5Anche se non arriva ad un’analisi dettagliata del movimento fonatorio, né ad una
descrizione accurata dalla fonazione come fa per il gesto fisico, gli studi di
Delsarte sono fondamentali per capire le connessioni tra il corpo e la voce, il gesto
fisico e l’emissione vocale e soprattutto per capire la radice di fondo di queste
ricerche: l’espressione umana.
Il percorso descritto da Delsarte è quella che viene proposta ancora oggi
anche ai cantanti, a cui a volte manca una connessione con il proprio corpo ed una
coordinazione fra gesto fisico ed emissione vocale: bisogna arrivare a sentire la
voce come parte di noi stessi, non come qualcosa che viene dall’esterno. Accanto
all’apprendimento vocale si inseriscono, nell’allenamento del buon cantante, delle
sequenze di movimento che favoriscono l’emissione e la fluidità del canto ed
accrescono nel complesso il livello espressivo, coinvolgendo tutto il corpo.
La strada che alcuni danzatori hanno intrapreso, ritenendola affascinante e adatta
ad aprire nuove opportunità, è quella che parte dal movimento, per arrivare alla
voce. Il danzatore inizia a parlare, a cantare, libera le proprie possibilità espressive
in tutte le direzioni, a più livelli e con tutti i mezzi che ha a disposizione in quanto
essere umano. Oggi le tecniche si sono raffinate ed il danzatore ha ampliato il suo
campo di ricerca, inserendo tecniche appartenenti ad altri ambiti e ad altri
ambienti, come esercizi di respirazione, esercizi yoga, tecniche di teatro e di
teatro-danza orientale. Il lavoro sul corpo è diventato molto preciso e questo porta
la necessità di lavorare sempre più internamente, nell’intimo, per scoprire nuove
direzioni. L’analisi del movimento porta, così, anche alla scoperta dell’emissione
vocale: la coscienza del corpo si perfeziona sempre più, fino ad arrivare a
coinvolgere i muscoli più difficilmente percettibili, più interni, quelli direttamente
connessi con le funzioni vitali.
Sembra che la danza, il movimento, si facciano sempre più piccoli, più intimi,
fino ad arrivare in uno stato di apparente stasi, in cui le articolazioni ed i moti
periferici entrano in gioco solo indirettamente, e tutto si concentra sullo spazio
interiore e sui micro-movimenti che determinano la fonazione. Il risultato è una
danza che si vede e si sente, quindi che agisce doppiamente sullo spettatore, sia
con il piano visivo che con quello uditivo.
6Già da tempo oramai la danza ha trovato forme e percorsi che, pur tenendo
presente la tradizione accademica, sfruttano altri principi: si lavora sul
rilassamento, si cerca il contatto fisico con il terreno, si sente il peso del corpo.
E’ stato un percorso organico, in un certo senso naturale: dalla ricerca di un
rilassamento attivo del corpo, del corpo e del movimento come valori assoluti per
il danzatore, si arriva a lavorare sulle tensioni per ridurle, a prendere coscienza del
proprio peso corporeo e si sfrutta la gravità. E’ percorrendo questo tracciato che
ad un tratto si può incontra la voce.
Nell’antica Grecia la voce era parte integrante dell’opera teatrale: la sua emissione
era scandita da un preciso ritmo metrico, in connessione con il ritmo dei
movimenti del coro. Poi, per alcuni secoli, non fu considerata con sufficiente
attenzione nella sfera della danza. Ora viene riconosciuta come un altro
linguaggio possibile.
L’introduzione della voce nella danza si inserisce nella direzione iniziata
da Laban e dai suoi studi sulla libera espressione. L’inserimento della voce
diviene una necessità per sentirsi completi, in modo che ogni singola parte del
corpo, anche la più piccola, risulti parte integrante di un processo creativo. E’, al
pari del gesto degli arti, un movimento libero ed espressivo.
La voce diviene quindi indispensabile per riconoscere una caratteristica
individuale e sostituisce, in un certo senso, la funzione della musica di dettare un
ritmo. Il conteggio delle battute del danzatore classico diventa ora un vero e
proprio canto, una proiezione del proprio ritmo interno verso l’esterno. Se il
movimento diventa più intimo, una nuova forza si espande verso l’esterno.
Dalla Duncan in poi si era cercato di liberare il danzatore da ogni tipo di
costrizione che impedisse il libero movimento, dai costumi scomodi alle attitudini
dettate da vincoli sociali. Oggi il percorso continua in questa direzione,
liberandolo anche dalla convenzione di non parlare.
Molte tecniche vocali oggi si concentrano sul ritrovamento della voce
naturale di ciascuno. E’ un percorso parallelo a quello compiuto dalla danza
contemporanea per trovare l’individuo, con il suo corpo, togliendo le inflessioni e
i condizionamenti sociali. Sia per il corpo che per la voce, infatti, per il gesto
fisico e per quello vocale, si può parlare di atteggiamenti “naturali” e “culturali”.
7Il percorso di questa ricerca si può dividere in due parti: una prima parte
sulle teorie elaborate sulla voce nel corso dei secoli, in generale e poi in
particolare nel teatro e nella danza, ed una seconda parte in cui si analizza il
lavoro svolto da alcune danzatrici contemporanee, soffermandosi su alcuni aspetti
legati alla fonazione ed alle sue connessioni con il movimento e la danza. In
questa seconda parte ho trovato riscontro ed applicazione pratica di alcune teorie
sulla voce: così i movimenti dell’apparato fonatorio mi sono risultati più chiari
con gli esercizi descritti da Bonnie Bainbridge Cohen, la vastità delle potenziali
vocali e la forza dell’energia sprigionata dalla fonazione mi si sono svelate
completamente analizzando l’opera di Meredith Monk.
Questa indagine non comprende il Teatro-danza, per il quale si rimanda
agli studi Susan Schlicher
1
: anche se alcune tematiche possono essere simili a
quelle affrontate dalle danzatrici su cui ci si è soffermati nel corso della
trattazione, le condizioni storiche ed estetiche in cui si è sviluppata questa forma
di spettacolo sono del tutto particolari e diverse dal contesto della danza
contemporanea americana a cui ci si riferisce.
1
Cfr. Schlicher Susan, L’avventura del Tanz Theater. Storia, spettacoli, protagonisti, Genova,
Costa & Nolan, 1989
8Patricia Bardi e Meredith Monk
Il training vocale dei danzatori è per lo più ripreso da tecniche usate in teatro o nel
canto. Solo quando l’aggiunta dell’emissione vocale al lavoro sul corpo è dettato
da un reale desiderio di migliorare il proprio allenamento e raggiungere uno stato
più sviluppato di coscienza del corpo si trovano dei risultati particolari: è il caso di
Patricia Bardi e di Meredith Monk. In tali casi si nota come la danza diventi una
pratica per l’individuo, prima che per il performer, un lavoro su se stessi, prima
che per il pubblico.
Ho avuto modo di incontrare Patricia Bardi in Toscana: ogni anno tiene dei
seminari per attori e danzatori in un paesino in provincia di Grosseto. Parlare
direttamente con lei mi ha dato la possibilità di capire a fondo ciò che sente
quando aggiunge la voce al movimento e a cosa vuole arrivare nella sua ricerca
personale e nel rapporto con il pubblico.
Le esperienze della Bardi e soprattutto della Monk, due artiste poliedriche
ma che riconoscono come la loro formazione sia di danzatrici, dimostrano come
scoprendo la voce, liberando la “propria” voce, si arrivi ad un senso di
completezza, come se i pezzi di un intero andato distrutto vengano rimessi
insieme. Ed oltre a questo c’è il ritrovamento di una forma espressiva unica, che
comprenda diverse discipline, un ritorno ad un passato in cui non c’era divisione
tra movimento, musica, voce, parola. La meta è la riunione del corpo, con i suoi
mezzi e le sue funzioni, e delle discipline artistiche.
Il gesto, secondo la Bardi e la Monk, non può esprimere tutti i moti dell’anima e
deve ricorrere alla voce per rendere tutta l’unità e complessità dell’individuo: la
voce è il doppio del movimento fisico, in quanto entrambi sono strumenti
d’azione, colpiscono, stimolano immagini, e agiscono nello spazio e nel tempo.
La Monk sembra riuscire a superare i limiti espressivi dell’emissione vocale,
arrivando ad un voce che esprima «l’intera tavolozza dei sentimenti e delle
sensazioni.»
2
. La Bardi non trovava una reale motivazione al fatto che danza
debba essere muta: questo era come un divieto che le impediva di esprimersi
totalmente.
2
Rosati Ottavio, Intervista a Meredith Monk, in Atti dello Psicodramma, n. 1-2 1978. p.72
9Per qualsiasi danzatore che inizi ad usare la voce ci sono, naturalmente,
delle difficoltà oggettive: si usano dei muscoli su cui prima non ci si era mai
soffermati. Il lavoro più complesso, secondo le esperienze delle due danzatrici, è
far entrare il respiro e la voce nel corpo e nel movimento. Sebbene la Monk
avesse usato la voce anche prima di conoscere la danza, descrive come una
rivelazione la scoperta che la voce ha gli stessi poteri del corpo. Questo perché
siamo abituati a considerarla come un’entità esterna a noi, al pari della musica.
Non va dimenticato lo sforzo compiuto dal bravo danzatore durante le esecuzioni
di alcuni passaggi particolarmente impegnativi: riuscire ad emettere suoni in tali
momenti richiede una grande concentrazione ed un controllo del respiro e del
corpo.
Meredith Monk, quando fu iscritta dalla madre ad un corso di euritmia,
non aveva bisogno di imparare la musica, vivendo in una famiglia di musicisti, ma
riesce a migliorare la coordinazione del movimento grazie alla musica, applicando
il metodo di Jaques Dalcroze. Scoprendo poi la voce, che è suono come la musica,
aggiunge un altro livello espressivo sfruttando gli stessi principi che aveva già
studiato: crea una musica personale, che proviene dalla stessa fonte da cui nasce il
movimento, dal corpo, facendo nascere nuove suggestioni. In lei più che in
chiunque altro i due linguaggi sembrano diventare una sola fonte di espressione,
un unico mezzo: la voce si comporta come il corpo, impara dal corpo ad usare lo
spazio ed il tempo; il corpo, a sua volta, si lasci guidare dal ritmo della voce e
dalle immagini da essa suscitate.
La Bardi, invece, crea delle strette relazioni con il respiro, sia per il
movimento che per la voce: il gesto, sia vocale che fisico, risente del ritmo e della
qualità del respiro. La coscienza del respiro e del ritmo respiratorio diventa
essenziale, è il primo passo per far nascere un movimento naturale, organico, che
coinvolga tutto il corpo.
Alcuni danzatori ed attori si rifanno all’Oriente: non solo per ciò che
riguarda le singole tecniche, ma soprattutto per un tipo di spettacolo che
comprenda diversi linguaggi. E’ stata sottolineata l’influenza del teatro balinese,
ad esempio, per la Monk, voce e corpo sembrano assumere ciascuno le funzioni
dell’altro, poiché si tratta di due doppi: le mani parlano un loro linguaggio e
10
sembra vedere muoversi nello spazio la sua voce plastica. Gesto vocale e gesto
fisico vivono insieme, traendo spunti l’uno dall’altro e rafforzandosi, così, a
vicenda.
L’Oriente diventa un modello, così come il teatro greco o latino: un tipo di
rappresentazione che comprende più linguaggi e mezzi espressivi. Anche in
questo caso è l’individuo che viene ricercato, nella sua totalità.
Il Body-Mind Centering
Mi è sembrato sorprendente il modo in cui Bonnie Bainbridge Cohen abbia
analizzato il meccanismo di funzionamento della voce e le sue possibilità. A
questo punto realmente si può parlare di “gesto vocale”: la voce assume quasi
tutte le caratteristiche dell’azione fisica, viene studiata in tutte le sue relazioni con
lo spazio e con il tempo, si dimostra come possa nascere una danza interiore dalle
varie posizioni nello spazio degli organi fonatori: come le articolazioni si
muovono in varie direzioni, così anche la faringe, le corde vocali, la bocca,
possono muoversi a disegnare piccole linee nello spazio interno del corpo. Non è
un caso che la Bainbridge Cohen abbia studiato il sistema di Laban e si riferisca
proprio ai suoi studi del movimento per arrivare a descrivere il gesto vocale.
La percezione che il danzatore ha, a questo punto, del proprio corpo è
raffinatissima, può controllare anche i muscoli impercettibili, i più interni.
Si appropria totalmente del proprio corpo e di tutte le sue funzioni, le conosce a
fondo e lavora in un nuovo stato di presenza.
Più che la tecnica ora sono le sensazioni a fare da guida ed è forse questa
la differenza più grande con la danza classica: non importa tanto il cosa fare, ma il
come lo si fa ed il perché, con quale motivazione interiore, per rispondere a quale
necessità del corpo. E’ l’individuo-danzatore che detta le regole del gioco.
La tecnica naturalmente è ancora importante, ma bisogna trovare quella più adatta
per ognuno. Le tecniche si mischiano: il danzatore acquisisce tecniche proprie dei
cantanti o degli attori; i cantanti cercano di sviluppare il movimento e la plasticità
del corpo con tecniche del teatro o della danza.
11
Problemi critici e storiografici
Il fatto che il fenomeno di danzatori che si cimentano nell’uso della voce sia
ancora limitato, può in parte essere dovuto alla difficoltà di accettare un altro
mezzo espressivo accanto al movimento; sembra quasi rinnegare la danza, come
se essa da sola non fosse più sufficiente ad esprimere l’animo umano.
Anche la critica di danza spesso sembra trovarsi in una posizione che non
le è propria nell’approfondire l’argomento: di fronte ad opere interdisciplinari
come quelle di Patricia Bardi o di Meredith Monk si cerca inutilmente di dare una
definizione, di inquadrare in una categoria precisa, anche se le creazioni di questi
srtisti vogliono abolire tale confine netto fra i generi.
Una soluzione per superare questi ostacoli è proposta, ad esempio, da Deborah
Jowitt, che, pur riconoscendo la complessità delle opere della Monk e
l’imbarazzo del critico nel definirle, si concentra soprattutto sul lavoro, su ciò che
trasmettono gli spettacoli, riconoscendone l’unicità e le particolarità, sfuggendo
così all’imbarazzo di inquadrarli. Ci si muove in una terra di confine tra teatro,
danza, performance e per un’analisi dettagliata e profonda sarebbe necessario
superare i limiti classici delle varie discipline. E’ ciò che tenta di fare RoseLee
Goldberg, che si sofferma sulle performances, come genere che raccoglie diverse
arti, e cerca di indagare sullo sviluppo di tale genere e su cosa lo contraddistingue,
sulle influenze con le singole discipline.
«The history of performance art in the twentieth century is the history of a
permissive, open-ended medium with endless variables, executed by artists
impatient with the limitations of more established forms, and determined to
take their art directly to the public»
3
.
La definizione di performance è difficile da trovare, proprio per il continuo
mutare di questa forma d’arte. «Any stricter definition would immediately
negate the possibility of performance itself.»
4
3
Goldberg RoseLee, Performance Art. From Futurism to the Present, Londra, Thames & Hudson,
2001, p. 9
4
Goldberg RoseLee, Op, Cit., p. 9
12
Meredith Monk e Patricia Bardi sono prima di tutto danzatrici, ma hanno
spesso trovato posto nelle performance art per la difficoltà di inquadrare le
loro opera. La stessa Goldberg parla di performance a proposito degli
spettacoli della Monk.
Per comprendere ciò che sottende la relazione fra voce e movimento
bisogna affrontare tutta la complessità dell’individuo: non è solo un
problema di categorie, è l’uomo ciò di cui si parla prima di ogni altra cosa.
Occorre quindi riferirsi alla medicina, cercando gli studi degli esperi
dell’apparato fonatorio e delle sue relazioni con il sistema nervoso e con
tutto il corpo.
Oltre a questo serve capire ciò che rivela la voce, arrivare ad una visione
totale dell’individuo.
E’ un discorso che arriva alla filosofia e alla psicologia.
«Una voce significa questo: c’è una persona viva, gola, torace, sentimenti,
che spinge nell’aria questa voce diversa da tutte le altre voci. »
5
5
Calvino Italo, Un re in ascolto, citato in Cavarero Adriana, A più voci. Filosofia dell’espressione
vocale, Milano, Feltrinelli, 2003, p 7
13
CAPITOLO I
IN PRINCIPIO ERA IL VERBO
Simbologia universale e funzionamento dell’apparato vocale
I.1. Il potere energetico della voce
La voce è il suono dell’anima umana, la forza caratteristica di ciascun individuo,
un soffio che lo mette in connessione con l’universo intero.
Se considerata da questo punto di vista, è vibrazione, risonanza, quindi
essenzialmente energia.
Per risonanza si intende la proprietà di un corpo in vibrazione di trasferire
il proprio moto vibratorio ad un altro corpo, attraverso un mezzo di propagazione
elastico, senza un contatto esteriore. I due corpi avranno così un moto vibratorio
con la stessa frequenza e lo stesso periodo, dove il periodo è l’intervallo di tempo
fra due eventi uguali e la frequenza è il numero di periodi nell’unità di tempo.
6
Parlando della voce, il corpo in vibrazione è la glottide, cioè il complesso delle
corde vocali, mentre il mezzo di propagazione è l’aria del condotto vocale.
Il prodotto vibratorio che ne deriva è costituito da una fondamentale di risonanza
e da una serie di armoniche, cioè dei suoni che vengono percepiti in maniera
meno netta rispetto al suono principale, ma lo arricchiscono. Tale prodotto, lungo
il condotto vocale, attraversa una serie di cavità poste sopra la glottide, definite
risonatori. A seconda delle loro dimensioni si hanno timbri vocali diversi per
ciascun individuo.
Nel momento in cui la voce nasce, prima ancora di manifestarsi come
linguaggio, si afferma come “grido di presenza”
7
, come volontà di dire e di
riconoscere la propria esistenza. Ogni volta che emettiamo un suono, abbiamo già
operato una scelta precisa e importante tra il suono e il silenzio.
6
Cfr. Fraisse Paul, Psicologia del ritmo, Roma, Armando Editore, 1979, p.13
7
Bologna Corrado, Flatus Vocis, Bologna, Il Mulino, 1992, p.23
14
La voce riempie lo spazio dell’energia di chi la emette. Fa percepire che
non siamo soli e regola le relazioni tra gli esseri, poiché da essa si possono
immaginare delle caratteristiche peculiari delle persone.
La produzione vocale crea una relazione con l’ambiente, che rimane, sotto forma
di vibrazione, energia, anche dopo la cessazione del suono personale, del ritmo
specifico di chi l’ ha emessa, come un suo segno. In questo senso agisce sul
tempo, superandone la legge della successione cronologica.
La voce, come il suono e la musica, ha anche delle proprietà terapeutiche,
che derivano proprio dal fatto che essa è energia in vibrazione. In molte culture
antiche esistevano dei terapeuti che curavano attraverso l’emissione di suoni
particolari, note prolungate che riequilibravano l’energia dell’individuo,
ripristinando la frequenza naturale dell’organo malato.
Lo stregone o lo sciamano, ad esempio, riescono a trasformare il loro corpo intero
in una grande cassa di risonanza, che amplifica il potere rigenerante del loro canto
e della loro voce. Così la forza sprigionata dall’emissione vocale colpisce la parte
malata e la riporta alla salute.
Anche nella preghiera interiore, secondo la tradizione mistica, il corpo
intero, attraverso il ritmo interno scandito dalla voce, esprime la Parola,
impronunciabile dalle labbra, diventando lo specchio del macrocosmo universale,
il “Corpo di Cristo”
8
.
Nella tradizione vedica indiana l’OM, sillaba lasciata vibrare con un soffio,
rappresenta il suono primordiale, il principio supremo. Percepire questo suono è
possibile solo turandosi naso e orecchie per astrarsi dai suoni terrestri, usando una
facoltà che va oltre i sensi abituali, che ci riporta verso qualcosa di molto intimo e
ci ricongiunge con l’Universale. Allo stesso i modo i mantra
9
, gli inni della
cultura vedica, sono delle parole o frasi che quando vengono recitate producono
8
Cfr. Cavarero Adriana, A più voci. Filosofia dell’espressione vocale, Milano, Feltrinelli, 2003, pp
30-31
9
Cfr. Filippani Ronconi Pio (a cura di), Upanisad, Torino, Boringheri, 1985 p.641: «Mantra:
“inno vedico”, di contro a “commento” (Brahmana); assume successivamente, nel mantra-naya
yoghico e buddhidtico, il significato di “mistico suono”, meditando sul quale si consegue
l’esperienza di una particolare condizione sovrasensibile.»; e Del Monaco Paola, Kundalini Yoga,
Roma, Edizioni Mediterranee, 1996, p. 204: «Mantra: una parola o frase che ha qualche effetto o
influenza quando viene recitata. »
15
effetti a livello psicofisico, sono dei suoni che portano in uno stato di meditazione
superiore. Ogni mantra esprime uno stato mentale e, in quanto vibrazione
elettromagnetica, è un’onda, in grado di agire ed interagire con la realtà materiale
circostante.
Facendo vibrare un suono a lungo, infatti, si scatena una forza energetica che
colpisce il nostro sistema nervoso, la nostra mente e lo spirito. Alfred Tomatis
10
,
foniatra e studioso delle relazioni tra fonazione ed ascolto, ha individuato che
alcuni tipi di suoni prodotti, capaci di far vibrare l’intera struttura ossea, stimolano
le ghiandole e producono delle stimolazioni dinamiche di impulsi nervosi
11
.
L’atto stesso di cantare ha delle proprietà benefiche. Cantare è una
necessità fisiologica in certi casi, qualcosa di istintivo.
Lo stesso linguaggio è organizzato secondo caratteristiche musicali ed una
lingua che non abbia queste proprietà risulterebbe incompleta ed arida, inefficace
per esprimere gran parte delle sensazioni umane. In tempi antichi l’espressione
sonora era usata come tramite tra il pensiero e la materia, tra l’Essere e il Non
essere, tra il Principio Creatore e il Creato. E’ per questo che il pensiero
dell’uomo primitivo è profondamente legato alla natura musicale, dove la musica
è la via di connessione con l’eterno. Con il passare del tempo, poi, il linguaggio si
è progressivamente specializzato, per adeguarsi alle esigenza sempre più tecniche
dell’umanità
12
.
Alcuni ambiti della vita dell’uomo restano espressi attraverso una lingua arcaica,
che, in qualche modo, ha conservato il valore ancestrale della parola e del suono,
prima che subentrassero ragioni tecniche legate a una vita più materiale. Ciò
10
Cfr. http://www.tomatis-toulouse.com/tomatis.htm «Alfred Tomatis, né à Nice le 1 janvier 1920
et décédé le 25 décembre 2001, a été docteur en médecine de la Faculté de Paris, oto-rhino-
laryngologiste et spécialiste du traitement des troubles de l’audition et du langage. Dès 1947, il
entrepris des recherches dans les domaines de l’audiologie et de la phonologie qui aboutirent à la
formulation d’un certain nombre de lois qui portent désormais le nom d’Effet Tomatis
(communication de Mr. Husson à l’Académie des Sciences et à l’Académie de Médecine en 1957).
Ces découvertes approfondissent les liens étroits qui existent entre l’oreille, la voix et le système
nerveux.Le docteur Tomatis a crée un ensemble de techniques d’éducation et de rééducation qui
sont appliquées dans environ 200 centres répartis dans le monde entier. Cette nouvelle discipline
s’appelle l’Audio-Psycho-Phonologie. ». Tra le principali pubblicazioni di Alfred Tomatis si
ricordano: L’orecchio e il linguaggio, Educazione e dislessia, Dalla comunicazione intrauterina al
linguaggio umano, L’orecchio e la vita, L’orecchio e la voce.
11
Cfr. Tomatis Alfred, L’orecchio e la voce, Milano, Baldini & Castoldi, 2000, p.26
12
Cfr. Cavarero Adriana, Op. Cit.
16
avviene per i riti e le preghiere: molte orazioni vengono espresse attraverso delle
iterazioni vocali o sistemi di cantilene precise, in cui la vibrazione e il ritmo
respiratorio risultano scanditi da ritmi prestabiliti. Questa è anche una tecnica
mentale, simile per certi versi ai mantra orientali, che porta chi la ripete in uno
stato di meditazione.
L’energia sprigionata dal canto pervade, come un fluido, il corpo intero e si
avverte soprattutto in alcuni punti nodali.
Quando si prova una sensazione di benessere, istintivamente si inizia a cantare, o
comunque si accenna una melodia. In realtà è il cervello che, indotto da alcune
stimolazioni che giungono dall’orecchio, si mette a cantare. Queste stesse
stimolazioni innescano dei processi psicosomatici cellulari che producono delle
sollecitazioni dinamiche di impulsi nervosi. A sua volta il canto crea nuovi stimoli
al cervello e fa provare una sensazione di maggior benessere: cantando infatti il
corpo viene messo in azione a tutti i livelli, grazie ai collegamenti del sistema
nervoso. L’effetto del proprio canto sui tessuti mucosi e viscerali è superiore a
quello che potrebbe produrre un qualsiasi suono esterno: nell’atto cantato, infatti,
il cantante è colui che produce il suono ma anche colui che lo ascolta, in lui si
svilupperà quindi una coscienza più piena del suono e un’energia maggiore che
negli ascoltatori. Per arrivare a ciò il professionista deve assumere un controllo
sicuro del proprio corpo, come se si trattasse di un suo strumento, sdoppiandosi
quasi da se stesso:
«Nell’atto cantato il cantante è nello stesso tempo lo strumento e l’esecutore.
Per arrivare ad esserlo dovrà riuscire a percepire il suo strumento-corpo
come se fosse un’entità esterna.»
13
Questa idea non è sempre vera per l’attore, per il quale è fondamentale mantenere
l’unità organica corpo-mente ed evitare giudizi troppo mentali che possono
inibire. Si tratta, in fondo, di applicazioni diverse delle proprietà vocali: nel canto,
ad esempio, le esigenze musicali e ritmiche prevalgono su quelle di
verosimiglianza, tipicamente teatrale.
13
Tomatis Alfred, Op. Cit., p.55