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INTRODUZIONE
Mafia è oggi un termine che in Italia e in tanti altri paesi del mondo si utilizza per indicare
un’organizzazione criminale che ha avuto origine in Sicilia.
Spesso l’utilizzo che se ne fa è però scorretto: si parla di mafia e di mafioso per designare
realtà che hanno poco o niente a che fare con la vera mafia siciliana o quando la si vuole
collegare a una caratteristica spiccata dell’uomo siciliano. Come ci capita di allungare gli
occhi con le dita verso l’esterno quando vogliamo “imitare” i cinesi, così, volendo imitare
il siciliano ci si posizionerà subito con schiena dritta e aspetto fiero, si comincerà a
simulare l’azione del fumare e si parlerà in dialetto molto stretto utilizzando un tono
minaccioso.
Quando si parla di Sicilia, spesso, viene subito in mente, volendosi avvalere di
immaginazione, la mafia. Il motivo può essere legato alla stessa percezione e convinzione
che avevano i siciliani, un tempo, di quel fenomeno. Dire: “che mafiusa sta fimmina”
voleva essere un complimento, come dire “che donna in gamba”, di bellezza fisica ma
anche spirituale. Così diceva Luciano Liggio durante un’intervista rifacendosi alle parole
di Giuseppe Pitrè che studiava il folclore siciliano e ne scriveva in Usi e costumi, credenze
e pregiudizi del popolo siciliano nel 1870, anno che potremmo considerare troppo poco
maturo per elaborare l’evoluzione del mafioso.
In questo elaborato verranno esaminati i punti salienti della storia della mafia con una
concentrazione particolare sui cambiamenti che ha subito, negli anni, la percezione che
la società ha dell’argomento. Un approfondimento sarà dedicato agli aspetti sociologici
del fenomeno e al mondo esterno che approccia ad esso. Fondamentale è, infatti, la
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capacità relazionale della mafia, con cui si le organizzazioni rafforzano legami interni ed
esterni e in cui si riconosce l’elemento chiave della sua continua attività.
Per una buona analisi è importante entrare nell’ottica della doppia essenza delle mafie: di
organizzazioni criminali e di fenomeno sociale, capace di adattarsi alle diverse condizioni
ambientali e di ricostituirsi di volta in volta, trovando terreni molto fertili per le loro
attività, questo è successo anche con la situazione emergenziale del Covi-19, che è
risultata un perfetto alleato per muoversi dietro a una confusione generale. Ho anticipato,
con queste ultime righe, la parte del mio lavoro in cui ho più indagato sul fenomeno
mafioso attuale e sulle modalità in cui si manifesta.
Il primo capitolo s’intitola “In origine fu la Sicilianità” perché si apre con una nozione,
già accennata prima, che racconta di come la mafia, prima di essere stata riconosciuta
come crimine, si confondeva con la cultura siciliana, non era altro, infatti, che una
combinazione delle peculiarità tipiche del siciliano: una miscela di onore, l’essere
passionale e orgoglioso che lo contraddistinguono nell’immagine stereotipata che
potremmo avere di lui e che assoggettiamo perciò a quella del mafioso e viceversa.
Non esisteva la mafia come organizzazione criminale ed era una cosa ridicola intenderla
così. Pur avendo origini molto antiche si dovrà aspettare per poterla definire tale. Già nel
1890, vi erano associazioni criminali omicide e sofisticate. A Palermo, i politici locali
rubavano fondi comunali e consumavano frodi bancarie. Potremmo allora pensare che,
come è nata, invecchierà.
L’immagine che il mondo ha del mafioso e dell’uomo siciliano, dipende molto anche
dall’immagine che si decide di dargli attraverso i media, nello specifico il cinema e la
sempre più in voga serie TV . Moltissimi sono i registi che hanno scelto di sfruttare
l’argomento volendo, spesso, adottare degli stereotipi, dei caratteri visti e rivisti, facendo
apparire il mafioso e l’uomo siciliano con lo stesso modo di fare, di atteggiarsi e di parlare,
senza alcuna distinzione o eccezione. Quella che può nascere è una visione influenzata e
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piacente della stessa figura dell’ “uomo d’onore” che si palesa come una persona potente
e degna di rispetto, da stimare e adulare.
L’effetto che questo può avere sulla collettività non è sempre positivo. Lo spettatore non
trovando nel film un personaggio in cui immedesimarsi o da “tifare” - perché anche se è
presente il contrasto alla mafia rimane spesso in secondo piano o viene dipinto come
meno furbo e meno potente del mafioso - potrebbe fare propri i caratteri del mafioso e
cedere anche all’emulazione.
Il mito diventa “fatto” grazie a Falcone e ai suoi colleghi: la mafia può definirsi finalmente
organizzazione criminale. Agli inizi degli anni Ottanta - nel giro di due anni - furono
assassinate circa duemila persone tra i cosiddetti uomini d’onore, loro parenti e amici,
poliziotti e altri innocenti. Le rivelazioni più importanti e fondamentali affinché risultò
possibile dare il nome di Cosa nostra a quei gruppi criminali della mafia siciliana furono
quelle di Tommaso Buscetta.
“L’uomo dei due mondi”, così era chiamato perché conosceva bene anche gli Stati Uniti,
dopo che fu arrestato in Brasile decise di parlare solo con Giovanni Falcone, magistrato
e simbolo della lotta alla mafia. Ebbe così inizio un nuovo capitolo cruciale e
imprescindibile: Buscetta iniziò a parlare di mafia e così si definì Cosa nostra, i
meccanismi ad essa legati e la sua struttura. Altri uomini d’onore seguirono l’esempio di
Buscetta e insieme al collega e amico Borsellino, Falcone, controllando scrupolosamente
ogni testimonianza, raccolse 8.607 pagine di elementi di prova che servirono come accusa
al Maxiprocesso, grazie al quale è stato possibile dimostrare l’esistenza di un modello
organizzativo e per cui la Corte d’Assise dopo ventidue mesi di udienza pronunciò
verdetti di colpevolezza a carica di 342 mafiosi. Finalmente si materializza l’esistenza di
un’organizzazione criminale chiamata Cosa Nostra.
Parlando di criminalità organizzata in Italia vengono in mente tre nomi: Cosa nostra,
prima organizzazione criminale e per questo anche chiamata semplicemente “Mafia”, ha
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origine in Sicilia ed è quella presa maggiormente in esame; la “’Ndrangheta”, ovvero la
mafia calabrese e la “Camorra” originaria di Napoli.
Evolvendosi, la mafia, iniziare a pretendere di più: vuole intrattenere rapporti con la
legalità per avere maggiore libertà di movimento. Questo rappresenta la vera spina dorsale
del potere mafioso. Questi rapporti nascono dal coinvolgimento con il mondo legale,
istituzionale e politico, non perché quest’ultimo sia costretto nonchè intimato dal mafioso
ma perché tra i due mondi, quello della legalità e dell’illegalità, nasce una relazione di
cooperazione e di convenienza col fine di ricavarne benefici di diversa natura per
entrambi i soggetti.
Dopo il 1992, Cosa nostra cambia aspetto, non ci sono più omicidi ma la ricerca di nuove
relazioni è molto scrupolosa, difatti cerca di scendere a patti direttamente con la politica.
I soggetti che si lasciano coinvolgere sono i cosiddetti colletti bianchi: impiegati,
funzionari dello Stato, i lavorati che non si “sporcano le mani”. Il mafioso moderno si
caratterizza per un preciso stile di vita: cura il suo aspetto, sceglie una vita agiata e mette
in vista il suo potere e soprattutto si definisce un benefattore. Egli è sicuramente
favoreggiato dal fatto che sempre più persone, non vedendo più violenza, si convincono
che la sua attività ormai si stia attenuando. Questa percezione, infatti, permette alle
organizzazioni criminali di continuare l’attività illecita insinuandosi silenziosamente.
I confini in cui i due soggetti in questione - mafia ed esponenti delle istituzioni – “vivono”
sono mobili, ovvero vi è compenetrazione e ibridazione che diventa poi collusione. Si
può definire quindi una mafia moderna e invisibile, che sfrutta la “zona grigia” dove,
appunto, è difficile riconoscere il bianco e il nero: rispettivamente legalità e illegalità.
Una mafia liquida, che, come viene fuori da un rapporto del 2019 della Direzione
Investigativa Antimafia: “si estende dal sud Italia a nord, in Europa e nel mondo e si
sposta seguendo la crescita economica.” Soffermandoci sul rapporto con la legalità sarà
citata la “Trattativa Stato-mafia” o meglio, “il processo su ricatto, estorsione, minaccia di
omicidi e stragi per ottenere benefici” come è stato dichiaratamente denominato e ritenuto
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più appropriato dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi in un’intervista al “Corriere della
Sera” del 19 luglio 2013. Questa negoziazione tra importanti funzionari dello Stato ed
esponenti di Cosa nostra, si materializzò in un rapporto che avrebbe portato lo Stato a
piegarsi ad alcune richieste di Cosa nostra tra le quali quella di attenuare le misure
detentive previste dall’articolo 41bis in cambio della fine della stagione “stragista”.
L’opinione pubblica fu in quel contesto fondamentale: condizionò in qualche modo la
visione dell’atteggiamento della giustizia penale che avrebbe dovuto seguire le emozioni
della maggior parte dei cittadini e/o vittime dirette.
Il terzo capitolo dedica una particolare attenzione al come e al perché le mafie abbiano
sfruttato da sempre le emergenze di ogni tipo, insistendo sull’emergenza sanitaria da
Covid-19 che ha rappresentato un buonissimo affare. Nello specifico saranno prese in
esame alcune delle indagini e delle operazioni più importanti che hanno visto coinvolta
la criminalità organizzata di tipo mafioso nello sfruttamento della pandemia, come
l’operazione “Sorella Sanità” o “Basso Profilo”
Il popolo che soffre è un popolo che si affiderebbe a qualsiasi soggetto gli prometta
qualcosa di buono, senza farsi domande o preoccuparsi di chi sia o cosa voglia in cambio.
La generosità interessata è sempre stata una strategia delle mafie per ottenere consenso
sociale e per legittimarsi sul territorio: favori in cambio di silenzio o anche di complicità
future, così come si sono ritrovati ad aiutare commercianti in crisi per colpa del Covi-19
e a sfruttare l’affare -mascherine, guanti e disinfettanti-. Come scrive Gratteri: “durante
il lockdown la richiesta di medicinali e di dispositivi di protezione individuale ha
registrato una notevole impennata in tutto il mondo. La domanda è stata in parte
soddisfatta rivolgendosi a fonti alternative, spesso non autorizzate e illegali, gestite o
finanziate da organizzazioni criminali”.
Quello che dobbiamo aspettarci è che il fenomeno mafioso come ha fatto fino ad oggi
continui a mutare il suo aspetto per riuscire a insediarsi in ogni realtà per esso fruttuosa.
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Quello che dobbiamo fare è migliorare la percezione che abbiamo del fenomeno e non
escludere a priori l’esistenza di organizzazioni criminale quando non riusciamo a vederle
coi nostri occhi. Bisognerebbe entrare in una visione di mafia che è invisibile e che quindi
come tale, riesce meglio a incrementare il suo potere e a disseminarlo dove vuole. Una
migliore percezione permetterà di riconoscerla e di non cadere nell’errore di utilizzare
impropriamente la parola mafia, senza cognizione di causa e per fenomeni che hanno
poco o niente a che fare con essa, evitando quindi qualsiasi forma di abuso.