà, cioè le istituzioni politiche, le leggi morali e le strutture religiose,
che perdono la loro indiscussa autorità. La caduta di questi elementi costrittivi, ma
fondamentali per l'orientamento dell'individuo, conduce il Soggetto Postmoderno verso la
perdita di sicurezza e anche di identità. Visto che la realtà non è più statica, ma si
presenta dinamica, in continua evoluzione e caratterizzata da tante facce, ecco che allora
definirsi stabilmente risulta un compito difficile per il Soggetto,che entra in crisi.
L'individuo è allora costretto ad operare una continua ed incessante ridefinizione del sè,
all'interno del tessuto sociale e culturale nel quale vive e si muove. Il post-moderno è
quindi l’era della dissoluzione di verità univoche e totalizzanti; la mediatizzazione della
società acuirà questo processo, fornendo al contempo nuovi luoghi identitari in cui
riconoscersi e da cui attingere.
La traduzione italiana di “La condition postmoderne”, “La condizione post-moderna è
pubblicata dal 1982 da Feltrinelli per la collana “Idee”.
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Questa è l’era dell’Information and comunication technology, governata
dai suoi linguaggi e dalle sue dinamiche. Determinate tecniche di
produzione, anche nel caso del giornalismo, predispongono altrettanto
correlate modalità di consumo. Volendo fare una breve ricognizione
storica, le basi dell’evoluzione tecnologica che ha portato alla società
mediatizzata odierna vengono già dall’ottocento e dalla sua rivoluzione
industriale: il giornalismo s’intreccia sempre più con le tecnologie che ne
rendono possibile la trasformazione. Il telegrafo elettrico (1844), la carta
in bobine, la rotativa (1847) e la linotype (1886) predispongono un nuovo
modo di lavorare: l’informazione diventa un fatto economico. Restano,
certo, le motivazioni sociali e politiche, ma finalmente si fa strada una
visione di mercato delle notizie. Se, per certi versi, questo può richiamare
il mercimonio dell’informazione, anatemi antiquati e moralistici non
tengono conto di quanto la diffusione di massa dell’informazione sia
meritevole di una democratizzazione della notizia. E la fabbrica dei sogni
che è il cinema? La radio, con la sua pervasività e poi la televisione, dea
pagana incontrastata dal Dopoguerra ad oggi? Con il definitivo passaggio
novecentesco dalla società del villaggio, fatta di rapporti diretti e di culture
chiuse, alla società planetaria [De Fleur-BallRockeach 1995] l’uomo
moderno ha potuto accedere ogni giorno ad una quantità d’informazioni
che nei secoli precedenti avrebbe potuto ottenere solo nell’arco di una vita.
Se i media sono oggi la nuova piazza di discussione e negoziazione
sociale, il World wide web contiene molte strade, vicoli e vie di questo
villaggio globale. Allo sviluppo della multimedialità sono legate
trasformazioni profonde che investono i rapporti interpersonali, il modo di
lavorare, di studiare, di produrre, di vivere. Concetti come partecipazione,
democrazia, politica, informazione, libertà, censura hanno un campo
semantico più ampio dopo internet [Pratellesi 2004: 9]. Meritevoli
dell’alfabetizzazione e della vicinanza totale, manipolatori delle menti o
giustizieri dei dispotici opinion leader da villaggio, i media configurano un
universo di fenomeni da trattare con molti approcci disciplinari, e la
serietà consapevole di quanto sia difficile mettere a fuoco un’area di cosi
grande rilevanza nella società contemporanea. Resta l’evidenza empirica
di una quotidianità intrisa di media.
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Il consolidarsi delle nuove tecnologie applicate alla comunicazione ha
permesso convergenza e contaminazione tra i mezzi. La tradizionale
fruizione isolata è stata superata dal consumo contemporaneo di più
prodotti. E’ infatti possibile - e cosa usuale per tutti - leggere contenuti
della stampa in rete, ascoltare la radio via streaming, ricevere notizie
personalizzate sul nostro cellulare.
Rilevante oltre al discorso sui mezzi è quello sui contenuti.Per la
televisione la pervasività è l’onnipresenza dei media hanno portato alla
commercializzazione ed a fenomeni di flusso, ovvero di prodotto
sostanzialmente indistinto e rivolto ai molti. Lo storico palinsesto è stato
scalzato per dare spazio ad una tv generalista, dal prodotto
fondamentalmente simile e riconoscibile, in cui si possa ben inserire e
cadenzare la pubblicità.
Lo stesso discorso vale per la radio. Tutto è funzionale alla fruizione libera
del mezzo. Ogni persona può crearsi il suo “palinsesto personale”,
decidendo modi e tempi di fruizione, potendo contare su un prodotto
sempre pronto, un fast food comunicativo. La stampa è stata investita dalla
tematizzazione. Questi fenomeni però sono coevi a qualcosa di segno
diverso: se è vero che il consumo è sempre più massiccio e senza grossi
limiti di tempo e luogo, è altrettanto vero che il consumatore, oltre
all’esposizione generica da riempitivo, si fa sempre più esigente. Viziato
dalla grande offerta, richiede prodotti sempre più specifici ed inerenti ai
suoi interessi, da fruire in momenti e modi diversi da quelli
dell’informazione mainstream.
La grande concorrenza, ormai mondiale, e la prospettiva di catturare
sempre maggiore audience è un buon incentivo per i produttori alla
diversificazione.La raccolta pubblicitaria è maggiore quanto più il
prodotto informativo sia targetizzato e il suo pubblico riconoscibile dagli
investitori.In quest’ottica il rapporto tra i media prevede una
pianificazione molto più accurata dei contenuti.
L’inchiesta è un genere particolare, ma esposto all’evoluzione non più
degli altri. Ogni genere è interessato ad una revisione del suo formato,
tanto più adesso che la diversificazione di consumo si fa strada. Non è
obiettivamente pensabile che nell’era della comunicazione in tempo reale
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un genere di peso come il giornalismo d’approfondimento possa stare
comodo in tutti i media. Questa querelle della fine del giornalismo
d’inchiesta ricorda vagamente la litania catastrofica che voleva l’avvento
di internet come la fine della carta stampata; non solo questo non è
avvenuto, ma quotidiani e settimanali stanno vivendo un momento di
rinnovato successo. Sono i formati che cambiano. La difficoltà è
riconoscerli. Nessuno nega che internet, ad esempio, sia la fonte prediletta
per le news di primo mattino per una grande maggioranza di consumatori,
ma dire che il quotidiano è stato soppiantato è una faciloneria. Il
quotidiano è cambiato. E’ evoluto come tutti i mezzi fanno per stare al
passo con le nuove esigenze dei consumatori.La complessa relazione tra i
media richiede loro capacità di inserirsi nelle nuove nicchie di mercato, di
riconoscere il proprio pubblico. Allontanandosi da prese di posizione gli
operatori devono dimostrate di saper esercitare il soft power
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, un potere
non basato sulla persuasione bensì sulla comprensione della realtà, su
strategie comunicative capaci di soddisfare le esigenze del pubblico.
L’inchiesta, genere quanto mai ricercato dai consumatori, va così ad
inserire in contesti più attuali. Un buon libro sembra essere un supporto
più piacevole per l’approfondimento delle pagine stropicciate di un
giornale o dello sfarfallio dello schermo di un pc.
3
Il termine di derivazione politica è stato coniato nel 1990 da John Nye, professore di
relazioni internazioni all’università di Harvard. E’ inteso come la capacità di convincere e
persuadere con grazie a risorse intangibili quali la cultura ed i valori. E’ contrapposto all’
”hard power”inteso come il classico potere oppositivo delle nazioni, basato su aspetti
incontrovertibili quali le capacità militari, il PIL e la reputazione di forza goduta nella
comunità internazionale. La ricchezza del soft power deriva dalla sua capacità di
diffondere cultura ed ottenere risultati senza l’oneroso ricorso alla forza. Le teorie di Nye
a riguardo sono esposte in “Bound to Lead: The Changing Nature of American Power.”
del 1990 e nella trattazione evoluta del concetto in “Soft Power: The Means to Success in
World Politics” del 2004, quest’ultimo tradotto da Einaudi nel 1995 : “Soft Power”,
collana Gli struzzi. Nye ha collaborato con il segretario della Difesa americano durante
l’amministrazione Clinton, ha preso spesso posizione contro la politica internazionale
americana.Con il soft power egli parla di armi di attrazione di massa, diplomazia, ovvero:
quando la guerra non si fa con le armi militari ma con i mezzi di comunicazione.
A proposito della sua visione strettamente politica Nye prende posizione a proposito dei
conflitti contro i Paesi arabi; egli propone di non puntare sull’affermazione di rapporti di
forza, quanto sulla proposizione di modelli di vita e di organizzazione dello stato che
possano affascinare i cittadini oppressi da sistemi di governo illiberali e totalitari,
alimentando così il dissenso interno e creando le condizioni per sovvertire l’ordinamento
dello stato.
Il termine s’è rapidamente diffuso all’ambito mediale e giornalistico per caratterizzare
quella particolare forma di diffusione della conoscenza capace di creare consenso intorno
ad una cultura condivisa, legittimata dalla verità e dai valori culturali che essa stessa
veicola.
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La questione non è certo solo materiale. Ogni prodotto mediale possiede
delle caratteristiche che lo rendono adatto ad un determinato consumo,
diverso per tempi e modi, per ruolo ed aspettative di cui il lettore lo
investe. Quanto più l’offerta mediale si fa ricca, tanto più si moltiplicano
gli stili di consumo.
1.2 Dinamiche economiche e sociali del cambiamento
Assodato che il giornalismo d’approfondimento non è scomparso, resta da
capire quali dinamiche ne hanno cambiato la forma tanto da renderlo non
individuabile ad una visione superficiale. Se consideriamo il problema
rispetto ai modelli fondamentali d’approccio alla realtà, le pratiche
professionali ed i generi del giornalismo, è facile notare come in Italia
l’individuazione di nuovi formati sia ostica. La prevalenza di pochi generi
standardizzati non deve far pensare che nella pratica reale della
professione non ci siano eccezioni. Il problema è perlopiù analitico. Chi
osserva i media tende a ricondurre la realtà a schemi mentali di come essa
è stata e dovrebbe essere, sottovalutando la velocità di cambiamento dei
prodotti informativi, le numerose sfumature, spesso determinate dal
bagaglio culturale del professionista e dalla singola organizzazione
redazionale, volendo ricondurre tutto alle logiche complessive del sistema
dei media. L’inchiesta in particolare soffre della forte codificazione di ciò
che essa non è: come un mito intoccabile sembra possa essere analizzata
solo in opposizione a lavori meno ricchi ed impegnativi come la cronaca.
Nella ricerca purista di lavori vecchio stampo, scoop rovescia -governi in
prima pagina con lunghe esposizioni frutto di anni d’indagine, si perdono
di vista i numerosi prodotti d’approfondimento che popolano i media
odierni.
L’analista attento saprà cogliere i tanti elaborati con tutti i crismi
dell’inchiesta in circolazione. Certo tutte queste nuove forme non hanno la
capacità di sistemizzarsi in modo palese. Agli occhi dell’osservatore
saltano più facilmente quei prodotti deprecabili camuffati da inchieste che
altro non sono che materiali d’archivio conditi da due o tre telefonate.