5
Le cooperative sociali, in base ai dati pubblicati dal Ministero delle Attività
Produttive, occupano la terza posizione nella graduatoria della numerosità delle
cooperative a mutualità prevalente; raggiungono le 9.617 unità, con un’incidenza
pari al 16,5%. La regione Lazio si attesta alla seconda posizione, dopo la
Lombardia, nella graduatoria delle regioni con il numero maggiore di cooperative
sociali. Le cooperative sociali nell’arco di tempo che va dal 2003 al 2006 sono
aumentate di 617 unità, dato che mette in luce la crescita assestata.
In base alla legge 381 del 1991, “Disciplina delle cooperative sociali”, le
cooperative sociali possono gestire servizi socio-sanitari ed educativi (c.d.
cooperative sociali di tipo A) e attività diverse volte all’inserimento lavorativo di
persone svantaggiate (c.d. cooperative sociali di tipo B). Le cooperative sociali di
tipo B possono svolgere attività nei settori agricolo, industriale, commerciale, dei
servizi, ma sempre intesi a favorire l’inserimento di persone svantaggiate.
La seguente tesi si propone di prefigurare l’andamento futuro della cooperazione
sociale di tipo B, nella provincia di Roma. La costruzione dei possibili scenari
futuri si è realizzata con l’ausilio della tecnica Delphi, che implica
l’individuazione di item previsionali. L’essenza del procedimento è la
consultazione di un gruppo di esperti, operanti sul campo della cooperazione
sociale di inserimento lavorativo, in modo anonimo, aperto e libero. La previsione
circa il futuro della cooperazione di inserimento lavorativo viene a dipendere
dall’esperienza e conoscenza degli attori intervistati, piuttosto che dai dati
quantitativi.
La tesi è strutturata in tre capitoli. Nel primo capitolo è racchiusa la storia del
movimento cooperativo, il riconoscimento normativo della cooperazione sociale e
le relative dinamiche di sviluppo dalla loro prima apparizione ad oggi.
Il secondo capitolo è dedicato alla specificità della cooperazione sociale di
inserimento lavorativo. Il primo paragrafo è rivolto alla comprensione delle azioni
messe in atto al fine di inserire lavorativamente i soggetti svantaggiati. Vengono
specificate le categorie di svantaggio in base alla legge 381 del 1991 e al
regolamento comunitario n. 2204 del 2002 ed esaminate le normative (legge n. 68
6
del 1999 e D.Lgs 276 del 2003) volte ad aumentare le possibilità di entrata nel
mondo del lavoro alle persone svantaggiate. Nel secondo paragrafo si esaminano
le azioni legislative messe in pratica, fin dal 1987, della regione Lazio, allo scopo
di promuovere la cooperazione sociale di inserimento lavorativo. Nell’ultimo
paragrafo vengono analizzate le dinamiche della cooperazione sociale di tipo B in
Italia e nel Lazio, unica regione italiana con più cooperative sociali di tipo B che
di tipo A.
L’ultimo capitolo è dedicato interamente, all’indagine realizzata allo scopo di
tracciare le prospettive future della cooperazione sociale di tipo B nella provincia
di Roma. Il primo paragrafo è dedicato alla metodologia utilizzata, il secondo alla
descrizione degli attori intervistati. Nel terzo si tracciano i risultati della ricerca e
nell’ultimo i possibili scenari futuri della cooperazione di inserimento lavorativo
nella provincia di Roma.
7
Capitolo primo
Cooperazione e cooperazione sociale in Italia
1.1 Il fenomeno cooperativo e la specificità della cooperazione sociale
Il movimento cooperativo ha inizio nel regno di Sardegna intorno alla metà
dell’Ottocento, quando viene creata a Torino la prima cooperativa di consumo
4
.
Dopo due anni, in un piccolo centro nella provincia di Savona, nasce la prima
cooperativa di produzione tra i lavoratori dell’arte vetraria. Costituitasi in seguito
alle ripercussioni economiche causate dalla revisione della politica commerciale
piemontese e dall’epidemia di colera. Si propone come un’alleanza produttiva tra i
soci, al fine di eliminare la concorrenza vicendevole e creare una cassa mutua di
malattia e assistenza
5
.
Rispetto al resto dell’Europa l’Italia registra un ritardo nello sviluppo della
cooperazione. Già nel 1844, infatti, in Inghilterra nasce il magazzino di consumo,
in Germania il credito popolare e in Francia la cooperativa di produzione. In
occasione del VII Congresso dell’Alleanza cooperativa internazionale (tenutosi a
Cremona), Luigi Luzzatti, colui che è considerato uno dei padri della
cooperazione, dichiara che l’Italia ha riempito i ritardi iniziali attestandosi alla
pari con il resto dell’Europa
6
.
La localizzazione geografica delle cooperative italiane deriva da molte
circostanze. Quella principale è la favorevole legislazione vigente nel regno del
Piemonte, lo Statuto Albertino che approva, in base all’articolo 32, la libertà di
4
Fornasari M.- Zamagni V., Il movimento cooperativo in Italia, Pisa, Vallecchi Editore, 1997, p.
21
5
Ibidem, pp. 22-23
6
Bonfante G. et al, Il movimento cooperativo in Italia, Storia e problemi, Torino, Piccola
Biblioteca Einaudi, 1997, p. 3
8
associazione e di riunione
7
. È nel giro di pochi anni che i lavoratori danno vita a
società operaie di mutuo soccorso nei centri del regno. La mancanza di una
legislazione sociale, l’indebolimento dell’apparato ecclesiastico, l’avvio allo
sviluppo industriale e le derivanti difficoltà delle lavorazioni tradizionali sono altri
elementi che favoriscono l’avvio e lo sviluppo di tali società durante il decennio
pre-unito. Gli obiettivi che le società di mutuo soccorso si prefiggono di
raggiungere sono essenzialmente quelli del mutualismo in caso di infermità, della
previdenza, dell’istruzione dei soci, del sostegno creditizio agli associati e della
vendita ai soci di prodotti di prima necessità al prezzo di costo. E’ in tali obiettivi
che si caratterizza l’embrione della cooperazione. Le caratteristiche precipue,
presenti nelle 115 società operaie del Piemonte sabaudo alla vigilia
dell’unificazione e alle rimanenti 91 concentrate soprattutto nella Liguria, Emilia
e Veneto, sono la localizzazione urbana, la neutralità politica e la coesione tra i
membri. Tali peculiarità sono destinate a cambiare rapidamente dopo
l’unificazione d’Italia.
L’intensa diffusione delle società di mutuo soccorso nelle grandi città del Nord
d’Italia, riflette gli elevati costi sociali causati dai cambiamenti economici in atto.
Cambiamenti che nel sud d’Italia sono assenti o quasi, data l’arretratezza
dell’economia e il peso esercitato da attività rurali incapaci di attivare processi di
cambiamento
8
.
Ai padri della nostra cooperazione si deve l’opera di sensibilizzazione verso una
forma d’organizzazione sia economica sia sociale che va oltre l’impresa privata,
basata esclusivamente sul raggiungimento di un utile individuale da perseguire.
Tra i padri fondatori vanno menzionati Francesco Viganò, Luigi Luzzatti, Ugo
Rebbino. Merita una particolare attenzione Giuseppe Mazzini (1805-1872); le cui
idee rappresentano un mezzo di fondamentale importanza nella diffusione in Italia
di valori cooperativi. Nel 1862 Mazzini scrive a George Holyoake, uno dai padri
del cooperativismo inglese:
7
Fornasari M.- Zamagni V., Il movimento cooperativo in Italia, op cit., p.22
8
Fornasari M.- Zamagni V., Il movimento cooperativo in Italia, op cit., pp. 22-24
9
Questo è il mio principio: il capitale per la produzione appartiene indivisibilmente
all’associazione; gli utili […] costituiscono una proprietà individuale di ciascun associato
9
.
Ai principi mazziniani si ispirano alcune cooperative di produzione che sorgono a
Genova intorno al 1860. Oltre alla Liguria, solo a Firenze i principi mazziniani
attecchiscono in modo solido, grazie alla creazione del Comune artigiano di
Firenze, aderente alla Fratellanza artigiana d’Italia.
Lo sviluppo della cooperazione è più tardivo nelle campagne dove, solo dopo la
crisi agraria, conosce una crescita intensa, dando origine ad una articolazione
originale di strutture
10
. La crisi agraria si espande in Europa sin dal 1873, per
estendersi in Italia a partire dai primi anni ottanta a causa del tentativo illiberale,
da parte del marchese di Rudinì, di sopprimere le garanzie previste dallo Statuto
Albertino. Tali tentativi risultano decisivi per il consolidamento del movimento
cooperativo
11
. I principali sviluppi di tale ventennio sono: l’espansione del
fenomeno cooperativo su tutti i settori della vita economica, la nascita di
un’organizzazione centrale delle cooperative con la funzione di svolgere
un’azione di coordinamento a livello nazionale fra tutte le cooperative aderenti,
l’entrata del movimento cattolico nel mondo della cooperazione. Con la crisi
agraria si diffondono anche i sindacati e i consorzi agrari (già apparsi per la prima
volta nella prima metà dell’Ottocento), per lo più con lo scopo di acquistare
attrezzi e materie prime. I primi consorzi appaiono in Valpadana sul finire del
decennio Ottanta. L’attività iniziale consiste nell’acquisto in comune di concimi,
zolfi, sementi, bestiame, macchine agricole
12
.
Per quanto il numero delle cooperative di produzione si è ampliato, la forma
prevalente di società cooperativa è ancora di gran lunga quella di consumo, più
9
Briganti W. (a cura di), Il movimento cooperativo in Italia 1854-1962, 3 voll., Roma-
Bologna,1982, p. 10
10
Bonfante G. et al, Il movimento cooperativo in Italia, Storia e problemi, op cit., pp. 17-21
11
Fornasari M.- Zamagni V., Il movimento cooperativo in Italia, op cit., p. 41
12
Bonfante G. et al, Il movimento cooperativo in Italia, Storia e problemi, op cit., p. 19
10
della metà è concentrata in Piemonte, regione di derivazione della cooperazione
13
.
In base al saggio statistico presentato nel 1890 alla Commissione consultiva sulle
istituzioni di previdenza e del lavoro da Luigi Bodio, allora direttore generale
della statistica del Ministero dell’agricoltura, le cooperative di consumo
rappresentano il 57% del totale delle imprese censite. Altri tipi di cooperative si
sono nel frattempo affermate nell’ambito della cooperazione di lavoro. Le
cooperative industriali costituiscono il 10% del totale, un relativo sviluppo hanno
avuto anche le cooperative di costruzione di case operaie. La statistica mette in
luce un progresso del movimento nelle regioni centrali e il fiorire nelle regioni
meridionali, concentrate particolarmente nel settore della cooperazione di
consumo
14
.
Tale sviluppo porta, nel 1886, alla costituzione della Federazione nazionale delle
cooperative, che nel 1893 avrebbe avuto il nome di Lega nazionale delle
cooperative italiane. Questi sono anni caratterizzati da un’attenzione particolare
da parte degli ambienti accademici e dalle forze politiche liberali e democratico-
radicali
15
. Al principio la Lega è un’organizzazione senza una precisa identità
politica. È costituita da rappresentanti d’orientamento radicale, liberale,
democratico, repubblicano e socialista, ma anche da esponenti della cultura
cattolica. Grazie all’emanazione dell’enciclica di Leone XIII la Lega trova un
fertile terreno soprattutto nel settore del credito
16
. Il nucleo dirigenziale della Lega
è inizialmente milanese, ma di fondamentale importanza è anche l’apporto della
cooperazione ligure, piemontese, emiliana, veneta e in misura inferiore anche
toscana e laziale
17
.
Nel 1887 le società cooperative aderenti alla Federazione nazionale sono 195;
negli anni successivi il loro numero si riduce a causa della difficoltà ad attirare a
sé il mondo cooperativo e a causa della depressa congiuntura economica che porta
13
Fabbri F., Per una storia del movimento cooperativo in Italia, Pisa, Vellecchi Editrice, 1979, p.
27
14
Fornasari M.- Zamagni V., Il movimento cooperativo in Italia, op cit., p. 43 e ss
15
Fabbri F., Per una storia del movimento cooperativo in Italia, op cit., p. 30
16
AA.VV., I pensatori italiani, op cit
17
Bonfante G. et al, Il movimento cooperativo in Italia, Storia e problemi, op cit., p. 28
11
effetti negativi sul sistema bancario nazionale. Nel 1899 l’operatività della Lega
appare migliorata nonostante il clima illiberale di fine secolo, i dirigenti della
Lega, favorevoli all’eliminazione del dazio sul grano, introdotto fin dal 1888,
assistono allo scioglimento di numerose cooperative. Nonostante tali defezioni al
termine degli anni Novanta la Lega sembra ben delineata. I soci aderenti alla Lega
sono 227.053 concentrati soprattutto in Lombardia, mentre il Piemonte è la regine
con meno cooperative aderenti assieme al Veneto. In generale le cooperative nel
nord aderenti alla Lega costituiscono il 63,1%, quelle del centro il 30%, quelle del
sud il 6,8%
18
. Tale disposizione geografica rispecchia la ripartizione del
movimento cooperativo italiano alla svolta di fine secolo. La Lega infatti conta
sull’adesione di cooperative diffuse maggiormente in Lombardia, Emilia
Romagna e Liguria. In tali aree la cooperazione è venuta assumendo connotazioni
sociali più popolari, è la manifestazione di quei ceti colpiti dall’affermarsi di
nuovi criteri produttivi e di organizzazione del lavoro.
La cultura cattolica prede piede nel mondo della cooperazione italiana con
l’avvento dell’emanazione della Rerum Novarum da parte di papa Leone XIII;
l’enciclica indica la consapevolezza della necessità di un più ampio contatto con
le classi lavoratrici. Incoraggia la tendenza all’associazionismo e il solidarismo
che trova campo soprattutto nel settore del credito, mediante la promozione di
casse rurali
19
. I cattolici si impegnano anche nella costituzione di cooperative
agricole e di lavoro, di latterie e di cantine sociali, pur non assumendo uno
sviluppo impetuoso
20
.
È nel corso del primo quinquennio del Novecento che si delineano le basi della
cooperazione moderna, grazie alla forte impronta conferita dal governo di
Giovanni Giolitti, più volte presidente del Consiglio dei ministri
21
.
18
Fornasari M.- Zamagni V., Il movimento cooperativo in Italia, op cit., pp. 59-63
19
Ibidem, p. 66
20
Bonfante G. et al, Il movimento cooperativo in Italia, Storia e problemi, op cit., p. 32
21
Fornasari M.- Zamagni V., Il movimento cooperativo in Italia, op cit., p. 79