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Premessa
Il presente lavoro nasce da una personale passione per il Sol Levante, un mondo estremamente
affascinante, misterioso e impenetrabile: molto lontano dall’Occidente, soprattutto per gli usi e
costumi, la lingua e le tradizioni.
Con questa premessa, ho quindi iniziato un’attività d’indagine all’interno del patrimonio
letterario del Novecento, nel tentativo di ricercare quali autori si siano recati in Giappone e ne
abbiano narrato nei loro scritti. Tra i viaggi dei vari autori, ho privilegiato il viaggio di Dino
Buzzati: approdato in Giappone nel 1963, come inviato di «terza pagina» per il «Corriere della
Sera», in occasione delle Olimpiadi di Tokyo del 1964 realizza quindici articoli, pubblicati lo
stesso anno dalla testata milanese. Buzzati, con il suo stile di scrittura inconfondibile, descrive
ciò che lo colpisce e lo impressiona del paese nipponico.
Di questi articoli, soltanto quattro sono stati ripubblicati nel 1972, dalla casa editrice Mondadori,
nel volume Cronache terrestri, a cura di Domenica Porzio; gli articoli rimanenti sono stati
affidati alle sole pagine del «Corriere della Sera». Ho perciò pensato di riproporre tutti e quindici
gli articoli in questa sede: si trovano nella sezione «Appendice». È stato inoltre aggiunto un
ulteriore articolo datato 28 Luglio 1964 dal titolo «Un Giappone nel Tigullio», nel quale Buzzati
incontra un ex diplomatico dell’Ambasciata italiana a Tokyo tornato in Italia, precisamente nel
Tigullio, dopo ben diciassette anni di onorabile servizio.
Il primo capitolo ricostruisce dal punto di vista storico la modalità con cui gli scrittori italiani, da
Gabriele d’Annunzio in poi, hanno narrato il Giappone e di conseguenza ciò che è stato
affrontato in letteratura e ciò che rimasto più in ombra.
Tra gli autori spicca senza dubbio Fosco Maraini, etnologo, antropologo, fotografo, colui che più
di tutti ha vissuto e raccontato il Giappone nei suoi otto lunghi anni di permanenza in Estremo
Oriente, prima in Hokkaido, poi a Kyoto e Nagoya e infine a Tokyo. E altri come Giovanni
Comisso ed Ercole Patti, inviati in Giappone durante il fascismo, Alberto Moravia negli anni
Cinquanta e ancora, negli anni intorno al viaggio di Buzzati, Italo Calvino e Alberto Arbasino.
Infine l’ultimo importantissimo autore: Goffredo Parise, con il saggio L’eleganza è frigida, degli
anni Ottanta.
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Capitolo 1. Gli scrittori italiani del Novecento in Giappone
L’atteggiamento relativo al viaggiare da parte degli scrittori italiani del Novecento non è
uniforme ed in generale è del tutto diverso rispetto ai colleghi europei.
Per alcuni il viaggio rappresenta un modo per sfuggire al tempo, al lento decadimento fisico e in
ultima analisi alla morte: una fuga, dalla quotidianità e dalla sofferenza.
1
Il viaggio per loro è
fonte vitale di rinnovamento e di stimoli continui; la noia è il loro principale nemico.
Sono scrittori che sentono la costante esigenza di restare attivi, non smettono mai di lavorare né
amano particolarmente distrarsi o riposarsi se non sempre tramite la scrittura. E per loro
viaggiare è perfetto, perché rappresenta un esercizio continuo che investe memoria e attenzione.
Ma se nell’immaginario collettivo, inserito nella letteratura europea, il viaggio è spesso sinonimo
di ricerca, di pace interiore, di verità e di scoperta ed esprime un desiderio di cambiamento
interiore, in alcuni letterati italiani il viaggio viene mal tollerato, quasi come una sorta di strappo
da quel luogo d’origine che viene considerato la “Madre patria”.
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Sono scrittori che si stancano a viaggiare, per loro è estremamente noioso tant’è che i loro viaggi
durano poco. Provano angoscia nel pernottare anche solo per un breve periodo in un altro luogo;
sono dei veri e propri anti-viaggiatori, non scrivono molto e perdi più controvoglia.
Ne consegue che, la maggior parte dei viaggi di questi scrittori verso l’Oriente è realizzata
restando sempre in qualche modo “attaccati” alla Madre: come inviati speciali o come invitati.
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Tranne poche eccezioni i viaggi in Oriente compiuti dai nostri scrittori sono stati tutti
commissionati e pagati da giornali o periodici. Il che, per uno scrittore significa provare un certo
disagio nel dover sempre tenere in considerazione il committente, ovvero il giornale. Restare
coerenti a precise direttive condiziona indirettamente la stesura degli scritti sul viaggio: manca
del tutto quel libero fluire di pensieri e di impressioni che nascono da un viaggio di piacere,
manca il carattere ludico.
Inoltre una pratica affligge i nostri letterati; in veste di inviati, si documentano in maniera precisa
su ciò che occorre visitare per poi descriverlo in maniera accurata nei loro articoli.
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Il risultato è
una moltitudine di descrizioni minuziose degli stessi luoghi. E questo atteggiamento contrasta
notevolmente con ciò che invece rappresenta la letteratura da viaggio negli altri paesi europei;
l’unione della narrativa con il saggio.
1
Angelo Pellegrino, Verso Oriente viaggi e letteratura degli scrittori italiani nei paesi orientali (1912-1982)
Biblioteca Biographica Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma, 1985, p. 1.
2
Ivi, p. 9.
3
Ivi, p. 10.
4
Ivi, p. 11.
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Ciò che manca a questi primi scrittori, è l’idea di viaggio intesa come esperienza di vita, di
arricchimento, di crescita letteraria e umana: viaggiare in quel preciso luogo per un motivo
preciso, perché quel momento specifico della propria esistenza lo ha richiesto.
Occorre attendere gli Sessanta per avere un cambiamento di rotta.
Questo atteggiamento di fondo influenza la scrittura di viaggio come genere letterario:
rappresenta infatti un filone minore rispetto alla narrativa con un annesso mercato di scarso
riscontro.
Proprio di diversa natura; fino agli anni Sessanta risulta essere il libro da viaggio. Quasi mai
esiste come “libro” vero e proprio, inteso come scrittura unitaria ma consiste in una semplice
operazione di rilegatura, ad opera di un editore dei vari articoli. Manca l’elemento di continuità,
a causa della frammentazione tipica della pubblicazione a puntate, il progredire del viaggio e il
come si è arrivato in quel posto; gli articoli presentano in questo modo brevi episodi isolati
dell’esperienza dell’autore.
Questa è tra le ragioni per cui l’Italia non possiede nella sua tradizione letteraria una letteratura
da viaggio che possa reggere il confronto con le letterature degli altri paesi.
Esiguo è soprattutto il numero di coloro che scrivono dei loro viaggi in Giappone tra gli inizi del
Novecento e gli anni Sessanta; anni in cui finalmente si smuovono le acque e vengono realizzati
importanti testi scritti e interessanti reportage.
Cronologicamente vi furono tra gli anni della Seconda Guerra Mondiale e fine anni Sessanta:
Giovanni Comisso (1930), Ercole Patti (1932), Alberto Moravia (1957 e 1967) e Dino Buzzati
(1963). Seguirono: Alberto Arbasino (1971) Italo Calvino (1976) Goffredo Parise (1980).
5
Occorre poi aprire una piccola parentesi per quanto riguarda una figura molto importante: Fosco
Maraini. In qualità non solo di letterato ma di antropologo, etnologo e per certi versi anche
artista, rappresenta uno tra i più grandi conoscitori del Sol Levante e dell’Asia all’interno del
Novecento.
I suoi viaggi sono numerosi, in contemporanea con i suoi studi di antropologo. Sono importanti
infatti gli studi condotti presso la tribù semi tribale Ainu, in Hokkaido, nel Giappone
settentrionale, alla fine degli anni Trenta. Ciò che emerge nelle sue opere non è soltanto uno
studio accurato degli usi e dei costumi orientali, ma veri e propri spaccati di vita quotidiana
vissuti all’interno di un altro mondo.
Ma oltre questa cerchia ristretta di autori, l’esperienza letteraria italiana in Giappone non va poi
tanto oltre.
5
Teresa Ciapparoni La Rocca, Scrittori italiani in Giappone, in «Quaderni Asiatici n.51», Milano 1999, p. 1
6
Con questa breve premessa occorre, quindi, illustrare dal punto di vista storico in che modo il
paese del Sol Levante viene narrato dai letterati del nostro paese.
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1.1 - I rapporti letterari di fine Ottocento e inizi Novecento tra Italia e Giappone
1.1.1 - Gabriele d’Annunzio, il primo japonisant
I rapporti diplomatici e formali tra l’Italia e il Giappone iniziano soltanto verso la fine
dell’Ottocento grazie alla restaurazione del potere imperiale e l’avvento dell’era Meiji (1868-
1912): un periodo cruciale per le sorti economiche, politiche e commerciali del paese.
Nel giro di poco più di quarant’anni infatti, il Giappone procede in una rapida evoluzione per
quanto concerne la modernizzazione; una modernizzazione che investe tutti gli aspetti di vita
quotidiana e che crea i presupposti per il passaggio da un sistema prevalentemente feudale, tipico
dell’era Tokugawa, all’industrializzazione. Un evento che permetterà al Giappone dell’età
moderna di divenire in una manciata di anni una vera e propria potenza mondiale.
In questo contesto storico avviene per la prima volta l’apertura dei porti commerciali di
Kanagawa, Nagasaki e Hakodate, grazie alla stipulazione del primo trattato tra il Regno d’Italia e
l’Impero Giapponese
1
: da qui in poi nasce tutta una fitta rete di scambi commerciali e di viaggi
sia in direzione dell’Europa che in Giappone. Unico comune denominatore è l’esplorazione
verso nuove culture, luoghi e atmosfere.
A viaggiare in terra nipponica sono prevalentemente diplomatici e ufficiali governativi, ma
anche intellettuali e artisti occidentali spesso chiamati proprio in quei luoghi dai funzionari del
governo locale grazie alle loro competenze.
L’atteggiamento ricorrente però, non si figura come uno studio accurato dell’Oriente, ma una
semplice attenzione e apprezzamento per l’aspetto esotico del paese nipponico.
Questo atteggiamento particolarmente frivolo, motiva tutt’oggi una conoscenza italiana piuttosto
lacunosa per quanto riguarda la cultura e la letteratura giapponese.
Tardive sono infatti le traduzioni delle opere dei grandi letterati giapponesi quali Mishima Yukio
Kawabata Yasunari e Osamu Dazai, non prima degli anni Cinquanta e rigorosamente
dall’inglese; soltanto negli anni Settanta vengono tradotti direttamente dal giapponese.
Diverso è invece l’atteggiamento dei letterati giapponesi nei confronti della nostra letteratura, in
particolare per Boccaccio e De Amicis ma, soprattutto per Dante. Dalla fine dell’Ottocento
infatti, sono presenti nelle riviste letterarie del periodo alcune opere italiane tradotte in lingua
1
Silvana De Maio, I diplomatici italiani in Giappone dal 1867 al 1915 in Studi in Onore di Luigi Polese Remaggi a
cura di Giorgio Amitrano Lucia Caterina, Giuseppe De Marco, Università degli studi di Napoli “L’Orientale”,
Dipartimento di Studi Asiatici, Series Minor LXIX, Napoli 2005, p. 133