Il primo capitolo è costituito da una contestualizzazione storica dello sviluppo
delle differenti lingue all’interno della penisola iberica. Ritengo infatti sia
imprescindibile, per l’analisi della lingua gallega, considerare il processo che ha portato
all’attuale varietà linguistica nella penisola. Mi focalizzerò inizialmente sulle due lingue
nazionali, castigliano e portoghese, per poi approfondire il discorso inerente al gallego.
Cercherò inoltre di mettere in evidenza la rilevanza del momento storico in cui ebbe
luogo la divisione tra la Galizia e il Portogallo, evento fondamentale nell’evoluzione
della lingua gallega. Ripercorrerò poi la linea di confine, che da allora separa i due
territori, evidenziando il graduale passaggio tra le due lingue, rappresentato da
un’influenza gallega nelle varietà dialettali delle regioni del Portogallo settentrionale.
Intento del secondo nucleo tematico è entrare nel merito della questione della
normativizzazione della lingua. Per farlo, ho ritenuto importante presentare i momenti
decisivi della letteratura gallega, fondamentali per la costituzione di uno standard
linguistico: lo splendore della lirica trobadorica del XII secolo, il Risorgimento
letterario del XIX, e le due importanti Generazioni presenti prima e dopo della guerra
civile. Considerare quindi, accanto al discorso letterario, l’opera dei primi grammatici e
filologi e delle nascenti istituzioni linguistiche, operanti nel campo della
normativizzazione fino al giorno d’oggi.
Nell’ultimo capitolo, ritenendolo essenziale ai fini del lavoro, ho proposto una
visione sempre più attuale della situazione normativa e della penetrazione dello standard
linguistico. Inevitabile quindi considerare l’importante ruolo svolto dai mezzi di
comunicazione in questo processo, in particolare della televisione e di internet,
analizzando la storia di entrambi i mezzi di comunicazione nel contesto prettamente
regionale della Galizia e le differenti funzioni normalizzatrici che svolgono. Ho cercato
di fornire inoltre una visione sociolinguistica del gallego, veicolata da un’ulteriore forma
di comunicazione, il cinema. Analizzando infatti le varietà linguistiche del gallego
presenti nel film Mar Adentro è emersa una reale, seppur stereotipata, schematizzazione
del gallego all’interno della società. Ho infine concluso il capitolo con un aspetto della
normalizzazione linguistica tratto direttamente dalla mia esperienza quotidiana nella
città di Santiago: l’analisi di un vero e proprio “appello pubblicitario” all’uso del gallego
tramite una campagna normalizzatrice di affissioni pubbliche.
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Mio evidente intento, in quanto studente di comunicazione, è stato quindi quello
di dedicare un’ampia parte dell’elaborato alla diretta relazione tra il processo linguistico
e l’apporto fornito dalle diverse tipologie di mezzi di comunicazione. Individuare quindi
come le differenti potenzialità di ogni mass media giochino ruoli diversi e
complementari nel compito normalizzatore.
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1. DOMINAZIONI ED EVOLUZIONE LINGUISTICA
ALL’INTERNO DELLA PENISOLA IBERICA
1.1. Il Castigliano
Appartenente alla categoria delle lingue romanze, l’attuale spagnolo non è che
l’evoluzione di uno degli antichi dialetti nati dal latino di un piccolo territorio del Nord
della penisola, la Castiglia.
Ovviamente la penisola iberica conserva tracce di un popolamento ben più
antico di quello strettamente legato alla diffusione del latino e alla diretta evoluzione
nella lingua odierna, ma nonostante ciò, è scarsa la conoscenza che si ha delle
popolazioni che occuparono il territorio prima dell’arrivo dei celti nel VII secolo a.C. e
dei precedenti occupanti, aquilani, iberici e tartessiani, che influirono però in alcuni
aspetti linguistici durante il processo di apprendimento del latino. I primi in particolare
hanno potuto sopravvivere grazie ai loro discendenti baschi, presenti tutt’oggi nel
territorio a nord-est della penisola confinante con l’attuale Francia
1
.
Per quanto riguarda gli iberici l’unico dato certo è che si trovassero in diverse
parti dell’Europa occidentale e che la loro lingua non era di origine Indoeuropea, né il
loro alfabeto corrispondente a quello sillabico. I tartessiani invece, insediatisi alla foce
del Guadalquivir, nel sud della penisola, intorno al 500 a.C., si ipotizzano essere legati
alla civiltà etrusca per la corrispondenza tra alcuni toponimi del Sud della Spagna e
della Toscana, in cui a partire dal VIII secolo a.C. ebbero gli etruschi il loro massimo
splendore.
Anche i fenici, presenti nelle città costiere di Cadice e Malaga hanno dato il loro
apporto alla poliedricità del popolamento della penisola, e mentre i Cartaginesi erano
insediati a Cartagine, Minorca ed Ibiza, i greci nell’attuale Alicante con piccole colonie.
I celti, giunti in Hispania, antico nome della penisola iberica, si stabiliscono
nella vallata dell’Ebro. Le uniche tracce della loro lingua, celtica di tipo arcaico e ben
differente dal gallico, è rimasta nel nome di alcune città della penisola come Coimbriga
(attualmente Coimbra, città del Portogallo), ma anche altri, come La Coruña e Segovia
1
Henriette, Walter; L’avventura delle lingue in Occidente, Bari-Roma, Editori Laterza, 1999, p. 159.
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sono toponimi di origine celtica
2
.
In modo seppur difficoltoso, nel 218 a.C., in una situazione di tipo linguistica
caratterizzata da una frammentata ed eccessiva varietà, ebbe inizio la conquista romana.
Tale conquista porterà inevitabilmente alla graduale scomparsa delle lingue presenti che
lasceranno solo piccole tracce, quali ad esempio i toponimi.
Fu avviata durante la seconda guerra punica con lo sbarco di Scipione e proseguì
per circa due secoli; fu una conquista rapida ed efficace nella provincia Betica,
corrispondente all’attuale Andalusia, e nella capitale Cordova, dichiarata provincia
patrizia dal 69 a.C, iniziò un graduale processo che vide gli abitanti abbandonare
progressivamente le loro lingue per imparare il latino.
A differenza del Sud, le popolazioni del Nord presentarono una grande
resistenza, in primis il popolo basco che continuò ad utilizzare la propria lingua in tutti i
contesti familiari, nonostante avessero appreso il latino portato dalla progressiva
occupazione romana. Forse questa opposizione è da considerarsi come una delle
principali ragioni alla base della odierna sopravvivenza di questa antichissima lingua
che, così diversa dal ceppo Indoeuropeo, porta con sè i misteri della sua antichità e delle
sue reali origini.
Nell’analisi della diffusione del latino bisogna prendere in considerazione la
collocazione geografica della penisola rispetto all’intero Impero Romano. Rappresenta
infatti il territorio più occidentale dell’impero e per di più il limite del mondo
conosciuto, ed è proprio per questo motivo che i contatti con le altre colonie romane
furono limitati e rallentati, portando quindi alla conservazione e consolidazione di forme
latine antiche, ormai in disuso negli altri territori imperiali. Ne potrebbe essere un
esempio l’uso del termine Magnus che, nelle altre province, veniva sostituito da
Grandis. Ed è proprio da tam magnus (grande così) che si spiega l’attuale termine
spagnolo Tamaño e portoghese Tamanho (grandezza, misura), assolutamente diversi
dagli attuali termini presenti nelle lingue dei territori corrispondenti a quelli delle altre
colonie romane. Moltissimi altri esempi potrebbero essere presentati in merito: comer
(mangiare), derivante dal latino classico comedere, hervir dal latino fervere, arena,
parola identica in spagnolo e latino. Nonostante ciò, è lecito fare una distinzione, a
grandi linee, tra i territori Occidentali della penisola e quelli Orientali. Questi ultimi,
2
Si veda Lapesa, Rafael; Historia de la lengua española, Madrid, Escelicer, 1968, pp. 11-39.
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infatti, per ovvie ragioni di maggiore vicinanza con il centro dell’Impero, erano più
prossimi alla possibilità di diffusione di aspetti innovativi del latino rispetto ai territori
occidentali
3
.
All’avvento delle invasioni germaniche, intorno alla fine del III secolo d.C., con
vandali in Andalusia, Svevi nell’ovest e Visigoti nel resto del paese, la maggior parte
della popolazione della penisola era già latinizzata.
Il regno visigoto, che ricopriva quasi tutta l’attuale Spagna a eccezione della
Galizia e del Paese Basco, occupati dagli svevi, è durato quasi 300 anni, dal 409 al 711.
Ha lasciato importanti tracce nelle istituzioni e nel diritto, ma ben più scarse a livello
linguistico, causa la ormai assimilazione e consolidazione del latino nell’intera penisola.
Con la loro conversione al cristianesimo, nel 589, iniziò un periodo di pacifica
convivenza tra occupati e invasori per più di un secolo, portando alla fioritura delle arti
e delle lettere, allo studio della grammatica e della retorica. Tracce germaniche
rimangono in nomi, comuni al giorno d’oggi come “tipicamente” spagnoli, quali
Rodrigo, Fernando, Alvaro o Alfonso.
Bisogna a questo punto considerare il processo che ha portato alla formazione
delle differenti varietà regionali del latino volgare. Con la progressiva penetrazione del
latino in tutti gli ambiti formali e informali, infatti, si vanno creando varianti dialettali
veicolate dal sostrato regionale esistente.
Vengono quindi poste le basi per una caratterizzazione e particolarizzazione
dell’uso del latino all’interno dell’intera penisola, fenomeno che spiega l’attuale varietà
linguistica. Ovviamente, le cause che hanno portato a questo processo di
particolarizzazione regionale sono molteplici e da ricercarsi nella situazione storica e
geografica della penisola prima della romanizzazione. Il latino, infatti, ha una
penetrazione differente nei vari territori dell’impero, a seconda della progressiva
distanza dai principali centri di divulgazione, ed è per questo motivo che si verifica una
consolidazione di arcaismi nei teritori occidentali e di innovazioni in quelli orientali, più
a stretto contatto con il cuore dell’impero. Inoltre, bisogna sottolineare il processo di
decadenza dell’Impero che portò a una disgregazione dei singoli territori e alla
mancanza dell’unità iniziale, processo aggravato dalle invasioni germaniche che ne
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Henriette, Walter; L’avventura delle lingue in Occidente, Bari-Roma, Editori Laterza, 1999, p. 164.
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