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CAPITOLO I.
IL FONDAMENTO DEL DOVERE FISCALE NELL’IMPIANTO COSTITUZIONALE
ITALIANO. IL CONCORSO ALLE SPESE PUBBLICHE IN RAGIONE DELLA
CAPACITA’ CONTRIBUTIVA QUALE SPECIFICAZIONE DEL GENERALE DOVERE
DI SOLIDARIETA’.
1.1 La capacità contributiva come fondamento e limite del dovere contributivo. 1.2: Le ragioni
del dovere fiscale e la distinzione tra doveri ed obblighi. 1.3.1. La sovranità tributaria quale
elemento strutturale del fenomeno impositivo. 1.3.2. Elementi di commutatività all’interno del
rapporto tributario e distinzione tra imposta e tassa. 1.4. Il dovere contributivo alla luce del
dovere di solidarietà. La concezione comunitaristica del dovere fiscale nel vigente ordinamento
di democrazia costituzionale.
1.1 La capacità contributiva come fondamento e limite del dovere contributivo.
L’art. 53, primo comma, della Costituzione italiana dispone che “tutti sono tenuti a
concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
La disposizione ha un preciso valore giuridico e da essa dipendono concrete
conseguenze; è infatti proprio partendo da essa che si può affermare che la capacità
contributiva costituisce il fondamento ed il limite del dovere di concorrere al
finanziamento delle spese pubbliche
4
.
4
Così E. DE MITA, Principi di diritto tributario, Milano, 2007, pag. 83, secondo l’autorevole e condivisa
posizione la disposizione dell’art. 53, primo comma, della Costituzione “pone il fondamento ed il limite
dell’attività di imposizione, nel senso che, da una parte non vi può essere imposizione senza capacità
contributiva, dall’altra, non si può chiedere ad un soggetto un concorso superiore a quello consentito
ragionevolmente dalla sua capacità contributiva”; nei medesimi termini sul punto si veda anche G.
FALSITTA, Manuale di Diritto tributario, parte generale, Padova, 2010, pagg. 158-159, ove si afferma
che il presupposto del concorso “deve identificarsi in una capacità economica del soggetto” e quindi “non
vi può essere obbligo di contribuzione se manca del tutto la capacità economica”; in senso
sostanzialmente conforme, si vedano anche P. RUSSO, Manuale di diritto tributario. Parte generale,
Milano, 2007, pagg. 140-141; e A. FANTOZZI, Il Diritto tributario, Torino, 2004, pagg. 9-10. La posizione
si fonda su una giurisprudenza della Corte Costituzionale chiaramente espressa nella sentenza n. 97 del
1968, in E. DE MITA, Fisco e Costituzione, I, Milano, 1984, pag. 273-278, nella quale si afferma che “la
capacità contributiva costituisce, cioè, presupposto di legittima imposizione, e solo ove sia presente
diventa metro di determinazione della quantità di imposta dovuta. Da ciò deriva che essa non coincide
affatto con la percezione di un qualsiasi reddito, e che vi è soggezione alla imposta solo quando sussista
una disponibilità di mezzi che consenta di farvi fronte”. Si rileva peraltro che la stessa posizione della
Corte costituzionale, intorno ai vincoli che il principio comporta per il legislatore, ha subito molteplici
modifiche nel corso dei decenni, della quale si avrà peraltro modo di dar conto in seguito nel presente
lavoro. In ordine alla effettiva portata del principio in esame si rilevano numerose e differenti opinioni in
14
Se da un lato l’enunciato esplicita la generalità del dovere contributivo, il principio
di commisurazione dell’imposta alle possibilità economiche del contribuente, come
si avrà modo di mettere in luce, costituisce un vincolo effettivo per il potere
tributario. Vincolo formale è dato invece dal principio di legalità, sancito dall’ art.
23 della Costituzione italiana
5
, in virtø del quale l’Amministrazione non può
chiedere piø di quanto stabilito in base alla legge nella quale è ivi stesso indicato il
presupposto che ha dato luogo al sorgere dell’ obbligazione tributaria. Se si
considera inoltre che l’obbligazione tributaria deve in questo schema essere
dottrina, così in particolare, conformemente circa la vincolatività del principio di capacità contributiva
rispetto alle scelte del legislatore nella previsione delle fattispecie impositive, si veda E. GIARDINA, Le
basi teoriche del principio di capacità contributiva, Milano, 1961, pag. 398 ss.; G.A. MICHELI, Profili
critici in tema di potestà d’imposizione, in Riv. dir. fin. Sc. fin., 1964, I, pag. 24; I. MANZONI, Il principio
di capacità contributiva nell’ordinamento costituzionale italiano, Torino, 1965, pag. 20 ss.; F. GAFFURI,
L’attitudine alla contribuzione, Milano 1969, pag. 42 ss.; G. MARONGIU, I fondamenti costituzionali dell’
imposizione tributaria, Torino, 1995, pag. 95 ss.; per una effettiva valorizzazione del principio
costituzionale, notamente F. MOSCHETTI, Il principio di capacità contributiva, Padova, 1973, pag. 57 ss.
Per una rassegna delle posizioni conformi a quanto sopra esposto si veda E. DE MITA, voce Capacità
contributiva, in Dig. disc. priv., Sez. comm., Torino, 1987, pag. 454 ss., nel quale l’Insigne Autore traccia
una panormica sulle principali teorie che si sono prodigate a fornire un contenuto giuridico preciso al
principio in questione.
In senso difforme e per l’assenza di rilevanza giuridica del principio di capacità contributiva si veda G.
BALLADORE PALLIERI, Diritto costituzionale, Milano 1955, pag. 370 ss., il quale riteneva che la norma
desumibile dall’art. 53 Cost. non dicesse di piø che “tutti sono tenuti a pagare i tributi”; A.D. GIANNINI, I
rapporti tributari, in Commentario sistematico alla Costituzione italiana, Vol. I, Firenze, 1950, pag. 273
ss.; e nello stesso senso anche B. COCIVERA, Principi di diritto tributario, Milano, 1959, pag. 30 ss.; G.
INGROSSO, I tributi nella nuova costituzione italiana, in Arch. fin., 1950, pag. 158 ss. Da ultimo si è
espresso nel senso di ritenere il principio in esame privo di autonoma portata sostanziale distinta dal
generale principio di eguaglianza F. GALLO, I principi di diritto tributario: problemi attuali, in Rass. trib.,
2008, II, pag. 921; nonchè IDEM, Le ragioni del fisco. Etica e giustizia nella tassazione, Bologna, 2007,
pag. 87, ove dopo aver preso in considerazione le posizioni opposte, afferma che “l’art. 53,1 non impone
nØ letteralmente nØ in via logico-sistematica, che il contribuente sia scelto dal legislatore solo se dimostra
una capacità economica qualificata” ritenendo invece il principio in questione una riaffermazione del
generale principio di eguaglianza afferma previsto dall’art. 3 Cost.; tale ultimo orientamento “neo-
svalutativo” pur non legando il fondamento del dovere alla mera soggezione alla sovranità dell’Ente
impositore, riconduce il principio in esame a mero corollario o specificazione del generale principio di
eguaglianza; così anche S.F. COCIANI, Attualità o declino del principio di capacità contributiva?, in Riv.
dir. trib., 2004, I, pag. 824 ss.; e F. BATISTONI FERRARA, Eguaglianza e capacità contributiva, in Riv. dir.
trib., 2008, I, pag. 477 ss., spec. pag. 488 ove si afferma che “non esistono […] regole particolarmente
stringenti. Il giudizio sull’esistenza e l’entità della capacità contributiva ha necessariamente carattere
pragmatico e il limite che il legislatore incontra nella determinazione, ma anche nell’individuazione dei
fatti indice che possono giustificare l’introduzione di un singolo tributo finisce per essere quello della
razionalità espresso nel rispetto del principio di eguaglianza”. Di tali differenze di posizioni si cercherà di
dare conto nel corso del lavoro che segue, soffermandosi sulle ragioni poste alla base di tali divergenti
posizioni, che paiono risolversi in una differente concezione del fenomeno tributario nel suo complesso.
5
Sul punto ampiamente E. DE MITA, Principi di diritto tributario, cit., pag. 105 ss.
15
commisurata alla capacità contributiva del soggetto passivo, ne consegue che in
assenza di capacità contributiva non vi può essere alcuna obbligazione tributaria
6
.
In base al fondamentale principio di capacità contributiva si pone inoltre un vincolo
al legislatore tributario, ulteriore rispetto al generale principio di eguaglianza
previsto dall’articolo 3 della Costituzione, il quale certo, anche e soprattutto in
ambito fiscale, deve essere rispettato dal legislatore
7
.
Con ciò, viene punto da chiedersi quando in concreto sussista la capacità
contributiva quale fondamento del dovere contributivo.
Se si osserva che, quello che si considera il corrispondente articolo nello Statuto
Albertino, dell’ art. 53 primo comma, della Costituzione, faceva riferimento agli
“averi” del contribuente
8
, ci si potrebbe domandare se, con la formula della
“capacità contributiva”, la Costituzione consenta oggi di prescindere dalla ricchezza
del soggetto passivo per quanto riguarda la nascita e la commisurazione dell’obbligo
tributario.
Non pare possa considerarsi questa la portata della disposizione in questione. Oltre
alla progressività prevista dal secondo comma dell’art. 53, la quale rimanda
all’esigenza di “un sacrificio che cresca col crescere della ricchezza individuale”
9
,
già dalla relazione della Commissione Economica per la Costituente emerge come la
formula costituisca prodotto e nel contempo elemento fondamentale dello Stato di
6
Così E. DE MITA, Ibidem, pag. 83 ss., ove l’assunto si presenta come una diretta ed intuitiva
conseguenza della commisurazione dell’ imposta alla capacità contributiva; nel medesimo senso anche E.
GIARDINA, Scritti scelti (1960-2007), Milano, 2008, pag. 114.
7
In riferimento alla necessità, unanimemente condivisa in dottrina, del rispetto del generale e
fondamentale principio di eguaglianza in ambito tributario si veda peraltro V. CRISAFULLI, In tema di
capacità contributiva, in Giur. cost., 1965, II, pag. 861, nota 5, ove l’Autore rileva che, pur essendovi un
chiaro nesso tra gli articoli 3 e 53 della Costituzione, è necessario sottolineare che l’art. 53 Cost. “ha un
suo proprio autonomo significato e non si riduce puramente e semplicemente ad una applicazione in
materia tributaria del principio di eguaglianza” (corsivo aggiunto); nonchØ L. PALADIN, Il principio di
eguaglianza tributaria nella giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana, in Riv. dir. trib., 1997, I,
305 ss.; e sul punto inoltre le notazioni di R. LUPI, Diritto tributario. Oggetto economico e metodo
giuridico nella teoria della tassazione analitico-aziendale, Milano, 2009, pag 152 ss., spec. pag. 155 nota
34.
8
Lo Statuto Albertino, che come peraltro noto era dotato di valore di legge ordinaria, recitava all’articolo
25: “Essi contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato”,
riferendosi con ciò ai “regnicoli” nominati nel precedente articolo 24 del medesimo Statuto.
9
Così
sul punto E. DE MITA, Principi di diritto tributario, cit., pag. 6.
16
democrazia pluralistica, all’interno della quale si persegue l’obiettivo
dell’eguaglianza sostanziale
10
.
Se da un lato infatti gli “averi”, intesi come ricchezza del contribuente, continuano a
costituire il necessario riferimento concreto del dovere contributivo
11
, dall’altro,
ferma l’imprescindibile necessità di tale riferimento non è piø in base al semplice
dato formale della ricchezza che deve essere determinata l’entità dell’ obbligazione
tributaria, ma è la stessa capacità dei soggetti passivi che dovrà necessariamente
essere determinata tenendo conto anche delle indicazioni valoriali precettive
previste nel Testo costituzionale.
Ciò significa che il principio di capacità contributiva si concretizza pur sempre in un
vincolo diretto per il legislatore ordinario restringendone il campo di discrezionalità
e rendendo costituzionalmente illegittime le soluzioni normative che considerino,
come presupposti del sorgere dell’obbligazione d’ imposta, fatti e comportamenti
sociali che non siano espressione di forza economica
12
.
10
Sul punto pare di notevole rilievo la posizione espressa in seno alla Commissione economica della
Costituente, La quale affermava che “l’imposta nei suoi elementi costitutivi si fonda sì sulla ricchezza dei
singoli, ma discrimina ed integra il dato quantitativo della ricchezza con altri fattori tratti dalla dinamica
stessa della ricchezza (reddito, produzione, consumo, scambio, ecc.) o da condizioni personali del
soggetto”. Così MINISTERO PER LA COSTITUENTE, Rapporto della Commissione economica, Vol. V,
Finanza, I, Relazione, Roma, 1946, pag. 12.
11
Sul punto concorda la maggior parte della dottrina, pressochØ unanime nel ritenere che proprio perchØ
il tributo è volto a far conseguire un entrata all’ Ente, è logica implicazione che il soggetto sottoposto a
prelievo coattivo deve essere dotato dei mezzi necessari a farvi fronte. Tuttavia come emergerà nel lavoro
anche a livello sistematico, in base all’assetto della relazione tra individuo soggetto passivo e sovranità
tributaria, il baricentro del rapporto non può dirsi spostato al solo favore dell’interesse fiscale bensì è
necessario un contemperamento equilibrato delle due posizioni conformemente alle finalità stesse dello
stato democratico. In quest’ ottica pare logico che il punto da cui partire a costruire il rapporto giuridico
d’imposta non può essere dato dall’ unilaterale esposizione delle necessità finanziarie dello Stato; la
percezione di tale evoluzione al livello dei rapporti proprio tra Stato e individuo può rilevarsi nelle parole
di K. TIPKE, La capacità contributiva come metro di giustizia tributaria, in Fisco, 1996, pag. 7204 il
quale Autore sostiene che “così nel diritto tributario non risulta adeguato il testatico, nØ, a parte alcune
eccezioni, il criterio commutativo, bensì il principio di capacità contributiva. Esso è l'unico la cui
concezione applicazione non violino alcun diritto costituzionalmente garantito, non ponendosi
neppure in contrasto con i principi dello Stato sociale. Il principio di capacità contributiva è ritenuto il
piø conforme in assoluto allo Stato di diritto. Tale principio non pone l'interrogativo su cosa lo Stato o
la comunità hanno fatto per il cittadino, ma su cosa quest'ultimo può fare per lo Stato o a comunità.” Sarà
invece necessario che in riferimento al sorgere di ogni imposta che si voglia considerare
costituzionalmente legittima sia prima possibile individuare la ricchezza dell’individuo che rende
manifesta la sua concreta idoneità e la misura di tale idoneità a concorrere al finanziamento delle spese
pubbliche.
12
Così G. FALSITTA, Il doppio concetto di capacità contributiva, in Riv. dir. trib., 2004, I, pag. 905, ove l’
Autore arriva ad affermare che pare “di una disarmante evidenza lapalissiana” il fatto che “l’idoneità
soggettiva a pagare il tributo non può mai prescindere dalla disponibilità degli occorrenti mezzi
economici. Questa disponibilità è il nucleo essenziale di ogni presupposto d’imposta”; nel senso della
17
In questo modo si compie “un passo innanzi”
13
verso una migliore comprensione del
valore del principio e si precisa il contenuto del vincolo posto al potere impositivo.
Esso consiste in qualcosa di obiettivo, legato alla struttura dell’ imposta, nel senso
che la base imponibile deve essere incorporata nella fattispecie legale come
valutazione dell’ elemento di ricchezza, e ciò non tanto per individuare istituti
impositivi maggiormente rispondenti ad un principio rigido che presuppone in sØ
stesso tributi “preferiti”
14
, ma per richiamare una insopprimibile esigenza di
razionalità e giustizia
15
propria all’ ordinamento tributario.
In un’ottica generale si può affermare che il principio in esame richiama il
legislatore alla definizione degli istituti tributari conformemente ad un’esigenza di
razionalità, che si traduce in precise direttive da rispettarsi in riferimento al
fondamento del tributo ed alla coerenza interna delle singole fattispecie impositive
16
.
Di conseguenza non solo non si potrebbe considerare legittima l’imposta che sia
espressa in un elenco di fatti tassabili per i quali non sia possibile individuare il
collegamento con una forza economica su cui si fondi il tributo, ma si assume che
anche un’ elenco disarticolato di fatti non accomunabili in base ad un’unica ratio
sarebbe una violazione al principio di capacità contributiva; in questo modo il limite
della capacità contributiva verrebbe a combinarsi con il generalissimo principio di
ragionevolezza che si pone alla base di ogni ordinamento.
Pare dunque possibile individuare i seguenti corollari del principio di capacità
contributiva: ragionevolezza delle fattispecie impositive, eguaglianza nella
ripartizione dei carichi, intangibilità del minimo vitale.
In primo luogo il principio di capacità contributiva fornisce al tributo un fondamento
di razionalità: il potere tributario non può essere esercitato in modo arbitrario ed
necessità che il presupposto sia manifestazione di forza economica si vedano inoltre F. MOSCHETTI, Il
principio di capacità contributiva, cit., pag. 53 ss; A. FANTOZZI, Il Diritto tributario, cit., pag. 33; R.
LUPI, Diritto tributario, Parte generale, Milano, 2005, pagg. 9-10.
13
Così E. DE MITA, voce Capacità contributiva, cit., pag. 455.
14
Cfr. sul punto E. DE MITA, Interesse fiscale e tutela del contribuente, Milano, 2006, pag. 46 ss.
15
Sul punto in questi termini anche K. TIPKE, La capacità contributiva come metro di giustizia tributaria,
cit., pag. 7204.
16
Cfr. E. DE MITA, Principi di diritto tributario, cit., pag. 87, ove si afferma che l’esigenza di razionalità,
contrapposta ad un “fiscalismo” richiede che sia indicato uno specifico presupposto economico per cui si
esige che “le molteplici ipotesi di tassazione contemplate dalla legge tributaria siano coerenti con quel
presupposto, non siano cioè una semplice accozzaglia di casi empirici”.
18
irragionevole. In questi termini, il potere tributario, deve necessariamente
giustificarsi con il riferimento ad una specifica capacità economica del
contribuente
17
.
Se invece si ponesse il fondamento del dovere contributivo nella mera sovranità,
qualsiasi fatto, pur non costituendo manifestazione di forza economica, potrebbe
valere come presupposto cui riferire il dovere di concorrere alle spese pubbliche
18
.
In una tale costruzione sarebbe perciò possibile anche l’esistenza di imposte quali il
“testatico”, il cui presupposto è dato dalla semplice esistenza dell’ essere umano
19
.
In secondo luogo funge da criterio di ripartizione dei carichi tributari, in base al
quale il contributo alle spese pubbliche, conformemente al principio di eguaglianza,
deve essere eguale con riferimento alle specifiche possibilità economiche di
ciascuno. Il principio di capacità contributiva vieta quindi una diseguale ripartizione
del carico tributario, combinandosi con il generale principio di eguaglianza
20
.
17
Cfr. MITA, Principi di diritto tributario, cit., pag. 83 ss.
18
Così può già rilevarsi come, seppur in prima approssimazione, il fondamento del dovere costituisca
anche un vincolo per i suoi successivi sviluppi. Questo implica comunque uno spazio, per la
determinazione di quali comportamenti siano da considerare manifestazione di forza economica
considerandosi che il principio di capacità contributiva non può “imbrigliare” completamente la
discrezionalità politica del legislatore tributario. Cfr. DE MITA, Principi di diritto tributario, cit., pag. 85.
19
Sul punto rilevava infatti GIANNINI A.D., Il rapporto giuridico d’imposta, Milano 1937, pag. 164, che
“la situazione piø semplice che s’incontra nella storia dei tributi è quella in cui basta la semplice esistenza
di una persona soggetta alla potestà d’imperio dell’ ente pubblico a far sorgere il debito d’imposta; sono
soggette al tributo, ad esempio, in eguale misura tutte le persone maggiorenni, o anche solo di sesso
maschile (imposta di capitazione o testatico), o tutti quelli che hanno una casa propria (focautico). Queste
imposte che non avendo una base economica, non possono dare se non un gettito molto ristretto, sono
quasi dappertutto scomparse.” Così anche K. TIPKE, La capacità contributiva come metro di giustizia
tributaria, cit., 7205, ove si afferma che “nel diritto tributario non risulta adeguato il testatico, nØ, a parte
alcune eccezioni, il criterio commutativo, bensì il principio di capacità contributiva”.
20
Specificamente in questo senso, V. UCKMAR, Principi comuni di diritto costituzionale tributario,
Padova, 1999, pag. 82 ss., ove l’Autore nota che “nonostante il vago significato del richiamato principio,
dallo stesso discendono alcune concrete conseguenze; innanzitutto […] la illegittimità di un sistema
tributario costituito da imposte distribuite pro capite, con un uguale importo per ciascuna persona.
Essendo indubbio che non tutti hanno lo stesso grado di ricchezza o povertà, ci troveremmo di fronte ad
una tassazione di uguaglianza meramente materiale, e non proporzionata alla capacità economica dei
singoli contribuenti”. L’autore considera infatti come ricompreso all’interno del principio di eguaglianza
il principio di capacità contributiva, specificamente considerando tale eguaglianza come eguaglianza in
senso economico, rispetto alla generalizzazione del dovere tributario in capo a tutti i soggetti senza
ingiustificate esclusioni, richiesto invece dall’eguaglianza in senso giuridico.
Peculiare sotto tale profilo la posizione di A. FEDELE, La funzione fiscale e la capacità contributiva nella
Costituzione italiana, in AA.VV., Diritto tributario e Corte costituzionale, a cura di L. Perrone e C.
Berliri, Napoli 2006, pag. 14, secondo la cui opinione l’unico limite alle scelte del legislatore si risolve
nel divieto di opzioni arbitrarie, potendosi ripartire i carichi pubblici anche in modo discriminatorio
purchè tali discriminazioni siano razionali e “cioè coerenti con la ratio del singolo istituto, congrue
rispetto ad altri istituti fiscali ed all’intero sistema tributario, compatibili con i principi generali e
l’ordinamento giuridico complessivamente considerato”.
19
Infine il principio in esame pone un limite alla pretesa contributiva del potere
impositivo sul piano quantitativo, vietando che il prelievo tributario incida anche
sulle risorse necessarie all’individuo per far fronte alle sue esigenze di vita
essenziali
21
. Fermo che il limite inferiore è dato dall’esigenza di lasciare in capo al
soggetto quel tanto di risorse necessario a soddisfare le basilari esigenze di vita, il
principio di capacità contributiva rimanda la decisione sul quantum della tassazione
in capo al legislatore ordinario, considerandosi questa una scelta essenzialmente
politica. Non è peraltro da trascurarsi che oltre determinati limiti, è stata prospettata
in dottrina la possibilità di un’ interferenza tra interesse fiscale e proprietà privata
22
.
Per quanto riguarda l’ambito oggettivo di applicazione del principio si osserva che,
tutte le prestazioni patrimoniali imposte al fine di contribuire alle spese pubbliche,
rientrano nella previsione dell’ art. 23 Cost. ma, soltanto i tributi, rientrano nella
previsione dell’art. 53 Cost., comportando così una delimitazione del campo di
operatività dello stesso
23
. Approfondendo la questione viene poi specificato come il
21
In questo senso E. GIARDINA, Le basi teoriche del principio di capacità contributiva, pag. 448 ss.;
nonchØ la dottrina maggioritaria, così da ultimo B. SANTAMARIA, Diritto tributario. Parte generale,
Milano, 2011, pag. 59; ma sul punto si veda piø ampiamente infra, cap. VI, cui si rinvia anche per i
riferimenti giurisprudenziali della Corte Costituzionale sul tema del minimo vitale.
22
In tema già F. GAFFURI, L’attitudine alla contribuzione, Milano 1969, pag. 95, ove superati determinati
limiti quantitativi “il tributo assumerebbe la natura e produrrebbe gli effetti di un provvedimento
eversivo, non conciliabile con il rispetto dell’economia privata sancito dalla Costituzione”. Per una
differente ricostruzione L. ANTONINI, Dovere tributario, interesse fiscale e diritti costituzionali, Milano,
1996, pag. 290, ove l’Autore sostiene che sarebbe proprio la struttura costituzionale in cui è inserito ed
opera il principio di capacità contributiva ad escludere l’utilizzabilità del diritto di proprietà quale limite
al potere tributario, rilevando come l’espressa previsione del principio di capacità contributiva nella
Costituzione sembra “implicare nel nostro ordinamento, la necessità di mantenere distinti i due ambiti,
quello del diritto di proprietà e quello dell’obbligazione fiscale, rendendo difficilmente praticabile una
forzatura concettuale della garanzia costituzionale dell’art. 42” [Cost.].
23
Così G.A. MICHELI, Corso di diritto tributario, Torino, 1979, pag. 12, che il tributo definito “come una
prestazione patrimoniale imposta, caratterizzata dall’ attitudine a determinare il concorso alle spese
pubbliche”, ma il solo riferimento alla coattività non è in grado di circoscrivere l’area ai soli tributi, ed in
questo senso afferma che “soltanto i tributi rientrano nella previsione dell’ art. 53”. Inoltre si afferma ivi
che “il tributo si risolve sempre in un’ obbligazione nascente dalla legge la quale ricollega
autoritativamente la prestazione di dare una somma di denaro a fatti rispetto ai quali il diverso
combinarsi della volontà del privato e dell’agire della pubblica amministrazione risulti idoneo a
manifestare la capacità contributiva.” Viene infatti sottolineato dall’Autore come il connotato della
coattività caratterizzi sia le imposte che le tasse e raggruppa le imposte e le tasse in uno stesso insieme in
base a tre requisiti: 1) concorso alle spese pubbliche 2) coattività 3) modalità della prestazione; e da ciò
desume che la classificazione interna all’ insieme dei tributi deve fondarsi sui presupposti differenti da
quegli stessi che individuano la generale categoria del tributo. Giunge così alla conclusione per cui se la
capacità contributiva è il presupposto delle imposte, l’utilizzo di un servizio pubblico è il presupposto
della tassa. Cfr. G.A. MICHELI, Corso di diritto tributario, Ibidem, pag. 16 ss. Conformemente anche, A.
FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., pag. 54, ritenendo la capacità contributiva requisito di esistenza e di
distinzione del tributo dalle altre prestazioni patrimoniali imposte.
20
principio di capacità contributiva possa essere utilizzato per distinguere, all’ interno
dei tributi, le imposte dalle tasse ed i contributi
24
.
Inoltre il principio, trovando il suo fondamento nella Costituzione, funge anche da
criterio interpretativo generale degli istituti dell’intero sistema tributario; perciò
l’interprete tra piø interpretazioni tutte egualmente compatibili con la lettera della
norma dovrà scegliere quella che rispetti il collegamento tra l’imposta ed il
presupposto economico.
Sono quindi questi i termini in cui il principio in esame costituisce al contempo una
garanzia per il soggetto passivo del rapporto giuridico d’imposta, ed un limite al
potere impositivo.
Preso atto d’altronde dell’apparente vaghezza dei termini, che ha originato l’iniziale
scetticismo sulla vincolatività del principio espresso dall’art. 53 Cost., è necessario
rilevare che, ancora oggi, non vi è un’opinione unanime intorno ai precisi limiti che
il principio ponga al legislatore tributario.
Nell’osservazione dei punti fondamentali che consentono di giungere a sostenere le
conseguenze pratiche del principio di capacità contributiva appena enunciate, non
pare privo di valore un riferimento alla giustificazione del dovere fiscale. ¨ infatti
proprio considerando tale giustificazione, che implica una ricerca intorno al
fondamento razionale delle entrate e delle spese dello Stato, che si osserveranno le
posizioni della dottrina con riguardo ai vincoli precisi e ragionevoli al potere
impositivo in relazione al momento della configurazione del tributo
25
.
24
Sul punto E. DE MITA, Principi di diritto tributario, cit., pag. 8, specifica che “secondo una visione
teoricamente ineccepibile la capacità contributiva dovrebbe essere la sola giustificazione del concorso alla
spesa pubblica fondato su una manifestazione determinata di ricchezza. Se così non fosse l’art. 53 sarebbe
davvero, come è stato detto una scatola vuota che potrebbe essere riempita di qualsiasi contenuto” ma nel
contempo “esigenze pratiche hanno portato alla sopravvivenza di tributi come le tasse, che non si
giustificano in base alla capacità contributiva: il pagamento di una somma fissa di denaro quando si
chiede la patente di guida o una licenza commerciale non è […] il modello di concorso alla spesa
pubblica voluto dalla Costituzione” chiarendo che invece “tecnicamente tassa è corrispettivo di talune
attività dello Stato che riguardano il singolo contribuente sicchØ la giustificazione di essa viene ravvisata
nella utilità che il singolo ricava da una attività dell’ente pubblico che lo riguardi”.
25
Così G.A. MICHELI, Profili critici in tema di potestà d’imposizione, pag. 19, poteva affermare che “non
è di oggi l’aspirazione di una parte pensosa della dottrina a dare un fondamento razionale alle entrate ed
alle spese dello Stato e per questa via a limitare la scelta del legislatore nella configurazione dei tributi e
pertanto a tracciare dei confini allo stesso potere d’imposizione”; dubbi sono invece espressi, in ordine
alla natura effettivamente giuridica di tale indagine da A. VIOTTO, voce Tributo, in Dig. disc. priv., Sez.
comm., Torino, 1999, pag. 235, rispetto alla quale l’Autore afferma che “non si vuol certo negare che vi
sia una connessione tra il dovere tributario e l’appartenenza del singolo alla collettività,(…) quanto
21
¨ inoltre necessario osservare come la natura del fenomeno tributario sia
essenzialmente relazionale, data la necessaria presenza di un soggetto attivo e di uno
passivo destinatario della pretesa tributaria; il che rende possibile un’analisi
ricostruttiva della materia partendo dall’osservazione dell’evoluzione dei rapporti tra
i soggetti del rapporto tributario
26
. Questa relazione, come meglio avremo modo di
specificare, rimanda alla relazione tra individuo e posizioni di sovranità; infatti
proprio dalla presenza di quest’ultima il rapporto giuridico d’imposta deriva la sua
peculiarità rispetto ai rapporti giuridici tra privati.
L’indagine sul fondamento ed il limite del dovere contributivo si può pertanto
considerare intrinsecamente connessa con l’indagine sul fondamento del fenomeno
impositivo dato il rapporto strutturale che unisce ratio e limiti del medesimo.
Ci si propone quindi, nel primo capitolo, di: a) inquadrare l’ambito del dovere
fiscale e porre la distinzione tra il dovere e l’obbligo tributario; b) specificare il
contenuto della posizione di sovranità dell’Ente impositore; c) mettere in luce, ove
vi sia, la relazione tra la giustificazione della sovranità e la giustificazione del
fenomeno tributario e le implicazioni di tale rapporto. Per considerare in seguito, nel
secondo capitolo, le categorie economiche mediante le quali si individua la
ricchezza rilevante ai fini fiscali.
1.2: Le ragioni del dovere fiscale e la distinzione tra doveri ed obblighi.
Prima ancora di trovare la sua enunciazione nella legge il dovere fiscale nasce come
fenomeno proprio del vivere sociale, inteso a procurare alla comunità le risorse
piuttosto precisare come questa circostanza operi piø come giustificazione politica del dovere
contributivo che come elemento giuridico su cui basare la nozione di tributo”. In quest’ indagine si
cercherà pertanto di mettere in luce come non si tratti di negare l’esistenza dell’ effettiva posizione di
sovranità da cui promana il potere tributario, bensì di osservare come, in un’ottica dialettica tra potere
tributario espresso nell’ interesse fiscale e posizioni soggettive individuali espresse che in questo caso
possono essere riassunte nella formula sintetica di “capacità contributiva”, il fenomeno tributario sia
determinato nei suoi sviluppi proprio dal rapporto fondamentale tra sovranità e posizioni soggettive
individuali.
26
Sul punto si veda P. BORIA, L’interesse fiscale, Torino, 2002, pag. 11 ss., ove L’Autore utilizza questa
prospettiva nell’ analisi del fenomeno tributario e della sua evoluzione, storico-giuridica.
22
necessarie al conseguimento degli interessi collettivi ed è perciò fortemente legato
alla dimensione comunitaria della vita di una società
27
.
Kelsen rilevava come il concetto di dovere si ponga di per sØ su un piano
pregiuridico, che riguarda in primo luogo la morale
28
. Tuttavia anche se l’aspetto
morale non è alieno al dovere fiscale, quello che qui interessa rilevare, dato il
carattere giuridico dell’ indagine, non è il movente per così dire “interno” che può
spingere il soggetto ad adempiere al dovere bensì il fatto che il dovere fiscale è
imposto dall’esterno rispetto al soggetto passivo, in modo che risulti indifferente
l’approvazione o il dissenso interiore del contribuente rispetto al prelievo, così come
resta indifferente la rispondenza del dovere ad un’ idea di giustizia che non sia
tradotta in termini di diritto positivo; ciò che si crea è invece una stretta relazione tra
diritto obiettivo e dovere giuridico
29
. L’adempimento degli obblighi e dei doveri
pubblici è funzionale all’esistenza stessa dell’ordinamento giuridico
30
. Il concetto di
dovere giuridico
31
è quindi strettamente legato a quello di ordinamento giuridico, ed
in questi termini è possibile affermare che tra i principali doveri pubblici si rinviene
quello tributario.
Ora, proprio in riferimento ai doveri quali si presentano in Costituzione pare
opportuno porre la preliminare distinzione tra doveri ed obblighi propriamente
intesi.
27
Presenta il fenomeno fiscale proprio in questi termini A. FEDELE, La funzione fiscale e la capacità
contributiva nella Costituizione italiana, cit., pag. 1, il quale Autore afferma che “ogni collettività
organizzata implica attività od opere svolte da eseguire nell’ interesse comune. Per tali attività ed opere è
necessario reperire i mezzi necessari. Ove non si riesca a porlo a carico di soggetti estranei alla collettività
(come nelle società fondate sulla conquista e spoliazione di popolazioni che rimangono però ad esse
estranee) all’ onere relativo devono far fronte gli stessi membri della comunità, o alcuni di essi. La
fissazione e l’attuazione dei criteri distributivi dei carichi pubblici costituisce pertanto un aspetto
necessario della convivenza organizzata ed uno dei profili caratterizzanti della comunità cui i carichi
stessi si riferiscono.”
28
Sul punto, H. KELSEN, General theory of law and State, traduzione dall’ inglese di S Cotta. e G.
Treves., Teoria generale dello Stato e del diritto, Venezia, 1963, pag. 171 ss.
29
Sul punto cfr. G. PECES –B. MARTINEZ, voce Diritti e doveri fondamentali, in Digesto delle discipline
pubblicistiche, Torino, 1990, pag. 140 ss.
30
A tal riguardo “in altri articoli della Costituzione sono previsti poi specifici doveri pubblici: il dovere
di voto, la difesa della patria, il concorso alle spese pubbliche in base alla propria ricchezza, il dovere di
mantenere i figli, educarli ed istruirli, di svolgere un’ attività lavorativa, di essere fedeli alla Repubblica e
osservare la Costituzione e le leggi”. Così E. DE MITA, Interesse fiscale e tutela del contribuente, cit.,
pag. 1.
31
Il dovere giuridico viene infatti distinto dal dovere morale proprio in base alla sua etero-imposizione,
che dà luogo alla possibilità di esecuzione coattiva.
23
Con il termine “prestazione” si usa indicare l’oggetto del rapporto obbligatorio che
nasce dall’ imposizione tributaria
32
. Si può infatti rilevare che in ogni caso “la
posizione giuridica soggettiva del destinatario dell’ imposizione è quella dell’
obbligo”
33
. Maggiormente problematico pare invece stabilire se la prestazione
tributaria possa rappresentare contemporaneamente anche il contenuto di un dovere,
ammesso che si premetta l’ esistenza della categoria del dovere come categoria
distinta rispetto a quella dell’ obbligo
34
.
A questo proposito il Lucifredi, peraltro nel contesto storico-giuridico anteriore alla
Costituzione repubblicana del 1948, trattando del generale dovere di obbedienza
verso lo Stato, affermava che uno specifico obbligo di dazione di cose o di
prestazione di attività sorge solo se e quando lo stabiliscano apposite disposizioni di
legge
35
e che quindi per il sorgere di tali obblighi è necessaria una specificazione
legislativa del dovere stesso
36
. In generale si può affermare che le conclusioni della
dottrina intorno alla distinzione tra obbligo e dovere non sono univoche
37
.
Significativa tuttavia, ai fini del discorso che qui si svolge, pare la posizione a
riguardo sostenuta da Santi Romano, per il quale Autore nell’insieme eterogeneo e
generale dei doveri giuridici, il termine dovere in senso stretto, si riferisce a
posizioni soggettive che “rimangono fuori l’orbita di ogni rapporto giuridico con
singole cose o singole persone”, assumendo così un valore “assoluto” mentre
32
Sul punto si rileva come parte della recente dottrina proprio ponendo l’accento sul carattere di auto-
imposizione che deriverebbe dal principio di legalità pongono la questione se ancora veramente possa
parlarsi di imposizione dal momento che i tributi sono previsti per legge ed il prelievo assume la forma di
rapporto giuridico obbligatorio; sul punto cfr. P. RUSSO, Manuale di diritto tributario. Parte generale,
cit., pag. 41 ss.; e A. FEDELE, voce Prestazioni imposte, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988, pag. 3 ss.
33
Così D. MORANA, Libertà costituzionali e prestazioni imposte, Milano 2007, pag. 101.
34
Infatti la distinzione non si ritiene affatto scontata in dottrina, cfr. D. MORANA, Ibidem, pag. 72 ss., ove
si sottolinea peraltro come già in R. LUCIFREDI, Le prestazioni obbligatorie in natura dei privati alle
pubbliche amministrazioni. La teoria generale, Padova, 1934, 31 ss., si addivenga ad enucleare una
chiara distinzione fra i due concetti.
35
Cfr. R. LUCIFREDI, Le prestazioni obbligatorie in natura dei privati alle pubbliche amministrazioni. La
teoria generale, cit., pag. 87, ove peraltro, l’Autore collocandosi in un contesto storico-giuridico anteriore
alla Costituzione repubblicana, rinveniva in un “potere d’imperio esclusivo ed incondizionato” dello
Stato, il fondamento del potere di prevedere le fattispecie legislative in base alle quali tali obblighi
ptessero sorgere.
36
A tale traguardo tuttavia D. MORANA, Ibidem, pag. 101, rileva come Lucifredi non abbia poi applicato
tale distinzione concettuale fra i due piani di obbligo e dovere, nello svolgimento delle sue riflessioni.
37
Sul punto D. MORANA, Ibidem, pag. 101, nota che “può dirsi – senza pretesa di esaustività – che il
discrimine tra le due nozioni viene rintracciato enfatizzando, di volta in volta, o cumulativamente, il
carattere assoluto o relativo della corrispondente situazione soggettiva di vantaggio, il conseguente grado
di determinatezza del destinatario e del beneficiario del comportamento imposto, la specificazione di
quest’ultimo e l’attualità del vincolo che ne deriva”.
24
l’espressione obblighi dovrebbe essere utilizzata in riferimento ai “doveri che al
contrario costituiscono uno dei termini” di un determinato rapporto giuridico “e
appaiono corrispondenti ad altri diritti soggettivi”
38
.
Su una posizione non dissimile si pone poi il Mortati il quale Autore ragiona
partendo da un piano astratto sul quale distinguere i doveri a contenuto negativo da
quelli positivi o “poteri-doveri” assegnati in funzione del fine pubblico, definendo
tali posizioni come “situazioni” le quali precedono la stessa instaurazione di un
rapporto giuridico tra soggetti determinati
39
.
Proprio in base alla esistenza di tale “situazione” precedente si ritiene possibile il
passaggio dal piano del dovere al piano dell’obbligo, concretizzando così la generale
situazione preliminare negli specifici obblighi previsti dalla legge. ¨ in tale ultimo
momento che si crea dunque un concreto rapporto giuridico tra posizioni soggettive
specifiche.
Si può quindi nettamente distinguere il piano del dovere dal piano dell’ obbligo
40
.
In base a questi presupposti è possibile infatti osservare i risultati che se ne traggono
concentrando l’attenzione sull’ambito fiscale.
Proprio partendo da questa distinzione è possibile considerare come il dovere
fiscale, quale viene a configurarsi nella Costituzione italiana, possa dirsi, da una
parte, politicamente connesso alla partecipazione alla vita comunitaria, ma, sul piano
giuridico, si presenti invece giuridicamente svincolato dai benefici ricavabili
38
Cfr. S. ROMANO, Doveri, obblighi, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1983, pag. 104.
39
entrambe tali “situazioni” nella ricostruzione dell’ autore sono definite “preliminari al rapporto”
giuridico stesso, cfr. C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova, 1991, pag. 182 ss.
Diversamente G. DE VERGOTTINI, Diritto costituzionale, Padova, 2001, 276 ss, ove l’Autore distingue
l’obbligo dal dovere in base all’esistenza o meno di una correlazione dell’onere con il diritto di altri
soggetti. In base a queste premesse si rinviene l’obbligo non solo nel caso in cui il referente del rapporto
giuridico sia un diritto di credito o un diritto ad altra prestazione, ma anche in relazione al generale diritto
soggettivo di libertà che implichi nei confronti di chiunque un “obbligo” di astensione. Tuttavia le
conseguenze di una tale impostazione non sembrano sostenibili nelle loro conseguenze, anche ove si
aggiunga (G. DE VERGOTTINI, Ibidem, pag. 385) che il dovere oltre ad essere privo di relazione con il
diritto di altri soggetti, dovrebbe derivare dalla Costituzione o dalla legge (come nel caso del dovere di
pagare le imposte, di prestare servizio militare, e di fedeltà alla Repubblica). Così il dovere di pagar le
imposte sarebbe anche giuridicamente tale in virtø dell’assenza di un riferimento ad altre posizioni
soggettive individuali di credito. Salvo però poi osservare che proprio il dovere tributario si concretizza
nell’ obbligazione tributaria.
40
Conformemente G.M. LOMBARDI, Contributo allo studio dei doveri costituzionali, Milano, 1967, pag.
12, sulla distinzione dei piani del dovere e dell’ obbligo afferma che “in nessun caso può configurarsi la
corrispondenza dovere-diritto soggettivo, poichØ muovendosi il primo sul piano della fattispecie astratta,
l’unico collegamento rilevabile è quello dato dalla coppia diritto soggettivo- obbligo”.
25
dall’esistenza dello Stato; i quali benefici, ove intesi come controprestazioni dei
doveri tradurrebbero i rapporti tra Stato ed individuo nello schema dei rapporti
contrattuali.
Il generale dovere di solidarietà richiesto dall’art. 2 della Costituzione pare così
presentare, in connessione con l’art. 53, primo comma, della Costituzione una
struttura punto corrispondente alla ricostruzione appena esposta
41
.
In ambito tributario infatti, il rapporto obbligatorio tra soggetti determinati è posto in
essere nel momento in cui sorge l’obbligazione d’imposta, la quale, a sua volta,
nasce al verificarsi del presupposto stabilito in una espressa previsione legislativa
42
.
Il presupposto deve consistere in una manifestazione di forza economica, che ponga
il soggetto passivo in grado di adempiere al dovere contributivo, pena, come si avrà
modo di spiegare, la violazione del principio di capacità contributiva sancito nell’
art. 53 primo comma, della Costituzione
43
.
Si rileva inoltre come la sopra esposta distinzione tra dovere e obbligo sia stata
utilizzata da una parte della dottrina al fine di giustificare una visione del dovere
fiscale piø in termini politici che giuridici
44
.
41
Rispetto ad un collegamento di tale natura fra dovere di solidarietà previsto dall’art. 2 Cost. e
previsione dell’art. 53, primo comma Cost., si veda anche A. MATTIONI, Solidarietà giuridicizzazione
della fraternità, in A. MARZANATI e A. MATTIONI, La fraternità come principio del diritto pubblico,
Roma, 2007, pag. 27, ove si rileva, rispetto al rapporto che lega le due previsioni costituzionali ora citate,
la “trasformazione” da una “doverosità” ad una specifica “obbligatorietà”.
42
Ciò in virtø del principio di riserva di legge sancito dall’art. 23 della Costituzione in base al quale
“nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.
43
Di notevole rilievo inoltre sottolineare come in D. MORANA, Libertà costituzionali e prestazioni
imposte, Milano, 2007, pag. 104, si afferma che le argomentazioni della costruzione giuridica rifacentesi
al MORTATI trovano appunto applicazione nel fenomeno tributario per cui se “l’obbligo sorge […] in
presenza di una necessaria specificazione della prestazione doverosa e dei soggetti obbligati”, riferendosi
all’ambito del diritto positivo italiano si può affermare che “l’art. 53 della Costituzione, nel prevedere che
tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva, impone un
generico dovere nei confronti di tutti, il quale diverrà obbligo allorchØ per Tizio, Caio o Sempronio si
verificherà il presupposto dell’imposizione e quindi sorgerà l’obbligo di effettuare il pagamento di una
somma di denaro”. Con ciò dunque, si ripete, viene riaffermato il generale dovere di tutti di concorre alle
spese pubbliche ma nel contempo viene anche determinato il momento nel quale tale dovere si
specificherà in obblighi concreti, cioè nell’obbligazione tributaria, e cioè al manifestarsi di capacità
contributiva.
44
In realtà tuttavia, porre queste premesse ha precise conseguenze giuridiche nella costruzione del
sistema positivo. Come si avrà modo di specificare infatti questa premessa è funzionale da una parte
all’esclusione della giustificazione delle imposte in base ad un criterio sinallagmatico che è invece
proprio alle tasse ed ai contributi, mentre dall’altra a mettere in luce come invece sia la capacità
contributiva a fondare l’obbligazione del contribuente nei confronti del fisco; sul punto si veda infra in
questo capitolo.
26
1.3.1. La sovranità tributaria quale elemento strutturale del fenomeno impositivo.
Appare rilevante, ai fini della presente indagine, evidenziare come i tributi “proprio
perchØ rappresentano un’espressione della sovranità dello Stato, sono imposti a
prescindere dalla volontà degli obbligati” e pertanto “assumono i caratteri tipici
della coattività”
45
. L’esercizio del potere impositivo implica perciò in questi termini
l’esercizio di una posizione di sovranità.
Risulta così opportuno chiarire in che cosa consiste questa sovranità dello Stato
all’interno del fenomeno tributario, e in che modo quest’ultima operi.
Posto che in un ordinamento democratico la sovranità appartiene al popolo, si può
parlare di funzioni sovrane mediante le quali il popolo stesso esercita, se pur
indirettamente, tale posizione di sovranità.
La sovranità
46
consiste in un potere di diritto iniziale e supremo che trova il suo
fondamento nel patto sociale, e cioè nella volontà della comunità di vivere insieme
sulla base di comuni diritti e doveri.
Si considera che funzione della sovranità sia quella di attuare un coordinamento tra i
diversi fini particolari, in modo da convogliarli verso i fini generali della collettività.
Il tributo è appunto uno dei modi nei quali la sovranità viene esercitata per ottenere i
mezzi necessari al conseguimento di tali fini generali che prendono il nome di fini
pubblici
47
.
45
Così A. VIOTTO, voce Tributo, in Dig. disc. priv., Sez. comm., Torino, 1999, pag. 239.
46
Il termine sovranità deriva dal latino medioevale “soveranus”, e fu coniato durante il rinascimento
giuridico da JEAN BODIN che definì il contenuto della posizione del soggetto soveranus come dotato di
una “summa potestas superiorem non recognoscens”. Secondo Bodin la sovranità consiste infatti in un
potere giuridico originario perchØ trova fondamento in sØ stessa e perchØ non ne riconosce di superiori,
cfr. sul punto M.S. GIANNINI, voce Sovranità, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1990, pag. 225 ss.
47
Cfr. C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova, 1991, pag. 96 ss., spec. pag. 102, ove
l’Autore dopo aver chiarito come con il concetto di sovranità si designa “il modo di essere del potere
statale”, afferma, riguardo alla stessa sovranità “nello Stato” cioè in relazione con gli individui, che “è
chiara la sua incidenza sul bene supremo della libertà, di fronte al quale si manifesta l’esigenza di
ricercare un fondamento razionale che spieghi il perchØ dell’ assoggettamento di uomini al comando di
altri uomini, e sulla base del medesimo, giungere alla determinazione dei modi e dei limiti da far valere
nei confronti di tale potere”. Così Ibidem, pag. 102.
27
Tali questioni assumono evidente rilievo anche per il diritto tributario considerando
che, secondo quanto sostenuto da A.D. Giannini, il fondamento giuridico del potere
impositivo si trova nella sovranità stessa, e quindi il dovere fiscale per il
contribuente trova fondamento meramente nella soggezione alla sovranità. ¨, infatti,
coerentemente a questa premessa che l’ Autore, quale logico corollario della
configurazione del rapporto tributario quale espressione di una incondizionata
subordinazione del soggetto passivo alla sovranità dello Stato, espressa nella legge,
afferma che “la scelta dei presupposti, rimessa al criterio discrezionale del
legislatore, è determinata da considerazioni economiche, politiche e tecniche
estranee al diritto tributario, e varia da un Paese all’ altro nei vari periodi storici, a
seconda della struttura economica della Nazione, del fabbisogno finanziario ed
anche di considerazioni extra-fiscali. Qualsiasi situazione di fatto può quindi in via
di principio, essere suscettibile d’imposizione”
48
. Ora, in un ordinamento
democratico una tale lettura del fenomeno tributario, e della funzione della sovranità
che promana dal popolo e ad esso appartiene, risulta certamente fuorviante
49
.
Nell’indagine intorno al fondamento ed il limite del dovere contributivo è sembrato
pertanto opportuno prendere in considerazione la struttura stessa dell’ ordinamento
giuridico
50
, data la stretta connessione, messa in luce dai diversi Autori, tra lo Stato
e il diritto, e tra la sovranità e il dovere
51
.
48
Così A.D. GIANNINI, Il rapporto giuridico d’imposta, Milano, 1937, pag. 154; risulta evidente come
una tale concezione espressa prima della Costituzione repubblicana ed ancora ribadita ancora
successivamente all’entrata in vigore della stessa (cfr. A.D. GIANNINI, I rapporti tributari, in
Commentario sistematico alla Costituzione italiana, Vol. I, Firenze 1950) non è compatibile con il
principio di capacità contributiva inteso esso come fondamento del dovere contributivo. E, anche se nel
momento in cui tale Autore scriveva, il 1937, il principio di capacità contributiva non era posto in una
Costituzione rigida e veniva espresso con altra formula ed altri risultati, le imposte erano già
prevalentemente costruite in riferimento ad una ricchezza, infatti, come l’Autore poteva affermare, “nella
vigente legislazione [1937] l’unica imposta fondata sopra una base esclusivamente personale è quella dei
celibi, che nella quota fissa, colpisce […] tutti i cittadini celibi di sesso maschile compresi fra i 25 e i 65
anni compiuti, in ragione soltanto della loro età” così A.D. GIANNINI, Il rapporto giuridico d’imposta,
cit., pag 165.
49
Sul punto, conformemente alla posizione dottrinale oggi maggioritaria, P. RUSSO, Manuale di diritto
tributario. Parte Generale, cit., pag. 116, argomentando a partire dall’efficacia nello spazio della legge
tributaria, afferma espressamente che, risulta superata la concezione per cui “fondamento del diritto
tributario, anzi del potere impositivo è la sovranità dello Stato”.
50
Così già, E. VANONI, Natura ed interpretazione delle leggi tributarie, Padova, 1932, pag. 24, “Il nucleo
del problema […] sta quindi nel vedere quale sia nella realtà la natura dell’ attività dello Stato, ed in quale
rapporto essa stia coll’attività individuale”.
51
Sul punto in questi termini G. BALLADORE PALLIERI, Dottrina dello Stato, Padova, 1964, 14 e ss.