6
Il quarto capitolo è specificatamente dedicato alle fondazioni di origine
bancaria per le quali si auspica un futuro come enti erogatori di fondi a
favore del terzo settore. Nella realtà il problema si presenta molto
complesso, essendo queste istituzioni legate agli istituti di credito in via di
privatizzazione. Il futuro delle fondazioni dipenderà, quindi, oltre che dalla
capacità del legislatore di comprendere le reali potenzialità del terzo settore
anche dalla risoluzione del nodo di interessi che gravita attorno alle ex
banche di proprietà pubblica.
Il quinto ed ultimo capitolo è dedicato alla rendicontazione sociale intesa
come strumento in grado di migliorare la posizione delle organizzazioni nei
confronti dei prestatori di fondi. La possibilità, che un’adeguata informativa
contabile assicura, di verificare performance, qualità della gestione e rischi
connessi all’impresa, può ridurre di molto il grado di asimmetria
informativa dei “mercati” della finanza dedicata al nonprofit. In questo
campo ancora pochi progressi sono stati fatti, restando da risolvere ancora
molti problemi tecnici. Il bilancio di solidarietà sociale, pensato per le
specifiche realtà nelle quali deve essere usato - coop. sociali ed
organizzazioni nonprofit in genere - comincia a farsi strada nei comparti
più avanzati del terzo settore - sanità, servizi sociali, ricerca ecc...
Si è scelto di puntare l’attenzione sull’aspetto privato del finanziamento per
diverse ragioni. Innanzitutto per l’importanza che ricopre questo aspetto per
il futuro del terzo settore, in un periodo in cui il sostegno dello Stato alle
organizzazioni che lo compongono si riduce sensibilmente.
In secondo luogo perché autonomia finanziaria significa sostanziale
autonomia gestionale e quindi maggiore efficienza nell’offerta dei servizi.
7
Per un settore che si qualifica come espressione dell’iniziativa privata in
aree di interesse pubblico queste sono condizioni fondamentali per avere
risultati efficaci.
Nel lavoro si è tenuto conto anche del dibattito in corso, sia tra i soggetti del
terzo settore che a livello teorico e a livello istituzionale.
Le principali difficoltà che si incontrano nello studiare il finanziamento
privato al terzo settore derivano dalla scarsità dei dati disponibili sia per la
verifica delle ipotesi che per l’approfindimento delle peculiarità istituzionali
di questo aspetto. Questo handicap ha cominciato da poco a ridursi grazie a
studi che si sono occupati di colmare, nei limiti del possibile, il vuoto,
ponendo le basi di uno sforzo che va assolutamente intensificato.
Nonostante queste difficoltà, il quadro emerso dal lavoro svolto autorizza
alcune conclusioni positive in ordine ai risultati fino ad oggi raggiunti dalla
ricerca, individuabili in alcuni filoni di ricerca della Public Choice, del
Corporate Social Rsponsability, e del Credit Rationing che costituiscono un
terreno fertile per lo svilupo futuro della ricerca.
8
CAPITOLO PRIMO
LE TEORIE SUL NONPROFIT
Perché tanta attenzione al nonprofit
Di nonprofit si sente parlare sempre di più, o meglio, di associazionismo,
volontariato, cooperazione sociale ed altre realtà, che hanno, come comune
denominatore, quello di svolgere attività senza scopo di lucro.
La vastità e l'eterogeneità delle esperienze che compongono questo universo
sono tali da porre, a chi si prefigge di studiarlo, non poche difficoltà.
Chiunque ha avuto modo di conoscere qualcheduna di queste
organizzazioni, non distinguendola però per la sua natura senza scopo di
lucro o confondendola con qualche istituzione pubblica. Non esiste, infatti,
una sfera di attività propria del nonprofit, né una sua particolare modalità di
gestione. Spesso gli obiettivi, le dimensioni, gli ambiti territoriali, le
motivazioni e le aspettative che si formano attorno alle varie attività, sono
diversissime tra loro. Il fenomeno non ha ancora acquisito quei caratteri di
unitarietà necessari per una più profonda comprensione delle questioni
legate al suo sviluppo e alla sua valenza economica, sociale e politica.
9
Se però, solo in tempi relativamente recenti, le scienze sociali si sono
occupate del nonprofit, è perché, l'attività privata senza scopo di lucro, ha
raggiunto un livello fino ad oggi sconosciuto nelle società umane, tanto da
porsi come "soggetto autonomo" (antagonista o cooperativo) nei confronti
degli stati nazionali, intesi come espressione più compiuta
dell'organizzazione sociale.
In termini, forse un po’ troppo entusiasti, L. Salamon parla di "global
associational revolution" (Salamon 1994a)
Dando uno sguardo alle cifre, in effetti, ci si rende conto dell'accelerazione
che, a partire dagli anni sessanta, ha subito il numero di associazioni non
lucrative in tutto il mondo. Circa il 65% di quelle statunitensi è nata dopo il
1960, mentre il 40% di quelle costituite in Italia hanno visto la luce solo
dopo il 1977. La tendenza è ancor più accentuata nei paesi in via di sviluppo
e in quelli dell'est europeo, dove c'è stata una vera e propria esplosione
dell'associazionismo, anche come risposta allo sgretolamento dell'apparato
statale delle economie pianificate. Per dare un'idea approssimativa delle
dimensioni raggiunte in alcuni paesi, basta dare un'occhiata alla tabella 1
che elenca le quote percentuali di forza lavoro impegnata in attività senza
scopo di lucro, rispetto all'occupazione totale.
10
tabella 1:
PAESI OCCUPAZIONE
USA 6,8%
FRANCIA 4,2%
GRAN BRETAGNA 4,0%
GERMANIA 3,7%
GIAPPONE 2,5%
ITALIA 1,8%
Fonti: G.P. Barbetta, Senza scopo di lucro (a cura di), il Mulino, 1996;
L. M. Salamon e H. Anheier, The Emerging sector, Institute for Policy
Studies, The John Hopkins University, 1994.
Anche se con notevole variabilità nei diversi paesi, il terzo settore è
comunque una realtà ben presente nelle economie, tale da giustificare la
sempre maggiore attenzione che gli economisti stanno dedicando al
fenomeno.
Alla base di questo rinnovato interesse per il fenomeno dell’economia senza
scopo di lucro ci sono diverse ragioni.
La crisi dei sistemi di welfare e il problema della sostenibilità del debito
sono senz’altro due di queste. Un po' in tutta Europa, infatti, gli stati sono
alle prese con problemi di bilancio, la cui soluzione impone delle pesanti
cure dimagranti, specie dal lato delle spese, comprese naturalmente, quelle
che hanno assicurato la realizzazione dei modelli di protezione sociale. In
questo senso, ci si è rivolti allo studio del terzo settore come possibile
soluzione per queste difficoltà, senza dovere per forza rinunciare ai benefici
del welfare che hanno assicurato livelli di benessere mai conosciuti prima.
11
L’abolizione del welfare o comunque una sua riduzione non è solo un
problema schiettamente economico ma soprattutto politico e sociale.
Accanto al miglioramento delle condizioni economiche delle popolazioni, il
welfare ha implicato la maturazione di diritti nuovi per i cittadini che non
sembrano potersi scindere, oggi, da una concezione moderna dello stato. Il
nonprofit, in questo senso, offre oltre che una soluzione di tipo economico,
anche una risposta politica, in quanto forma di partecipazione attiva alla vita
democratica e civile di un paese. Spesso le organizzazioni senza scopo di
lucro possono assicurare la tutela di quei diritti acquisiti, se non addirittura
l’acquisizione di nuovi, in una maniera meno gravosa per gli apparati statali.
Se si considera poi, il nonprofit come una forma organizzativa che sorge
come risposta autonoma a nuovi problemi posti, all’individuo, dalla società,
il fatto che in questo periodo si assista ad un rafforzamento della crescita del
terzo settore non stupisce.
La globalizzazione e comunque il profondo mutare dei modi di produzione,
legato ad una molteplicità di fattori come l’avvento dell’era informatica e
delle nuove tecnologie pone, senza dubbio, sotto stress le strutture sociali,
istituzionali ed i processi politici tradizionali, che mostrano sempre di più
difficoltà alle quali non si riesce ancora a dare adeguata risposta. La
maggiore attenzione al fenomeno associativo e la rivalutazione
dell’organizzazione come strumento importante per risolvere i problemi
della collettività è senz’altro frutto anche di questi sviluppi.
12
Le vivaci dinamiche di crescita del nonprofit stanno, inoltre, mutando la
fisionomia del terzo settore oltre che le sue dimensioni. Va così aumentando
il numero ed il tipo di attività in cui le associazioni senza scopo di lucro si
impegnano nonché il modo con cui operano nell’offrire i beni e i servizi
necessari al raggiungimento dei loro obiettivi. Le nonprofit non sono certo
un’invenzione dell’era moderna ma hanno radici storiche lontane nel tempo,
generalmente legate ad attività di assistenza e aiuto. Oggi stanno assumendo
una pluralità di ruoli e, accanto alle attività tradizionali di carità o di
advocacy e tutela di diritti, vanno sempre di più realizzando attività di vera
e propria produzione di beni e servizi, attraverso modalità di utilizzo delle
risorse che si differenziano da quelle proprie delle for-profit orientate al
profitto e da sempre riconosciute e studiate dagli economisti.
Questa nuova dimensione è un’altra delle ragioni che spiega il perché, le
nonprofit, siano diventate oggetto dell’interesse degli economisti.
Poiché i costumi, gli atteggiamenti e i modi di pensare mutano in un misura
che ancora non si è capaci di valutare, lo sviluppo della ricerca, se da un lato
è favorito dalla maggiore facilità e velocità di circolazione delle
informazione e del sapere, dall’altro deve affrontare nuove problematiche
metodologiche ed epistemologiche, che, specie nel campo delle scienze
sociali, sono ancora lungi dall’essere risolte. Vedremo più avanti le
difficoltà che la ricerca economica ha incontrato nello studio del terzo
settore.
13
Che cos’è il nonprofit: il problema definitorio.
Abbiamo parlato del nonprofit come di un fenomeno non nuovo ma che sta
assumendo delle caratteristiche che fino ad oggi non sono state riconosciute
proprie di una data forma organizzativa e che, tuttavia, sta crescendo e
assumendo un ruolo sempre maggiore nelle economie moderne. Quindi il
problema di definire cosa sia esattamente una organizzazione senza scopo di
lucro è quello che per primo si presenta nello studio di questa realtà.
L’universo nonprofit si presenta quanto mai variegato e difficile da
comprendere in una definizione che sia allo stesso tempo semplice ed
utilizzabile in sede statistica e teorica.
Non esiste un'attività che sia peculiare delle associazioni senza scopo di
lucro né un modello comportamentale che le sia esclusivo. Da un punto di
vista metodologico, anzi, l’attività senza scopo di lucro mette a dura prova
tutti gli strumenti di analisi dell’economista.
Così come si è sviluppata, infatti, la scienza economica, non prevede, nei
suoi paradigmi alcuna figura organizzativa che usi le risorse a sua
disposizione per produrre qualcosa che, poi, non sia in grado di offrire un
ritorno in termini di profitto. L’homo oeconomicus, che sta al centro
dell’analisi economica, è una stilizzazione logica di per sé incompatibile
con l’emergere del fenomeno nonprofit, inteso come modo razionale di
creazione ed utilizzo delle risorse per il raggiungimento di un obiettivo altro
dal profitto.
14
In realtà, con il nonprofit si aggiunge un nuovo elemento alla lista dei
fenomeni con i quali, da tempo ormai, gli economisti fanno i conti quando,
accingendosi all’interpretazione delle realtà economiche sempre più
complesse ed interdipendenti, si accorgono dell'impasse che lo schema
logico tradizionale dell’economia politica soffre.
Non si riesce a spiegare, senza sconfinare in territori interdisciplinari, il
perché un individuo od un gruppo, decida di mettere in piedi una attività
nonprofit, a meno di considerarlo del tutto irrazionale. In realtà molte delle
nonprofit sorgono in ossequio, non solo a considerazioni razionali ma anche
di tipo morale ed etico per assumere, poi, dimensioni e caratteristiche
economiche di tutto rispetto, talvolta superiori a tante imprese for profit
gestite nella razionalità più assoluta. Vedremo più avanti come queste,
insieme con altre considerazioni, hanno spinto i ricercatori ad ampliare lo
spettro di ipotesi ed il quadro disciplinare in cui operano, per offrire
adeguate spiegazioni dell’attività senza scopo di lucro.
15
Le definizioni.
I primi studi e le prime definizioni di nonprofit si rintracciano nella
letteratura statunitense che per prima si è interessata sistematicamente
all’economia senza scopo di lucro. Negli U.S.A., infatti, la tradizione
dell’associazionismo ha assunto caratteri di modernità e sviluppo già da
molto tempo. La legislazione fiscale americana riconosce lo status di
organizzazione nonprofit alle imprese, formalmente costituite, che hanno
nel loro statuto l’obbligo di rispettare il vincolo di non redistribuzione dei
profitti e la cui attività rientra tra quelle elencate negli articoli 501 e 521
dell’Internal Revenue Code, concedendo loro l’esenzione dall’imposta sui
redditi di impresa. Di solito, però, la letteratura prende in considerazione un
insieme più circoscritto, concentrandosi solo sulle cosiddette charitables,
definite dall’articolo 501 (c) della tassonomia IRS (Internal Revenue
Service) e uniche che possano ricevere donazioni deducibili da parte del
donatore.
Questo tipo di definizione legale, sebbene molto precisa, non è utilizzabile
in sede comparativa, date le ovvie differenze tra i vari ordinamenti giuridici
ed i relativi quadri istituzionali nei diversi paesi. Molte delle attività
comprese negli articoli di cui sopra, in altri paesi non sono intraprese dalle
nonprofit ma sono competenza diretta dello Stato o degli enti pubblici.
16
Ben presto ci si è accorti di questi limiti ed oggi anche gli studiosi americani
sembrano propensi ad adottare definizioni più inclusive e rispettose delle
particolarità del fenomeno, diffuso anche in paesi di diversa tradizione
giuridica.
1
La più recente e compiuta definizione di nonprofit è il frutto del lavoro di
L.M. Salamon ed H. Anheier (1994) i quali hanno elaborato una definizione,
detta strutturale / operativa, che a permesso la realizzazione di un progetto
di ricerca internazionale, volto alla stima delle dimensioni e delle
caratteristiche del terzo settore in dodici paesi.
2
Secondo questa definizione una organizzazione può dirsi nonprofit se
rispetta i seguenti criteri:
1) costituzione formale;
2) natura giuridica privata;
3) autogoverno;
4) assenza di distribuzione dei profitti (non distribution constraint);
5) presenza di una certa quantità di lavoro volontario.
1
Per una rassegna delle definizioni vedi G.P. Barbetta (1990).
2
I risultati della ricerca per l’Italia sono pubblicati in G.P. Barbetta (1996). Il
progetto generale prevede analoghe ricerche in Brasile, Egitto, Francia,
Germania, Ghana, Giappone, Gran Bretagna, India, U.S.A., Thailandia e
Ungheria.
17
La definizione presenta un ottimo grado di rigore anche se non elimina tutti
i problemi posti dalla eterogeneità del settore. Applicata alla realtà Italiana
(ma analoghi problemi si sono riscontrati in altri paesi
3
), per esempio, ha
costretto i ricercatori a superare qualche difficoltà. Il rispetto dei requisiti 2
e 4, di natura giuridica, è di difficile verificabilità non esistendo una
legislazione ad hoc per il terzo settore. Il Codice Civile italiano non
contiene figure giuridiche per le quali è obbligatorio il vincolo di non
redistribuzione degli utili
4
mentre molte delle organizzazioni che agiscono
nel settore, hanno una natura giuridica che spesso è intermedia tra il diritto
privato e quello pubblico (è il caso delle IPAB e delle fondazioni di origine
bancaria, Cfr. Cap 4), frutto di una legislazione stratificata, elaborata
secondo esigenze legate a diversi momenti storici del nostro paese.
Con i giusti accorgimenti, comunque, si è riusciti a svolgere il lavoro,
ottenendo una base di dati, la cui mancanza fino ad oggi costituiva un grave
handicap per la ricerca, fornendo un quadro del settore che coglie le molte
diversità che in fondo, scrive Barbetta (1996): "non paiono così
sconvolgenti se si pensa alle differenze che caratterizzano settori, la cui
3
In Inghilterra Kendall e Knapp (1996) hanno svolto la ricerca sulla base del
progetto in questione ed hanno dovuto modificare la definizione adattandola alla
realtà inglese. Ne sono risultate due accezioni di terzo settore. Una più estesa
che comprende tutte le organizzazioni in possesso dei requisiti strutturali
operativi elencati ed una più stretta, più vicina al senso comune, che esclude dal
terzo settore le attività ricreative , quelle di educazione primaria ,secondaria e
superiore, che sono soggette alla direzione statale (anche quando
istituzionalmente separate) e le associazioni imprenditoriali, professionali e
sindacali.
4
L’unico tipo di società per le quali la legge fa espresso riferimento a questo
istituto sono le società sportive, l’attività delle quali è spesse volte legata agli
interessi di gruppi privati for-profit che ne sfruttano il ritorno di immagine.
Recentemente è allo studio l’ipotesi di trasformare queste società in s.p.a. per
permetterne la quotazione in borsa, ponendole così, una volta per tutte, fuori
dallo spettro delle nonprofit.
18
definizione viene raramente messa in discussione. Ad esempio, del settore
industriale fanno parte sia il piccolo panificatore dietro casa che il grande
centro siderurgico di Taranto, sia la ditta di abbigliamento che fa lavorare in
cantina i propri collaboratori (raramente dipendenti) che la fabbrica
automatica di Melfi della Fiat; nessuno si sogna di mettere in discussione la
definizione di industria: al più si evidenzia l'esigenza di specificare le
caratteristiche di ciò di cui si parla, di creare tassonomie."
Elaborando dunque i dati ottenuti con la ricerca, l’IRS ha costruito una
tassonomia descrittiva del terzo settore nel nostro paese.
Le variabili sul quale si è costruito l'algoritmo di regressione statistica sono
due: una di tipo finanziario, che misura la quota di entrate pubbliche sul
totale e l'altra di tipo dimensionale, che misura la quota di volontari sul
totale dei collaboratori impiegati dall'organizzazione.
Il risultato è costituito dall'individuazione di cinque tipi di nonprofit:
1) il nonprofit dei servizi leggeri e commerciali;
2) il nonprofit ausiliario a contratto;
3) il nonprofit professionale a contratto;
4) il nonprofit parastatale;
5) il nonprofit all'americana.
Il primo tipo è caratterizzato da una percentuale di volontari superiore al
50% del totale dei collaboratori e da una struttura finanziaria, le cui entrate
sono costituite per meno della metà da contributi pubblici. E' il
raggruppamento che comprende il maggior numero delle organizzazioni
componenti il terzo settore nel nostro paese e le cui attività sono le più
diverse: attività culturali e artistiche, le Caritas, attività ricreative,
19
organizzazioni ambientaliste ecc... In generale sono servizi che si dicono
“leggeri e commerciali” poiché si rivolgono ad individui sani, generalmente
in grado di esprimere una domanda monetaria. Dato il tipo dei servizi
forniti, il fabbisogno di personale retribuito stabilmente non è
particolarmente elevato e di conseguenza le dimensioni medie delle
organizzazioni sono relativamente piccole.
La seconda categoria, quella delle organizzazioni "ausiliari a contratto",
include quelle imprese in cui la maggioranza del personale è volontario ma
le entrate sono principalmente costituite da fondi pubblici. Le dimensioni di
questa categoria di imprese è piuttosto modesta dal punto di vista del
numero che la compone. La natura dei servizi offerti è diversa da quella del
primo tipo ed implica la presenza del personale qualificato. Sono servizi
come prelievi di sangue, prestazioni mediche ai malati terminali, trasporto
di ammalati, per i quali la specializzazione del personale è fondamentale.
Ciò farebbe pensare ad una struttura del personale dove quello retribuito
costituisce la maggioranza. Se ciò non si verifica è perché, comunque, il
tipo di servizi che offrono non richiede un rapporto continuativo con
l’utente. Le dimensioni medie delle organizzazioni sono un po’ più elevate
rispetto ad altri gruppi.
Data la loro struttura, queste risultano particolarmente adatte all'erogazione
di servizi "per conto" dell'ente pubblico, che si appoggia al nonprofit, per
fornire i servizi attraverso la stipulazione di contratti.
Il nonprofit "professionale a contratto " è costituito da organizzazioni
finanziate prevalentemente con denaro pubblico che si servono delle
prestazioni di personale retribuito. Rientrano in questa tipologia le imprese
20
che forniscono servizi sociali e le organizzazioni internazionali.
Presupponendo spesso servizi di cura alla persona o comunque di una certa
delicatezza, poiché volti a riparare a situazioni di bisogno, queste nonprofit
devono ricorrere ad una struttura organizzativa particolarmente complessa e
con un elevato grado di professionalità.
Anche per questa categoria i rapporti con il settore pubblico sono di tipo
contrattuale e costituiscono un esempio del modello di partnership che parte
della teoria sostiene come risposta alle problematiche imposte dalla crisi dei
sistemi di Welfare (Salamon, 1987).
Il nonprofit parastatale è, invece, la categoria di organizzazioni che, per i
contorni sfumati che possiede, si confonde, almeno nella percezione
comune, con il settore pubblico vero e proprio. Le entrate pubbliche lo
sostengono in maniera preponderante ed il rapporto volontari/personale
retribuito è estremamente basso. Il numero di organizzazioni di questo tipo è
estremamente limitato, date le elevate dimensioni che devono assumere per
offrire il genere di servizi che le contraddistingue. Strutture ospedaliere,
istruzione professionale e servizi di tutela legale sono le principali attività
che, senza il sostegno pubblico e personale professionalizzato, non
potrebbero essere svolte.
L'ultima categoria è quella delle nonprofit “all'americana”, prevalentemente
costituite da personale retribuito ma in grado di autofinanziarsi attraverso la
vendita dei beni e servizi che producono e di attirare donazioni. Il tipo di
organizzazione si avvicina a quella delle nonprofit di origine anglosassone,
21
nella fattispecie quelle U.S.A., impegnate in servizi di istruzione primaria,
secondaria e universitaria, le fondazioni e gli intermediari filantropici.
Il numero di organizzazioni di questo tipo è elevato (rappresenta circa un
terzo del totale censito
5
) ma, a differenza della realtà statunitense, è la scala
delle operazioni effettuate ad essere differente.
I settori in cui si svolgono le attività risente del diverso quadro istituzionale
italiano che prevede una preponderante presenza del sistema pubblico nelle
stesse aree di intervento delle organizzazioni (specie per l'istruzione di ogni
genere e grado).
5
L'elaborazione è stata semplicemente effettuata sommando il numero delle
organizzazione appartenenti ai comparti della classificazione ICPNO che
rientrano nella tipologia (2.200 2.400, 6.300, 8.100) divisi per il totale delle
organizzazioni censite