7
quale ogni fedele deve richiamarsi nelle proprie azioni, anche quelle
quotidiane e più banali.
A questi quattro principi vanno aggiunti due corollari di fondamentale
importanza:il primo riguarda le forme di mobilitazione dei militanti,
nel senso che ogni militante deve manifestare la propria fede anche
con azioni di protesta e con forme di lotta politica e sociale,
scegliendo soprattutto gesti e luoghi dal particolare valore simbolico
per ampliare il carico emotivo delle proprie azioni; il secondo, invece,
è dato dalla sindrome del nemico, una sorta di meccanismo di difesa
della propria identità basato sull‟identificazione di un nemico il cui
volto varia al variare delle esigenze e delle circostanze: il comunismo,
il capitalismo, l‟Occidente, il secolarismo, lo stato nazionale laico,
ecc…3
Il fondamentalismo, anche a causa delle implicazioni politiche che
esso comporta, è stato variamente interpretato. Una prima analisi
individua nel fenomeno in questione una forma di “reazione alla
modernità”, un tentativo utopico di restaurazione di un passato mitico
che assume un‟aura di sacralità, in grado di soppiantare la presente
condizione di perdizione morale e di assenza di fede indotta dalla
modernità occidentale. L‟obiettivo dei fondamentalisti, dunque,
sarebbe una regressione storica verso un passato in cui regnava la
Legge sacra e nel quale le istituzioni erano uniformate alla Parola di
Dio.
Questa tesi, tuttavia, non appare del tutto conforme al vero nel
momento in cui presenta il fondamentalismo come una spinta verso
uno stadio di evoluzione storica di tipo primitivo, come una
regressione materiale incompatibile con le moderne conquiste
scientifiche e tecnologiche. Non si spiegherebbe, in tal caso l‟uso
frequente che gli stessi movimenti fondamentalisti fanno delle
suddette tecnologie, soprattutto a fini propagandistici (l‟esempio più
evidente lo fornisce l‟incredibile proliferazione di siti internet gestiti
dalla propaganda fondamentalista). Di questo avviso è, ad esempio,
Bassam Tibi secondo il quale i musulmani fondamentalisti “limitano il
loro rifiuto alla visione cartesiana del mondo incentrata sull‟uomo,
nonché alla fiducia nel potere della ragione umana a spese della
rivelazione divina. […] In altri termini, l‟islàm politico si riferisce a
idee tradizionali, pur non essendo un tradizionalismo. Nei miei scritti
parlo di un sogno fondamentalista di modernità parziale: la modernità
viene divisa in progetto culturale da respingere e strumenti tecnico
scientifici da accettare”.4
E‟ evidente, però, che questa visione non tiene nella dovuta
considerazione il clima culturale necessario ad un elevato sviluppo
3
Ivi, pp 6-8.
4
Tibi Bassam, Fondamentalismo islamico e modernità, Boringhieri, Milano, p. 38.
8
tecnologico, che non può essere confinato al solo sapere scientifico,
ma che trova fondamento nel complesso della base culturale di un
preciso contesto.
Una seconda tesi diffusa tra gli studiosi del fenomeno attribuisce
l‟esplodere della mobilitazione fondamentalista non ad una reazione
nei confronti della modernità, ma ad una risposta alla crisi della
modernità. Il fondamentalismo sarebbe, pertanto, un prodotto della
modernità, un fenomeno propriamente moderno. A sostegno di questa
tesi viene messa in evidenza la somiglianza dal punto di vista
organizzativo tra questi movimenti e i modelli di partito unico
tipicamente europei e la loro tendenza ad essere anti-tradizionalisti,
inventando nuovi simboli e facendo affidamento a leaders carismatici
estranei all‟ambiente del clero ufficiale, generalmente ostile nei loro
confronti.5
Secondo Gilles Kepel, infine, a partire dagli anni settanta, si sarebbero
verificate determinate circostante favorevoli all‟emergere e alla
moltiplicazione di gruppi fondamentalisti, i quali avrebbero attribuito
il malessere e il disordine crescenti alla presunzione da parte della
ragione umana di potersi emancipare dalla fede. E‟ per questo motivo
che l‟autore parla di una “rivincita di Dio”, evidentemente da
intendere come un ritorno forzato della religione in campo politico e
sociale.6
1.2 Alcune precisazioni terminologiche.
Il dibattito sulla versione islamica del fondamentalismo si presenta
quanto mai complesso. Ciò risulta in tutta la sua evidenza anche in
riferimento alla quantità di termini ed espressioni utilizzate per farvi
riferimento. Sarà, pertanto, opportuno procedere ad una breve
rassegna di queste diverse denominazioni per cercare di fare un po‟ di
chiarezza.
E‟ stato fatto notare, ad esempio, come il concetto stesso di
fondamentalismo abbia origine sul finire dell‟Ottocento negli Stati
Uniti per designare alcune frange di protestanti ostili alla democrazia
laica e liberale e ad una rilettura critica della Bibbia. Malgrado gli
elementi di contatto tra le due varianti, protestante e islamica,
applicare al contesto islamico un concetto di diversa origine e, per di
più, di recente formulazione, potrebbe indurre a credere che la
5
Enzo Pace-Renzo Guolo, op. cit., p.109.
6
Ivi, pp. 113-116.
9
dialettica tra interpretazione personale e interpretazione letterale del
Corano sia di origine recente, mentre in realtà, è presente sin quasi
dalle origini dell‟islàm.7
Accade spesso, poi, che per designare i termini fondamentalismo e
integralismo, riferiti al caso islamico, si parli di islamismo( pratica che
seguiremo anche noi per comodità di esposizione). In realtà, questo
termine non esiste nel vocabolario arabo, in cui islamista e islamico
significano la stessa cosa, vale a dire: musulmano.8
Per gli studiosi europei, tuttavia, il termine islamismo indica qualcosa
di diverso dalla semplice fede islamica. Con esso ci si riferisce ad una
corrente di pensiero che, già a partire dalla fine del XIII secolo, si
interroga sulle cause del declino del mondo islamico e sulle
prospettive che avrebbero potuto portare alla rinascita islamica.
Prendendo in prestito una classificazione dei movimenti della rinascita
islamica operata da Youssef Choueiri, distinguiamo all‟interno
dell‟orbita islamista tre diverse categorie di movimenti: quelli di
“risveglio”, quelli riformisti e, infine, i movimenti fondamentalisti.9
Per quanto riguarda la prima tipologia, l‟esempio più noto e di gran
lunga più influente è costituito dall‟ideologia wahhabita. Il suo
fondatore, Ibn „Abd al-Wahhab (1703-1792), riprende il discorso
formulato più di quattro secoli prima dal giureconsulto Ibn
Taymmiyya (morto nel 1328), considerato uno dei maggiori pensatori
del mondo islamico e preso come modello, non sempre con
interpretazioni fedeli del suo pensiero, da alcuni teorici dell‟islamismo
radicale, avendo egli proposto, a pochi decenni dalla caduta del
califfato abbaside, avvenuta nel 1258, un ritorno alla forma pura
dell‟islàm rappresentata dal Profeta e dai suoi primi seguaci, i pii
predecessori (al-salaf al-salih). Allo stesso modo Ibn Abd al-Wahhab
riprende il discorso del passato mitico incarnato dall‟era maomettana e
dei califfi ben guidati (rashidùn)10, individuando nel ritorno alle
origini l‟ unica via di uscita alla lunga fase di decadenza attraversata
dal mondo islamico, dovuta, secondo lui, all‟allontanamento dalla
vera fede. A differenza di Ibn Taymmiyya, però, l‟ideologia
wahhabita non resta confinata al mero ambito teologico-culturale, ma
7
Piergiovanni Donini, Il mondo islamico, Laterza, Roma-Bari, 2005, p.260.
8Marie-Lucy Dumas (a cura di), Répertoire des partis intégristes musulmans, C.H.E.A.M., Parigi,
1995, p.15.
9
Youssef Choueiri, Il fondamentalismo islamico, Il Mulino, Bologna, 1993; cit. in Enzo Pace,
Sociologia dell‟islàm, Carocci, Roma, 1999, p.166.
10
Si tratta dei quattro successori di Maometto: Abu Bakr (632-634), „Umar ibn al-Khattab (634-
644), „Uthman ibn „Affan (644-656), Ali ibn abi Talib (656-661). I loro califfati coincidono con
“l‟età d‟oro, sempre considerata tale e oggi vista come modello ancora possibile da realizzare per
superare le difficoltà in cui il mondo musulmano si dibatte e per recuperare il ruolo storico che è
stato suo fino all‟Ottocento” (Biancamaria Scarcia Amoretti, Il mondo musulmano, Carocci,
Roma, 2005).
10
trova una concreta applicazione politica grazie all‟alleanza con la tribù
dei Sa‟ud, stanziata nella regione desertica del Nejd, dando vita ad un
vero e proprio movimento socio-religioso che farà del wahabismo la
dottrina ufficiale della futura monarchia saudita.
Un discorso del tutto diverso va fatto per i movimenti riformisti, sorti
tra la fine dell‟Ottocento e gli inizi del Novecento, per i quali sarebbe
più opportuno parlare di correnti di pensiero piuttosto che di veri e
propri movimenti, essendo il riformismo nato dapprima ad opera di
alcuni grandi intellettuali, ai quali, solo in un secondo momento, ci si
sarebbe ispirati per la formazione di associazioni e movimenti
religiosi.
Tra i pensatori riformisti del mondo islamico ricordiamo in particolare
Jamal al-Din al-Afghani e due tra i suoi discepoli: Muhammad „Abdu
e Rashid Rida. La salafiyya (questo è il nome di questa corrente
riformatrice, derivante da al-salaf al-salih) elabora la proposta di un
islàm riformato e scevro da ogni tipo di superstizione arcaica, ostile
alla necessità di un processo di modernizzazione. Nelle riflessioni di
al-Afghani assume grande importanza il richiamo all‟unità della umma
(la comunità dei fedeli), la cui divisione, favorita dall‟impatto del
mondo arabo con altre popolazioni, sarebbe alla base del ritardo
rispetto all‟Occidente.
Ciò che distingue questo approccio dal “risveglio” è, soprattutto, il
problema del rapporto tra l‟islàm e l‟Occidente. La soluzione
individuata per far fronte all‟egemonia occidentale, non solo politica,
ma anche economica, culturale e scientifica, è costituita da una
riforma all‟interno del pensiero islamico, affidandosi alla profonda
razionalità di cui è intrisa la rivelazione. Riforma da applicare in più
direzioni: dall‟ambito culturale a quello giuridico, dalla politica alle
relazioni sociali. Viene dunque presa in considerazione una via più
graduale e moderata per la reislamizzazione della società rispetto alla
via rivoluzionaria percorsa dai movimenti fondamentalisti, o meglio,
da una parte di questi. Un esempio di tale tentativo di riforma,
attraverso un‟esegesi illuminata del Testo sacro e della Sunna (la
tradizione che raccoglie gli atti e i detti del Profeta), ci viene fornito
da „Abdu, il quale parla della poligamia e del ripudio nei termini di
retaggi dell‟antica società tribale dell‟epoca della Rivelazione.
Contemporaneamente viene operato un tentativo di emancipazione
della cultura islamica rispetto a quella occidentale, al fine di
perseguire uno sviluppo scientifico, tecnologico, culturale, sociale e
politico autonomo rispetto ai modelli di importazione extra-islamici.
Accade così che l‟adozione di una forma di governo democratica
viene giustificata alla luce della pratica della consultazione (shura), di
cui si fa menzione all‟interno del Corano e secondo la quale la guida
della comunità aveva il dovere di consultarsi con i rappresentanti della