1
INTRODUZIONE
Se è vero che le migrazioni esistono da sempre nella storia dell’umanità, per l’attitudine delle
popolazioni a spostarsi sul territorio per motivi economici, politici, affettivi, culturali e
ambientali, è anche vero che, con l’avvento della globalizzazione, il fenomeno della migrazione
internazionale ha assunto delle dimensioni ingenti, rispetto al passato, proprio perché i flussi
migratori si sono sviluppati all’interno di un contesto nuovo, quello globalizzato, dove lo
spostamento delle persone da un Paese all’altro è stato agevolato da una serie di condizioni che
hanno permesso il graduale abbattimento delle barriere, di ordine politico ed economico, alla
mobilità delle persone.
Sulla base dei dati esistenti sono 244 milioni le persone immigrate nel mondo. Fra queste,
però, sono almeno 65 milioni le persone che hanno dovuto abbandonare la patria contro la
propria volontà. Al contrario, chi ha scelto volontariamente di migrare in un altro Stato è stato
spinto, e consequenzialmente attratto, da ragioni di carattere economico, politico e sociale.
Queste cifre senza precedenti hanno posto il fenomeno della mobilità delle persone e il tema
della governance dell’immigrazione al centro dell’interesse delle istituzioni e dell’attenzione
dell’opinione pubblica.
I dibattiti più accesi, sul versante pubblico e politico, sono avvenuti all’interno delle società
dei Paesi di destinazione dei flussi migratori, ossia nei Paesi aderenti all’Organizzazione per la
Cooperazione e la Sicurezza in Europa (OCSE) e nei Paesi dell’Unione Europea (UE), ma non
hanno risparmiato neanche le società dei Paesi di transito, nella gran parte Paesi con economie
in via di sviluppo, tanto da richiedere, nel settembre del 2016, la riunione di 193 capi di stato e
di governo da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, al fine di gettare le basi per
pianificare una strategia comune alla comunità internazionale, che possa gestire le migrazioni
internazionali in maniera efficiente e garantire efficacemente i diritti umani di ogni persona.
In realtà, nessuno Stato è in grado di gestire da solo questo movimento globale di persone,
perché esso influisce inevitabilmente sulle politiche economiche, sociali, umanitarie e di
sviluppo nazionali. Un fenomeno globale richiede, quindi, l’adozione di un approccio globale
2
e di soluzioni globalmente condivise. Ciò è ancor più vero se si tiene presente che i migranti,
prima di tutto, sono persone. Come tali sono nate libere e in condizione di uguale dignità e
diritti, e per questa ragione godono dell’universale riconoscimento e della tutela dei diritti
umani e delle libertà fondamentali, affermati, in particolar modo, nella Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani.
Il contributo che può offrire un’immigrazione regolata è inestimabile, perché è in grado di
creare occasioni di sviluppo e di benessere per tutti i Paesi coinvolti, sia che si tratti di Paesi di
provenienza sia che si tratti di Paesi di destinazione, dato che ne moltiplica le risorse
economiche, sociali e culturali. Viceversa, un’immigrazione irregolare, spesso di origine
forzata, può affliggere negativamente sia i Paesi riceventi, che in via cautelativa si sentiranno
costretti a limitare gli ingressi, a rafforzare il controllo delle frontiere e a respingere i migranti
irregolari, sia i Paesi di provenienza, che non potranno più godere delle rimesse economiche e
delle conoscenze apprese all’estero per la crescita e lo sviluppo del proprio potenziale.
Il trend emerso a livello internazionale non è che un riflesso di ciò che si rinviene già da tempo
sulla scena europea. In Europa sono giunte, nel solo 2015, più di 2,4 milioni di persone in cerca
di maggior sicurezza e migliori condizioni di vita.
Il dibattito interno non verte più sulla necessità o meno di regolare la mobilità delle persone
in modo coordinato fra Stati membri, perché questa ormai è appurata, bensì sulla
determinazione di un livello ottimale di regolazione, che, come tale, renda possibile una
gestione efficiente dei flussi migratori, dal punto di vista operativo, e garantisca una tutela
effettiva dei diritti umani delle persone immigrate in Europa.
L’attuale UE conta 28 Stati membri (27, se si considera la fuoriuscita della Gran Bretagna),
e fra questi solo i Paesi dell’Europa nord-occidentale hanno avuto modo di maturare una
maggiore esperienza nel settore della gestione dell’immigrazione. I Paesi dell’Europa dell’est,
considerati da sempre Paesi di emigrazione, hanno infatti avuto modo di sperimentare
l’immigrazione solo di recente, aderendo all’UE e attraendo l’interesse dei cittadini provenienti
dai Paesi limitrofi dell’ex Unione Sovietica e dell’Asia centrale.
Come si avrà modo di vedere in questa tesi, è previsto che le politiche di immigrazione degli
Stati membri convergano tutte all’interno di un’unica cornice giuridica e politica, quella
dell’UE, che, a partire dal Trattato di Amsterdam, si è occupata di disciplinare, nel rispetto degli
3
obblighi internazionali e dei diritti umani, tutti gli aspetti legati all’ammissione e al soggiorno
dei cittadini degli Stati terzi sul territorio europeo, incluso quello dell’accoglienza delle persone
richiedenti asilo.
Gli Stati membri dell’UE sono, inoltre, vincolati al rispetto della Convenzione di Ginevra del
1951 che, avendo istituito un sistema di protezione internazionale per le persone rifugiate, li
impegna nella protezione dei richiedenti asilo, vietandone il respingimento. Ma l’accoglienza
concreta e l’inclusione sociale dei richiedenti protezione internazionale, assieme
all’ammissione dei migranti economici e alla loro integrazione nella società, restano, per ora,
materia di decisioni politiche e discrezionali nell’ambito dell’esercizio della sovranità di
ciascun Stato membro.
Ne consegue che il panorama normativo in materia di immigrazione è molto ampio e
necessita, in via preliminare, di essere ricondotto alla ripartizione delle competenze fra i diversi
livelli di governo sui quali è strutturato il sistema di gestione dell’immigrazione in Europa.
I differenti livelli di governo si trovano a dover necessariamente interagire affinché sia
possibile integrare compiutamente la disciplina dell’immigrazione in Europa. L’UE condivide
la competenza in materia di immigrazione con gli Stati membri, ma si occupa di disciplinare
solo il quadro generale delle garanzie sostanziali e procedurali a tutela dei cittadini di Paesi
terzi, andando ad armonizzare e a coordinare gli interventi nazionali in materia, mentre la
disciplina di dettaglio è rimessa all’attuazione dei legislatori nazionali che conservano un ampio
margine di discrezionalità in materia.
Dall’integrazione delle discipline consegue però anche un problema di tipo operativo, perché
i criteri di attribuzione delle responsabilità in capo agli Stati membri stabiliti dall’Unione nel
campo della protezione internazionale comportano una maggior afflizione per gli Stati membri
collocati sulle frontiere esterne dell’UE, come l’Italia, che si trovano a sopportare maggiori
oneri nella gestione dei flussi migratori.
Come se non bastasse, le persone che lasciano la propria patria per migrare all’estero sono
spinte da motivazioni molto differenti fra loro, così che non sempre è agevole per le autorità
distinguere fra chi è alla ricerca di una qualche forma di protezione internazionale e chi è alla
ricerca di migliori condizioni economiche, naturali e ambientali in cui vivere, anche perché
spesso i migranti e i richiedenti asilo si trovano a percorrere le stesse rotte per giungere nei
4
Paesi di destinazione e, quando non possono avvalersi delle procedure per migrare legalmente,
utilizzano i medesimi canali irregolari di ingresso.
Davanti alla complessità che presenta questo scenario, gestire le migrazioni in modo
responsabile, proattivo e sostenibile, adattando, per quanto possibile, i canali di migrazione
legale predisposti alle reali motivazioni dei migranti e alle capacità di assorbimento economico,
politico e sociale dei Paesi di accoglienza, rappresenta la maggiore sfida per i Paesi dell’Unione
Europea, già impegnati a fronteggiare le crisi domestiche sui versanti dell’economia, della
sicurezza e delle nascite.
La sfida che si presentata a livello sovranazionale si decide, però, a livello locale.
Le scelte sottese alla gestione dell’immigrazione non solo incidono sulla composizione delle
popolazioni residenti ma anche sulla coesione sociale all’interno dei Paesi di accoglienza.
Poiché è l’integrazione sociale delle persone immigrate a riflettere il grado di accettazione e
di inclusione della componente straniera all’interno della società ospitante, e dunque la coesione
sul territorio, le politiche per l’integrazione dei cittadini non europei non possono che
rappresentare il terreno politico sul quale i cittadini europei verificano empiricamente il
successo o il fallimento delle politiche intraprese nella gestione dei flussi migratori. Da ultimo
sono proprio i cittadini, in quanto elettori, a sostenere e a supportare il funzionamento e
l’integrità del sistema di accoglienza e di asilo.
Davanti a questa constatazione il decisore pubblico nazionale è chiamato a programmare i
propri interventi in modo tale da impiegare le risorse finanziarie, dedicate alle politiche di
immigrazione e per l’immigrazione, nel modo più efficiente possibile, ossia assicurando sia la
flessibilità delle strutture e del personale impiegato nel settore ricettivo sia la qualità dei servizi
di accoglienza e di integrazione.
Il decisore pubblico, però, deve assicurare anche l’attuazione dei diritti sociali e dunque il
funzionamento del sistema di welfare. In presenza di risorse limitate e di fronte alle tutele, di
carattere sostanziale e procedurale, originariamente previste per i soli cittadini degli Stati
membri ma poi estese a tutte le persone presenti sul territorio europeo dall’UE, deve
necessariamente operare una selezione dei bisogni da sodisfare per incrementare il benessere
della collettività.
5
Il legislatore nazionale è costretto quindi ad introdurre nell’ordinamento statale o domestico
delle cause di distinzione, all’interno della condizione giuridica del cittadino straniero, che
siano utili a differenziare il godimento delle tutele previste sulla base di parametri oggettivi,
come la regolarità dell’ingresso e del soggiorno e la tipologia del titolo di soggiorno posseduto
dal cittadino straniero.
In questo contesto si è ritenuto interessante indagare come si è comportata la Regione Friuli
Venezia Giulia (FVG), nell’esercizio delle proprie competenze e della propria autonomia, nei
confronti delle persone migranti presenti, a vario titolo, sul territorio regionale.
I primi due capitoli si occuperanno, quindi, di mettere in luce gli aspetti strutturali e operativi
della gestione dell’immigrazione, esaminando la normativa che nasce a livello sovranazionale,
specialmente nel contesto dell’Unione Europea, e che trova attuazione negli Stati membri, nello
specifico in Italia. Il terzo capitolo è, invece, dedicato all’attuazione di tale normativa a livello
locale e dunque all’intervento del legislatore del Friuli Venezia Giulia nel settore delle politiche
di immigrazione e per l’immigrazione.
Come si vedrà nel proseguo della trattazione, il legislatore regionale è libero di riconoscere,
limitare o estendere la garanzia e l’esercizio di determinati diritti sociali in modo autonomo
dallo Stato ma, nel farlo, non solo deve rispettare le previsioni che provengono dal diritto
internazionale, dal diritto dell’UE e dal diritto nazionale, ma deve anche garantirne l’effettivo
godimento attraverso il proprio sistema di welfare.
Le politiche di immigrazione, essendo correlate alle politiche per l’immigrazione,
influiscono, dunque, anche sul sistema di protezione sociale.
L’adozione di misure di welfare che siano in grado di apportare una tutela più elevata nei
confronti della popolazione straniera residente è consentita alle Regioni ma le misure adottate
a livello regionale devono coesistere con le misure statali che incidono sui medesimi ambiti di
azione e la coesistenza tra interventi statali e interventi locali non è sempre agevole. Le politiche
adottate devono poi essere concretamente attuate e quindi devono risultare sostenibili dalle
amministrazioni pubbliche, quindi presuppongono una solida condizione economica che non
tutte le Regioni possono vantare.
La soluzione prevista dal legislatore del FVG nella Legge Regionale 09 dicembre 2015, n°
31, Norme per l’integrazione sociale delle persone straniere, prevede l’intervento integrativo
6
da parte della Regione in molti settori rilevanti per la vita del cittadino straniero residente sul
territorio regionale, come la tutela della salute, il lavoro, l’istruzione, la formazione
professionale, i servizi sociali e l’abitazione.
Il fine di questa legge è, infatti, quello di poter realizzare l’accoglienza solidale e
l’integrazione sociale delle persone immigrate presenti sul territorio regionale, orientando la
legislazione della regione ai principi di uguaglianza e di pari opportunità e rimuovendo gli
ostacoli che si oppongono all’esercizio dei diritti civili e sociali da parte delle persone migranti,
così da dare un’attuazione quanto più ampia dei diritti fondamentali della persona. Ciò non
toglie, però, che per poter intervenire in modo adeguato, ovvero in modo da preservare le risorse
destinate agli interventi programmati dagli enti territoriali, la popolazione immigrata necessita
di essere equamente distribuita anche a livello locale, altrimenti gli oneri rischiano di superare
i benefici attesi.
7
CAPITOLO 1
LA GOVERNANCE MUTILIVELLO DEL FENOMENO MIGRATORIO:
PRINCIPI, AZIONI E POLITICHE SUL TERRITORIO EUROPEO.
1. La gestione delle migrazioni all’interno dell’Unione Europea (UE).
Il diritto di migrare può essere definito come «il diritto di attraversare i confini fra gli Stati
con l’intenzione di soggiornare per un tempo prolungato o indefinito in uno Stato diverso da
quello di provenienza. È […] un diritto costituito da due elementi: l’attraversamento dei confini
e la finalità di soggiorno»
1
. Il primo elemento distingue il diritto di migrare, ovvero di uscire
da uno Stato per entrare in un altro, dalla più ampia libertà di circolazione, ovvero il diritto a
spostarsi da un luogo ad un altro; il secondo elemento è, invece, utile a distinguere, sotto il
profilo soggettivo, il migrante dal viaggiatore o dal turista, poiché solo il primo partecipa
intensamente alle istituzioni sociali del Paese di destinazione.
La caratteristica della sovranità dello Stato fa sì che il diritto, nel suo aspetto formalistico, sia
impossibilitato a ricomprendere unitariamente i diversi aspetti dell’emigrazione e
dell’immigrazione, nonostante a loro oggetto vi sia un unico fenomeno: l’atto di migrare, che
implica lo spostamento di un individuo, il migrante, da una comunità politica territoriale ad
un’altra, attraversando i confini di due Stati indipendenti e sovrani.
Il diritto opera così una prima distinzione, disciplinando in modo differente questi due diversi
aspetti dello stesso fenomeno, poiché considera l’emigrazione come un diritto fondamentale
2
1
G. ITZCOVICH, Migrazioni e sovranità. Alcune osservazioni su concetto, fonti e storia del diritto di migrare,
in Ragion pratica, 2013, fasc. 2, pp. 433-450.
2
Si ritiene che il diritto di emigrare sia una norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta e come tale
obbligatoria per tutti gli Stati. Gli Stati, in quanto tutelato da soggetti di diritto internazionale, sono parti della
Comunità internazionale che regola, su base spontanea o contrattuale, una pacifica convivenza fra questi. Uno
Stato non può sottrarsi agli obblighi a cui è soggetto senza violare il diritto internazionale. Questo diritto di
emigrare è tutelato all’interno della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 (art.13) ed è richiamato
in altri testi fra i quali il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 (art.12) e il Protocollo n°4 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art.2), oltre ad essere
8
di tutti gli individui e, al contrario, sottopone l’immigrazione a forti limitazioni
3
, così da andare
a configurare l’attività di gestione
4
o di governo delle migrazioni da parte degli Stati territoriali,
ciò per l’interesse dello Stato moderno
5
di raggiungere, attraverso le proprie politiche,
l’obiettivo di un ordine efficiente a livello sociale, in un sistema finito di risorse.
Questa attività incide sull’ordinamento giuridico dello Stato territoriale, perché «dà vita a un
diritto speciale altamente complesso e differenziato, che moltiplica gli status soggettivi in virtù
della loro maggiore o minore inclusione nell’economia e nelle comunità locali e […]
predetermina quote massime di stranieri ammesse ogni anno all’ingresso»
6
sul territorio di uno
Stato
7
.
L’attività di gestione dell’immigrazione si fonda sul discrimine tra migrazione volontaria e
forzata, ovvero sui motivi che spingono un individuo a migrare, e per questa ragione è utile a
classificare, sotto il profilo della necessità della tutela, il cittadino straniero che vuole fare
ingresso sul territorio, poiché, oltre a decidere sulla sua ammissione, attribuisce la titolarità di
riconosciuto in parecchie costituzioni nazionali. I testi dei documenti sono rinvenibili all’interno di Basic
Documents on International Migration Law, a cura di R. Plender, Leiden, Martinus Nijhoff Publishers, 2007, pp.
3-5, pp. 20-23, pp. 251-253.
3
Il potere degli Stati di disciplinare e reprimere l’immigrazione è generalmente considerato corollario del principio
di sovranità. L’origine di questo potere è consuetudinaria, ovvero di diritto internazionale generale, ciò significa
che il potere non è stabilito ma presupposto da norme convenzionali o costituzionali. Itzcovich sostiene che
l’immigrazione sia una fattispecie generalmente vietata, dato il potere dello Stato sovrano di respingere ed
espellere i migranti che non soddisfino quei prerequisiti che, in via eccezionale, conferiscono loro un diritto
all’ammissione e al soggiorno sul territorio statale fino a che perduri la situazione di fatto giustificativa
dell’ingresso e del soggiorno. Ivi, spec. pp. 440-442.
4
Per B. GOSH la gestion migratoire signifie gèrer pour atteindre des objectifs plus ordonnés, previsibles et
humains, grâce à une gouvernance globale du régime migratoire. Per altri, M. GEIGER e A. PÉCOUD, la gestion
migratoire constitue un paradigme qui tente de diffuser une approche globale hégémonique présentant la migration
comme une caractéristique normale du monde globalisé d’aujourd’hui. La prima visione si basa sulla premessa di
base che una migrazione ben gestita possa essere positiva per tutto il mondo, a partire dai Paesi d’origine fino a
giungere a quelli di destinazione, e per tutti i soggetti coinvolti nel processo, migranti inclusi. La seconda visione
si basa sulla preoccupazione che una migrazione mal regolata possa essere una minaccia tale da necessitare il
rafforzamento dei confini.
5
In diritto internazionale, lo Stato moderno è quello Stato che possiede quattro caratteristiche: una popolazione
permanente, un territorio definito, un governo e la capacità di entrare in relazione con altri Stati. Ciò si evince dalla
Convenzione sui diritti e i doveri degli Stati del 1933 (art. 1).
6
G. ITZCOVICH, Op. cit, p.445.
7
In dottrina si riflette su come oggi i sistemi di gestione migratoria propri ad ogni Stato siano dati per scontati nel
carattere permanente e universale della loro esistenza. Questi sistemi, infatti, presentano una cornice legale
permanente, atta a scrutinare ogni individuo in entrata, per determinare chi può rimanere all’interno di uno Stato,
per quanto tempo e sotto quali condizioni. Questa cornice legale può essere modificata ma non viene mai
smantellata in quanto si ritiene imprescindibile in un sistema finito di risorse. A. DUMMET, A. NICOL, Subjects,
Citizens, Aliens and Others: Nationality and Immigration Law, London, Weidenfeld and Nicolson, 1990, pp. 39-
40.
9
uno status specifico
8
al quale fa corrispondere il riconoscimento di determinati diritti e la
soggezione a determinati doveri
9
.
Le limitazioni connesse alle scelte di politica migratoria sono inevitabilmente collegate
all’aspetto dell’integrazione sociale e quindi influenzano anche le politiche per l’immigrazione,
data la forte interconnessione tra i due temi sul piano legislativo, esecutivo e politico. Le
disposizioni definiscono la cornice giuridica e politica all’interno della quale opera
concretamente l’integrazione sociale, allargando o restringendo l’accesso ai suoi elementi, sulla
base dello status del potenziale beneficiario dei servizi prestati dallo Stato, perché è il decisore
pubblico a scegliere le politiche da attuare, operando un bilanciamento, presupposta la scarsità
naturale delle risorse per il finanziamento delle politiche di welfare, atte ad aumentare il senso
di appartenenza dei cittadini nei confronti dello Stato. Il problema dell’allocazione delle risorse
scarse innesca, infatti, la competizione naturale fra i soggetti presenti, a vario titolo, sul
territorio e se mal gestito può sfociare in tensione sociale
10
e minare la sicurezza all’interno
dello Stato. Eppure, è proprio la possibilità di poter disporre dell’istruzione, della conoscenza
linguistica, dell’accesso al lavoro, ai servizi sanitari nazionali e alle misure di assistenza sociale,
a facilitare il processo di inclusione del cittadino straniero nella comunità di accoglienza, così
da costruire un legame positivo con la comunità che possa dispiegare le piene potenzialità
sottese al fenomeno della migrazione internazionale. Anche per questo motivo la gestione
migratoria rientra, in linea di principio, nell’ambito della competenza esclusiva dello Stato
nazionale, il quale ha diritto di proteggere le proprie frontiere dai flussi di cittadini di Stati terzi
in entrata e di regolamentarne liberamente l’ingresso, il soggiorno, il respingimento
(refoulement), l’espulsione e l’estradizione. In pratica, però, l’ampiezza e le modalità di
8
Ad oggi, nel panorama della politica migratoria si rinvengono i seguenti status: immigrato, rifugiato, richiedente
asilo, beneficiario di protezione sussidiaria, beneficiario di protezione umanitaria e beneficiario di protezione
temporanea.
9
Ad esempio, per quanto concerne l’individuo richiedente protezione internazionale e asilo sul territorio di uno
Stato diverso da quello di appartenenza, si ritiene che «a refugee must use his own resources to enter a host State;
only at that point does that State have an obligation to examine his asylum application». A. MCMAHON, The Role
of the State in Migration Control. The Legitimacy Gap and Moves towards a Regional Model, Leiden, 2017, p.
63.
10
Il problema sociale deriva dalla discrasia tra i desideri degli individui e i mezzi che questi dispongono per
realizzarli. La tutela dei diritti presuppone un costo, costo che diviene maggiore in relazione alla necessità di
garantirli in modo uniforme ed equo. La tutela dei diritti viene finanziata tramite le entrate fiscali, quindi in ultimo
l’effettività di questi dipende strettamente dalla disponibilità della collettività a contribuirvi. Il problema sorge
specialmente con riferimento ai c.d. diritti di seconda generazione, quelli sociali, nell’ottica di una garanzia di
questi a coloro che cittadini non sono e che quindi hanno un legame meno intenso con il territorio ospitante, dovuto
anche alla loro posizione esterna ai circuiti rappresentativi.
10
esercizio di questi diritti propri degli Stati nazionali sono definite e circoscritte dal diritto
internazionale, generale e pattizio, e dal diritto regionale, il che non toglie in alcun modo il
potere discrezionale di scegliere la soluzione più adatta nel singolo caso da parte dello Stato
nazionale singolarmente considerato, ma piuttosto comporta l’estensione delle tutele e delle
garanzie previste dalle fonti sovranazionali, nell’esercizio della propria discrezionalità in
materia di gestione migratoria.
L’obbligo di accogliere le persone che vogliono presentare richiesta di asilo presso uno Stato
diverso da quello di appartenenza, introdotto storicamente dalla Società delle Nazioni e che ha
avuto seguito in numerosi documenti circoscritti a livello regionale e temporale
11
, ha reso
naturale che, all’interno dello spazio regionale europeo, la gestione dell’immigrazione degli
Stati membri dell’Unione Europea
12
confluisse all’interno di un governo del fenomeno
migratorio più ampio, sorretto da una politica comune agli Stati
13
. Ciò avviene essenzialmente
al di fuori della cornice giuridica dell’allora Comunità Economica Europea (CEE) con una
11
Fra questi: la Convenzione internazionale relativa allo status dei rifugiati del 1933, la Convenzione sullo status
dei rifugiati provenienti dalla Germania del 1938, la Convenzione che stabilisce l’Organizzazione Internazionale
per i Rifugiati del 1946 allo scopo di reinsediare i rifugiati provenienti in gran parte dall’Europa centrale, la
Convenzione di Ginevra del 1951 e il suo Protocollo addizionale del 1967.
12
All’interno dello spazio fisico e regionale europeo, che inizialmente ricomprende Belgio, Francia, Germania
Occidentale, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi, allo scopo di raggiungere una stabilità economica, il Trattato di
Parigi del 1951 istituisce la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), per la comune produzione di
queste due materie prime fra gli Stati membri. Questo trattato è il precursore del Trattato di Roma del 1957, con il
quale viene istituita la Comunità Economica Europea (CEE), divenuta Unione Europea (UE) nel 1992 in seguito
al Trattato di Maastricht.
13
La creazione di una politica comune riguardante sia l’aspetto della gestione dei flussi dei migranti economici
che quello della concessione dell’asilo e della protezione internazionale, si fa risalire al 1999 con il Trattato di
Amsterdam che incorpora gli accordi di Schengen nell’ordinamento dell’UE, ma il suo processo creativo origina,
in realtà, già in seguito alla crisi petrolifera del 1973 quando gli Stati europei decretano il blocco all’ingresso di
lavoratori stranieri e dispongono programmi di rimpatrio volontario per gli individui entrati illegalmente sul
territorio. La necessità di una politica comune diventa più evidente in seguito al crollo del muro di Berlino del
1989 e alla conseguente pressione dei rifugiati sui confini. Il Trattato di Roma del 1957 che istituisce la Comunità
Economica Europea (TCEE) non conteneva alcun riferimento specifico in materia migratoria, se non l’art. 100
TCE che assegnava al Consiglio una competenza, mai esercitata, ad emanare direttive sull’ingresso e il soggiorno
dei cittadini di Stati terzi, per evitare che differenze nella disciplina dell’immigrazione potessero ostacolare il
mercato comune e il suo funzionamento. La preoccupazione avvertita dagli Stati, impreparati a gestire i fenomeni
dell’immigrazione clandestina e dell’occupazione illegale, induce la Commissione, nel 1978, a proporre, senza
esiti presso il Consiglio, il ravvicinamento delle legislazioni interne allo scopo di intraprendere una lotta congiunta
per fronteggiare questi fenomeni (UE COM (1978) 86 ) ma questa avrà successo solo dieci anni dopo, quando
riesce ad istituire una procedura di comunicazione preliminare e di concertazione sulle politiche migratorie nei
confronti di Stati terzi, così come avvallata dalla Corte di Giustizia. M. CONDINANZI, A. LANG, B.
NASCIMBENE, Cittadinanza dell’Unione e libera circolazione delle persone, Milano, Giuffrè, 2006, p. 253 e ss.,
L. MANCA, L’immigrazione nel diritto dell’Unione europea, Milano, Giuffrè, 2003, p. 15 e ss. CGCE, 9 luglio
1987, Cause riunite n° 281, 283, 284, 285 e 287/85, Repubblica federale di Germania, Repubblica francese, Regno
dei Paesi Bassi, Regno di Danimarca e Regno Unito di Gran Bretagna e d’Irlanda del Nord c. Commissione delle
Comunità europee.