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3 L'Impatto del Terzo Settore nello sviluppo
economico e sociale.
"Se pensi di essere troppo piccolo per fare la
differenza, prova a dormire con una zanzara."
– Dalai Lama
3.1 Il contributo del non profit per l'economia sociale.
L'interazione tra pubblico, privato e non profit e la volontà di lavorare
sinergicamente ha permesso di generare un valore sociale retto dalla sostenibilità
economica dei progetti e dall'innovazione relazionale che riporta al centro l'uomo
e le sua dignità.
Non a caso per valutare il progresso di una società viene superato il "metodo del
PIL". Dalla collaborazione dei rappresentanti dell'Istat, delle parti sociali e della
società civile si sviluppa la proposta di sfruttare un approccio multidimensionale
che valuti il "benessere equo e sostenibile" (BES) considerando non solo i
parametri esclusivamente economici ma aggiungendo anche quelli sociali e
ambientali.
Dall'ultimo rapporto BES 2015 notiamo che sono dodici i settori presi in
considerazione per valutare la multidimensionalità del benessere: salute,
istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere
economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo,
paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, ricerca e innovazione, qualità dei
servizi. Analizzando più da vicino i settori che maggiormente ci coinvolgono
scopriamo che si ha un recupero della coesione sociale, con un aumento di fiducia
negli altri, che accresce la rete di aiuto potenziale. Rispetto al passato, si dà più
spesso sostegno economico ad associazioni e si partecipa a forme di volontariato
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con più frequenza. Precisamente cresce la fiducia negli altri di 2,3 punti
percentuali segnando il valore più alto registrato dal 2010, stabilizzando
l'indicatore relativo alla partecipazione sociale nel 2014 al 23,1%, dopo tre anni di
crescita costante.
Per quanto riguarda invece il numero concreto di risorse umane coinvolte
all'interno del mondo del non profit si parla di 5,7 milioni di persone con 68 mila
associazioni no profit riconosciute, quasi il triplo non riconosciute, 11 mila
cooperative sociali e 6 mila fondazioni. Grazie al censimento ISTAT, 2011
possiamo avere un focus sulla reale presenza del non profit nella prestazione di
servizi sociali.
Numero di unità attive per settore di attività.
Valori assoluti. Elaborazione ISFOL su dati ISTAT 2011.
Attività
Cooperativa
Sociale
Associazione
riconosciuta
Fondazione
Associazione non
riconosciuta
Altra istituzione
non profit *
Totale
SANITA' 559 162 236 334 103 1.394
Servizi per
lungodegenti 291 83 213 130 98 815
Servizi
psichiatrici 268 79 23 204 5 579
ASSISTENZA 4.392 4.864 1.186 9.919 1.510 21.671
SOCIALE
Servizi di
ass. sociale 4.382 4.412 985 8.611 1.177 19.567
Erogazione di
contributi 10 452 201 1.108 333 2.104
Totale 4.951 5.026 1.422 10.253 1.613 23.065
*Altre istituzioni come enti ecclesiastici e società di muto soccorso.
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La varietà delle forme giuridiche per un medesimo servizio è giustificata dalle
diverse necessità degli enti; nelle associazioni riconosciute si ha il vantaggio di
abbattere i costi gestionali a causa del limitato livello di strutturazione
organizzativa. Le fondazioni si prestano ad intercettare e gestire congrui flussi
finanziari e possono contare sulla semplificazione delle procedure di
riconoscimento giuridico. Le cooperative sociali invece si caratterizzano per essere
le forme giuridiche più strutturate a livello organizzativo e gestionale.
I dati ci fanno comprendere l'importanza produttiva dell'economia sociale che
viene equiparata a quella del pubblico e del profit in quanto la differenza non sta
nel se e nel cosa si produce bensì nel come e soprattutto con chi e per chi produrre,
infatti dal rapporto del 16 aprile 2014 che analizza i dati del Censimento ISTAT
2011 si evince che il 6,4 % delle unità economiche attive in Italia è ad opera del non
profit. Chiaro però è che il valore della produzione del Terzo Settore non può
essere riferito alla massimizzazione del profitto, non essendo un fine riconosciuto
dall'ambito di riferimento, pertanto il valore aggiunto è declinato in termini di
produzione di beni relazionali , di creazione di capitale sociale, di diffusione di
valori e nell'uso appropriato delle risorse finanziarie, umane e organizzative. Un
valore aggiunto che è stato capace di mettere in atto circoli virtuosi che si sono
posti come esempi da emulare anche in campo profit, tanto che ad oggi l’80% delle
imprese italiane con oltre 80/100 dipendenti dichiara di impegnarsi in iniziative di
CSR (Corporate Social Responsibility)
19
, per un investimento globale che ha
raggiunto la cifra record di 1 miliardo e 122 milioni di euro nel 2015.
20
Dalle
interviste effettuate si può affermare che la CSR, da strumento accessorio e poco
considerato, sia diventato un valore essenziale per le imprese; gli ambiti su cui le
19
L'Unione Europea definisce la CSR e cioè la responsabilità sociale d'impresa come la " La responsabilità
delle imprese per il loro impatto sulla società" perciò si chiede di adottare un comportamento socialmente
responsabile, monitorando e rispondendo alle aspettative economiche, ambientali, sociali di tutti i portatori di
interesse, con l'obiettivo di cogliere anche un vantaggio competitivo e massimizzare gli utili di lungo periodo.
20
Rapporto del 22 giugno presentato al Ministero dello Sviluppo Economico. VII Rapporto di indagine
sull’impegno sociale delle aziende in Italia a cura dell’Osservatorio Socialis.
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aziende italiane si impegnano di più sono: coinvolgimento dei dipendenti,
attenzione all’ambiente, lotta agli sprechi, ottimizzazione dei consumi energetici,
ciclo dei rifiuti. Secondo il rapporto sono gli stessi consumatori a premiare le
aziende socialmente responsabili ed etiche, proprio in quanto hanno riscontrato
una maggior soddisfazione da parte di quelle organizzazioni mosse da
convinzioni che vanno al di la del valore economico, grazie a una maggiore
vicinanza al territorio e alla domanda di cui è espressione.
Anche a livello europeo è stato riconosciuto il potenziale del Terzo settore, infatti
l'UE propone di rilanciare un'economia intelligente, sostenibile e solidale entro il
2020 attraverso cinque obiettivi che trattano la materia dell' occupazione,
dell'innovazione, dell'istruzione, dell'integrazione sociale e la materia climatica-
energetica proponendo l'inserimento degli enti no profit nei sistemi di contabilità
nazionali, motivando che il volontario contribuisce alla strategia in quanto aiuta le
persone ad acquisire le competenze e le capacità di adattamento necessarie ai
cambiamenti del mercato del lavoro. Così che l’ILO ( International Labour Office),
in collaborazione con la John Hopkins University e sotto la direzione di Lester
Salamon
21
, ha elaborato uno strumento utile per misurare il valore economico
dell’attività volontaria noto come Manuale ILO. Le attività di volontariato sono
state equiparate a professioni tecniche e ad attività riconducibili al settore del
commercio e dei servizi. Nelle prime rientrano la quasi totalità dei volontari che
svolge attività simili ai tecnici dei servizi sociali, la parte restante invece svolge
attività connesse alla cura dei bambini, degli anziani e degli ammalati ed attività
tipiche della ristorazione.
In Italia, uno strumento valido per poter analizzare la validità del volontariato è
sicuramente il Servizio Civile Nazionale. Nel 2015 ha visto coinvolti 67 Enti per
1,372 progetti da realizzarsi su 6,419 sedi per un numero complessivo di volontari
pari a 18,747. Oltre all'evidente coinvolgimento di giovani, compresi fra i 18 e i 29
21
Dottor LESTER M. SALAMON : Professore alla Johns Hopkins University e Ricercatore presso il Johns
Hopkins SAIS Bologna Center. È stato Vicedirettore Associato dell’Ufficio per la Gestione e il Bilancio
americano. Il Dottor Salamon è stato tra i primi promotori negli Stati Uniti e a livello mondiale dello studio
empirico su settore no-profit e società civile.
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anni, che hanno voglia di fare una esperienza di impegno civico vi è un accertato
ritorno economico per lo Stato; per ogni euro investito dal soggetto pubblico in
attività di SCN se ne generano 3,4. Ritorno misurato, per la maggior parte, in
rapporto al controvalore economico delle attività dei volontari cui si aggiungono
l’accumulazione di capitale umano e di capitale sociale.
Non a caso la legge 106/ 2016 per la riforma del Terzo Settore all'art 8 ci parla di
Servizio Civile Universale e cioè di permettere a tutti i giovani che esprimono la
volontà di voler vivere questa esperienza, di poter effettuare il servizio civile. Si
prevede la partecipazione di 100.000 giovani all'anno per i primi tre anni. Di
contro le Regioni e le Province autonome si impegnano nella redazione della
programmazione triennale, nell’attività di controllo, di monitoraggio e di
valutazione degli interventi e contribuiscono alla stesura delle norme
sull’accreditamento. Si impegnano a stipulare accordi con le Associazioni di
categorie degli imprenditori, delle Associazioni, delle Cooperative e del Terzo
settore per facilitare l'ingresso sul mercato del lavoro dei volontari, si impegnano
perciò a realizzare tirocini o corsi di formazione e a disciplinare ed organizzare le
attività di tutoraggio dei volontari da parte degli enti di servizio civile.
Provvedono inoltre:
- alla certificazione delle competenze acquisite durante l’espletamento del servizio;
- ad attuare i controlli sugli enti e sulle attività degli stessi;
- a coordinare le attività di monitoraggio e di raccolta dei risultati degli interventi
sul proprio territorio.
Parte di merito dell'attenzione che il governo italiano concede al ruolo educativo
del volontariato, si motiva con l'esperienze dirette degli interventi nelle scuole da
parte delle stesse associazioni grazie ad appositi progetti di ‘Scuola e
Volontariato’ promossi e realizzati con il contributo dei Centri di Servizio, degli
Uffici Regionali Scolastici e delle Organizzazioni di secondo e terzo livello.
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3.2 Bilancio sociale e relazione di missione
Con la diffusione della responsabilità sociale d’impresa, molte organizzazioni non
cercano solo la legittimazione attraverso l’attuazione al meglio di ciò che è in
statuto, ma puntano anche ad un consenso generale. Ciò avviene non solo per
esigenze di etica personale, ma anche perché consapevoli che una scarso
riconoscimento sociale prima o poi si può tradurre in forme di rifiuto da parte
dell’ambiente circostante, fino a mettere a rischio la stessa sopravvivenza
dell’attività. Tale finalità è tradotta da due documenti:
-la relazione di missione che è il documento attraverso il quale il non profit
rendiconta sul perseguimento della propria missione istituzionale.
-il bilancio sociale che estende l’ambito di analisi a tutti gli aspetti rilevanti per gli
stakeholder
22
interessati. Non limitandosi ai soli aspetti finanziari ma fornendo un
resoconto anche degli "interessi sociali e ambientali".
23
Il Bilancio Sociale e la relazione di missione sono dunque strumenti a favore degli
stakeholder in quanto rappresentano una forma di certificazione che legittima il
ruolo di un soggetto non in termini strutturali ma morali, agli occhi della
comunità di riferimento. La mission , la vision aziendale e la sua condivisione
sono elementi importanti per ottenere un consenso dall'opinione pubblica, che è
ciò che mantiene di fatto in vita un'attività di servizio che deve sopravvivere alla
competitività del mercato profit o non che sia. Sono quindi due forme volontarie
di trasparenza dell'operato, per informare non solo chi usufruisce del servizio ma
soprattutto per coloro che sostengono concretamente con tempo e denaro l'attività
su come si è adempiuto alle responsabilità nei loro riguardi.
Queste due forme di bilancio servono a dimostrare attraverso la descrizione di atti
e fatti se l'organizzazione presa in esame abbia svolto il suo operato coerentemente
22
Portatori di interesse e cioè tutti coloro che, volenti o nolenti, sono collegati all’attività di
un’organizzazione e che pertanto sono condizionati, direttamente o indirettamente, dalla sua attività ed a loro
volta la condizionano.
23
Per alcune imprese la normativa lo rende obbligatorio. Art.10 D.lgs 155del 24 marzo 2006, Disciplina
dell'impresa sociale, comma 2.