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Questi processi, detti dei fosfageni, sono conosciuti come metabolismo
anaerobico alattacido (siccome non necessitano di apporto di ossigeno per
svolgersi, e non danno luogo a produzione di acido lattico).
Dato che i substrati necessari sono già nel muscolo e la reazione a cui sono
sottoposti è molto veloce, questo metabolismo ha per punti di forza la velocità di
avvio e l'energia erogata nell'unità di tempo (potenza), ma decisamente pecca
per la sua esigua autonomia.
Contestualmente ad esso al fine comune di risintetizzare nuovo ATP operano
altri due metabolismi, quello glicolitico (o anaerobico lattacido) e quello
aerobico.
Il primo partendo dalla molecola di glucosio (C
6
H
12
O
6
) attraverso processi di
scissione che avvengono nel citoplasma della cellula muscolare senza bisogno di
ossigeno (ecco il perché del termine "anaerobico") da luogo alla formazione di
due molecole di piruvato e due ATP, a questo punto, per motivi che vanno dallo
stato di ipossia in cui si trova la cellula muscolare in questione all'urgenza di
ATP per protrarre l'esercizio fisico, l'acido piruvico si accumula insieme ad un
altro metabolita, il NADH, e dalla reazione chimica fra i due si ha la formazione
di acido lattico + NAD
+
(ecco il perché del termine "lattacido").
La produzione di questo composto acido porta ad un abbassamento del pH
cellulare che a sua volta inibisce la degradazione del Glucosio in
piruvato\lattato
,
inoltre è stato calcolato che da solo il glicogeno (macromolecola
di deposito del glucosio) muscolare sarebbe sufficiente per protrarre un esercizio
per 80 secondi al massimo.
Questi due fattori, diminuzione del pH cellulare e limitata concentrazione di
glicogeno nel muscolo, determinano una autonomia di questo metabolismo
limitata anche se non brevissima, controbilanciata però da una potenza erogabile
di tutto rispetto, anche se inferiore a quella derivante dal metabolismo
anaerobico alattacido.
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Ultimo metabolismo energetico è quello aerobico, che consiste nella
degradazione degli alimenti, principalmente grassi e zuccheri, fino alla
produzione di ATP, il processo per avvenire senza intoppi necessita di ossigeno
(ecco perché aerobico), ed ha una autonomia "teoricamente" infinita, a cui si
contrappone una potenza inferiore a quella degli altri due metabolismi.
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La soglia anaerobica
I tre metabolismi sopra citati in ogni momento interagiscono nel rifornire di
energia i muscoli, qualsiasi sia l'entità dell'attività a cui questi ultimi sono
chiamati.
Il tipo di richiesta energetica a carico di un certo distretto muscolare può però
determinare la percentuale di intervento di ogni metabolismo, permettendo di
classificare ciascuna attività come prevalentemente anaerobica alattacida,
lattacida, aerobica o mista.
Ciò non ha impedito di individuare, soprattutto per le attività aerobiche e
anaerobiche lattacide, delle zone cosiddette di soglia che individuano non tanto
un ipotetico confine tra la fine del lavoro di un meccanismo energetico e l'inizio
dell'altro, ma piuttosto delle zone dove uno dei due pur continuando a lavorare,
viene sopravanzato per apporto di energia dall'altro; le soglie individuate sono
due:
− Quella sotto la quale la concentrazione di lattato ematico è poco più alta della
concentrazione basale (pari a circa 1mmole/l di sangue), detta soglia
aerobica, (localizzata in prossimità della concentrazione di lattato pari a 2
mmoli\l di sangue) che delimita superiormente la regione di intensità alla
quale si può lavorare per tempi molto lunghi, nell'ordine di parecchie ore,
dato che queste attività sono prevalentemente a carico del metabolismo
aerobico.
Come accennato precedentemente, ad un calcolo teorico, le riserve di zuccheri
e grassi presenti nel nostro organismo permetterebbero di affrontare una
attività fisica dal costo totale decisamente spropositato, quindi di durata
infinita, in realtà il vero fattore limitante che riduce la durata massima da
infinita a poche ore risiede nelle riserve di glicogeno muscolare ed epatico,
dato che i grassi, per poter compiere tutto il percorso metabolico che porta
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alla produzione di energia, hanno bisogno che parallelamente sia demolita una
seppur minima quantità di zuccheri. Un caso eclatante dell'impossibilità di
protrarre un esercizio dopo l'esaurimento delle scorte glucidiche è la
cosiddetta "crisi del trentesimo chilometro" che obbliga al ritiro parecchi
maratoneti, soprattutto amatori, che non hanno seguito diete mirate ad
aumentare le riserve di glicogeno o che non hanno svolto allenamenti
finalizzati a spostare durante lo sforzo l'utilizzazione di substrati energetici il
più possibile a favore dei grassi.
Non è un caso che il muscolo cardiaco che svolge un'attività che dura tutta la
vita sia un grande consumatore di grassi.
− La zona oltre la quale l'impegno del meccanismo aerobico pur continuando ad
aumentare di intensità, non lo fa più in proporzione alla richiesta energetica
ed interviene in maniera massiccia il metabolismo glicolitico, dando però
luogo ad un progressivo accumulo di acido lattico, la cui concentrazione a
livello muscolare e quindi per diffusione attraverso la membrana cellulare
anche a livello ematico aumenta anche nel caso si mantenga il carico costante,
il tutto è dovuto ad una rottura dell'equilibrio tra lattato prodotto e lattato
rimosso (rapporto Ra/Rd).
Questa zona stimabile per alcuni autori in prossimità della concentrazione di 4
mmoli/l è detta soglia anaerobica.
Altri studiosi, volendo porre l'attenzione più sulle cause (rottura equilibrio
Ra/Rd) che sul passaggio (puramente teorico) tra esercizio aerobico e
esercizio anaerobico, hanno battezzato questa zona MLSS (massimo lattato
allo stato stazionario), superando il valore di 4 mmoli/l, frutto di una media e
quindi poco adatto a descrivere un processo il cui innesco varia da persona a
persona e addirittura nello stesso individuo dipende da svariati fattori
ambientali e fisiologici (stato di allenamento, affaticamento, ecc.).
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Gli esercizi che hanno una richiesta energetica da questa zona in su sono
sostenibili per un tempo tanto più breve quanto più da questa soglia ci si
allontana.
Riportando queste categorizzazioni nel campo dell'atletica leggera, si va da
gare "in soglia" come i 10.000m fino a distanze fortemente lattacide (e per
questo di durata molto breve) come i 400m.
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Fattori che influenzano la soglia anaerobica
La soglia anaerobica dipende molto dal metabolismo aerobico.
Infatti, più tardi in un esercizio ad impegno crescente il metabolismo ossidativo
deve ricorrere all'impegno massivo di quello glicolitico, più elevato sarà
l'impegno muscolare massimo protraibile per un tempo molto lungo (impegno di
soglia).
Passando quindi a studiare in modo analitico il metabolismo ossidativo, si nota
che i due fattori principali che ne possono determinare l'efficienza sono il
"combustibile" che usa ed il "comburente" necessario perché il combustibile
possa bruciare.
Come già detto il combustibile è rappresentato dagli alimenti, e quindi
principalmente da grassi e zuccheri, anche se studi recenti hanno rivalutato le
proteine come possibili fornitrici di energia (in situazioni però critiche); anche
se questa risorsa per ciò che si è detto a proposito di capacità del metabolismo
aerobico è limitata, ciò non toglie che prima di qualche ora di esercizio per di
più senza ristoro non pone problemi significativi.
Ciò riduce i fattori limitanti del metabolismo aerobico alla sola capacità di far
arrivare l'ossigeno (comburente) alle cellule affinché esse possano produrre
energia da lipidi e glucidi.
La buona riuscita di questo processo di approvvigionamento di O
2
dipende da tre
fasi successive:
1. Captazione dell'ossigeno atmosferico e trasporto fino al torrente ematico: a
carico dell'albero respiratorio, i cui fattori limitanti si riducono
principalmente a gravi alterazioni meccaniche nel movimento di
allargamento e viceversa della gabbia toracica, di cui non si tratterà.
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2. Ricezione dell'ossigeno da parte del sangue e trasporto a tutte le cellule
dell'organismo.
3. Utilizzo da parte di ciascuna cellula per la produzione di energia, necessaria
in primo luogo per le funzioni vitali e in secondo luogo per le funzioni più
specifiche (la contrazione quando si tratta di cellule muscolari).
Tralasciata la prima fase, si analizzano le altre due decisamente più importanti
quando si parli di soggetti sani, nel caso specifico: atleti.
La ricezione dell'ossigeno e il suo conseguente trasporto lungo il torrente
ematico, hanno per protagonista l'emoglobina (Hb), una proteina globulare in
grado di trasportare molto più ossigeno nel sangue della quantità irrisoria (e
fisiologicamente trascurabile) che si scioglie fisicamente nel plasma.
Questa proteina è contenuta in particolari cellule del sangue, gli eritrociti o
globuli rossi.
Va da sé che una maggior concentrazione di Hb (e di conseguenza un maggior
numero di eritrociti per litro di sangue) garantiscono un maggior trasporto di
ossigeno, un aumento indiscriminato della concentrazione di eritrociti (cavallo
di battaglia di tante pratiche dopanti), va però a scapito della dinamica del
sangue che per tassi di ematocrito
superiori a 50 incomincia a scorrere a fatica
soprattutto nei capillari, aumentando i rischi di ischemie.
A livello cardiocircolatorio, un aumento delle richieste energetiche e quindi di
ossigeno da parte di un determinato tessuto determinano contromisure di due
tipi:
− Repentine e transitorie, dette agguistamenti.
− Più lente da ottenere e stabili nel tempo, dette adattamenti.
Delle prime fa parte l'aumento della quantità di sangue pompata dal cuore
nell'unità di tempo (portata cardiaca), ottenuta con un contemporaneo e
bilanciato aumento della frequenza (pulsazioni al minuto) e della gittata
pulsatoria (sangue spinto in circolo ad ogni sistole), la necessità che l'aumento
dei due parametri sia contemporaneo e bilanciato è data dal fatto che incrementi
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eccessivi ed esclusivi di uno solo di loro portano a cadute di rendimento della
pompa cardiaca.
A fianco di questi aggiustamenti cardiaci ne esistono altri a livello circolatorio
dati dal processo di vasodilatazione (aumento del diametro interno dei vasi,
soprattutto a livello capillare), che contribuisce a facilitare il flusso del sangue
verso i distretti più bisognosi, a scapito di altri.
Ne sono un esempio il calo dell'attività renale durante un esercizio fisico intenso
e (come caso patologico) il rischio di collasso di chi appena dopo mangiato
(significativa richiesta energetica degli organi digestivi) si sottopone ad una
attività fisica intensa, causando un afflusso di sangue insufficiente ad organi che
come il cervello non possono essere sacrificati.
Se i casi di richiesta energetica aumentata si ripetono nel tempo, (attività fisica
regolare) l'organismo mette in essere degli adattamenti che assicurino di
rispondere in maniera sempre più agevole ad uno stesso sforzo.
A livello cardiaco i miglioramenti sono di carattere meccanico –muscolare, vale
a dire che il cuore come qualsiasi altro muscolo si allena diventando più elastico
e più forte, permettendosi in definitiva già a riposo di poter aumentare la gittata
pulsatoria senza andare in contro ad affaticamento (si passa da valori di 70/80
ml di un adulto sedentario a 170/180 ml di grandi atleti), questo aumento della
gittata pulsatoria permette al cuore di battere più lentamente a parità di richiesta
di ossigeno, risparmiando sulla frequenza i cui valori di massimo sono molto più
legati all'età del soggetto che al grado di allenamento.
Gli adattamenti indotti dall'allenamento sono anche a livello del sangue, in cui vi
è un aumento del numero degli eritrociti (globuli rossi), che a differenza di
quanto accade nelle pratiche illecite a cui sopra si è accennato è sottoposto a
regolazioni fisiologiche che evitano che l'aumento sia indiscriminato e
pericoloso per la salute. L'aumento fisiologico dell'emoglobina contenuta nel
sangue, è uno degli adattamenti portati dall'allenamento aerobico, soprattutto da
quello condotto in quota, dove a seguito della diminuzione della pressione
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atmosferica, anche la pressione parziale dell'ossigeno
diminuisce di conseguenza
sia a livello dell'aria esterna sia livello alveolare (tab.I.I), costringendo
l'organismo ad aumentare il tasso di Hb nel sangue, dato che in condizioni di
ipossia essa non si satura completamente (fig. I.1). La differenza della
composizione dell'aria alveolare è dovuta principalmente al fatto che durante il
passaggio attraverso le mucose nasali l'aria viene riscaldata ed umidificata (la
pressione del vapore acqueo nell'aria alveolare, detta nel caso specifico
"tensione", è pari a 47 mmHg).