2
Gli interventi legislativi sul settore delle opere pubbliche che si
sono succeduti nel tempo, dal 1929, anno del “primo e fondamentale
punto di riferimento”1 legislativo (legge 24 giugno 1929, 1137)
relativo alla concessione di opere pubbliche, fino al 2001, anno della
legge delega del 31 dicembre 2001, 443 “Delega al Governo in
materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri
interventi per il rilancio delle attività produttive” (e al suo decreto
legislativo di attuazione del 20 agosto 2002, 190), hanno visto un
progressivo, graduale e sempre più penetrante intervento del privato.
Inizialmente il ruolo del privato era limitato alla fase della sola
realizzazione nel quadro di un procedimento amministrativo tutto
interno all’amministrazione; successivamente il privato è stato
ammesso, egli stesso a divenire il promotore di un’opera pubblica,
progettandola, e sottoponendo la sua proposta al giudizio
dell’amministrazione.
Le ragioni politiche che hanno guidato questo lento processo,
probabilmente, sono state diverse, e tuttavia tutte tese a ridurre
l’intervento della pubblica amministrazione in un settore tanto delicato
quanto vitale per l’economia di un Paese.
1
F. TITOMANLIO, La concessione di opere pubbliche, IGI, Roma, 1991, pag. 12
3
Non è allora un caso che su questa lunga strada di interventi
normativi che si sono sedimentati, gli uni sugli altri, sia stata
approvata una riforma costituzionale volta a riconoscere la legittimità
di un intervento del privato sostitutivo di quello pubblico, quando il
primo risponda a criteri di maggiore efficienza, o a dirla con il
Trattato di Maastricht, quando ciò sia “as openly as possible, and as
closely as possible to the citizen” (art. 1, ex art. A): la riforma del
Titolo V della Parte II della Cost., che ha visto il recepimento del
principio di sussidiarietà, non poteva evitare di applicare lo stesso
canone nei rapporti tra pubblico e privato (art. 118 u.c. Cost.)
La “fuga dell’amministrazione” dal settore delle opere pubbliche, e
la “fuga dall’amministrazione” da parte del legislatore, probabilmente
sono state accelerate dall’ingresso dell’Italia nell’Unione Monetaria
Europea, che l’ha sottoposta al rispetto del Patto di stabilità e
sviluppo.
Si legge, infatti, nelle “Raccomandazioni della Commissione
tecnica per la spesa pubblica 1996-2000” che “la questione più
sostanziale riguarda i livelli delle spese e delle entrate. È quest’ultimo
il problema da affrontare soprattutto perché il vincolo posto dal Patto
di stabilità e sviluppo sottoscritto dall’Italia pone un limite massimo
4
(3% del PIL) al disavanzo programmato dal Governo. Questo vincolo
… pone esplicitamente l’attenzione sulla allocazione delle risorse
gestite dal settore pubblico”2.
Se a queste considerazioni si aggiunge che gli interventi di politica
economica, in questi anni, sono stati tesi ad una progressiva, seppure
flebile diminuzione della pressione fiscale, ci si può facilmente
rendere conto come l’unica strada che poteva essere seguita fosse
quella del ricorso al capitale privato, così raggiungendo due obiettivi:
da una parte rilanciare il settore delle infrastrutture pubbliche, con
garanzie di realizzazione delle stesse in tempi certi, e conseguente
rilancio dell’economia (si ricordi il consiglio paradossale di Keynes
nel mezzo della Grande crisi: è meglio che lo Stato assuma uomini per
scavare buche per poi farle riempire da altri, piuttosto che lasciare
lavoratori disoccupati3), ma dall’altra non aggravare il bilancio dello
Stato. La necessità di affidare a privati l’esercizio di alcune funzioni
pubbliche veniva giustificata, allo stesso modo, già agli inizi del
secolo appena trascorso.
2
Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica - Commissione Tecnica
per la Spesa Pubblica, La riforma dell’azione pubblica tra vincoli di bilancio ed obiettivi di
efficienza. Le Raccomandazioni della Commissione tecnica per la spesa pubblica 1996-2000,
Roma, 2001
3
J. M. KEYNES, The General Theory of Employment, Interest and Money, Mac Millan, London, 1936, pp.
219-220. “To dig holes in the ground, paid for out of savings, will increase, not only employment, but the
real national dividend of useful goods and services. It is not reasonable, however, that a sensible
community should be content to remain dependent on such fortuitous and often wasteful mitigations
when once we understand the influences upon which effective demand depends”
5
“L’organo [dello Stato] non ha mai un interesse proprio al buon
andamento del pubblico servizio: invece il privato può avere a ciò
interesse. … L’esercizio per mezzo dei privati può essere preferibile
tutte le volte che il servizio richieda l’impiego di grandi mezzi
economici e importi quindi per chi lo assume un vero rischio
commerciale.
Gli enti pubblici debbono evitare di esporre il loro bilancio a
pericoli ed incertezze di questo genere, e debbono preferire di affidare
a privati speculatori l’esercizio di servizi siffatti, riservandosi soltanto
la vigilanza. Senza contare che ai privati speculatori è molto più facile
che non agli enti pubblici procurarsi ingenti capitali, perché gli enti
pubblici dovrebbero per ottenerli o ricorrere al prestito o vessare i
cittadini di tributi non sempre adeguati alle loro forze”4.
Si può discutere, oggi, sul fatto che non sia interesse “dell’organo”
il buon andamento del pubblico servizio, stante l’art. 97 Cost. che
sancisce il principio del buon andamento e dell’imparzialità
dell’amministrazione5.
4
G. ZANOBINI, L’esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, in Primo trattato
completo di diritto amministrativo italiano, a cura di Vittorio Emanuele Orlando, Vol. II parte
III, Milano, 1920, pagg. 241-242
5
Certamente questo principio va riferito all’ente, più che al funzionario, al quale peraltro deve
essere richiesta la diligenza di un amministratore di qualità media. E teniamo presente che,
limitatamente ai funzionari locali, l’art. 78 T.U. Enti Locali impone espressamente il rispetto
del principio di buon andamento e imparzialità.
6
Ma sulla necessità di affidare al privato il servizio pubblico per non
appesantire il bilancio “dell’Ente”, per la facilità di quest’ultimo nel
reperire fondi, nonché per evitare il ricorso a nuovi prelievi fiscali,
non c’è possibilità di discussione.
Che questi, allora, siano gli stessi obiettivi che il legislatore di un
secolo dopo ha voluto perseguire è dimostrato dalla relazione 2001
dell’Unità Tecnica Finanza di Progetto del CIPE (istituita con la l.
144/1999, art. 7), nella quale si legge che attraverso il Partenariato
Pubblico-Privato (PPP) “l’amministrazione è in grado di svolgere la
propria funzione nel rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed
economicità, che devono caratterizzare l’azione amministrativa,
attraverso una corretta allocazione delle risorse pubbliche, in funzione
della prestazione di servizi pubblici di elevato livello qualitativo.
Il settore privato può perseguire il proprio scopo di profitto,
incentivando l’innovazione ed in funzione dell’apertura di nuovi
settori del mercato, in passato dominio prevalente della pubblica
amministrazione.
L’utente finale riesce ad ottenere servizi di pubblica utilità più
efficienti ed in grado di elevare il livello qualitativo della vita nel
7
Paese, senza che ciò comporti ulteriori aggravi fiscali”6. Se ciò non
bastasse, i seguenti dati statistici dimostrano come dagli anni ‘80 in
poi le spese per le opere pubbliche siano gradatamente cresciute, per
raggiungere il loro ultimo picco nel 1992 (7.456 miliardi di lire). E
tuttavia già dal 1993 le spese si ridussero a 6.108 miliardi, per poi
degradare sempre più.
0
1.000
2.000
3.000
4.000
5.000
6.000
7.000
8.000
1
94
9
1
95
2
1
95
5
1
95
8
1
96
1
1
96
4
1
96
7
1
97
0
1
97
3
1
97
6
1
97
9
1
98
2
1
98
5
1
98
8
1
99
1
1
99
4
1
99
7
Figura 1 Fonte ISTAT. Elaborazione propria
Il timore che la contrazione delle spese pubbliche, effetto del Patto
di Stabilità, si riverberasse negativamente sull’economia del Paese ha
indotto il legislatore del 1994 (in quell’anno l’ammontare delle spese
per opere pubbliche si ridusse ulteriormente per arrivare a 4.358
miliardi di lire) ad intervenire con la legge cd. Merloni volta a
rilanciare il settore delle opere pubbliche.
6
Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, Relazione sull’attività
dell’unità tecnica finanza di progetto, Roma, 2001
8
Riduzione dell’intervento dello Stato nel settore delle opere
pubbliche, e contestuale loro rilancio per mezzo dell’affidamento al
capitale privato della loro costruzione e gestione. Questo sarà il fil
rouge che si ispirerà l’indagine che si intende condurre con il presente
lavoro.
9
10
CAPITOLO I
LE PRINCIPALI IPOTESI
DI ESERCIZIO PRIVATO
DI FUNZIONI E SERVIZI
PUBBLICI
NELL’ESPERIENZA
STORICA ITALIANA
Introduzione pag. 11
Gli arbitri pag. 24
I periti pag. 32
I professionisti legali pag. 37
11
I.1
INTRODUZIONE
La tematica dell’esercizio privato delle funzioni e dei servizi
pubblici7 è strettamente connessa alla concezione dei rapporti Stato-
cittadini: l’affermazione del principio del “laissez faire, laissez
passer”, tipico dello Stato liberale, e la conseguente relegazione del
ruolo dello Stato a quello di mero regolatore dei rapporti economici
non poteva che indurre la dottrina ad approfondire il tema della
presente analisi.
Le cause che possono indurre ad un trasferimento di funzioni dallo
Stato al privato possono essere le più disparate, ma tutte riconducibili
a questo schema: “un governo diffidente dell’ingerenza privata nelle
cose dello Stato, sarà poco disposto a cedere ad altri subbietti
l’attuazione dei suoi fini, specialmente se esso dispone di grandi
mezzi, di grande autorità, di grandi ricchezze.
[Viceversa] l’esercizio privato si addimostra praticamente il mezzo
più vantaggioso e proficuo per gli interessi dell’ente … in tutti quei
casi nei quali lo Stato, affidando un servizio pubblico a un proprio
organo non sarebbe così sicuro della sua completa attuazione come lo
7
Da qui il titolo di un importante saggio di G. Zanobini pubblicato agli inizi del secolo appena
trascorso nel “Primo Trattato Completo di Diritto Amministrativo Italiano” a cura di Vittorio
Emanuele Orlando, Milano, 1920
12
è qualora l’attribuisca a un privato, il quale lo eserciti per un interesse
proprio”8. Ovviamente l’affidamento al privato comporta dei problemi
di qualificazione del soggetto che esercita il servizio o la funzione:
trattandosi di una materia nella quale gli aspetti di diritto
amministrativo e di diritto privato tendono ad influenzarsi
vicendevolmente, si tratta di capire se al privato debba essere
riconosciuto il ruolo di “organo” dello Stato (o delle sue istituzioni), o
se non gli si debba riconoscere alcun mutamento nella sua natura di
soggetto orientato al perseguimento di fini egoistici.
Il discrimen può essere individuato nel tipo di interesse perseguito
dal soggetto cui è affidato il servizio o la funzione pubblica: infatti,
nell’ente pubblico il fine proprio per il quale questi agisce è quello
stesso che fa qualificare pubblica la sua funzione, cioè il fine stesso
che ha lo Stato affinché questa funzione sia esercitata; nel caso del
soggetto di diritto privato, il fine che questi si propone nell’esercizio
della pubblica funzione è distinto dal fine statuale al quale questa
funzione provvede: non è un fine pubblico, ma un fine privato9.
La certezza sulla natura dell’attività esercitata si ha quando al fine
privato, perseguito dall’agente, si affianca la spendita del suo proprio
8
G. ZANOBINI, L’esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, cit., pag. 241
9
G. ZANOBINI, L’esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, cit., pag. 652
13
nome: “generalmente si definisce l’esercizio privato come esercizio di
pubbliche funzioni da parte di privati nel proprio nome e nel proprio
interesse”10. Le qualificazioni possibili sono le seguenti: organo, ente
pubblico autarchico11, privato tout court.
Tanto il privato, quanto l’ente pubblico dispiegano, a differenza
degli organi, la pubblica funzione per un fine proprio: ma nel caso
dell’ente pubblico questo fine proprio coincide col fine dello Stato; nel
caso del privato è un fine indipendente da quello dello Stato12.
Dunque, l’organo è uno strumento di imputazione: esso costituisce
l’elemento dell’ente che consente all’ente stesso di rapportarsi con
altri soggetti giuridici o comunque di produrre effetti giuridici13, e il
suo interesse è quello dell’Ente al quale è legato per mezzo del
rapporto organico. L’ente autarchico persegue due interessi, entrambi
pubblici: quello dello Stato e quello suo proprio. Il privato che esercita
funzioni o servizi pubblici persegue anch’egli due interessi, ma di
diversa natura: quello pubblico e quello privato suo proprio.
Forse un’immagine “geometrica” aiuterà a comprendere meglio la
distinzione: “se ci rappresentiamo il fine dello Stato come un raggio di
10
G. ZANOBINI, L’esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, cit., pag. 651
11
S. ROMANO, voce Decentramento Amministrativo, in Scritti Minori, Giurffé, Milano, 1990,
pag. 57. “Autarchia significa amministrazione indiretta dello Stato compiuta da una persona
giuridica per diritto subiettivo e nell’interesse, oltre che dello Stato, anche proprio”.
12
G. ZANOBINI, L’esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, cit., pag. 652
13
E. CASETTA, Manuale di Diritto Amministrativo (IV ed.), cit., pag. 110
14
retta che uscendo da un punto che rappresenta lo Stato, incontra sul
suo cammino un altro punto che rappresenta l’ente autarchico, da
questo a sua volta si può pensare che esca un raggio rappresentante il
suo fine: i raggi rappresentanti i due fini, dall’ente autarchico in là
coincidono e non sono che un raggio solo.
Invece, nel secondo caso [privato che esercita funzioni pubbliche],
si ha soltanto incidenza dei due fini e il punto d’incidenza, comune ai
due raggi, è dato dal soggetto privato che esercita la pubblica
funzione: fino a questo punto abbiamo il raggio rappresentante il fine
pubblico; oltre, se ne hanno due: uno che è il prolungamento del fine
statuale in via di attuazione, l’altro che rappresenta il fine del soggetto
privato, pure in via di attuazione.
Il punto comune ai due raggi rappresenta l’attività del privato:
perché essa serve per mezzo unico al conseguimento dei due fini”14.
Ebbene, poiché lo Stato utilizza ampiamente lo strumento
dell’esercizio privato di funzioni e servizi pubblici (si pensi alle
società per azioni con personalità di diritto pubblico, agli enti privati
che svolgono attività di certificazione per conto della Comunità
Europea, ai concessionari di lavori pubblici, ai Consorzi di bonifica,
14
G. ZANOBINI, L’esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, cit., pagg. 652-653
15
agli appaltatori del servizio di riscossione dei tributi, ai professionisti
abilitati ai vari servizi di omologazione e accertamento di conformità,
alle banche autorizzate a fungere da agenzie della Banca d’Italia per
effettuare le operazioni valutarie di competenza dell’Ufficio italiano
Cambi15), per la dottrina si è resa difficile la tipizzazione della
fattispecie giuridica. Ed infatti, diverse sono state le definizioni da
questa elaborate: da organismi indiretti della pubblica
amministrazione, a soggetti privati esercenti pubbliche funzioni; da
organi impropri, fino alla definizione del concetto di munus.
Che i privati non possano mai essere qualificati come organi dello
Stato è pacifico: “non v’è dubbio che i privati che esercitano in nome
proprio funzioni pubbliche, siccome sono soggetti di diritto a sé stanti,
non sono organi dello Stato. … [Il dubbio potrebbe ammettersi se si
estendesse il concetto di organo ad] alcune persone che conseguono
fini pubblici, rimanendo fuori della personalità dello Stato”16. Ma è
proprio questo il punto di discussione: è ammissibile un
inquadramento del privato esercente servizi o funzioni pubbliche
nell’ambito dell’organizzazione della pubblica amministrazione?
15
F. DE LEONARDIS, Il concetto di organo indiretto: verso nuove ipotesi di applicazione
dell’esercizio privato di funzioni pubbliche, cit., pagg. 413-414
16
G. ZANOBINI, L’esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, cit., pag. 660