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INTRODUZIONE
«Un uomo solo al comando è la storia di un leader che, alla luce del lavoro
che gli ha fatto la squadra, che lo ha portato fino al momento opportuno, decide
di rompere la paura di vincere, la paura di staccare il gruppo e di mettersi in
fuga […] un uomo solo al comando è straordinariamente bella come
espressione. Noi abbiamo ridotto la capacità di avere leadership a un concetto
negativo. Il leaderismo è sbagliato, ma senza leadership le elezioni si perdono»
(Matteo Renzi 2013).
Questa frase di Renzi ci introduce al tema di ricerca presente in questa
analisi, perché essa ci porta a riflettere su una figura che ha sempre avuto un
ruolo centrale nel mondo politico, quella del leader, ed il suo rapporto con il
gruppo, che in politica si traduce nell’attore partitico. Partendo da qui, mi sono
chiesto qual è il ruolo che svolge oggi il leader nel sistema italiano e quali sono
le ragioni che hanno generato una diffusa diffidenza verso di esso ma che allo
stesso tempo lo hanno reso necessario per una vittoria politica. Per dare una
risposta a queste domande è necessario analizzare quello che è stato lo sviluppo
democratico del nostro sistema, la formazione e l’organizzazione del regime
parlamentare e quali sono stati i suoi attori protagonisti.
Per comprendere il sistema italiano oggi ed il ruolo svolto dai leader al suo
interno, ho preso in considerazione uno tra i principali fenomeni della politica
moderna, quello della presidenzializzazione. Infatti, si tratta di un concetto
legato al tema della leadership politica. Questo perché i leader hanno vissuto
durante il Novecento una fase in cui sono stati fortemente oscurati da un sistema
creato e gestito totalmente dai partiti, i quali hanno dato vita in tutte le
democrazie occidentali a un assetto nel quale vi era poco spazio per le singole
personalità politiche. Tuttavia, negli ultimi decenni del secolo scorso, dopo una
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fase di irrilevanza e subordinazione alle forme collettive di potere, i leader sono
tornati al centro della vita politica e questo è coinciso con l’affermazione proprio
della presidenzializzazione, che ha incentivato una politica maggiormente
centrata e dipendente dai singoli individui, facendo emergere con forza un
dualismo leader-partiti, legati ciascuno a differenti sistemi di gestione del potere.
Il fenomeno della presidenzializzazione consiste nel cambiamento
informale dei sistemi democratici che vedrebbero una gestione del potere passare
dai partiti ai leader, avvicinandosi, quindi, ad un modello presidenziale. E
l’aspetto interessante è che la presidenzializzazione viene considerata dai suoi
teorici, Poguntke e Webb (2005), trasversale a tutte le democrazie occidentali,
e, quindi, anche in Italia si dovrebbe assistere ad un cambiamento informale del
sistema politico che favorirebbe l’ascesa dei singoli leader. Questo aiuta a capire
il perché Renzi definisce il leader fondamentale per una vittoria elettorale.
Per comprendere, quindi, come i leader hanno modificato il loro ruolo nella
società e nelle istituzioni è necessario analizzare il loro dualismo con i partiti,
quello che è stato il sistema durante la Prima Repubblica, che ha visto il
monopolio del potere politico nelle mani di attori collettivi, e se anche in Italia
si è verificata una presidenzializzazione del sistema, favorendo, perciò, una
crescita degli attori individuali.
Per fare questo, nel primo capitolo approfondirò il concetto di
presidenzializzazione da un punto di vista teorico, presentando quello che è stato
il sistema che ha preceduto la presidenzializzazione, le cause che possono
favorire la sua affermazione e le sue tre differenti aree: area esecutiva, area
partitica ed area elettorale.
Nel secondo capitolo, invece, presenterò nel dettaglio il caso italiano,
partendo dallo sviluppo democratico del Secondo dopoguerra, analizzando le
caratteristiche del sistema partitocratico ed evidenziando il ruolo di attore
protagonista dei partiti politici. Metterò, poi, in evidenza la fase di crisi vissuta
dal sistema tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, cercando di comprendere se
sono venute a verificarsi le condizioni per poter parlare di una
presidenzializzazione del sistema. Mi soffermerò, in particolare, sui
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cambiamenti delle tre aree della presidenzializzazione, cercando di comprendere
se è accresciuto il ruolo dei Presidenti del Consiglio, dei leader nei partiti e nelle
campagne elettorali.
Nel terzo capitolo, infine, mi occuperò più nel dettaglio di due attori
protagonisti degli ultimi vent’anni della politica italiana, Berlusconi e Renzi, che
più di ogni altro hanno incentivato questo processo e favorito dei cambiamenti
nel sistema in senso presidenziale.
Con questa analisi cercherò, quindi, di evidenziare se il sistema politico
italiano si è davvero presidenzializzato, se la fine della Prima Repubblica è
coincisa con un passaggio da un sistema partitocratico ad uno più
“presidenziale”, o, comunque, cercherò di comprendere che modello di gestione
del potere si è venuto a delineare, facendo particolare attenzione al dualismo
leader-partiti, per capire se quest’ultimi hanno mantenuto quel ruolo egemone
guadagnato durante la Prima Repubblica o se essi hanno dovuto “arrendersi” ad
una crescita dei singoli leader, lasciando ad essi un ruolo più centrale nella vita
politica.
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CAPITOLO 1
Il fenomeno della presidenzializzazione
1.1 Contesto istituzionale.
L’enfatizzazione dei singoli soggetti politici rappresenta uno dei principali
fenomeni che si sta affermando nella politica contemporanea. Fortemente legato
alla crescita dell’importanza del singolo a discapito del collettivo è il fenomeno
della presidenzializzazione, termine che viene coniato ed analizzato da due
teorici: Thomas Poguntke e Paul Webb (2005). I due attraverso uno studio
comparativo sulle democrazie moderne mettono in evidenza l’emergere negli
ultimi decenni di questo evento, che essi definiscono come “a process by which
regimes are becoming more presidential in their actual practice without, in most
cases, changing their formal structure, that is, their regime-types.” (Poguntke e
Webb 2005, 1).
Prima di analizzare nel dettaglio gli aspetti che caratterizzano la
presidenzializzazione è necessario comprendere però l’ambiente nel quale essa
si afferma, cioè le democrazie contemporanee. Definiamo contemporanee quelle
democrazie che si affermano a livello nazionale e che possiamo definire come
democrazie rappresentative. O meglio come direbbe Sartori “la democrazia
moderna (..) non è fondata sulla partecipazione ma sulla rappresentanza; non
suppone l’esercizio in proprio del potere, ma la delega del potere; non è insomma
un sistema di autogoverno ma un sistema di controllo e limitazione del governo.”
(Sartori 1987, 31-32). La caratteristica della democrazia rappresentativa è che
essa permette di rendere praticabile il principio democratico su larga scala,
rendendo popolazioni enormi in grado di controllare i proprio governanti, i quali
vengono scelti sulla base delle procedure di voto. Questa forma di democrazia si
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è affermata attraverso tre differenti ondate: a) la prima tra il 1828 e il 1926 che
ha colpito circa trenta Paesi tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Italia, Germania e
Francia; b) la seconda, che ebbe inizio durante la Seconda Guerra Mondiale e si
protrasse fino agli anni Sessanta, che rafforzò la democrazia negli paesi usciti da
dittature come Italia, Germania e Giappone; c) la terza infine si ebbe nell’ultimo
quarto del XX secolo e che vide affermare la democrazia in paesi come Grecia,
Spagna ed altri dell’America latina.
Se oggi tutte le democrazie occidentali possono definirsi rappresentative
esse, però, presentano delle differenze legate al tipo di regime/sistema di governo
che esibiscono. Infatti, in un paese democratico diventa fondamentale il modo in
cui viene organizzato ed esercitato il potere politico. Quando si fa riferimento
alla forma di governo si intende il “come tra gli attori di una comunità politica
organizzata si distribuisce il potere di indirizzarla verso determinati fini
generali.” (Barbera e Fusaro 2014, 252). Le forme di governo possono in
particolar modo differenziarsi in tre differenti tipi:
1. Governo presidenziale. Tale regime è così definito perché c’è una
direzione monocratica del governo in quanto il potere esecutivo è
detenuto dal presidente, il quale viene eletto direttamente dai cittadini
tramite elezioni. Da sottolineare nel sistema presidenziale è che
l’esecutivo deve essere politicamente irresponsabile nei confronti del
legislativo, che al tempo stesso quindi non ha il potere di rimuovere il
presidente. Quest’ultimo a sua volta non solo è responsabile solo di
fronte all’elettorato, ma è anche l’unico responsabile poiché il solo
presidente ha ricevuto l’incarico dai suoi cittadini. L’esempio tipico del
sistema presidenziale è quello degli Stati Uniti d’America.
2. Governo parlamentare. Questo secondo tipo di regime è cosi definito
perché l’esecutivo è espressione del parlamento, il quale ha il potere di
mantenere in vita il governo mediante la fiducia. Esistono differenti
varianti dei sistemi parlamentari, ma l’aspetto comune è che il potere
esecutivo è a direzione collettiva ed il suo presidente o primo ministro
non è eletto direttamente dal popolo tramite elezione, ma viene
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formalmente nominato da un organo terzo, il capo dello stato, il quale a
sua volta non ha poteri esecutivi. In questo regime quindi l’esecutivo è
responsabile di fronte al legislativo, che ne esercita un potere di controllo.
Questa forma di governo è sicuramente la più diffusa, soprattutto in
Europa dove tra i vari paesi risultano utilizzarla anche l’Italia, la Gran
Bretagna e la Germania.
3. Governo semi-presidenziale. Quest’ultimo tipo di regime unisce
elementi del sistema presidenziale con elementi del sistema
parlamentare: il capo dello stato viene direttamente eletto dal corpo
elettorale, ha poteri di natura politica ed è politicamente irresponsabile
nei confronti del legislativo. Esso, però, deve convivere con un esecutivo,
a direzione collettiva e guidato da un primo ministro che a sua volta
invece è legato all’assemblea rappresentativa da un rapporto fiduciario.
Il modello più classico di questo sistema è il caso francese.
1.2 Sviluppo democratico, il Party Government.
Per comprendere il fenomeno della presidenzializzazione però non è
sufficiente analizzare gli aspetti formali dei singoli stati, in quanto i vari sistemi
politici non sono definiti solamente dall’organizzazione formale dello stato,
quindi dall’insieme di istituzioni e norme, ma vengono plasmati anche e
soprattutto dai comportamenti, dagli attori e dalle istituzioni informali della
specifica comunità politica (Cotta e Verzichelli, 2008). Se partire, perciò, dagli
aspetti formali è fondamentale per avere l’idea dell’ambiente dove si sviluppano
i sistemi e da cosa vengono influenzati, è altrettanto importante analizzare nella
prassi lo sviluppo di tali sistemi.
Quindi, se da un lato, i sistemi democratici formalmente possono assumere
tre differenti forme, queste possono essere declinate a loro volta in maniera
differente dal modo in cui gli attori che le governano decidono di plasmarle nel
concreto. L’aspetto più interessante è che, in tutti i paesi, la crescita e
l’espansione delle democrazie è avvenuta di pari passo con l’affermazione dei
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partiti di massa, i quali, come sottolineano gli studiosi, hanno avuto un ruolo
dominante nelle società e nelle istituzioni moderne, tra cui quella governativa.
Infatti, se la democrazia rappresentativa è una forma democratica che può essere
applicata su grandi popolazioni, il problema, nel momento della sua espansione,
è proprio quello di organizzare le masse. Ed è in questo che si inseriscono i
partiti, i quali assumono come ruolo originario quello di organizzare e
rappresentare quelle masse di cittadini ai quali non era inizialmente riconosciuto
il diritto di voto. E questo diritto di partecipazione politica per le masse, come
diritto elementare di cittadinanza, viene a essere riconosciuto dai partiti molto
prima che dallo stato (Calise 1994, 5). Come si può comprendere, quindi, i partiti
diventano i principali promotori della democratizzazione dello stato, la quale è
progredita di pari passo con l’accesso dei partiti al controllo delle istituzioni
statali, non ultima quella dell’esecutivo. I partiti che precedentemente erano stati
tenuti fuori dallo stato, durante le fasi della democratizzazione, legittimati dalle
masse, hanno il ruolo di riorganizzare le istituzioni statali fino ad assumerne il
loro comando, occupandole con i propri uomini. È per questo, che fino a qualche
anno fa, si poteva parlare di “Stato dei Partiti” (Calise 1994, 5), in tutte le
democrazie occidentali. Quindi, i partiti che nascono per intercettare e governare
le domande di un elettorato che coinvolge l’intera società, si affermano come
organizzazioni autonome e indipendenti, che ad un certo punto arrivano a gestire
un intero sistema politico, all’interno del quale assumo il monopolio sulle risorse
istituzionali sia in termini di accesso che di gestione (Calise 2016, 11-16).
Quello che in questa sede maggiormente ci interessa è il ruolo che i partiti
svolgono nell’istituzione dell’esecutivo, dove, anche in questo caso, hanno
assunto un ruolo fondamentale, in quanto sono arrivati a gestire in pieno questo
potere. Per indicare proprio questo ruolo dominante dei partiti al governo è stato
coniato il termine Party Government (Wildenmann 1986, 3 cit. da Calise 1994,
3), il quale è stato poi declinato con altri termini in base alle caratteristiche
specifiche che ha assunto nei vari paesi, ad esempio possiamo citare lo Spoils
system americano, il Parteienstaat tedesco, il modello Westminster britannico
(Calise 1994, 13-39) o la Partitocrazia italiana.