8
confini e sottrarsi alla contaminazione e all’ibridazione di categorie considerate, fino a
poco tempo fa, come un sistema regolamentato da precisi e rigidi canoni.
È proprio questo l’aspetto che il presente lavoro si cerca di approfondire, in particolar
modo attraverso l’analisi del cinema di due tra i più importanti autori-registi
statunitensi, Joel e Ethan Coen.
Nel primo capitolo si cercherà di analizzare la nozione di genere a partire dalla sua
definizione in letteratura, poi successivamente acquisita all’interno del panorama
cinematografico. Il tentativo sarà quello di descrivere proprio questo mutamento
strutturale che, gradualmente, è intervenuto a modificarne l’ossatura e il senso e che ha
coinvolto tutte le parti interessate: industria, critica e pubblico.
Il secondo capitolo cercherà di evidenziare i processi industriali, storici e culturali in
seno ad Hollywood che hanno determinato un progressivo ed inevitabile cambiamento
del modo di fare cinema, sia da un punto di vista tecnico, sia contenutistico, sia in
un’ottica socioculturale.
Il terzo capitolo si proporrà brevemente di considerare la storia e l’evoluzione di un
genere definito “postdatato” come il noir, le sue strutture portanti, le tematiche sulle
quali si poggia e la sua crescita in termini di sviluppo e cambiamento rispetto alle
strutture di partenza.
Il quarto capitolo prenderà in considerazione la poetica del cinema dei fratelli Coen, con
l’intento di far risaltare gli aspetti così caratteristici della produzione cinematografica
dei due registi americani.
Gli ultimi quattro capitoli prenderanno ciascuno in considerazione un film dei Coen:
Blood Simple-Sangue facile (Blood Simple, 1984), Fargo (Fargo, 1996), Il grande
Lebowski (The Big Lebowski, 1998) e L’uomo che non c’era (The Man Who Wasn’t
There, 2001).
La scelta dei film non è ovviamente casuale: l’intento è quello di far risaltare la grande
capacità dei due registi-giocolieri americani di trattare nel tempo il genere noir,
prendendone a prestito aspetti narrativi e strutturali, per poi rielaborarli e ricostruirli
all’interno di un plot narrativo che prevede la modifica, il rovesciamento o il
mescolamento degli stessi codici, con il risultato di creare una forma-cinema che
provoca nello spettatore un disorientamento rispetto ai codici narrativi e cinematografici
di riferimento. E di inventare un cinema al tempo stesso lontano e presente. Nel tempo.
CAPITOLO PRIMO
CINEMA E GENERE
1.1 La nozione di genere in letteratura
Nella sua opera più rilevante Film/Genre, considerata un caposaldo da molti critici,
Rick Altman apre la sua indagine sul concetto di genere applicato al cinema, operando
un breve excursus storico in riferimento allo sviluppo del concetto di genere in
letteratura. Lo studioso americano non ha la pretesa di esaurire il discorso del genere in
letteratura limitandosi a brevi accenni storici, come lui stesso afferma: “…quanto segue
non è assolutamente una storia della teoria dei generi letterari”
1
; ritiene però che sia
importante evidenziare questi presupposti poiché “lo scopo è quello di evidenziare le
asserzioni che i teorici del genere non si rendevano conto di fare, o le ipotesi basilari
che i teorici non hanno provveduto a riconoscere nelle proprie opere, le consuetudini e
le posizioni che sono state tramandate silenziosamente”
2
.
Le teorie del genere in letteratura come punto di partenza per allargare la ricerca in
campo cinematografico.
Il punto di partenza è la Poetica di Aristotele, nella quale il filosofo greco fornisce un
modello a secoli di pensatori.
Aristotele così si esprime: “Propongo di trattare della forma di attività che la nostra
società ha chiamato poetica che io ritengo possa essere al meglio considerata come un
fenomeno isolato in sé e di quelle che tratterò come le sue forme, osservando, o meglio
supponendo che vi sia, la qualità essenziale di ciascuna”
3
. La domanda di fondo è chi
abbia definito la poesia, a quale scopo e sulla base di quali ipotesi. Secondo Altman,
Aristotele “non suggerisce che i tipi di poesia differiscano per gli usi cui sono preposti, i
1
Rick Altman, Film/Genere, (tit. or. Film/Genre, London, 1999), Milano, Vita e Pensiero, 2004, p. 4
2
Ibidem
3
Aristotele, Poetica, Mondadori, Milano, 1999, p. 5
9
luoghi in cui sono impiegati o i gruppi che li impiegano”
4
, ossia non si concentra tanto
sulle distinzioni basate sulle azioni che i diversi tipi di poesia ispirano, quanto invece
sulla supposizione in virtù della quale poemi con caratteristiche essenziali simili
abbiano come conseguenza quella di determinare effetti simili sul pubblico. L’errore
del filosofo greco, secondo Altman, sarebbe stata quella di restringere il campo della
successiva teoria dei generi. Infatti, “ponendo l’accento sulle caratteristiche interne
piuttosto che sul tipo di esperienza prodotta dalla poesia, Aristotele ha orientato la teoria
dei generi letterari su una strada pressoché ininterrotta di analisi testuale”
5
.
Già in queste prime considerazioni, si avverte l’insistenza di Altman su quello che sarà
uno dei punti fondamentali della sua analisi sui generi cinematografici, che avrà come
fine quello di considerare gli effetti prodotti da un determinato genere rispetto alle attese
spettatoriali. A differenza delle critiche mosse ad Aristotele, Altman apprezza invece
l’analisi dell’Autore dell’Ars Poetica, Orazio, il quale sottolinea l’importanza della
differenziazione dei generi. A tal proposito Altman commenta così un passo dell’Ars
Poetica oraziana: “ciascun genere deve essere compreso come un’entità separata, con le
proprie regole letterarie e le procedure per esso prescritte”
6
. In sostanza Orazio, secondo
lo studioso americano, è costantemente preoccupato di fornire regole chiare per la
composizione letteraria fedele ai generi. E soprattutto scinde i processi di creazione e
critica. In particolare nell’interpretazione di Orazio, Altman fa risaltare come per il
filosofo “il critico legge la poesia e la critica esistenti, mentre lo scrittore esegue quanto
prescritto dal critico”
7
. Questa idea per Altman si rivelerà di sostanziale importanza per
il futuro della teoria dei generi, poiché “Orazio instaura un modello di genere semplice:
i poeti scrivono imitando un originale predefinito dall’oligarchia critico-letteraria”
8
.
Nel proseguo della sua analisi storica, Altman si sofferma in particolare circa
l’importanza dell’incrocio dei generi rappresentato dalla tragicommedia, ad opera dei
neoclassici francesi nel diciassettesimo secolo. Questi sgretolarono la resistenza della
critica fino all’accettazione del genere ibrido. Appare interessante “il fatto che questo
genere si sviluppi dall’unione di due generi precedentemente concepiti come
4
Rick Altman, Film/Genere, cit., p. 5
5
Idem, p. 6
6
Idem, p. 7
7
Idem, p. 8
8
Ibidem
10
diametralmente opposti”
9
dimostrando la possibilità che nuovi generi possano essere
generati dall’unione di generi esistenti.
Il diciottesimo secolo vede la nascita del cosiddetto genere serio o dramma,
contrapposto ai generi classici, ritenuti incapaci di affrontare la realtà contemporanea.
Il dramma è la forma teatrale che darà in seguito vita al melodramma, genere
considerato come il principale antenato del cinema. La nascita di un nuovo genere in
una nuova epoca è la dimostrazione evidente di quanto questi possa essere frutto di un
processo di evoluzione e di produzione dei generi che si distacca da una concezione
chiusa, tipicamente classica, per la quale ci si deve attenere ad una precisa griglia di
riferimento di generi nella creazione letteraria. Di più: ciò evidenzia come il genere sia
espressione di una parte vivente, mutevole e attiva dell’evoluzione culturale e
dell’espressione del sé.
Nella seconda parte del diciannovesimo secolo si assistette ad uno sviluppo importante
per il futuro della teoria dei generi. Con l’avvento delle teorie evolutive di Darwin, la
comunità letteraria si accostò ai modelli scientifici. Come afferma Altman, riferendosi
all’opera del letterato francese Ferdinand Brunetière nel suo L’evolution du genres,
la giustificazione scientifica dello studio dei generi serve a convincere i teorici che i
generi esistono veramente, che hanno delle delimitazioni precise, che possono essere
chiaramente identificati e descritti scientificamente e che si evolvono in base ad una
traiettoria fissa e identificabile.
10
Tuttavia, per quanto possa essere rivoluzionaria rispetto agli studi precedenti, questa
visione scientifica degli schemi di genere all’inizio del ventesimo secolo viene rifiutata.
Benedetto Croce sferrò un duro attacco al concetto stesso di genere; addirittura,
sfidando la produzione critica precedente, il suo intento era quello di eliminare tutti i
discorsi critici sul genere. Croce rilevò che ogni tentativo di stabilire un codice per un
genere sono resi vani dagli sforzi dei poeti di superare o sovvertire il codice stesso.
Come osserva Altman “la pesante critica di Croce nei confronti dei generi ebbe l’effetto
di indirizzare la teoria dei generi verso una nuova dialettica che contrappone le
categorie dei generi e i singoli testi”
11
. In sostanza Croce anticipa quella che sarebbe
stata una tendenza della cinematografia del dopoguerra, che contrapponeva generi
consolidati agli sforzi creativi di autori capaci di sovvertirli e personalizzarli.
9
Idem, p. 9
10
Idem, p. 11
11
Idem, p. 13
11
Tra i vari tentativi di superare la critica crociana dei generi, va segnalato lo studio di
René Wellek e Austin Warren, che con la loro opera Teoria della letteratura
propongono un approccio biforcato. Secondo i due studiosi il genere dovrebbe essere
concepito come una classificazione di opere letterarie fondata su di una forma esteriore
ed una interiore. La prima fa riferimento al metro o alla struttura particolare del testo,
mentre la seconda fa leva sul rapporto che si instaura tra il soggetto dell’opera e il
pubblico che la legge. Secondo Altman, Wellek e Warren “forniscono sia un modello
consapevole di analisi, sia i criteri secondo i quali giudicare adeguatamente l’esistenza e
la portata di un genere”
12
. Tuttavia, pur schiudendo un nuovo ambito per la teoria dei
generi e offrendo ai critici non solo il necessario per riconoscere i generi ma anche per
ridisegnarne la mappa, Wellek e Warren omettono di riconoscere il ruolo dello studioso
o del critico nel fondare le istituzioni dei generi.
La possibilità di ridisegnare la mappa dei generi viene invece concretizzata dallo
studioso canadese Northrop Frye. Frye, nell’opera Anatomia della critica, collega le
forme letterarie a più vaste categorie archetipiche. Egli arriva a descrivere nuovamente,
e quindi a ridefinire, categorie note quali la commedia, il dramma sentimentale e la
tragedia. È chiaro come da questo momento in poi la creazione di un corpo di testi non
dipenderà più esclusivamente dalla tradizione, come era avvenuto per lo più fino a quel
momento. In parziale accordo con le tesi di Frye si schiera Tzvetan Todorov.
Tralasciando quella che fu la critica di Todorov alle posizioni di Frye, è interessante
notare la grande innovazione introdotta dall’autore de La letteratura fantastica.
Come ben sottolinea Altman, “Todorov opera una distinzione tra le tipologie
tradizionalmente riconosciute dalla nostra cultura e le nuove tipologie suggerite dal
critico moderno che crede in un sistema”
13
. Le tipologie riconosciute sono definite da
Todorov storiche, mentre quelle teoriche vengono in un secondo momento definite dal
critico. Tutti i generi storici erano precedentemente generi teorici, definiti dai critici di
una cultura precedente in base a teorie allora attuali. L’operazione di Todorov consiste
nella sostituzione di una visione della letteratura storica di un preciso momento rispetto
a una definizione storica precedente, garantendo in questo modo la possibilità al critico
di riformulare categorie di genere diverse da quelle precedentemente consolidate.
12
Idem, p. 14
13
Idem, p. 16
12
Vicino alle tesi di Todorov è E.D. Hirsch. Nella sua Teoria dell’interpretazione e critica
letteraria del 1967 si sofferma a considerare, nel ricondurre il concetto di genere al
processo di lettura, quanto i termini e il significato di un testo possano variare
dipendentemente dalla concezione propria dell’interprete (il lettore) del tipo di
significato che viene espresso. Hirsch afferma come “la concezione generica che un
interprete ha di un testo è costitutiva di tutto ciò che egli comprende successivamente, e
che tale resta la situazione a meno che e fino a che quella concezione generica non
muti”
14
. La conseguenza di ciò è che se si realizza una discordanza rispetto a
un’interpretazione ciò determina una discordanza anche intorno al genere. Se quindi il
genere equivale al tipo di significato, il concetto di genere non coinciderà più con il
significato normale introdotto dalla teoria dei generi letterari. La diretta conseguenza di
questa teoria porterà a considerare maggiormente il rapporto che lega il testo nella sua
struttura con le aspettative dei lettori riguardo alle proprietà formali di un testo.
1.2 Il genere cinematografico
Rispondere alla domanda su cosa sia un genere cinematografico è un’operazione
abbastanza complessa, soprattutto perché negli ultimi trent’anni, sulla scorta del
dibattito letterario sui generi, la ricerca della definizione su cosa siano i generi in campo
cinematografico si è ampliata. Non che prima fosse poco o male frequentato tale
dibattito; era tuttavia “un territorio lasciato in larga parte in mano ai critici appassionati
e ai cinefili impenitenti”
15
.
Per molti aspetti, lo studio dei generi cinematografici non è altro che un’estensione
dello studio dei generi letterari. Infatti “molto di quanto è stato detto sui generi
cinematografici è semplicemente mutuato dalla lunga tradizione di critica letteraria sui
generi”
16
. Ancora: “è opinione diffusa che i generi cinematografici siano semplicemente
mutuati da generi già esistenti in altri mezzi di espressione”
17
. Anzi, a cavallo tra la fine
anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta del Novecento, si moltiplicarono le
pubblicazioni sui generi cinematografici di modo che “si creò uno spazio intellettuale
14
Eric Donald Hirsch, Teoria dell’interpretazione e critica letteraria (tit. or. Validity in interpretation,
New Haven and London, 1967), Il Mulino, Bologna, 1973, p. 83
15
Francesco Casetti, Teorie del cinema 1945-1990, Bompiani, Milano, 1993, p. 294
16
Rick Altman, Film/Genere, cit., p. 23
17
Idem, p. 49
13
tale per cui gli studiosi e i critici cinematografici attualmente dialogano tra loro senza
rispondere ai critici letterari che hanno fornito le basi per la precedente speculazione sui
generi”
18
. Si sviluppa in questo modo un dibattito che ha come fine quello di
evidenziare quali siano gli aspetti e le componenti che costituiscano una risposta
adeguata ed esauriente alla domanda su cosa siano i generi in campo cinematografico e
quali siano i meccanismi e gli attori che intervengono nel determinarne il significato e
gli usi.
Uno dei più autorevoli studi è quello di Stuart M. Kaminsky, il quale definisce il genere
come
un insieme, un gruppo o una categoria di opere tra loro accomunabili, dove per
comunanza si intende la condivisione di un certo numero sufficiente di motivi che ci
possano permettere di identificarle come opere appartenenti a un particolare tipo o stile di
film.
19
In particolare
i film devono presentare delle costanti chiaramente definite, così che vi si possano
facilmente individuare tradizioni e forme per definire la validità di un particolare simbolo
o motivo come elemento espressivo, e tracciare una storia delle sue connotazioni.
20
Secondo Kaminsky, il genere ha una radice universale, le cui più autentiche radici
affondano nel cuore dei più antichi miti. I generi ripropongono temi e problemi che
davano corpo ai miti: il contrasto tra bene e male, tra individui e comunità, tra desiderio
e legge. Ne deriva che “i generi cinematografici non sono altro che l’ultima versione di
qualcosa di permanente, danno corpo ad archetipi a cui non abbiamo mai cessato di far
riferimento”
21
. Assimilare il concetto di genere a quello di mito presenta alcuni
vantaggi per lo studio del genere, poiché trasforma quella che sarebbe potuta restare una
vuota formula priva di riferimenti, in una categoria culturalmente funzionante. Infatti
“gran parte della recente teoria presuppone che le strutture profonde derivino
direttamente dalle profondità archetipiche del mito”.
22
Non interessa in questa sede
porre attenzione al dibattito che poi si svilupperà in seguito all’affermazione per cui i
generi fondino le loro radici nelle forme archetipiche del mito. Risulta ovviamente
interessante la definizione di Kaminsky che descrive il genere come una sorta di
18
Idem, p. 23
19
Stuart M. Kaminsky, Generi cinematografici americani (tit. or. American Film Genres, Chicago,
1974), Parma, Pratiche Editrice, 1994, p. 24
20
Idem, pp. 22-23
21
Francesco Casetti, Teorie del cinema 1940-1945, cit., p. 296
22
Rick Altman, Film/Genere, cit., p. 35
14
modello, un prototipo schematico cui far riferimento per poter realizzare un’operazione
di identificazione finalizzata a comprendere il singolo prodotto filmico come facente
parte di una categoria superiore che lo include, e che permette quindi di definirlo.
Infatti il genere
indica tanto una categoria astratta, che serve a raggruppare dei film, quanto un insieme
concreto, quello dei film raggruppati in questa categoria. Il genere cinematografico, al
modo dei generi letterari, teatrali, pittorici o musicali, appare allo stesso modo come una
classe di opere e come un gruppo di opere. Dunque dando un’identità generica ad un film,
non ci accontentiamo di ordinarlo in una categoria, ma lo mettiamo anche in serie con
alcuni film che presentano delle caratteristiche tematiche, narrative e formali simili.
23
Quindi il genere risiede nel soggetto, nella struttura e nel corpus di un singolo film che
condivide con altri una medesima struttura ed un simile apparato contenutistico. Come
sostiene Altman
i generi sono legati a un particolare soggetto e struttura o a un corpus di film che
presentano soggetti e strutture analoghe. Ciò significa che per essere compresi in un
genere, i film devono avere sia un soggetto comune, sia una struttura comune, un modo
simile di configurare quel soggetto […]. Se l’essenza di un genere risiede in una
particolare combinazione di soggetto e struttura, il genere in sé è concepito come un
corpus di film.
24
Ad una medesima posizione giunge pure Geoff King, il quale descrive il genere come
“un tipo di film che è diventato riconoscibile come tale perché nel tempo un sufficiente
numero di film sono stati fatti e identificati in quel modo”.
25
A questo proposito Francesco Casetti definisce il genere come “un insieme di regole
condivise”
26
, poiché “è un dispositivo essenziale per capire che cosa fa del cinema
insieme un’arte industriale e popolare. È in questo quadro che si realizza un accordo di
fondo che lega chi fa un film e chi lo guarda”
27
. Si realizza in sostanza una sorta di
patto, una tacita convenzione che permette ai partecipanti della definizione di genere di
intendersi.
Ma quali sono gli “attori” che condividono questo sistema di regole?
Secondo la maggioranza dei critici i generi forniscono le formule che determinano la
produzione; i generi rappresentano le strutture che definiscono i singoli testi; le
23
Raphäelle Moine, I generi del cinema (tit. or. Les genres du cinéma, Parigi, 2002), Torino, Lindau,
2005, p. 17
24
Rick Altman, Film/Genere, cit., p. 40
25
Geoff King, La Nuova Hollywood (tit. or. New Hollywood cinema, an introduction, London, 2002),
Einaudi, Torino, 2004, p. 147
26
Francesco Casetti, Teorie del cinema 1940-1945, cit., p. 296
27
Ibidem
15
decisioni di programmazione si basano principalmente su criteri di genere,
l’interpretazione di un film di un certo genere dipende dalle aspettative del pubblico in
relazione al genere stesso. Tutti questi aspetti sono compresi nel termine genere.
In sostanza i generi svolgono una funzione precisa nell’economia complessiva del
cinema, la quale comprende un’industria che ne sta alla base, il bisogno sociale e
culturale di produrre i messaggi, un grande numero di individui che ricerca e riceve
questi messaggi ed una tecnologia che li trasmette.
Il genere, apparentemente, non è un normale termine descrittivo, bensì un concetto
complesso con molteplici significati che possiamo identificare come segue:
• genere come progetto, come una formula che precede, programma e determina
gli schemi della produzione dell’industria cinematografica;
• genere come struttura, come l’impalcatura formale su cui si basano i singoli film;
• genere come etichetta, come il nome di una categoria che influenza le scelte le
decisioni e le scelte di comunicazione di distributori e sale;
• genere come contratto, come l’atteggiamento di visione richiesto al pubblico da
ciascun genere.
28
Questa definizione suggerisce quindi che questo accordo operi all’interno di quattro
spazi differenti che Altman mette in relazione per esprimere le cose in maniera
schematica: l’universo di produzione dei film, l’universo della ricezione, i film stessi e
lo spazio di negoziazione e di comunicazione costruito dall’incontro delle tre
precedenti. Questa definizione
sintetizza due tratti della stessa genericità: esistono delle convenzioni (regole, formule),
ripetute nei film di uno stesso genere; queste convenzioni si inseriscono in un processo di
comunicazione che va al di là dei film, dei loro elementi tematici o dei loro processi
formativi. Questi due tratti rinviano a due tipi di teorie del genere cinematografico:
- teorie strutturali e testuali, che cercano di stabilire i tratti caratteristici dei generi,
concepiti quindi come strutture testuali, insiemi di testi filmici;
- definizioni funzionali del genere che, sempre restando in una prospettiva teorica,
definiscono i generi attraverso le loro funzioni (sociale, culturale, economica,
comunicativa)
29
.
In particolare, si vuole sottolineare come i generi siano definiti da una corrispondenza
tra le esigenze e i fini dell’industria cinematografica e le esigenze e risposte del
pubblico. Ne consegue quindi che la visione standard dei generi cinematografici vede
industria e pubblico come “agenti” reciproci. Per questo motivo
se non vi è la definizione da parte dell’industria e il riconoscimento del pubblico di
massa, non può trattarsi di un genere, poiché per definizione i generi cinematografici non
28
Rick Altman, Film/Genere, cit., p. 25
29
Raphäelle Moine, I generi del cinema, cit., pp. 48-49
16
sono categorie derivate scientificamente o costruite in modo teorico, ma sono sempre
convalidate dall’industria e condivise dal pubblico
30
.
Il genere per essere considerato come modello deve però essere stabile. Non basta
affermarlo come paradigma di riferimento. Da ciò si evince come un genere, per essere
qualificato come tale, deve essere qualcosa di più che una tendenza effimera o una
moda passeggera: “deve essere durevole per acquistare profondità e risonanza. Un
genere dovrebbe essere noto e facilmente riconoscibile”
31
. Per cui “dobbiamo intendere
i generi come entità stabili affinché possano svolgere i compiti a loro richiesti”
32
.
Altman analizza a fondo questo problema. Sostiene che
la recente teoria di genere ha dedicato scarsa attenzione alla logica e ai meccanismi
attraverso cui i generi diventano riconoscibili come tali. Nel passato recente, tutti gli studi
sul genere sono stati introdotti da interrogativi riguardanti la loro stabilità e coerenza:
cosa hanno in comune questi testi? Quali strutture condivise consentono loro di avere
maggiore significato di testi individuali? Quali forze spiegano la longevità dei generi?
33
Lo stesso autore americano introduce una teoria che ormai è diventata basilare per gli
studiosi del genere cinematografico. Nel tentativo di definire un genere come tale e
determinarne la sua essenza specifica, ritiene che “l’espressione film di genere è stata
usata indistintamente per indicare il genere cinematografico o semplicemente per
designare un film con evidenti legami con un genere ampiamente riconosciuto”
34
.
Questo non basta. Occorre introdurre una terminologia linguistica differente che dia la
possibilità non solo di definire un genere come tale, ma anche di evidenziare il suo
eventuale processo, che potrebbe avere come conseguenza quella di poter generare da
un genere strutture diverse che determinano la nascita di un genere diverso. Secondo
Altman talvolta “la terminologia di genere implica l’uso di sostantivi, talaltra di
aggettivi”
35
. In effetti “lo stesso identico termine appare a volte sotto forma di entrambe
le parti di un discorso: commedie musicali o solamente musical, film western oppure
semplicemente western, film documentaristici o documentari”
36
.
I primi usi del termine hanno una natura esclusivamente aggettivale, ed hanno come
fine quello di descrivere o delimitare una categoria già stabilita (non solo poesia, ma
30
Idem, p. 26
31
Idem, p. 148
32
Rick Altman, Film/Genere, cit., p. 78
33
Idem, p. 79
34
Idem, p. 83
35
Idem, p. 79
36
Ibidem
17
anche poesia epica o poesia lirica). Mentre i secondi implicano un trattamento
sostantivale a sé stante. Per intenderci e dirla con le parole dello stesso Altman:
la poesia lirica è una tipologia di poesia; quante più tipologie di poesia definiamo, tanto
più rafforziamo l’esistenza della poesia come categoria indipendente, laddove ogni
tipologia corrisponde a un diverso aspetto potenziale della poesia. Quando rinunciamo al
sostantivo e promuoviamo l’aggettivo al suo stato sostantivale – una lirica – abbiamo
fatto qualcosa di più di un semplice passaggio da una tipologia di genere – poesia – a un
caso specifico – una poesia lirica. Attribuendo all’aggettivo lo status di sostantivo,
implichiamo che lirica esiste come una categoria indipendente rispetto a quella di poesia,
il sostantivo che ha modificato l’origine. Allorché un aggettivo qualificativo diventa un
sostantivo categorico, viene in tal modo liberato dalla tirannia di quel sostantivo
37
.
Questo costante passaggio da aggettivo a sostantivo se da un lato offre uno spaccato
importante dei generi cinematografici nella loro definizione, chiarifica allo stesso tempo
quali possano essere i movimenti che ne costituiscono pure il suo sviluppo. E ciò
significa pure che i generi possono essere sì ritenuti come delle categorie stabili, ma che
sono anche inseriti in una logica processuale che influisce sulla loro evoluzione.
Altman infatti parla di cicli di genere, o meglio di un processo di generificazione
38
. La
creazione di cicli di film e di generi è un processo ininterrotto. All’alternanza
prettamente linguistica di sostantivo ed aggettivo, si può sovrapporre allo stesso modo e
con lo stesso movimento, quella di genere e ciclo. I generi
non sono dunque solo delle categorie post facto, bensì parte della dialettica costante fra
suddivisione in categorie/creazione delle categorie, che costituisce la storia dei tipi e della
terminologia. Questo processo potremmo vederlo in termini di un’alternanza regolare fra
un principio di espansione – la creazione di un nuovo ciclo – e un principio di contrazione
– il consolidamento di un genere.
39
Si può quindi dar vita ad un nuovo ciclo unendo un nuovo aggettivo a un genere
sostantivale esistente, laddove l’aggettivo presenta un luogo, una tipologia di trama, o
altri fattori di differenziazione riconoscibili. Questo, in certe condizioni, comporta che
l’aggettivo correlato richiama su di sé talmente tanta attenzione da determinare il
cambiamento di alcune parti del discorso e inaugurare un proprio genere sostantivale,
rimanendo costantemente assoggettato solo a eventuali processi di creazione di nuovi
generi mediante la costituzione di un altro ciclo aggettivale. E così di seguito.
40
Questo modello di creazione dei generi si rivela abbastanza valido per il cinema
hollywoodiano, come vedremo più avanti.
37
Idem, p. 80
38
Idem, p. 92
39
Idem, p. 96
40
Ibidem
18