A priori appare necessario fornire una spiegazione del termine
democrazia. Avrò infatti modo di parlare di consolidamento, transizione,
crisi, ma l'aggettivo democratico merita, per primo, un'analisi.
Sul termine Democrazia
Molti sono gli autori che hanno cercato di spiegare e definire il termine
democrazia.
Le difficoltà implicite nei tentativi di fornire una definizione chiara e
precisa di questo termine sono rintracciabili nelle parole di Sartori
"il termine democrazia indica sia un insieme d'ideali, sia un sistema
politico, caratteristica che condivide con i termini comunismo e
socialismo.. (a differenza di questi) la democrazia non s'è mai identificata
con una specifica corrente di pensiero. Essa è piuttosto un prodotto di
tutto lo sviluppo della civiltà occidentale.. ha subito un'evaporazione
concettuale.. democrazia abbrevia tutto "
Nel corso di questo secolo, l'attenzione degli studiosi che hanno cercato di
fornire una definizione il più possibile esaustiva di questo concetto, si è
concentrata su due aspetti
Il primo è inerente all'origine della legittimità del potere democratico. In
questo senso parlare di democrazia implica la presenza di determinate
condizioni riguardanti le modalità d'accesso, da parte dei leaders, alla
gestione del potere. Non più tramite fattori quali l'estrazione familiare o
l'uso della violenza, ma grazie ad elezioni libere e competitive,
espressione della volontà popolare della quale coloro che sono eletti
fungono da rappresentanti.
Il secondo, invece, centra l'attenzione sulla necessità della presenza, in un
regime democratico, di corrispondenza tra gli atti del governo ed i bisogni
della popolazione. In questo senso assumono particolare interesse fattori
inerenti tanto alla presenza di canali politici, che mettano in relazione la
popolazione con la classe dirigente, quanto la presenza di corpi politici ed
istituzionali, capaci di fornire le risposte adatte a questi bisogni.
In questo secondo aspetto sono inquadrabili, ad esempio, definizioni come
quella di May , che parla di democrazia come
" quel regime politico che postula una necessaria corrispondenza tra gli
atti di governo e i desideri di coloro che ne sono toccati"
o quella di Dahl, che vede come prerogativa d'un sistema democratico la
"continua capacità di risposta del governo alle preferenze dei suoi
cittadini, considerati politicamente uguali".
Sempre Dahl, migliorò questa definizione. Secondo questo autore per
superare i limiti impliciti della definizione di democrazia, inteso come
sistema politico astratto ("Liberal democrazia ideale"), occorre spostarsi
sul piano dell'analisi empirica di quei sistemi che col tempo hanno
maturato un insieme di regole definite come democratiche ("Liberal
democrazia di massa"), e da lì partire per fornire una definizione di
"democrazia". Perché si possa parlare di sistema democratico, allora, è
necessaria la comprovata esistenza di due postulati
1) Affinché un regime sia capace di risposta, nel tempo, tutti i cittadini
devono avere simili opportunità di
a) Formulare le proprie preferenze
b) Esprimere queste preferenze agli altri ed al governo attraverso
un'azione individuale e collettiva
c) Ottenere che le proprie preferenze siano considerate, ovvero "pesate",
ugualmente, senza discriminazioni in quanto al loro contenuto e origine
2) Perché queste tre possibilità esistano, devono esistere almeno le
seguenti otto garanzie costituzionali:
a) Libertà d'associazione ed organizzazione
b) Libertà di pensiero ed espressione
c) Diritto di voto
d) Diritto dei leaders delle varie organizzazioni politiche, di competere per
il sostegno elettorale
e) Fonti alternative d'informazione
f) Possibilità di essere eletti a pubblici uffici
g) Elezioni libere e corrette
h) Esistenza d'istituzioni che rendano le politiche governative dipendenti
dal voto o da altre espressioni di preferenze
Con questi postulati, è bene ricordarlo, si è passati dalla definizione
astratta del termine democrazia, che presentava innumerevoli difficoltà,
alla definizione empirica di regime democratico, ossia una definizione
derivante dall'analisi empirica delle democrazie così come si sono
sviluppate a livello occidentale.
Un'altra definizione, utile ad inquadrare semanticamente il termine
democrazia, è quella di
"sistema di governo che includa tre condizioni essenziali
- piena competizione tra gruppi organizzati, specialmente partiti politici
per arrivare a governare
- alto livello di partecipazione politica nella scelta dei laders e delle
politiche
- livello di diritti civili e politici sufficiente per assicurare l'integrità della
competizione e partecipazione politica ".
Più sinteticamente si potrebbe, infine, parlare di sistema democratico
utilizzando la definizione minima che di questo è stata data da diversi
autori.
Secondo questi, si potrà parlare di democrazia quando sussistano almeno
questi quattro aspetti:
a) Suffragio universale, maschile e femminile
b) Elezioni libere, competitive, ricorrenti e corrette
c) Esistenza di più d'un partito
d) Diverse e alternative fonti d'informazione.
Adottando questa definizione minima di democrazia, e comparandola con
la situazione presente nella decade 1980-1990 in Perù, scopriamo allora
come sia lecito parlare di democrazia inerentemente a quel periodo; come
avremo modo di vedere, infatti, le quattro condizioni sopra citate erano
presenti.
Era presente il suffragio universale, sancito dalla costituzione del 1979
le elezioni erano state corrette, libere e competitive
esistevano diverse fonti d'informazione
erano presenti più partiti.
Ma come si arrivò ad un regime democratico?
1) La "transizione democratica":
Innanzitutto è opportuno spiegare cosa s'intenda quando si parla di
transizione. Una definizione possibile ci viene da O'Donnel
"Con transizione s'intende l'intervallo di tempo tra un regime politico ed
un altro.. la transizione è limitata, da un lato, dal processo di dissoluzione
del regime autoritario, dall'altro dall'installarsi di una qualche forma di
democrazia, dal ritorno ad un regime autoritario, dall'emergere di
un'alternativa rivoluzionaria ".
Più genericamente si potrebbe parlare di transizione come
"quel periodo ambiguo ed intermedio, in cui il regime ha abbandonato
alcuni caratteri determinanti, del precedente assetto istituzionale, senza
avere acquisito tutti i caratteri del nuovo regime che sarà instaurato" .
La transizione può considerarsi conclusa nel momento in cui appare reale
la possibilità che s'installi un regime diverso dal precedente.
Nel caso d'una transizione democratica, il passaggio è sancito dalle
elezioni, libere, competitive e corrette.
In questo senso, nel Perù degli anni ottanta è lecito parlare di transizione
democratica. Nel 1979 si aprirono i lavori per l'assemblea costituente che
formalizzò il passaggio da un regime autoritario, quello delle forze
armate, ad uno democratico.
Alla transizione segue, come accadde in Perù, l'instaurazione del regime
democratico.
È bene però a questo punto interrogarsi anche sulle modalità della
transizione e dell'instaurazione e su quali sono gli attori ed i fattori più
importanti in un processo di questo tipo.
Occorre peraltro operare un distinguo: non sempre gli attori della
transizione sono i medesimi che danno luogo al processo d'instaurazione.
Mi spiego: com'è noto, in Perù il processo di transizione prese forma per
opera dei militari stessi, attori istituzionali protagonisti nel regime
autoritario vigente fino al 79.
In sostanza, per il caso peruviano, si potrebbe parlare di transizione
"continua". In seguito a determinati fattori, primo tra tutti l'incapacità di
soddisfare le domande della popolazione dal punto di vista economico, il
regime militare entrò in crisi. All'interno del GRFA, si disegnarono allora
due correnti, definibili come "duros" e "blandos" .
La prima credeva nella scelta di continuare per la strada fin lì percorsa, la
seconda reputava necessario definire chiusa l'esperienza e aprire ad un
governo civile. E, però, è opportuno ricordarlo, non furono gli stessi
militari a recitare il ruolo di protagonisti nel processo d'instaurazione del
regime democratico.
Questo fu opera delle forze politiche presenti (soprattutto APRA e AP) e
prese forma nella carta costituzionale del 1979.
2) Il tentato "consolidamento democratico"
Nel momento in cui la transizione da un regime ad un altro ha termine, il
nuovo sistema politico si trova davanti all'esigenza di consolidarsi.
Questo è esattamente quanto avvenne, tra gli anni ottanta e novanta di
questo secolo, in Perù.
Ma quali possono essere le condizioni favorevoli a questo processo, e
cosa s'intende per consolidamento democratico?
Valenzuela propone, come definizione di consolidamento, "l'eliminazione
di istituzioni, procedure e aspettative incompatibili con la definizione
minima di regime democratico "
Una definizione ulteriore di consolidamento può essere quella di
"processo di congelamento nei suoi caratteri essenziali e di adattamento in
quelli secondari delle diverse strutture e norme democratiche, indotto dal
trascorrere del tempo "
Un processo di questo tipo garantisce legittimità al regime.
Quali possono essere i fattori importanti perché sia possibile un rapido
consolidamento democratico ?
1) Modalità della transizione, e attitudine dell'élite principale del regime
autoritario verso la democratizzazione.
2) Paragone con il regime precedente, memoria storica, legittimità
O'Donnel, in proposito, sostiene che il consolidamento è favorito dalla
percezione negativa che la popolazione ha dell'esperienza precedente
all'instaurazione di un governo democratico .
3) Moderazione del conflitto, trasposizione di questo su un piano
istituzionale.
4)Gestione del conflitto sociale
Altri elementi rilevanti possono essere
1) Messa in opera e mantenimento del compromesso democratico, ossia
del patto che permette cooperazione tra maggioranza e opposizione
2) Rispetto della legalità
3) Neutralità dei militari
4) Ruolo dei partiti.
Come avremo modo di vedere, alcuni di questi fattori erano presenti
all'interno del sistema politico peruviano.
Il regime delle FFAA era crollato proprio per opera degli alti vertici
castrensi, che avevano permesso l'apertura dell'arena politica alle
dinamiche democratiche.
Però i problemi esistevano e venivano dalla mancanza
d'istituzionalizzazione, problematica presente, all'interno della sfera
politica peruviana, fin dal momento della caduta dei regimi oligarchici,
databile intorno al 1930.
Ciò contribuì a far sì che il consolidamento democratico non si
concretizzò in un sistema politico di persistenza stabile, ma instabile ,
ossia privo di prospettive future di sicura durata.
Nel 1987 col termine della "Luna di miele" di Alan García, il Perù vedrà
aprirsi una crisi politica di portata enorme.
Questa crisi darà luogo dapprima alla scomparsa, dal panorama politico
peruviano, delle principali forze politiche presenti storicamente sul
territorio e quindi all'emergere del fenomeno indipendentista, con
l'elezione di Fujimori.
Successivamente, come vedremo nel terzo capitolo, questa crisi sarà
esasperata dal presidente in carica e si risolverà nell'autogolpe del 1992.
Ma cosa significa il termine crisi, riferito ad un sistema politico?
3) Crisi politica
Si potrebbe parlare di crisi, all'interno di un regime democratico, quando
l'equilibrio, che regge il sistema stesso, si spezza.
E da che cosa è rappresentato questo equilibrio?
Secondo Morlino, è il risultato congiunto di 5 fattori
1) Domande politiche, espressione di preferenze e bisogni della comunità
politica, articolate in maniere diverse; 2) un certo livello di sostegno al
sistema, anche indipendente dal soddisfacimento delle domande; 3)
processi decisionali disciplinati, soprattutto efficienti, e che prendano in
considerazione le domande; 4) decisioni adeguate alle domande; 5)
feedback, ovvero un processo di retroazione che contribuisce al
mantenimento del regime anche in presenza di domande inevase.
Nel Perù della fine degli anni ottanta, come vedremo, il sistema entrò in
crisi principalmente per tre motivi:
L'incapacità del presidente in carica, Alan García, di rispondere al
bisogno economico delle classi più basse, penalizzate dall'enorme crescita
inflazionistica e dal crollo economico del paese;
Il crollo drastico del livello di sostegno al sistema, come anche quello
della fiducia nei partiti politici e nelle istituzioni stesse.
La presenza di movimenti esterni all'arena politica e che agivano
utilizzando strumenti extra legali.
Con il golpe del 1992 si apre una nuova fase, con l'instaurazione, di fatto,
di un regime autoritario.
Vale a questo punto la pena spendere due parole su che cosa s'intenda per
regimi autoritari.
La definizione più comunemente accettata è quella elaborata da Linz una
ventina d'anni fa, che lo definisce come
"un sistema politico con pluralismo politico limitato e non responsabile,
senza un'elaborata ideologia guida, ma con mentalità caratteristiche, senza
mobilitazione politica intensa o estesa, tranne in alcuni momenti del loro
sviluppo, e con un leader o talora un piccolo gruppo che esercita il potere
entro limiti formalmente mal definiti ma in realtà abbastanza prevedibili"
Il primo elemento che si può evidenziare in questa definizione è quello del
pluralismo limitato; questo riguarda la comunità politica, così come la
riguarda un secondo elemento, quello d'assenza di mobilitazione.
Col termine pluralismo limitato e non responsabile s'intende porre
l'accento sul fatto che gli attori politici interni al regime autoritario non
sono responsabili, né responsabilizzati, attraverso le procedure che
contraddistinguono i sistemi politici democratici.
In un sistema autoritario, i plebisciti, come qualsiasi altra forma
d'elezione, non hanno il significato che assumerebbero in un regime
democratico, ma valgono come strumento ulteriore di legittimazione del
leader o del gruppo che occupa le cariche più alte all'interno del sistema
autoritario stesso.
Per quanto riguarda la mobilitazione, è bene ricordare che, perché questa
sia scarsa, almeno durante l'instaurazione del regime autoritario devono
esistere apparati repressivi che non favoriscono l'opposizione al golpe.
Oltre a ciò un sistema autoritario è facilitato, nell'instaurarsi, dalla
mancanza o debolezza di strutture di mobilitazione, quali quelle dei partiti
o delle organizzazioni sindacali. Questi due fattori, unitamente all'assenza
di garanzie reali per quanto riguarda i diritti civili e politici, sono elementi
caratteristici di un regime autoritario.
Come avrò modo d'illustrare nel terzo capitolo, al momento dell'autogolpe
dell'aprile del 1992, tutte queste caratteristiche furono, almeno per un
breve periodo, presenti.
I giornali e le televisioni furono occupati dalle forze armate, Fujimori
tentò di far passare un disegno costituzionale, tramite un referendum che
avrebbe avuto tutte le caratteristiche di un plebiscito; la mobilitazione
contro il regime fu bassissima. Tutti gli organi istituzionali vennero
impediti nella propria azione, epurati e riplasmati secondo il desiderio del
presidente Fujimori.
La crisi politica degli anni ottanta aveva portato al crollo del sistema
politico peruviano, dando il via ad una nuova transizione, questa volta
verso l'autoritarismo.
Quanto seguì al momento del golpe, però, è qualcosa di molto particolare.
Grazie soprattutto all'opposizione degli organismi internazionali, (fra tutti
l'OEA), e la seppur flebile opposizione dei partiti politici del paese, il
consolidamento di questo tipo di regime non ebbe luogo.
Ma, questa è la modesta impressione di chi scrive, forse il sistema
autoritario non si consolidò, almeno nell'aspetto formale, soprattutto
perché lo stesso artefice di questa transizione comprese la difficoltà che il
mantenimento di un ordine di questo tipo avrebbe comportato.
Come avrò modo d'illustrare nel terzo capitolo, l'opposizione
internazionale alla decisione di Fujimori di rompere con il corpus
democratico non si fermò ad un livello di critica verbale.
Il Perù, per il tipo di politica economica intrapresa era, ed è tuttora,
strettamente legato alla concessione di crediti da parte del FMI. Nel
momento in cui Fujimori diede il cosiddetto "fujimorazo", questi crediti
furono immediatamente sospesi. Dall'OEA venne il monito di tornare
immediatamente al ripristino delle regole democratiche.
A questo punto, Fujimori aveva davanti a sé due alternative: continuare
per la strada intrapresa, isolandosi però dal contesto internazionale e
mettendo a repentaglio la propria popolarità, oppure fingere di tornare sui
propri passi, riaprendo l'arena politica al gioco democratico.
Credo che se optò, come cercherò di dimostrare, per la seconda ipotesi, fu
principalmente per un discorso di comodo.
Mantenere una sostanza autoritaria, celata da una forma democratica,
garantiva al presidente popolarità e, al contempo, libertà d'azione.
Iniziò così un periodo (92-97) contrassegnato da un regime politico che,
se mi si può passare l'espressione, definirei come ibrido.
Questo è esattamente quanto cercherò di dimostrare nel quarto capitolo.
Per fare ciò confronterò determinati valori, definiti come indicatori di
democrazia, con una serie di dati raccolti sul campo.
La scala di valori che utilizzerò sarà quella di Gastil
La scelta di questa scala è dettata dalla possibilità che offre di definire
come democratico o non democratico un determinato regime, valutando
determinate variabili, quali la libertà di espressione, la totale indipendenza
del potere giudiziario dall'esecutivo, e il rispetto dei diritti umani.
Sempre nel quarto capitolo cercherò d'illustrare quali siano le prospettive
possibili per le elezioni presidenziali del duemila, e quali possibilità abbia
Fujimori, secondo i sondaggi finora eseguiti, di essere rieletto senza
ricorrere a manovre contrarie alle logiche democratiche.
Infine osserverò, dal punto di vista economico, quali effetti abbia avuto
l'applicazione della ricetta neo liberista sulla popolazione, esaminando
anche le politiche sociali che hanno caratterizzato la presidenza Fujimori.
Capitolo I
Dalla crisi politica degli anni 80 all’elezione di Fujimori
1.1 1980- 1990: la crisi delle organizzazioni politiche, il crollo
dell'APRA, i governi Belaúnde e García.
La decade ottanta-novanta riveste un ruolo particolarmente
importante per chi decida di analizzare l’odierna situazione politica
peruviana.
In questo periodo, infatti, il Perù vide risorgere le forze
democratiche e politiche per anni obbligate ad assenza forzata a causa del
regime militare. Ma proprio queste forze avrebbero creato un sistema
politico destinato nella medesima decade ad andare in frantumi. Gli anni
80 furono gli anni della speranza in una nuova stagione democratica; una
nuova linfa vitale attraversava il paese e il sistema politico, per decenni
costretto a restare celato, poteva rinascere.
Gli anni 90 si aprirono con la distruzione di questo sistema, una
crisi che avrebbe nuovamente spostato l’interesse della popolazione dalla
forma partito al singolo individuo.
Determinate caratteristiche, latenti per una decade, sarebbero
riapparse: il caudillismo, il movimientismo, la carenza
d’istituzionalizzazione reale, tutto ciò avrebbe contribuito a disegnare
questa nuova situazione.
Quanto segue in questo paragrafo non è altro che il tentativo di
fornire, da un lato, un prospetto storico del cammino peruviano verso la
democrazia a partire dal 1980 e, dall’altro, di definire in cosa,
esattamente, si concretizzò la crisi del sistema partitocratico peruviano.
1.1.2 La transizione democratica e le elezioni del 1980
Il 18 maggio 1980, a 17 anni dalle ultime elezioni libere, tenutesi
nel 1963, il Perù poteva tornare nuovamente a godere della possibilità di
una nuova consultazione elettorale.
Il processo democratico, che aveva subito una battuta d'arresto per
opera dei militari guidati da Velasco Alvarado nel 1968, poteva ora
rimettersi in moto.
Gli stessi vertici militari contribuirono a rendere possibile tale
processo: il generale Bermudez, che aveva dato il via alla seconda fase del
Gobierno Revolucionario de las Fuerzas Armadas (GRFA), provvide al
passaggio di consegne: conscio dell'impossibilità di seguire sulla strada
finora percorsa, lasciava spazio alla formazione di un governo civile.
L’ultimo colpo al regime militare era stato portato, nel luglio 1977,
da uno sciopero nazionale spontaneo, beneficiario del tacito appoggio
dell’APRA e d’AP.
Il governo militare reagì imponendo il licenziamento di quanti
avessero aderito allo sciopero.
I dirigenti aziendali, come i vari padroni di piccole e grandi
imprese, non si fecero sfuggire l’occasione: avevano la possibilità,
legalmente accettata, di liberarsi di un buon numero di lavoratori
identificato come superfluo e, cosa ancora più importante, di licenziare un
buon numero d’appartenenti ad organizzazioni sindacali.
Cinquemila persone persero il proprio lavoro: era un’ulteriore
dimostrazione del fallimento del progetto delle forze armate.
I militari, divisi tra coloro che reputavano opportuno un
trasferimento del potere agli organi civili e coloro che invece sostenevano
la necessità di seguire sulla strada intrapresa, dovettero operare una scelta.
Tale scelta si concretizzò nella transizione da un regime militare ad
un governo civile.
Nel 1978 si aprirono i lavori della nuova assemblea costituente,
incaricata di redigere una carta che sostituisse quella, ormai superata, del
1930.
Ai lavori parteciparono 28 deputati d’estrema sinistra, 37 deputati
apristi, 29 del Partido Popular Cristiano e sei del P.S.R.
1
La nuova carta, espressione della volontà di questi 100 membri
eletti dal popolo, fu approvata il 12 luglio del 1979, ad un anno dall'inizio
dei lavori.
Il risultato fu una costituzione che riuniva in sé tutti i crismi
democratici: venivano garantite le libertà d’espressione (stampa e parola),
veniva sancita l'indipendenza del potere giudiziario, scorporato da quello
esecutivo, e veniva ripristinato l'habeas corpus.
Era inoltre prevista una decentralizzazione politico amministrativa
con l'istituzione d’assemblee municipali e dipartimentali (il Perù è diviso
in dipartimenti).
Un fattore da rilevare è sicuramente, per concludere, il riuscito
tentativo da parte delle forze progressiste di allargare il suffragio,
estendendo il diritto di voto a tutti i maggiori di diciotto anni, anche se
analfabeti.
Il lungo periodo di governo militare aveva evidentemente riacceso
nella popolazione antiche passioni politiche sopite: alle elezioni politiche
del 18 maggio 1980, la voglia di dire la propria su questioni d’interesse
politico nazionale portò i dati relativi all'affluenza alle urne a sfiorare
l'80%.
Rispetto alle elezioni del 1978 il numero degli iscritti, grazie
all'allargamento del suffragio, aumentò del 29%, passando da 4966000 a
6431000.
I maggiori di diciotto anni che godevano ora del diritto di voto
erano circa 635000, gli analfabeti, fino a quel momento esclusi,
contribuirono ad aumentare il numero totale di elettori di 832000 unità.
I voti bianchi e quelli nulli portarono a conti fatti ad un 62,5% di
voti validi.
2
1
Problemes d’Amerique Latine, N.4653-4654, p. 88
2
Ibidem, p.89
1.1.3 Le elezioni del 1980
Al momento delle elezioni politiche una cosa appariva chiara: né
l'Apra, indebolita dalla recente scomparsa del suo leader storico (De La
Torre), né tantomeno la sinistra, presentatasi alle consultazioni elettorali
divisa in più formazioni, avevano reali speranze di vittoria.
La scelta sarebbe caduta sul partito dell'ultimo presidente in carica
prima del governo militare: Acción Popular, di Belaúnde Terry.
Con il 45% dei voti a livello nazionale, Belaúnde Terry veniva
proclamato presidente.
Il 40,9% al senato ed il 39,39% alla camera, uniti al 9,6% del PPC
di Bedoya, garantirono al neo presidente la maggioranza in entrambe le
camere
3
.
Un aumento di nove punti percentuali rispetto al 1963 rendeva i
toni della vittoria ancor più eccezionali; questo anche in considerazione
del fatto che, statisticamente, almeno un terzo di coloro che avevano
votato per Belaúnde alle prime elezioni in questi 17 anni era ormai morto.
I risultati delle elezioni parlavano chiaro: l'APRA pur
confermandosi come seconda maggiore forza a livello nazionale aveva
risentito troppo, a livello elettorale, della morte del proprio leader storico
e questo, sommato alle lotte intestine di successione, ne aveva
danneggiato l'immagine.
Le sinistre, dal canto loro, avevano avuto la riprova
dell'impossibilità di vincere in mancanza di un accordo che le riunisse
sotto una sola bandiera.
3
Cfr., nota 1 p. 91