5
DALLE ORIGINI AL PROGETTO
Considerazioni storico-critiche
Premessa
Fin dalle origini Ascoli poteva considerarsi validamente difesa dalla sua stessa posizione naturale,
in quanto posta su un promontorio naturale formato da rocce tufacee e dirupi scoscesi e circondato
inoltre da due fiumi: il Tronto ed il Castellano. Alle fortificazioni naturali si aggiunsero nei vari
periodi quelle costruite dall'uomo. Nel periodo medioevale assieme alla cinta muraria vera e propria
il perno del sistema difensivo di un centro cittadino era costituito da luoghi strategici chiamati
casseri e a volte rocche (roche). Esse avevano molteplici funzioni. Erano, infatti, punti di difesa
contro forze nemiche, simboli di potere, ed, infine, ma non secondariamente, rifugio sicuro del
signore del momento. Lungo le mura di Ascoli vi erano quattro luoghi fortificati. Uno posto a nord,
sopra il Tronto, come ricorda il toponimo dell'attuale chiesa di s. Pietro in Castello; un altro a
ponente nei pressi di porta Romana; il terzo, noto col nome di Fortezza Pia, sul colle pelasgico, il
punto più alto della città e l'ultimo nei pressi del ponte di Cecco sul fiume Castellano. I primi due
dovevano probabilmente già essere scomparsi nel 1400 mentre il terzo subì radicali rifacimenti e, a
partire dal 1560, divenne la piazzaforte più importante della città; fu poi distrutta nel 1799 e se ne
possono vedere oggi solo i ruderi. Il quarto luogo fortificato, oggetto della nostra ricerca,
attualmente denominato Forte Malatesta, riveste un particolare interesse nell'ambito dell'architettura
militare per le radicali modifiche subite nel 1540 ad opera di Antonio da Sangallo il giovane.
6
Introduzione
Gli studi finora condotti sulla storia del Forte Malatesta mostrano la tendenza prevalente ad
accentrare l’attenzione sull’intervento attribuito ad Antonio da Sangallo il Giovane.
Ciò è pienamente giustificato dal fatto che il Sangallo è sicuramente uno dei personaggi più noti ed
emblematici del nostro Rinascimento e che, stando a quanto dice il Vasari, è anche quello che ha
maggiormente contribuito alla realizzazione della rocca. Inoltre, sono disponibili diversi documenti
che descrivono dettagliatamente i lavori in questione e una bibliografia molto ampia sulla figura
dell’architetto e sullo sviluppo dell’architettura militare di quel periodo.
Di contro, fatta eccezione per il periodo riguardante la realizzazione della chiesa di Santa Maria del
Lago, poco o nulla si è riuscito a capire sulle fasi precedenti; sia per mancanza di una
documentazione dettagliata dei lavori, sia per la scarsa consistenza delle testimonianze rimaste.
Però una ricerca archivistica più approfondita e l’analisi diretta dell’opera architettonica inducono a
credere che, confrontando la fase cinquecentesca e le preesistenze malatestiane, sia possibile
definire meglio la consistenza e la qualità dei lavori sangalleschi.
S’è dunque cercato qui di capire quale potesse essere l’aspetto della rocca costruita da Galeotto
Malatesta e quanto di questa fosse rimasto prima dell’intervento di Antonio da Sangallo il Giovane.
Per quanto riguarda la chiesa di S. Maria del Lago la ricerca tenta di indagare alcune questioni che,
nonostante la relativa abbondanza di notizie storiche sulla sua costruzione, riferibili al periodo che
va dal 1502 al 1517, rimangono tuttora aperte:
a) perché la chiesa, se è stata costruita agli inizi del ‘500, mostri degli elementi, quali ad esempio
le bifore, molto simili per forma e dimensioni a edifici religiosi del gotico ascolano, come S.
Francesco e S. Pietro Martire;
b) quale fosse il modello di riferimento della chiesa.
La pianta dodecagonale si riscontra infatti in un numero molto limitato di edifici appartenenti ad
epoche e tipologie diverse; si tratta quindi di un impianto piuttosto insolito, del quale è stato
possibile tracciare un profilo storico, analizzando le caratteristiche di questi edifici sotto l’aspetto
storico-formale ed evidenziando le analogie e le differenze con S. Maria del Lago.
7
Parte I
Le fasi precedenti l’intervento di Antonio da Sangallo il Giovane
8
Fig. 1 Aula di Minerva. Roma
1. La fase romana
Dopo la disfatta dei Piceni da parte di Pompeo Strabone (91 a.c.), 1'ingresso alla città venne
fortificato con la costruzione di una Rocchetta (detta anche Arcicula o Cassero a Mare). Sull'area
dell'attuale Forte sorgevano antiche terme romane
1
dove, attraverso un acquedotto ricoperto in opus
reticulatum
2
(di cui si conservano i resti), veniva convogliata 1'acqua Salmacina che sgorgava a
Castel Trosino (da qui il nome di S. Maria del Lago dato alla chiesa dodecagonale del Forte).
L'acquedotto collegava la Fortezza Malatesta
alla Fortezza Pia attraverso un cunicolo
sotterraneo fatto di tubi di piombo.
Testimonianze del 1776
3
e del 1790
4
affermano che al piano terra del Forte fossero
ancora presenti i resti di tali terme. Scrive
infatti il Marcucci
5
: “vi si osservano anche in
oggi le antiche terme e bagni che vi erano di
acqua sorgente salmacina minerale, essendovi
rimasto a pianterreno un camerone con vasche
all'intorno e con piccola fonte.”
Di questo camerone il Marcucci da una descrizione dettagliata :
" un detenuto intelligente ed istruito, che ha avuto la fortuna di trascorrere ben 4 anni nel delizioso
collegio Malatesta mi ha raccontato di aver visto, prima che ne fosse murato 1'accesso, codesto
stanzone posto sotto 1'attuale cucina. In ogni lato di esso erano due fontane formate da mascheroni
di pietra, i quali attraverso un tubo di piombo, una volta versavano acqua in conchiglie di travertino.
Nel centro del vasto locale era una grande vasca, pure di forma dodecagonale, cintata da un
parapetto in travertino, alla quale si accedeva con gradini. Nelle pareti laterali si vedevano
raffigurate in mosaico, donne e pergole di viti (…) "
5
Per quanto riguarda la presenza di acqua, elemento essenziale per il funzionamento delle terme,
questa è ancora presente nei locali interrati sotto l'ex chiesa di S. Maria del Lago. Recenti studi
eseguiti dalla Pasquinucci
6
, pongono però in evidenza come allo stato attuale non esistano prove
certe dell'esistenza delle opere descritte dai precedenti autori. Scrive infatti la Pasquinucci : “Manca
comunque, in questi autori, una descrizione degli ambienti e della tecnica muraria, che possa
provare con certezza 1'attribuzione dei resti citati all’età romana; all'interno della fortezza e in
particolare nella chiesa non è oggi visibile alcuna struttura databile in epoca romana. Attualmente
gli unici indizi relativi all'esistenza di un fabbricato monumentale in quest'area, peraltro molto tenui,
sono costituiti da alcuni elementi architettonici ivi rinvenuti. Fra questi è da notare un grosso blocco
di travertino appartenente alla trabeazione di un edificio di notevoli dimensioni decorato con volute
vegetali a leggero rilievo e databile nella prima età imperiale attualmente conservato nella navata
9
sinistra della chiesa di San Vittore.” Elementi architettonici della stessa fattura sono stati riutilizzati
nella costruzione del ponte di Cecco e sono posizionati nel giardino antistante il Forte Malatesta. In
particolare la testata del ponte di Cecco a contatto con il forte incorpora opere difensive romane,
oggi non visibili perché inserite nelle fondamenta dello stesso forte. Secondo il Moretti
7
: “nelle
fondamenta della fortezza è ancora conservata una considerevole parte del paramento di una
scarpata, fattovi in una probabile ricostruzione del medioevo, forse quando Malatesta , signore di
Rimini, riprese a risarcire nel 1349 ed a fortificare le mura e le rocche della città.
Altre possibili testimonianza di età romana sono ancora oggi visibili nella porzione superiore del
muro di cinta del fossato. Si tratta di conci di travertino che per la loro forma curvilinea e per il tipo
di lavorazione potrebbero essere stati elementi della trabeazione di strutture ad arco. Dovrebbero
essere stati collocati in questa posizione intorno al 1888, durante i lavori per la realizzazione del
cortile d’aria, quando fu rialzato il muro di cinta e riempito il fossato. E’ quindi possibile che si
tratti dei resti dell’aula termale romana, distrutta intorno 1839, durante i lavori di trasformazione a
carcere, quando la chiesa fu divisa in tre livelli e furono realizzate le volte e i pilastri centrali.
1
Paolo Antonio APPIANI, Vita di S. Emidio vescovo di Ascoli e martire, Roma 1704, a pag. 174 si legge: ”le vestigia
si veggono dentro della città, dove pur ne appariscono le terme intere, trancagiate nel tempio di S. Maria del Lago che
ora è racchiuso nella fortezza lungo ponte Maggiore.”
2
Raniero GIORGI, Le Clarisse in Ascoli. Fermo 1968, pag. 129, in nota 27: “era il luogo delle antiche terme ove
giungeva 1'acqua solfurea da Castel Trosino attraverso un'acquedotto romano ricoperto con opus reticulatum.”
3
Francesco Antonio MARCUCCI, Saggio sulle cose ascolane e dei Vescovi di Ascoli Piceno dalla fondazione della
città sino al corrente secolo XVIII e precisamente all'anno 1776,Teramo, 1776.
4
Baldassarre ORSINI, Descrizione delle pitture, sculture e architetture ed altre cose rare dell'insigne città di Ascoli
nella Marca,
Perugia, Arnaldo Forni, 1790.
5
Francesco Antonio MARCUCCI, op. cit., p. 144.
6
M. PASQUINUCCI, Asculum, Pisa, 1975, pag. 63.
7
G. MORETTI, L'antico ponte di Cecco e 1'annessa fortezza. Bollettino d’Arte, anno 1924, p. 47.
10
2. La fase longobarda
L’occupazione longobarda delle Marche riguarda un periodo che va almeno dal 576, anno della
ribellione di Faroaldo, fino al 774, quando Carlo Magno annette il regno longobardo a quello
franco.
Scomparso il regno, sopravvisse tuttavia la civiltà italo - longobarda che aveva animato l’VIII
secolo, proiettandosi fra le popolazioni locali nei secoli successivi.
2.1 La necropoli di Castel Trosino e il ‘tesoro’ dei Longobardi
Nell’aprile del 1893 fu scoperta nei pressi di Castel Trosino, antico borgo a monte della città di
Ascoli, quella che di lì a poco si sarebbe rivelata una delle più consistenti e ricche necropoli
longobarde d’Italia. Fu così accertata la presenza in quel sito di un gruppo di guerrieri longobardi
dai corredi funerari così ricchi da far meritare alla collezione che ne derivò il nome di ‘tesoro’ dei
Longobardi.
2.2 La dominazione longobarda nelle Marche
Sul piano dell’evidenza archeologica il caso di Castel Trosino suggerisce l’ipotesi di un
insediamento per castra nelle Marche. Allo stesso modo che in altre regioni, i Longobardi si
limitarono probabilmente ad occupare centri fortificati già esistenti, organizzati dall’Impero nel
periodo in cui le prime incursioni barbariche avevano acuito l’esigenza della difesa territoriale in
Italia. Un’ulteriore conferma della tendenza all’insediamento accentrato in luoghi naturalmente o
artificialmente muniti è data dall’intenso processo all’incastellamento che si verificherà nei territori
marchigiani di antico dominio longobardo almeno a partire dal secolo X.
1
Roberto BERNACCHIA, I Longobardi nelle Marche, in La necropoli altomedievale di Castel Trosino. Bizantini e
longobardi nelle Marche, catalogo della mostra allestita ad Ascoli Piceno dal 1 luglio al 31 ottobre 1995, Milano,
Silvana Editoriale, 1995, pp. 353 ill.
2.3 L’architettura del periodo longobardo.
Nell’architettura degli edifici di culto, costruiti tra il VII e l’VIII secolo, si assiste al permanere
degli schemi di origine paleocristiana provenienti dal vicino Oriente con qualche novità
nell’articolarsi delle absidi libere o nella singolarità di qualche edificio a pianta centrale (ad es. S.
Maria in Pertica). Per ragioni di ordine militare da parte dei longobardi vengono occupati, al primo
loro apparire nella penisola, i palatia costruiti dai Goti e, fra questi dallo stesso Alboino, il
Palatinum fatto eseguire da Teodorico a Verona e poi quello di Pavia. L’ubicazione dei palatia
nelle città risponde ad una tendenza tipicamente tedesca di collocare questo tipo di costruzioni a
ridosso della mura o presso le porte della città per l’opportunità di una difesa immediata in caso di
pericolo. Il Palatium a Brescia è presso la porta occidentale della città, a Benevento il quartier
11
generale viene costruito sul luogo più alto detto ‘Piano di Corte’ presso la porta summa. A Salerno
la sistemazione del Palatium viene fatta nei pressi della porta a mare. La vita e l’amministrazione
civica si svolgeva nell’aula dei palatia trasformata secondo le abitudini tedesche in Saal, o luogo di
riunione, oppure nella loggia sopra l’ingresso.
1
Gino PAVAN, Architettura del periodo longobardo, Milano, Electa, 1990, in I Longobardi a cura di Gian Carlo Menis, ,
catalogo della mostra allestita a Cividale dal 2 giugno al 30 settembre 1990.
2.4 Santa Maria del Lago e il ‘pes Liutprandi’
Secondo la tradizione Ascoli sarebbe stata distrutta nel 578 al momento della conquista di Faroaldo.
In realtà, come afferma la Profumo,
1
veri e propri scavi archeologici e numerose occasioni di
verifiche del sottosuolo non hanno mai portato alla luce strati di crollo tali da giustificare questa
ipotesi. Al contrario la stretta continuità tra la città romana e quella medievale è garantita dalla
sopravvivenza del tessuto urbanistico e dall’utilizzazione come chiese cristiane dei due templi
romani. E’ quindi probabile che, nell’area del Forte Malatesta, i Longobardi si siano limitati a
rafforzare il cassero di origine romana, magari adattandolo, come erano soliti fare, a palatium, con
l’aggiunta di una Saal per le riunioni. L’unico riscontro di un possibile intervento longobardo è
venuto però dall’analisi metrologica sulla chiesa di S. Maria del Lago. Dalle misurazione effettuate
all’interno dell’edificio dodecagonale (vedi tabella) risulta infatti che il lato medio nel primo e nel
secondo livello della chiesa è di 342 cm. Questa misura, messa in rapporto con tutte le unità di
misura storiche conosciute e pertinenti (palmo romano, piede romano, braccio ascolano, braccio
fiorentino, ecc.) è risultata essere un multiplo esatto di una sola delle suddette unità di misura.
La misura di 342 cm. corrisponde infatti esattamente a 12 Piedi di Liutprando.
2
Osservando inoltre che il rapporto tra il lato del dodecagono e il Pes Liutprandi
3
(342 : 28,5 = 12)
è
uguale al numero dei lati della chiesa (12) risulta interessante notare la coincidenza.
L’utilizzo del piede di Liutprando si può riscontrare con una certa sicurezza in diversi edifici
longobardi. L’aula a pianta quadrata del Tempietto longobardo di Cividale
4
ad esempio misura 628
cm. di lato; 22 piedi di Liutprando corrispondono a 627 cm.
La misura sembrerebbe già in uso agli inizi del VII secolo se è vero che la chiesa di S. Giovanni in
Conca a Milano era lunga 53 metri
5
pari a 186 piedi di Liutprando (186 x 0,285 = 53,01 m.).
Un’altra chiesa milanese ne conferma l’uso alla metà del VII secolo; si tratta di S. Maria di Aurona
lunga 16,80 m. corrispondenti a 59 P.L. (59 x 0,285 = 16,815 m.).
6
L’uso di una misura chiamata ‘piede’ è documentato anche in una fonte del 1350, riguardante i
lavori al fossato della rocca malatestiana di Ascoli.
7
Ciò porterebbe a credere che questa unità di misura possa essere rimasta in uso fino al Trecento.
8
Se così fosse sarebbe possibile formulare una nuova ipotesi sull’origine dell’impianto dodecagonale
della chiesa di S. Maria del Lago: la prima edificazione, quella dodecagonale, potrebbe cioè essere
12
Fig. 3 S. Maria in Pertica Fig. 2 Mausoleo di Teodorico
avvenuta tra la fine del VI e l’VIII secolo, con riferimento nella forma o ad un mausoleo (cfr.
Mausoleo di Teodorico,
9
anch’esso
dodecagonale, fig. 2) o ad una chiesa ad
aula unica (cfr. chiesa di S. Maria in
Pertica
10
, fig.3) riutilizzando le
preesistenze romane. Sarebbe poi stato
distrutto, in tutto o in parte, durante le
devastazioni prodotte da Federico II nel
1242. Nel 1266 Ascoli torna sotto il
dominio dei Papi dopo la morte di
Manfredi.
1
Maria Cecilia PROFUMO , Le Marche in età longobarda: aspetti storico - archeologici, Milano, Silvana Editoriale, 1995,
p. 128 ill in La necropoli altomedievale di Castel Trosino. Bizantini e longobardi nelle Marche, catalogo della mostra
allestita ad Ascoli Piceno dal 1 luglio al 31 ottobre 1995.
2
Liutprando fu re dei Longobardi dal 712 al 744. Durante il suo regno si raggiunse il massimo sviluppo delle arti tanto
che è possibile parlare di “rinascenza liutprandea.” Fu soprattutto grazie alla sua iniziativa che si raggiunse la definitiva
intesa con il papato romano e imponente fu l’impulso dato alle attività epigrafiche e paleografiche. Fra i tanti codici
emessi durante il suo regno si può probabilmente rintracciare quello che sancisce l’uso dell’unità di misura detta
appunto ‘Pes Liutprandi’.
3
Giovanni CARBONARA, a cura di, Trattato di restauro architettonico, ?, Utet, 19??, vol. ?, p. ?. Il Pes Liutprandi misura
28,5 cm. Come è facile constatare, 12 x 28,5 = 342.
4
Architettura del periodo longobardo, Milano, Electa, 1990, p. 239, in I Longobardi a cura di Gian Carlo MENIS,
catalogo della mostra allestita a Cividale dal 2 giugno al 30 settembre 1990. Gli storici propongono due possibili
datazioni dell’edificio: intorno al 760 o intorno all’810.
5
Gino PAVAN, Op. cit., p. 255.La chiesa in realtà fu demolita in tempi moderni (Otto - Novecento) ma una lunga serie
di scavi ha permesso di datarla in epoca ‘teodolindea’ e di stabilirne con esattezza le dimensioni.
6
Gino PAVAN, Op. cit., p. 258. Anche questa chiesa è oggi scomparsa, ma è stata ricostruita dal Capitani D’Arzago nel
1944 grazie ad un disegno in scala anteriore al 1585.
7
Antonio SALVI, Cronaca ascolana dal 1345 al 1523, Ascoli Piceno, Giannino e Giuseppe Gagliardi Editori, 1993.
A pag. 5 si legge: “ (…) die 10 mensis februarii dominus Galeoctus incepit cavari fossum cassari per rusticos, videlicet
unum pedem mensure per duos fumantes.
”
8
Virginio VILLANI, Per una storia della metrologia medievale - L'area umbro - marchigiana e la marca d'Ancona, Jesi,
Comune di Serra de’Conti, 1982, pp. 66, tav. f.t. 10. Il testo potrebbe confermare questa ipotesi ma risulta smarrito sia
alla Biblioteca dell’Archivio di Stato di Ascoli che alla Biblioteca Nazionale di Roma.
9
Il Mausoleo di Teodorico, datato al VI secolo, si compone di due ordini sovrapposti, all’esterno entrambi dodecagonali
e forse nel progetto raccordati da una loggia. Il vano inferiore è cruciforme, il superiore circolare. Misura 15,5 m. in
altezza e 14,60 m. di diametro.
10
Della chiesa di S. Maria in Pertica a Pavia invece non conosciamo le dimensioni; è stata infatti completamente
distrutta nel 1815 ma ci è nota attraverso due disegni: uno di Leonardo e uno del Veneroni del 1732. Secondo una delle
ricostruzioni fatte sembrerebbe essere stata dodecagonale all’interno, circolare all’esterno.