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RIASSUNTO
Il gambero rosso della Louisiana, Procambarus clarkii, è un gambero d’acqua dolce
originario degli Stati Uniti centro-meridionali e del Messico settentrionale, introdotto in molti
paesi del mondo per scopi alimentari. La facilità di allevamento e l’estrema adattabilità hanno
fatto di questa specie il gambero d’acqua dolce più diffuso al mondo. A causa di tali
peculiarità è in grado di colonizzare un vasto numero di ambienti acquatici nei quali causa
ingenti danni alla fauna ed alla vegetazione locale. In Italia la sua presenza è segnalata dal
1989, periodo dal quale hanno avuto inizio invasioni di diversi corpi idrici. Il Parco Agricolo
Sud Milano, area antropizzata di cintura metropolitana con equilibri ambientali già di per sé
molto fragili, è interessato da alcuni anni dalla presenza di P. clarkii ma non si ha ancora una
precisa stima della sua diffusione nel territorio. Alcuni studi hanno dimostrato che interventi
di eliminazione degli animali alloctoni non sono sufficienti per il controllo dell’ espansione
delle specie e che metodi di prevenzione basati sulla comunicazione possono invece avere
maggior efficacia nel lungo periodo. L’ideazione di questo lavoro di tesi si è basato su tali
principi. Sono state monitorate diverse zone umide del Parco e sono stati analizzati i dati
raccolti in quanto un’idea della diffusione e dell’impatto della specie sono importanti per
progettare strategie didattiche mirate, e nel contempo è stata sviluppata un’attività didattica
per sensibilizzare il pubblico in età di formazione, ai problemi causati da P. clarkii ed alla
salvaguardia delle aree naturali del Parco Agricolo Sud Milano, i cui equilibri sono minacciati
anche dalla crescente antropizzazione.
Tra marzo e maggio 2011 sono state monitorate 32 zone umide all’interno del Parco mediante
ripetuti sopralluoghi diurni e notturni, in cui è stata indagata la presenza di P. clarkii e delle
specie autoctone di anfibi. Sono stati inoltre rilevati i parametri ambientali delle zone umide.
Procambarus clarkii è stato osservato nel 56% dei siti: il dato è preoccupante, tenendo conto
che 10 anni fa esso era presente in un solo sito. Tra gli anfibi sono molto rari T. carnifex e L.
vulgaris, presenti rispettivamente nel 6 e 9% dei siti. Data la scarsità di presenze non è facile
individuare l’insieme dei fattori che hanno causato la loro rarefazione ma l’analisi statistica
tramite il criterio informativo di Akaike ha permesso di individuare in P. clarkii una delle
cause più probabili della rarità dei tritoni.
L’attività didattica, composta da una lezione frontale e da un’uscita su campo presso la
Riserva “Sorgenti della Muzzetta”, è stata realizzata seguendo il principio teorico
dell’ “esperienza”, in quanto il contatto diretto con gli elementi naturali aiuta a comprenderne
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i complessi meccanismi. L’attività è rivolta a studenti di scuole secondarie di secondo grado,
ossia ragazzi che si apprestano a far parte della nuova generazione lavorativa e quindi
bisognosi di un’adeguata sensibilizzazione alle tematiche ambientali. Sono stati utilizzati
diversi strumenti di comunicazione quali immagini e fotografie per la lezione frontale, un
depliant illustrato, l’osservazione di animali selvatici “dal vivo”, e giochi di riconoscimento
con chiavi dicotomiche semplificate durante l’uscita didattica. Il depliant, composto da una
mappa dell’area, foto e didascalie della fauna presente e immagini della vegetazione arborea,
è stato ideato come strumento orientativo e informativo per seguire le tappe in cui è stato
diviso il percorso.
L’attività didattica è stata proposta a studenti di due classi di liceo scientifico: una classe ha
partecipato sia alla lezione teorica in aula che all’uscita su campo, l’altra solamente alla
lezione teorica. Questo per valutare l’utilità dell’esperienza su campo nella spiegazione di
argomenti in ambito naturalistico-ambientale, e per constatare se la sola lezione teorica ideata
possa essere sufficientemente comprensibile e proponibile come soluzione unica in istituti che
non abbiano possibilità di organizzare uscite didattiche. Successivamente agli interventi
didattici, nelle due classi è stata somministrata una identica verifica sommativa, dai risultati
della quale è emerso che gli studenti di entrambe le sezioni hanno più che sufficientemente
acquisito i concetti spiegati, ma nella classe che ha partecipato anche all’uscita didattica si
sono ottenuti risoltati notevolmente migliori. Il campione di ragazzi preso in esame è
comunque troppo esiguo per poter effettuare analisi statistiche sull’effettiva utilità dell’uscita
didattica, per cui sarebbe necessario ripetere con molte classi per più anni questo confronto.
La realizzazione dell’attività didattica ha permesso di avvicinare i ragazzi alla natura con
un’osservazione consapevole degli elementi che la caratterizzano. Il contatto con specie
animali e vegetali nei loro habitat, la visione di metodologie di indagini faunistiche e la
consapevolezza degli effetti causati dagli animali alloctoni hanno fatto scoprire ai ragazzi
aspetti della vita che li aiuteranno a mantenere atteggiamenti positivi nei confronti
dell’ambiente e potranno ridurre comportamenti, anche involontari, che possono indurre
peggioramenti, come l’introduzione di specie alloctone. L’esperienza vissuta potrà inoltre
stimolare gli studenti ad una frequentazione abituale di parchi e riserve naturali, che vedono
nell’avvicinamento del pubblico uno dei possibili motivi di espansione.
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1. INTRODUZIONE
Il declino e l’estinzione di numerose specie animali e vegetali stanno determinando la “crisi
della biodiversità” a scala globale. La crisi della biodiversità è uno dei problemi scientifici
attualmente di maggior rilievo. Numerose sono le cause che concorrono alla presenza del
fenomeno, ad esempio la distruzione e la frammentazione degli habitat, i cambiamenti
climatici e l’inquinamento chimico. Un’altra importante causa è l’introduzione di specie
“alloctone” per vie antropiche (Gherardi, 2006; Cruz & Rebelo, 2007). Con alloctone (o
esotiche) si definiscono le specie che sono introdotte in habitat diversi da quelli nativi. Sono
diverse le attività umane che promuovono la diffusione sia accidentale che intenzionale di tali
specie, quali ad esempio l’agricoltura, l’acquacoltura, la pesca ed i trasporti (Kolar & Lodge,
2001). La maggior parte delle introduzioni hanno provocato impatti ambientali di poco rilievo
e l’importazione di specie domestiche ha portato diversi benefici alle attività umane. Un
modesto ma significativo numero di specie introdotte diventa però invasivo, prominente sia
dal punto di vista numerico sia ecologico, e diviene spesso capace di predominare sulle
popolazioni e sulle comunità indigene (Gherardi, 2006). Inoltre, le specie che riescono ad
insediarsi, possono avere ripercussioni sulla salute umana e un impatto economico elevato.
Con la globalizzazione, il numero delle specie esotiche è aumentato sensibilmente ma lo sono
anche gli sforzi negli studi per comprendere l’ecologia delle invasioni biologiche (Kolar &
Lodge, 2001). La diffusione di specie invasive unita alla rarefazione degli habitat delle specie
indigene, sta portando ad una costante omogeneizzazione degli ecosistemi a scala globale.
Studi recenti dimostrano che la biodiversità sta diminuendo in particolare negli ecosistemi
d’acqua dolce, ad un tasso molto più elevato che nella maggior parte degli ecosistemi terrestri.
Le acque interne sono tra l’altro molto suscettibili alla colonizzazione di specie invasive sia
per i numerosi usi dell’acqua da parte dell’uomo (commercio, trasporti, piscicoltura, scopi
ricreativi, ragioni estetiche) che per le capacità di dispersione delle specie acquatiche lungo il
reticolo idrografico. Grazie a collegamenti naturali e artificiali tra fiumi e laghi, e grazie agli
effetti del flusso d’acqua, gli organismi si diffondono con facilità e le specie non indigene
possono arrivare anche a colonizzare vasti ambienti acquatici del mondo (Gherardi, 2006).
Purtroppo gli effetti della presenza di specie alloctone sono difficili da valutare perché tali
specie sono raramente introdotte singolarmente e la loro immissione avviene anche in
coincidenza di altri tipi di alterazione ambientale come la degradazione degli habitat (Didham
et al, 2007). Inoltre, le indagini per verificare l’impatto di una specie alloctona sulle comunità
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autoctone, solitamente necessitano di alcuni anni di studio dopo l’insediamento della specie
invasiva e, spesso, mancano dati riguardanti la situazione precedente all’introduzione. In
questi casi gli effetti della presenza della specie esotica devono essere distinti da altre variabili
che possono essere correlate con la sua presenza, come ad esempio, le caratteristiche
dell’habitat e la struttura delle comunità (Cruz et al., 2006).
Nel monitoraggio degli animali alloctoni, meritano particolare attenzione i gamberi d’acqua
dolce, la diffusione dei quali riguarda ormai tutti i continenti. I gamberi d’acqua dolce sono
tra gli invertebrati più longevi nelle zone climatiche temperate, dove si stabiliscono spesso
con elevate densità di popolazione (Gherardi, 2006). Data la grande capacità di adattamento a
diversi habitat e a diverse condizioni climatiche, costituiscono un elevato rischio potenziale se
introdotti in ambienti differenti da quello nativo (Cruz & Rebelo, 2007). I gamberi alloctoni
che colonizzano un nuovo ambiente possono ridurre la biomassa e la ricchezza di specie di
macroinvertebrati, macrofite e periphyton. Possono portare anche a perdite economiche
dirette, per esempio, diminuendo il pescato o danneggiando le coltivazioni di riso. Anche a
lungo termine, i gamberi alloctoni possono indurre rilevanti cambiamenti nell’habitat con il
conseguente declino di numerosi taxa invertebrati, pesci e anfibi.
Il gambero rosso della Louisiana Procambarus clarkii è un esempio di rilievo tra le specie
alloctone. Si tratta attualmente del gambero più cosmopolita. Originario del Nord America, la
sua presenza è stata riscontrata in tutti i continenti, ad eccezione di Antartide e Australia. La
sua prima introduzione in Europa è avvenuta nel 1973 in Spagna e i motivi della sua grande
diffusione negli altri stati europei sono ancora oggetto di studio (Gherardi, 2006).
In Italia le prime introduzioni risalgono agli anni 80 del 1900 e una delle prime invasioni è da
ricondurre al 1989, anno in cui ci fu una fuga di diversi esemplari da uno stabilimento di
acquacoltura piemontese. Tali individui si sono insediati nel torrente Banna, affluente del Po
(Mazzoni et al., 2004). Allo stato attuale il gambero rosso della Louisiana ha invaso gran
parte delle regioni del centro nord, come Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna,
Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Sicilia e Sardegna (Gherardi 2007).
Le cause quantomeno iniziali dell’introduzione della specie in Italia così come nel resto del
globo, sono da ricondurre all’utilizzo delle sue carni in cucina. Ciò ne ha creato un
commercio sia per acquacoltori che per gestori di laghetti di pesca sportiva, luoghi in cui
anche attualmente sembra costante l’immissione. Infine questa specie è stata venduta come
specie ornamentale per acquario nei negozi di animali domestici. Tra l’altro, anche il suo
utilizzo alimentare può presentare diverse problematiche dal momento che nei suoi tessuti può
accumulare metalli pesanti (non smaltibili con la cottura) e tossine prodotte dai cianobatteri e
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trasferirli ai livelli trofici superiori. E’ inoltre ospite intermedio di un platelminta trematode
del genere Paragonimus, patogeno per l’uomo nel caso in cui il gambero infetto venga
consumato crudo o non adeguatamente cotto (Gherardi, 2006; Gherardi & Panov, 2009).
Procambarus clarkii è diventato una componente determinante in molti ecosistemi in cui è
stato introdotto, producendo rilevanti cambiamenti. Questa specie tollera ampiamente le
diverse condizioni ambientali ed è ben adattata a vivere in aree soggette a variazioni
stagionali del livello d’acqua. La facilità con cui si adatta a vivere per un certo periodo di
tempo anche fuori dall’acqua, fa sì che la sua diffusione avvenga anche attraverso zone
asciutte, colonizzando così corpi d’acqua isolati (Cruz & Rebelo, 2007). Il gambero rosso
della Louisiana è anche causa della rarefazione di gamberi autoctoni come Austropotamobius
pallipes, tramite meccanismi che prevedono sia l’esclusione competitiva sia la trasmissione di
un fungo (Aphanomyces astaci), responsabile della “peste del gambero”, di cui Procambarus
clarkii è portatore sano (Gherardi, 2006). È inoltre un attivo predatore di larve e di uova di
anfibi e vi sono alcuni studi che hanno verificato la presenza del fenomeno anche in Italia;
P. clarkii ha probabilmente causato l’estinzione della rana di Lataste nel parco del Delta del
Po (Barbieri & Mazzotti, 2007). Dunque l’introduzione di Procambarus clarkii sta
probabilmente contribuendo in modo determinante al declino degli anfibi in diverse aree
d’Italia e d’Europa, ciò nonostante, attualmente mancano sufficienti dati quantitativi
riguardanti l’impatto della specie sulle comunità di anfibi.
Sono in corso diversi studi per identificare metodi efficaci per il controllo di questa specie. La
difficoltà sta nel trovare soluzioni sicure per l’ambiente e per l’uomo, economiche e
giustificabili per il pubblico. Purtroppo i numerosi tentativi di ridurre l’impatto di P. clarkii
sono fino ad oggi falliti, suggerendo che quando questa specie si è naturalizzata,
l’eradicazione può risultare impossibile, e la mitigazione ed il controllo sono particolarmente
difficili e costosi. In pratica, la prevenzione di nuove introduzioni, rimane il metodo più
efficace per limitare le invasioni biologiche (Gherardi, 2006). Tra le tante forme di
prevenzione, riveste grande importanza la consapevolezza del pubblico nell’esistenza del
problema, in modo da limitare quei comportamenti che possano in qualche modo promuovere
l’accentuazione del fenomeno. Un ruolo chiave lo gioca dunque la comunicazione, che si è
rivelata essere un efficace metodo di controllo dell’invasione per alcune specie alloctone
(Teillac-Deschamps et al., 2009).
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Questo lavoro di tesi ha pertanto combinato lo studio di un’invasione biologica, con lo
sviluppo di strumenti didattici. La conoscenza della diffusione e dell’impatto delle specie
alloctone è infatti essenziale per mettere a punto strategie di gestione, e la sensibilizzazione e
l’educazione ambientale sono strumenti chiave per ridurne la diffusione e l’impatto. In
particolare gli obiettivi di questo lavoro sono stati due:
- Analizzare lo stato attuale di presenza di Procambarus clarkii all’interno di alcuni siti
del Parco Agricolo Sud Milano, valutando se e quanto la specie incide sulla
distribuzione di alcune specie di anfibi (Triturus carnifex, Lissotriton vulgaris, Hyla
intermedia e Pelophylax kl. esculentus) anche in relazione delle caratteristiche
ambientali degli ambienti acquatici presi in analisi.
- Realizzare un esperienza didattica per sensibilizzare il pubblico in età di formazione,
alle problematiche causate dall’introduzione del gambero rosso della Louisiana ed alla
valorizzazione e salvaguardia delle limitate aree naturali di un territorio, il Parco
Agricolo Sud Milano, i cui fragili equilibri sono minacciati dalla forte pressione
antropica. L’intento è che tale esperienza possa essere riprodotta in ambito di istituti
scolastici e/o enti ed utilizzabile a diversi gradi d’istruzione (dati i limitati prerequisiti
necessari alla sua comprensione).
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1.1 Ruolo della comunicazione nel problema degli “alloctoni”: il
caso di studio sulle testuggini palustri americane in Francia
L’elevato potenziale di adattamento ai diversi habitat e l’assenza di validi competitori naturali
fa sì che numerose specie animali e vegetali alloctone continuino a diffondersi nel nostro
territorio.
Come sostenuto da molti autori, i tradizionali metodi utilizzati nel contenimento della
diffusione di tali specie, hanno spesso avuto scarso successo. Nella maggior parte dei casi,
l’utilizzo di trappole per la cattura o il prelievo diretto delle specie aliene, non bastano per
determinare un calo della loro numerosità. L’utilizzo di sostanze chimiche provoca
l’alterazione dell’ambiente o comunque la morte di gran parte delle altre specie viventi
all’interno dell’area trattata.
Non potendo agire sugli effetti provocati dalle introduzioni, bisogna cercare di risolvere il
problema limitandone le cause. Dal momento che gran parte delle specie alloctone vengono
introdotte per responsabilità diretta dell’uomo, adeguati metodi di prevenzione basati sulla
comunicazione possono essere d’aiuto nell’arginare il problema (Teillac-Deschamps et al.
2009; Ficetola et al. 2011).
A tale proposito, è stato condotto uno studio, riguardante la presenza della testuggine
americana Trachemys scripta in Francia. Questa specie, sin dalla fine del 1950 è stata
largamente esportata in molte parti del globo per esser usata come animale domestico (anche
per scopi culinari soprattutto in Asia). Gran parte dei detentori, dopo alcuni anni decidevano
di liberarsi delle testuggini, rilasciandole nei più vicini specchi d’acqua. Diverse leggi hanno
cercato di arginare il problema vietandone l’importazione, ma i fornitori ancora oggi sfruttano
cavilli legislativi riguardanti le differenze sistematiche per riuscire nell’intento, importando
sottospecie non ancora vietate. Il risultato è un’elevata presenza di Trachemys scripta in gran
parte degli specchi d’acqua di molte regioni del mondo, causa di non pochi danni
all’ecosistema e alle specie autoctone meno resistenti.
Gli autori (Teillac-Deschamps et al.) hanno voluto dimostrare come le sole opere di
eliminazione diretta delle testuggini dalle zone umide avevano un effetto limitato, mentre se
unite ad opere di sensibilizzazione del pubblico mediante un’opportuna comunicazione,
portavano ad una sensibile riduzione del numero di individui.
In tale lavoro, è stato monitorato il numero di T. scripta presente negli specchi d’acqua
all’interno dei giardini pubblici di alcune città francesi, nell’arco di 20 anni.
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In questo periodo di tempo le aree oggetto di studio sono state suddivise in base all’utilizzo di
quattro differenti approcci di contenimento della diffusione della testuggine, ognuno sfruttato
in due diversi contesti, per un totale di otto “combinazioni”.
Segue l’elenco degli approcci potenziali per la gestione:
a) utilizzo di tutti i fondi economici disponibili per cattura e rimozione delle testuggini;
b) utilizzo di una metà dei fondi per cattura-rimozione e dell’altra metà per un’attività di
comunicazione “scientifica”;
c) utilizzo di una metà dei fondi per cattura-rimozione e dell’altra metà per un’attività di
comunicazione “generale”;
d) utilizzo di una metà dei fondi per cattura-rimozione e dell’altra metà per un’attività di
comunicazione mista, sia generale che scientifica.
Per comunicazione scientifica si intende un’attività di divulgazione rivolta prevalentemente
ad un pubblico già informato sulle tematiche ambientali, effettuata per mezzo di articoli
scientifici, libri e notiziari. La comunicazione generale è invece una attività di divulgazione
rivolta ad un pubblico più vasto, effettuata per mezzo di educazione ambientale “all’aperto”,
contatto diretto con la natura, film e documentari.
I due contesti erano:
1) cittadini non incentivati a visitare le aree naturali dei parchi pubblici;
2) cittadini incentivati a visitare tali aree naturali sfruttando le testuggini come mezzo di
attrazione (se il pubblico, inizialmente indifferente alle tematiche ambientali, va a
contatto della natura grazie all’attrattiva delle T. scripta di conseguenza è coinvolto
nelle problematiche ambientali di quell’area).
Sono state quindi effettuate simulazioni per valutare gli effetti combinati di cambiamento nel
tasso di introduzione, e prelievo da parte dei gestori, sulle popolazioni di T. scripta.
I risultati di tale studio hanno evidenziato che effettuando unicamente operazioni di cattura e
rimozione delle testuggini si ottiene una rapida, ma modesta riduzione del numero delle
stesse, con il numero minimo di individui raggiunto dopo tre anni. Nonostante il persistere
delle opere di rimozione, il numero minimo di T. scripta non scende sotto al valore raggiunto
dopo i tre anni, a causa delle continue immissioni.
L’utilizzo di una strategia divulgativa mista, unita alla cattura e rimozione delle testuggini
(approccio “d”) fa registrare, seppur in tempi più lunghi, una riduzione più consistente del
numero di Trachemys scripta. I risultati sono apprezzabili dopo undici anni in ambito del
contesto “1” e dopo soli otto anni in ambito del contesto “2” dove, la popolazione attratta alle
aree naturali è risultata più motivata nel seguire comportamenti che non incrementassero il
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numero delle testuggini. Inoltre con l’approccio “d” il numero di individui è continuato a
diminuire fino alla fine del periodo di studio, in entrambi i contesti.
Lo studio sopra citato è stato uno degli spunti per l’ideazione dell’attività didattica rivolta al
Gambero rosso della Louisiana nel Parco Agricolo Sud Milano. Come riportato
precedentemente Procambarus clarkii è una specie alloctona estremamente dannosa, la cui
introduzione è causata direttamente dall’uomo. Si è per tanto ipotizzato che una mirata attività
divulgativa possa contribuire alla limitazione della sua diffusione. Puntando alle strategie che
si sono rivelate vincenti nello studio di Teillac et al., tale attività di comunicazione, suddivisa
in una lezione frontale teorica e in una esperienza “su campo”, si propone il duplice obiettivo
di sensibilizzare gli utenti riguardo ai problemi causati dal gambero e di coinvolgerli nella
frequentazione delle aree naturali, sfruttando come elementi di attrazione le numerose specie
animali e vegetali osservabili.
L’esperienza didattica è stata impartita a studenti di scuola superiore di secondo grado, così
da valutare il livello di apprendimento da parte di ragazzi che si apprestano a far parte della
nuova generazione lavorativa e quindi più che mai bisognosi di un’adeguata sensibilizzazione
alle tematiche ambientali, nella speranza che queste ultime condizionino determinate scelte di
vita.