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INTRODUZIONE
Nell’ambito del percorso didattico del ciclo di studi iniziato nel 2005, numerosi sono
stati gli argomenti di rilievo in grado di attirare la mia attenzione, suscitando
progressivamente interesse e curiosità e, soprattutto, aiutandomi a crescere, come
donna e come futura insegnante.
A poco a poco ho avuto modo di conoscere nuove materie e di confrontarmi con
problematiche sconosciute che, ritengo, abbiano contribuito alla mia formazione in
misura rilevante. In particolare il “settore” pedagogico-sociologico-psicologico, con
tutta una serie di specifiche materie, oltre a garantire l’apprendimento di nozioni e
strumenti estremamente validi e durevoli nel tempo, mi ha consentito di acquisire la
peculiare forma mentis che, a mio giudizio, deve essere sempre punto di riferimento
nel guidare l’insegnante durante lo svolgimento della sua attività professionale.
Nel quadro di questo settore, l’esame “Metodologie del gioco e dell’animazione” mi
ha suggerito di effettuare alcuni approfondimenti e ricerche, svolti anche all’esterno
dell’Università, in contesti diversificati, ma tutti attuali. Così, ad esempio, ho appreso
che l’importanza del gioco è condivisa da alcune scuole di pensiero persino con
riferimento alle attività degli adulti: infatti, il cosiddetto “outdoor training”, inteso
quale insieme di attività giocose, svolte all’esterno delle aule convenzionali ed in
grado di sviluppare nei partecipanti una maggiore capacità di lavorare in gruppo ed
un’accresciuta padronanza del sé, è una metodologia didattica basata su presupposti
scientifici accertati in grado di rispondere validamente alle necessità formative delle
moderne organizzazioni, con specifico riferimento alla formazione dei
comportamenti. Inoltre, ho constatato come nella scuola del nostro Paese ancora
pochi sono gli spazi, le attrezzature ed i periodi dedicati al gioco dei bambini/ragazzi;
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al tempo stesso, piuttosto carente risulta l’utilizzo di metodiche giocose nell’ambito
del sistema d’insegnamento praticato.
Dal quadro d’insieme evidenziato, sono emersi alcuni margini di criticità riguardo
alla non ancora adeguata diffusione/applicazione di metodologie didattiche/formative
in grado di tenere nella giusta considerazione l’importanza delle attività ludiche per
lo sviluppo dell’identità del bambino/ragazzo.
Tali circostanze e l’esistenza del descritto sistema dell’“outdoor training” mi hanno
suggerito di considerare che se, almeno in alcuni contesti, la componente giocosa
viene utilizzata con risultati validi per gli adulti, allora, a maggior ragione deve fare
imprescindibilmente parte, seppure con modalità differenti, dell’universo
infantile/adolescenziale in misura sempre più significativa.
La tesi che propongo è nata con queste premesse e con l’idea di approfondire e
studiare dettagliatamente le problematiche connesse al tema del gioco nello sviluppo
del bambino con riferimento al sesso, alla costruzione dell’identità ed all’importanza
dell’attività ludica rispetto allo sviluppo dei ruoli sociali.
In concreto, nel primo capitolo, dopo una parte introduttiva, concernente la
storiografia e l’evoluzione del gioco, ho proposto alcune teorie sul gioco dei bambini
nell’età infantile e sino ai dieci anni, ponendo l’enfasi sugli aspetti più significativi.
Nel secondo capitolo, la trattazione è proseguita affrontando il problema della
costruzione dell’identità, con specifico riferimento alla caratterizzazione dell’uomo
da un punto di vista progettuale, culturale, simbolico, relazionale, sociale.
Successivamente ho esaminato le differenze di genere e i relativi fattori di influenza,
descrivendo i giochi dei bambini e delle bambine e le rispettive conseguenze sul
carattere. Nel terzo capitolo, il più tecnico e complesso, ho sviluppato il tema della
definizione di sesso e genere e quello della nascita del concetto di genere,
soffermandomi sulle differenze tra famiglia e gender con particolare riferimento alla
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costruzione del gender nel rapporto genitori-figli; inoltre, ho rappresentato le
differenze tra omogeneizzazione e differenziazione in relazione all’identità sessuale,
proponendo un confronto tra le teorie di Parsons e Mead riguardo al genere ed ai
ruoli sociali. Riguardo al primo punto, ho esposto il tema della specializzazione delle
responsabilità come condizione di stabilità del sistema-famiglia, mentre del secondo,
ho posto in risalto quello concernente la costruzione sociale del genere; infine, nella
parte conclusiva, ho definito il concetto di ruolo sociale e di status e la distanza dal
ruolo.
Nella fase di studio e di elaborazione della tesi la “centralità” del bambino ed il suo
interesse/benessere sono sempre stati al centro dell’attenzione.
Ho avuto modo di riflettere sulla circostanza che la realtà odierna, in costante, rapida
evoluzione, richiede agli studiosi del settore un particolare impegno motivazionale e
non comuni capacità di flessibilità ed aggiornamento, a garanzia di una
indispensabile contestualizzazione dei fenomeni sociali e delle problematiche del
singolo. Anche per questo motivo, nell’illustrazione delle teorie proposte, ho tentato
di coniugare, laddove compatibili, opinioni dottrinali parzialmente differenti.
Infine, ho approfondito teorie ed “insegnamenti” di alcuni autori che, per la capacità
di precorrere i tempi, la spiccata umanità ed il particolare tecnicismo risultano tuttora
validi. In merito al ruolo dell’educazione, ritengo condivisibile che esso debba essere
inteso con il duplice significato: quale aiuto a fare scoprire le proprie potenzialità alla
persona (e-ducere) e come sostegno a tale unicità all’interno della cultura sociale (in-
struere).
A conclusione dell’analisi svolta e fiduciosa che il momento dell’inizio
dell’insegnamento sia ormai prossimo sono convinta che, prima di proporre eventuali
soluzioni innovative, sia sempre necessario documentarsi, conoscere e valutare le
diverse teorie, verificarne con spirito critico, ove possibile, il fondamento e
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l’applicabilità sul piano concreto, chiedere sempre a se stessi di “pensare ed agire
secondo scienza e coscienza”, secondo le prerogative del ruolo dell’educatore adulto,
non soltanto per spirito di servizio, ma soprattutto nella consapevolezza che il
bambino di oggi diventerà l’uomo o la donna di domani.
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Capitolo Primo
IL GIOCO
1. Che cos’è il gioco?
Per crescere un bambino ha bisogno non solo di nutrirsi e di dormire ma anche di
giocare. Si tratta quindi di un’attività istintuale di tipo fisiologico, una necessità
vitale tanto che lo si può includere tra i bisogni primari e fondamentali dell’infanzia.
Il gioco, che accompagna il bambino nello sviluppo durante tutto il periodo
dell’infanzia, è un’attività tipicamente umana collegata ai periodi critici dello
sviluppo della consapevolezza di sé.
Secondo Huizinga “il gioco è un’azione o un’attività volontaria compiuta entro certi
limiti di tempo e spazio…accompagnato da un sentimento di tensione e gioia e dalla
coscienza di essere fuori dalla vita corrente”
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. Esso deriva da una libera scelta, è
gratuito perché viene svolto dal bambino in modo disinteressato e autotelico, cioè
non ha altro fine che in se stesso; al tempo stesso il gioco è sinonimo di spontaneità e
autonomia, sottratto al finalismo utilitario. La caratteristica del gioco di avere “una
finalità senza fine” è dimostrata da tutti quei movimenti dei quali i piccoli tanto
volentieri si compiacciono: gesti ed attività apparentemente senza ragione ma che,
invece, sono ricchi di significato e importanti anche per lo sviluppo della
deambulazione, della prensione, vocalizzi dai quali verrà più tardi la parola.
Come sottolinea la Montessori “Il bambino che gioca è un operaio che lavora”
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;
quello che gli adulti considerano un semplice trastullo privo di senso svolge invece
una fondamentale funzione civilizzante e antropologica che è quella di “costruire”
1
BANDET e SARAZANAS, Il bambino e i giocattoli, Armando Editore, Roma 1974
2
REGNI RANIERO, Infanzia e Società in Maria Montessori, Armando Editore,
Roma 2008
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l’uomo. La stessa richiama l’attenzione sull’importanza di questa attività seria,
chiamandola lavoro. Questo non è solo una necessità per la sopravvivenza, ma anche
un bisogno profondo della nostra specie. L’uomo e la donna sono esseri che agiscono
e per questo hanno un forte bisogno di movimento, tanto che “trovano addirittura
piacevole sudare”. I bambini non giocano, né lavorano nel senso adulto di questi due
termini: essi “giocano-lavorano”.
Per l’adulto si possono distinguere: il lavoro (attività seria, finalizzata, pianificata,
noiosa, spesso una condanna) ed il gioco (che coincide con l’ozio, con la festa, con le
ferie ed è spesso una fuga da se stessi e dai problemi è vissuto come qualcosa di
improduttivo e fittizio).
Invece il bambino concepisce il gioco, il lavoro e le attività ludiformi come un
tutt’uno; l’attitudine al lavoro rappresenta per il bambino un istinto vitale, perché
senza lavoro non si può organizzare la propria personalità, infatti l’uomo si
costruisce lavorando. Il giocare non è un modo distratto per trascorrere il tempo, ma
un’operosità che nasce dal suo stesso interno. Il gioco già racchiude in sé il germe
del lavoro in quanto, malgrado la sua gratuità, è vissuto come un impegno serio dal
bambino: pertanto, il suo lavoro è fatto di attività e cresce attraverso l’esperienza e
l’esercizio costante.
Quando il bambino lavora non lo fa per raggiungere uno scopo esterno come succede
invece per il lavoro dell’adulto, ma per scopi interiori. La cessazione del suo lavoro
non avviene per stanchezza, perché anzi una caratteristica del bambino è quella di
uscire dal proprio lavoro pienamente rafforzato e pieno di energia. L’attività del
bambino non segue la legge del minimo sforzo bensì una legge contraria, poiché egli
consuma una quantità enorme di energie in un lavoro senza scopo: il bambino non si
stanca lavorando perché con il lavoro cresce e aumenta la sua energia. L’adulto non
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ha capito questo segreto e pertanto gli impedisce di lavorare supponendo che il
riposo sia quel che gli giova per crescere meglio.
Il lavoro del bambino non ammette né ricompense né concessioni: è necessario che il
bambino compia da solo il suo lavoro di crescere. L’adulto deve aiutare il bambino,
ma affinché questi possa agire ed effettuare il proprio lavoro nel mondo. Il gioco-
lavoro diviene nel bambino un mezzo per comprendere la vita.
Tutta la personalità del bambino trova nel gioco la sua espressione, vi si scopre una
sorta di slancio, di appetito di vivere e di esistere, di energia vitale.
2. Storia del gioco
L’abitudine a giocare, rispondendo ad una insopprimibile esigenza umana, si perde
nella notte dei tempi.
Nelle sue più remote origini, il gioco infantile è probabilmente riconducibile a
funzioni rituali e a significati magico-religiosi o propiziatori come evidenziato da
Lévy-Bruhl. Nelle società primitive strumenti musicali come i sonagli e le nacchere
avevano lo scopo di esorcizzare e allontanare gli spiriti maligni; molte delle
canzoncine cantate dai bambini durante il gioco erano in realtà formule magiche. Le
culture primitive incoraggiavano giochi funzionali all’apprendimento di abilità e
tecniche indispensabili alla sopravvivenza del singolo o del gruppo. Inoltre i giochi si
configuravano come vere e proprie attività di acculturazione, che nella loro globalità
assumevano una connotazione pratica e quindi erano prevalentemente senso-motori,
di agilità e destrezza, manipolativi, imitativi, sociali, sfociando prevalentemente nel
lavoro. Ancora oggi, presso le popolazioni meno evolute, il gioco a carattere
imitativo e riproduttivo rappresenta per i membri non maturi della comunità un
canale privilegiato di apprendimento e di socializzazione.