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INTRODUZIONE
Quando nel 2015 ho sostenuto l’esame di Filologia romanza in maniera assolutamente
inaspettata questa disciplina mi piacque moltissimo e mi appassionò tanto da decidere di chiedere la
tesi proprio in questa materia. Sono già laureato in Scienze politiche e quando mi sono iscritto a
Lettere a L’Aquila l’ho fatto per puro piacere personale. Quello di Filologia romanza era uno di quegli
esami lasciati appositamente per ultimi, sulla carta poco entusiasmante, da fare obtorto collo per
obbligo accademico. Non è andata così. Mi sono ritrovato immerso in un mondo, quello della
“Chanson de geste”, che mi ha riportato alla mente le immagini di una Chanson de Roland illustrata
che avevo da bambino e da lì, a ritroso, quelle dell’Odissea che mi raccontava mia madre e quelle
“canzoni” (le chiamavano così gli anziani del mio paese) che mio nonno mi affabulava prima di
andare a dormire.
La battaglia di Roncisvalle mi ha fatto ripensare a quando, adolescente, leggevo Tolkien e mi
“appassionavo” per l’eroica difesa dei Cavalieri di Rohan al fosso di Helm che con i miei amici
rivivevamo attraverso i Giochi di Ruolo. Poi, per molti anni, non ho più pensato a queste cose finché,
immaginando con la professoressa Spetia l’argomento di una possibile tesi che mettesse d’accordo i
miei interessi con le tematiche specifiche della materia mi è venuto in mente Tolkien. Ho iniziato
dunque a studiarlo più approfonditamente, non solamente come scrittore di narrativa ma anche come
professore di Anglosassone e di Lingua e letteratura inglese prima a Leeds e poi a Oxford e mi sono
reso conto, parlando con amici e conoscenti dell’argomento della mia futura tesi che la percezione di
Tolkien che la maggior parte delle persone aveva si poteva riassumere con queste parole: «Come?
Una tesi su Tolkien? Ma è un fascista!». Rimanevo colpito da quelle affermazioni, mi chiedevo
perché, tutti erano assolutamente certi di qualcosa e io, che ne avevo letto probabilmente più di tutti
loro, non avevo mai pensato a Tolkien sotto quest’ottica. Ho provato a capire il perché.
La mia tesi è una tesi in Filologia. Tolkien era un filologo, dunque il primo aspetto analizzato
è stato questo: quanto del proprio lavoro, dei propri interessi accademici, è stato trasposto nella sua
opera. Sono arrivato alla conclusione che molto è passato dai saggi accademici alla narrativa, e che
qualunque parola, nome, ambientazione che per il lettore digiuno di Filologia altro non sembrano che
azzeccate scelte terminologiche nella nomenclatura di un romanzo fantastico, derivano invece da
approfonditi studi trasposti in maniera più o meno evidente in un’opera in cui nulla è lasciato al caso,
in cui la scelta linguistica, le mot just, quello che per noi lettori è, per dirla con le parole di Tolkien,
semplice “piacere eufonico”, ha rappresentato il prodotto di un incessante lavoro sulla parola e sulla
sua derivazione dal linguaggio. La “lingua” di Tolkien, i diversi registri utilizzati dal professore nelle
sue opere narrative, derivano da vari linguaggi, dai linguaggi esistiti e studiati e da quelli legati al
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“vizio segreto” del professore oxoniano, vale a dire la creazione di linguaggi inventati che anzi,
cronologicamente, vengono concepiti prima delle genti e del mondo di fantasia che Tolkien inventerà
proprio per dare un substrato “concreto” alle sue lingue. Filologia e fantasia si mescolano in Tolkien
in una creazione mitopoietica che, nelle sue intenzioni, voleva avere una funzione maieutica e
propositiva, non doveva disimpegnare il lettore, ma contribuire ad immergerlo nelle problematiche
del proprio tempo attraverso la creazione di nuovi miti, di nuovi concetti utili ad attraversare la “notte
dell'ignoto”
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. Tolkien voleva dire delle cose e le ha dette col suo linguaggio, le ha dette nel modo che
più gli è risultato congeniale, attraverso la filologia e la fantasia.
La mia è una tesi in Filologia romanza, dunque, nella seconda parte, ho analizzato il rapporto
tra Tolkien, professore in Filologia anglosassone ad Oxford, studioso del Beowul, dell’Edda e della
Saga dei Volsunghi, affascinato dal Kalevala finnico, e il mondo romanzo, sia quello francese,
rappresentato dai romanzi di Chrétien e dai Lais di Maria di Francia, sia quello italiano, scoprendo
un inaspettato e dichiarato amore di Tolkien per Dante oltre che particolari similitudini e analogie tra
il suo primo romanzo, Lo Hobbit, e il Milione di Marco Polo. L’analisi di questo rapporto, quello tra
Tolkien e il mondo romanzo, è risultata, come previsto, difficile, sia per la quasi totale mancanza di
letteratura critica sia per l’intrinseca difficoltà nel trovare addentellati “cortesi” e “mediterranei” in
un’opera di dichiarata filiazione nordica, ma sono comunque emerse correlazioni significative e
alcuni parallelismi interessanti.
La terza parte della tesi analizza il rapporto tra Tolkien, l’Italia e gli italiani. Andando avanti
negli studi e nelle ricerche negli scorsi mesi mi sono imbattuto in due tipi di approccio all’opera
narrativa di Tolkien assolutamente diversi tra loro: quello italiano e quello europeo e americano. Mi
sono reso conto che gli studi italiani non riescono a prescindere da una connotazione ideologica che
è totalmente assente al di fuori dell’Italia. Ho appurato che Tolkien ha amato molto l’Italia, ha
trasposto nelle sue pagine alcuni scorci italiani che lui, fine paesaggista, ha saputo tratteggiare in
maniera esemplare, pur essendo stato in Italia solamente dopo la stesura de Il Signore degli Anelli.
Dalle sue lettere traspare l’amore e l’ammirazione per la nostra terra e, come lui stesso ammette,
alcuni luoghi descritti nella Terra di Mezzo gli sono realmente “apparsi” davanti agli occhi in Italia.
Tolkien ha amato l’Italia dunque ma non è stato corrisposto dagli italiani, che hanno preso la sua
opera per uno zibaldone di florilegi pseudo-fascisti. Ho cercato di comprendere i motivi che hanno
portato a questa interpretazione peculiarmente italiana, così faziosa e provinciale, provando a sottrarre
l’opera di Tolkien al tiro incrociato dei cecchini ideologici e riproponendola per quello che è: una
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«[…] i miti ci aiutano ad attraversare la “notte nell'ignoto” (il deserto, le fasi di incertezza nel conflitto sociale)»: A. Fernandez-
Savater, Wu Ming 4: mitopoiesis y acción política, in «El viejo topo», n.180, 2003.
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grande opera narrativa di fantasia, un romanzo moderno ammantato di Medioevo, una delle opere più
importanti della narrativa del Novecento.
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CAPITOLO PRIMO:
INVENTARE UN LINGUAGGIO PER SCRIVERE UNA STORIA
1.1 Un professore controverso
John Ronald Reuel Tolkien è stato ed è tuttora uno degli autori più letti e discussi del
Novecento. Il giudizio sulla sua produzione narrativa si è polarizzato nel tempo tra una schiera
composita di detrattori
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ed una altrettanto disomogenea di estimatori
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.
Tolkien o si ama o si odia. Difficile restare indifferenti. Del resto parliamo di un autore che
sembra quasi medievale in piena epoca contemporanea. Mentre il romanzo e la letteratura in generale
esplodevano in una fioritura di stili, tematiche, scuole a cui mai si era assistito prima, Tolkien
riportava alla luce il torrente carsico dell’epica e della mitologia che con Tasso e Cervantes era
definitivamente scomparso, fluendo nascosto per cinquecento anni prima di riaffiorare copioso nel
XX secolo tra le mani di questo professore oxoniano
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.
Tolkien prima di essere quel creatore di mondi fantastici, di medioevi magici epici e tragici,
di vere e proprie cosmogonie spesso cantate in lingue immaginarie e rincorse per tutta la vita, e
dunque prima di diventare suo malgrado un personaggio pubblico, ha vissuto in maniera discreta una
sua vita privata. È stato fervente cattolico, marito, padre e soprattutto, per quarant’anni, professore di
Filologia anglosassone presso l’Università di Oxford. Quella dell’insegnamento, assieme allo studio,
è stata la realtà principale della sua esistenza.
Fu un professore sui generis, appassionato e appassionante
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, ma uguali, se non maggiori,
furono il trasporto e la partecipazione a tratti totalizzanti che Arda
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, i suoi popoli e i suoi linguaggi,
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Cfr. infra pp. 37-42 e pp. 51-64.
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Tom Shippey, uno dei maggiori studiosi di Tolkien e suo predecessore sulla cattedra di inglese antico a Leeds dal 1921 al 1924 e ad
Oxford dal 1925 al 1959, nella sua opera J.R.R. Tolkien: Author of the Century, Houghton Mifflin Company, Boston, 2001, a p. 85
scrive: «Tolkien was the Chrétien de Troyes of the twentieth century. Chrétien, in the twelfth century, did not invent the Arthurian
romance, which must have existed in some form before his time, but he showed what could be done with it; it is a genre whose potential
has never been exhausted in the eight centuries since. In the same way, Tolkien did not invent heroic fantasy, but he showed what could
be done with it; he established a genre whose durability we cannot estimate».
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Anche se si potrebbe affermare che il romanzo storico ottocentesco, in cui personaggi immaginari agiscono su uno sfondo storico
reale e partecipano a importanti vicende sulle quali spesso si basa la nascita dello stato-nazione, ha caratteristiche simili all’epica e agli
“eroi fondatori” di stati e civiltà che ritroviamo in essa. Tra i primi esempi di questa narrativa l’Ivanohe di Walter Scott, edito nel 1820
dalla Archibald Constable and Co. di Edimburgo.
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Le lezioni universitarie che svolgeva ad Oxford erano famose per le sue declamazioni, anche estrose, di antichi testi. W.H. Auden,
poeta, ammiratore e, successivamente, recensore di Tolkien, una volta gli scrisse: «Non credo di averle mai detto quale indimenticabile
esperienza fosse per me, da studente, ascoltarla mentre recitava il Beowulf. La sua voce era la voce di Gandalf». J.R.R. Tolkien, Il
medioevo e il fantastico, a cura di C. Tolkien, ed. it. a cura di G. De Turris (titolo originale: The Monsters and the Critics and Other
Essays, Allen and Unwin, London, 1983, trad. it. a cura di C. Donà), Bompiani, Milano, 2004, p. 12.
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In linguaggio elfico la Terra nella sua interezza. Arda, il mondo in cui Tolkien ambienta le sue storie è suddiviso in due continenti,
Terra di Mezzo e Aman.
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suscitarono in lui per tutta la vita, forse a discapito della stessa attività professionale e delle sue
pubblicazioni accademiche. È questa la cifra stilistica di Tolkien, l’intimismo, il personalismo della
sua scrittura:
L’uomo scrive per i suoi, scrive per se stesso, non scrive per diventare
famoso, non scrive per diventare ricco, non scrive per vincere concorsi
o cattedre
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.
Tolkien ha avuto la capacità di rielaborare miti e leggende antichissimi donando loro una
seconda nascita e rinnovato vigore. Non si è limitato infatti a raccogliere tradizioni antiche e a
restituirle alla luce di prospettive sociologiche e psicologiche nuove, piuttosto ha voluto creare un
mondo parallelo, definito da lui stesso “Secondario”, che non si manifesta come unitario e
monotematico ma accoglie la poesia e la visione del mondo di culture disparate e lontane fra loro
nello spazio e nel tempo. Per l'autore, infatti, sono state fonte di ispirazione le vaste e intricate
mitologie norrena e finnica, le leggende greche e i racconti medievali
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.
Tutta la sua opera, specchio del suo pensiero, del suo essere uomo, è tesa a rivendicare il
diritto dell’uomo libero a rimanere estraneo ma non avulso dalla realtà del suo tempo, a vivere nel
mondo che egli si sceglie in maniera indipendente, libero per quanto possibile dalle contingenze del
suo tempo. Da fervente cattolico quale era fece sue le parole dell’evangelista Giovanni: «Stare nel
mondo ma non essere del mondo»
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, facendosi strenuo difensore della legittimità dell’evasione
fantastica.
Nel saggio Sulle fiabe afferma che l’evasione è una delle funzioni principali delle fiabe stesse
e se la prende con il cattivo uso che di questo termine viene spesso fatto da una certa critica
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che
biasima l’evasione quanto più essa sia riuscita, e aggiunge: «Perché mai un uomo dovrebbe essere
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Trascrizione di parte dell’intervento di Franco Cardini alla conferenza per il centenario della nascita di Tolkien, 1892-1992.
Centenario della nascita di J.R.R. Tolkien. Nella Terra di Mezzo, realtà e mistero nell'opera di J.R.R. Tolkien, tenutasi a Bologna il 28
novembre 1992 presso il Centro Culturale Enrico Manfredini. F. Cardini, "Intervento", in J.R.R. Tolkien: realtà e mistero nella Terra-
di-Mezzo (Atti del convegno tenutosi a Bologna presso il Centro Culturale Enrico Manfredini il 28 novembre 1992), Centro Culturale
Enrico Manfredini, Bologna, pp. 26-40.
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Le fonti narrative di Tolkien sono fondamentalmente da rintracciarsi nella sua stessa materia di insegnamento ad Oxford, dove operò
prima come professore di Filologia anglosassone, dal 1925, poi come professore di Lingua e letteratura inglese al Merton College, dal
1945 al 1959.
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Nel passo 15, 19 del Vangelo di Giovanni è scritto: «Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete
del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia».
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Cfr. infra pp. 51-64.