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taiwanese.1 Questa classificazione risulta però essere un po’ imprecisa,
poiché tra i cinesi Han le statistiche governative inseriscono persone che
in realtà appartengono a diversi sottogruppi etnici, gli Hoklo e gli Hakka,
i quali costituiscono rispettativamente il 73% e il 17% dell’attuale popo-
lazione taiwanese e sono originari delle regioni meridionali della Cina. Il
restante 8%, ovvero ciò che avanza di quel 95% stimato dalle statistiche
governative è formato dai dàlùrén 大陸人 (abitanti della Cina continentale),
cioè i cinesi che si sono stabiliti a Taiwan dopo il 1945.2
A partire dal XIII secolo le popolazioni aborigene cominciarono ad assi-
stere all’arrivo delle prime esigue quantità di contadini cinesi che dalle
regioni meridionali della Cina cercarono di trasferirsi sull’isola di Taiwan
alla ricerca di nuove terre da coltivare, ma l’aggressività dimostrata da
queste tribù aborigene nel proteggere il proprio territorio dagli stranieri
non permise una vera e propria invasione di coloni cinesi fino al XVII
secolo. Fu infatti quando nel 1624 gli Olandesi si stanziarono sulla costa
occidentale di Taiwan trasformandola in una base per i loro traffici com-
merciali che cominciò ad essere incoraggiata l’immigrazione di lavoratori
provenienti dal Fujian e dal Guangdong e appartenenti per la maggior
parte alle etnie Hoklo e Hakka.3
Nel 1662 l’occupazione di Taiwan da parte degli Olandesi si concluse
con lo sbarco delle prime navi cinesi e nel 1683 i Qing decisero di
annettere formalmente l’isola all’Impero cinese, ponendola sotto la giuri-
sdizione della provincia del Fujian. I funzionari cinesi trascurarono però
di occuparsene finché un incidente che coinvolse anche il Giappone non
li convinse non solo dell’importanza strategica dell’isola, ma anche della
necessità di apportare delle riforme all’Impero: nel 1871 quattro navi
provenienti dalle isole Ryūkyū furono trascinate sulle coste sud-orientali
di Taiwan da un tifone e qui i loro equipaggi vennero uccisi da un gruppo
1 Ufficio Informazioni Governativo della Repubblica di Cina. <www.gio.gov.tw> (1 aprile 2010).
2 Hu Chinghui, “Most Hoklo and Hakka have Aboriginal genes, study finds”, Taipei Times, 21
novembre 2007. <http://www.taipeitimes.com/> (1 aprile 2010).
3 John E. Wills, “The Seventeenth-Century Transformation: Taiwan Under the Dutch and the
Cheng Regime”, in Murray A. Rubistein (a cura di), Taiwan: A New History, New York, M.E.
Sharpe, 2006, pp. 88-95.
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di aborigeni che li scambiò per nemici. Il fatto creò una crisi nei rapporti
tra le due potenze in quanto i Giapponesi rivendicarono un risarcimento,
sostenendo che i marinai uccisi fossero dei cittadini giapponesi e che la
Cina fosse responsabile in quanto incapace di amministrare un territorio
che proclamava appartenere al suo Impero. Pechino rispose alle accuse
negando la propria responsabilità e rifiutandosi di concedere un ri-
sarcimento ai Giapponesi dato che le isole Ryūkyū non erano un loro
territorio, ma costituivano uno Stato tributario della Cina. Come risultato,
il Giappone decise di inviare a Taiwan una spedizione punitiva che per
poco non portò ad una guerra con la Cina, la quale preferì affidarsi alla
diplomazia e rassegnarsi al riconoscimento implicito della sovranità
giapponese sull’arcipelago delle Ryūkyū, che nel 1879 furono annesse al
Giappone come prefettura di Okinawa. I provvedimenti e le riforme che
negli anni a seguire i funzionari Qing cercarono di attuare a Taiwan, così
come nel resto della Cina continentale, si rivelarono però insufficienti ad
arginare la minaccia di un Giappone che mostrava di avere mire
espansionistiche sull’arcipelago taiwanese, al quale alla fine la Cina fu
costretta a rinunciare con la firma del Trattato di Shimonoseki (1895),
che sancì l’inizio della colonizzazione giapponese di Taiwan.4
Il periodo coloniale e l’esperienza dell’autoritarismo nazionalista, come
esporrò più dettagliatamente in seguito, furono molto importanti per la
formazione della cultura taiwanese e per lo sviluppo di quel sentimento
di stima e amicizia che Taiwan continua a nutrire nei confronti del Giap-
pone. Tra il 1895 e il 1945 i colonizzatori giapponesi apportarono infatti
numerose riforme che investirono parecchi ambiti, in particolare quelli
dell’economia, dell’istruzione e della sanità, e i Taiwanesi assistettero ad
un miglioramento delle proprie condizioni di vita generali. Quando nel
1945 l’occupazione giapponese si concluse e Taiwan fu posta sotto il
controllo dei nazionalisti, gli abitanti dell’isola accolsero i nuovi gover-
nanti con entusiasmo, convinti che questi avrebbero permesso loro di
4 Robert Gardella, “From Treaty Ports to Provincial Status, 1860-1894” in Murray A.
Rubistein (a cura di), Taiwan: A New History, New York, M.E. Sharpe, 2006, pp. 183-184.
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mantenere lo stile di vita che avevano raggiunto grazie ai Giapponesi, ma
così non fu. Tra il 1945 e il 1949 la guerra civile e la sconfitta inferta ai
nazionalisti dai comunisti condusse numerosi cinesi, compresi gli
esponenti nazionalisti, a fuggire a Taiwan. L’isola divenne la sede di
governo del Partito nazionalista cinese, il quale vi instaurò un regime
autoritario che impose uno stretto controllo militare ed economico e la
cui corruzione contribuì a peggiorare le condizioni della popolazione.
In altre parole, i Taiwanesi si resero presto conto di come le condizioni
di vita che essi raggiunsero durante il periodo coloniale fossero di gran
lunga superiori a quelle che vennero successivamente offerte loro dal
regime nazionalista. Inoltre, i cinquant’anni di colonizzazione e di pra-
tiche di assimilazione messi in atto dai Giapponesi per trasformare gli
abitanti dell’isola in sudditi fedeli alla madrepatria hanno innegabilmente
impresso una parte della cultura giapponese nella popolazione taiwanese
che, nonostante il tentativo nazionalista di estirpare le influenze coloniali,
è comunque riuscita a tramandarla alle successive generazioni.
È probabilmente per entrambi questi motivi che Taiwan appare oggi
così ricettiva nei confronti di tutto ciò che proviene dal Giappone, Paese
al quale sembra rivolgere la propria ammirazione, spinta soprattutto dal
desiderio di poterglisi un giorno affiancare nell’ambito della Comunità
internazionale.
È stato proprio questo l’aspetto di Taiwan ad avermi attratto di più du-
rante il mio soggiorno a Taipei tra il novembre del 2008 e il marzo del
2009. La ricettività dei Taiwanesi a qualunque prodotto o moda provenga
dal Giappone ha suscitato la mia curiosità e mi ha convinto a portare
avanti questo progetto di tesi, che si è infine basato in larga parte su
un’attività di ricerca sul campo.
L’interessante esperienza che ho fatto mi ha portato a rendermi conto
di persona di quanto siano numerosi gli elementi tipici della cultura e
della lingua giapponesi rintracciabili non solo in ambiti economici e
politici, ma anche nella vita quotidiana dei Taiwanesi. Di frequente mi è
infatti capitato di trovarmi di fronte ad usanze, atteggiamenti ed altri
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aspetti della cultura taiwanese che mi hanno quasi dato l’impressione di
trovarmi in Giappone. Alcune di queste influenze si riscontrano, per
esempio, nelle abitudini alimentari dei Taiwanesi, che consumano
quotidianamente pietanze giapponesi quali sushi, sashimi, onigiri, shabu
shabu e oden e per i quali il tradizionale contenitore giapponese per il
pranzo, il bentō, è diventato un oggetto di uso abituale. Anche la musica
e i media sono stati soggetti ad un’invasione di prodotti giapponesi:
cantanti pop, manga, anime, film, riviste e serie televisive provenienti dal
Giappone si vendono in molti negozi delle grandi città e sono molto
popolari tra i giovani, come anche i locali karaoke. Inoltre, anche i format
di molti programmi televisivi e la grafica di alcune riviste indirizzate ai
giovani sono visibilmente ispirati a quelli tipici dei prodotti giapponesi,
caratterizzati da colori molto sgargianti e dall’uso dei marumoji, ovvero di
caratteri cui viene applicato una grafica particolare caratterizzata da
forme molto rotondeggianti e che sono stati inventati in Giappone negli
anni Settanta. Persino nel comportamento dei Taiwanesi si possono an-
cora oggi riscontrare degli atteggiamenti tipici della cultura giapponese e
capita molto di frequente di trovarsi di fronte a persone che si tolgono le
scarpe prima di entrare in casa o che salutano la persona che hanno di
fronte con un inchino o che addirittura inseriscono termini della lingua
giapponese nei loro discorsi. Si può inoltre notare come alcuni quartieri
di Taipei ricordino un po’ quelli di Tokyo, ad esempio quelli di Ximending
e di Xinyi, piuttosto somiglianti a Shibuya e Shinjuku, senza contare che
nelle zone più frequentate del centro si possono notare grossi centri com-
merciali che portano nomi quali Mitsukoshi, Sōgo o Daisō e negozi che
nelle proprie insegne recano scritte giapponesi.
Questi naturalmente sono soltanto alcuni esempi di come sia forte oggi
a Taiwan l’influenza giapponese. Analizzare in modo approfondito gli
effetti di questa influenza prendendo in considerazione tutti questi aspet-
ti sarebbe estremamente interessante, ma nell’elaborazione di questa tesi
ho preferito concentrare la mia analisi solo su tre ambiti: le influenze lin-
guistiche, le serie televisive e le produzioni cinematografiche. Ho deciso
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di prendere in considerazione proprio questi tre elementi, perché, a mio
avviso, sono quelli che più contribuiscono a diffondere modelli culturali
provenienti dal Giappone e che più rappresentano il modo in cui Taiwan
guarda e considera questo Paese, la sua cultura e i suoi abitanti.
Seguendo questa linea, dedicherò quindi un primo capitolo allo studio
dei rapporti tra i due Paesi, dedicandomi alla descrizione dell’esperienza
coloniale giapponese a Taiwan, delle sue conseguenze e del modo in cui
questa è poi stata superata dallo sviluppo di relazioni amichevoli con il
Giappone, nonostante queste siano poi state condizionate dal fattore Ci-
na a partire dagli anni Settanta. Tutto ciò servirà a definire e a chiarire il
contesto in cui si sono diffusi gli elementi che in seguito analizzerò.
Nel secondo capitolo, mostrerò in che modo il giapponese influenzi il
cinese di Taiwan, tenendo conto sia del linguaggio parlato sia di quello
scritto. Anzitutto, dedicherò alcune brevi considerazioni all’appren-
dimento della lingua giapponese da parte dei Taiwanesi, affidandomi ai
risultati delle indagini statistiche effettuate dalla Fondazione giapponese
per gli scambi internazionali (Kokusai kōryū kikin 国際交流基金). Succes-
sivamente tratterò della diffusione della lingua giapponese a Taiwan e del
modo in cui questa viene saltuariamente utilizzata dai giovani nelle loro
conversazioni quotidiane e nel linguaggio pubblicitario, passando poi
all’adozione di prestiti, sia grafici che fonetici, e di calchi semantici e
riportando esempi di casi concreti che fanno riferimento a riviste, filmati
pubblicitari e volantini raccolti durante il mio soggiorno a Taipei.
Il terzo capitolo riguarderà invece l’ambito televisivo, per cui incentrerò
la mia ricerca sulla diffusione delle serie televisive giapponesi tra i giova-
ni e sull’individuazione di elementi tipici dell’entertainment giapponese
nelle serie realizzate e trasmesse dalle televisioni taiwanesi negli ultimi
anni, non solo analizzandone alcuni esempi, ma anche sfruttando i dati
raccolti attraverso una serie di interviste e di sondaggi da me effettuati a
persone del luogo tra il novembre del 2008 e il marzo del 2009.
Infine, nel quarto ed ultimo capitolo prenderò in considerazione l’am-
bito cinematografico, suddividendo la storia del cinema taiwanese in
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quattro fasi, per comprenderne lo sviluppo, ed esplorando le modalità
con cui il Giappone è stato rappresentato dalla cinematografia locale nel
corso del tempo. Partendo da una sintetica trattazione dei primi film
realizzati durante i periodi coloniale e post-coloniale, farò riferimento in
particolare alle opere di alcuni noti registi contemporanei, quali King Hu,
Wang Tong, Wu Nianzhen e Hou Xiaoxian e mi soffermerò, in particolare,
su Cape no. 7 una recente produzione del 2008 che si è costituita come
un vero e proprio fenomeno cinematografico, non solo perché è stata in
grado di riavvicinare le masse al cinema locale, ma soprattutto perché,
mantenendo come punto di riferimento l’influenza del Giappone, mette in
scena il forte desiderio di internazionalizzazione dell’odierna comunità
taiwanese.