2
coloro che avrebbero raggiunto l'età adulta. Proprio per la precarietà
della sua esistenza, non sarebbe stato prudente legarsi troppo dal
punto di vista affettivo al bambino.
3
Testimonianze della lunga serie di violenze fisiche e sessuali, alle
quali i bambini lungo il cammino della storia sono stati sottoposti, si
ritrovano anche nella letteratura, nelle opere teatrali e, non ultimo,
nelle fiabe.
Eppure, come sottolinea Simonetta Ulivieri,
4
gli storici si sono a
lungo occupati solo di raccontare di guerre, dinastie e potenti, senza
prestare alcuna attenzione alle condizioni sociali delle popolazioni, alla
vita familiare o alle sorti dei più deboli. Quando l’antropologia e la
sociologia hanno dato il loro apporto alla ricerca storica, è stato
possibile comprendere quale fosse la vita della maggioranza
dell’umanità, costretta ad una quotidiana lotta contro la fame e le
malattie.
In questo quadro storico si situa quell’infanzia, fatta di “piccoli”
uomini e donne, costretti alla stessa lotta per la sopravvivenza, anello
debole di una società nella quale il controllo per il mantenimento dello
status quo era molto forte. Deboli e diversi erano disprezzati e
maltrattati, costretti a vivere ai margini e a subire continui abusi,
fossero essi figli illegittimi e piccoli orfani oppure omosessuali,
prostitute e handicappati, in ogni caso destinati ad una vita da
vagabondi o ad una morte precoce.
5
Gli abusi sessuali rappresentavano, allora come oggi, solo
un’altra forma di prevaricazione del più forte nei confronti del più
debole.
In Grecia e nella Roma antica, i bambini erano così
frequentemente oggetto di attenzioni sessuali da parte degli adulti che i
figli degli uomini liberi portavano al collo la bulla aurea (anello di
metallo prezioso) per essere distinti dagli schiavi ed essere così
risparmiati dal divenire oggetto sessuale per gli adulti. Inoltre il pater
familias poteva vendere, se versava in miseria, la proles per la quale
questo significava spesso finire nei bordelli etero e omosessuali.
3
ANDREOLI V., Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla
violenza, Rizzoli, Milano, 1998, pagg. 13 - 15.
4
ULIVIERI S., op. cit. pagg. 207-208.
5
DE MAUSE L. (a cura di) Storia dell’infanzia, Emme edizioni, Milano, 1983,
p.59.
3
Nonostante la condanna dell’uso sessuale dei bambini, che il
Cristianesimo portò con sé, non sembra sia cessata l’abitudine di
intrattenere rapporti sessuali con bambini anche molto piccoli.
Lo stesso Clero non sembra affatto essere estraneo a stupri e
violenze sui minori, soprattutto quello regolare. Secondo uno studio di
Carrasco nella Valenza del XVI e XVII secolo, sotto l’Inquisizione, il
gruppo più agguerrito in fatto di sodomia sarebbe stato proprio il Clero,
con ben il 19% degli accusati, pur rappresentando solamente l’1% della
popolazione.
6
Sempre stando a questa ricerca, nella Valenza del ‘700 esisteva
una rete di prostituzione giovanile, ben organizzata, i cui
intermediari erano in genere ragazzi molto giovani che si prostituivano
da tempo.
Tabella n. 1
Condizione sociale Percentuale sodomiti
Clero e assimilati
Gruppi dominanti (nobili, notai, etc.)
Mondo del lavoro
Servitori (domestici e schiavi)
Popolazione nomade (soldati, marinai,
vagabondi)
Vari
19,1%
5,5,%
36,4%
18,6%
17,7%
2,3%
6
CARRASCO R., “Il castigo della sodomia sotto l’Inquisizione. (XVI – XVII
secolo)”, in CORBIN A. (a cura di) La violenza sessuale nella storia, Laterza, Bari,
1992, pagg. 56 – 57. La “mercede” ricevuta dal ragazzo prostituito, quando non si
riduce ad un magro pasto o ad un indumento, oscilla, in media, nella prima metà del
‘600, tra 2 e 4 reali di biglione. A titolo di paragone il salario di un muratore di
Valenza, a quel tempo, oscillava tra 2,5 – 3,2 reali ed un paio di scarpe tra i 4 e i 4,8
reali.
4
Lo storico De Mause evidenzia l’uso nei ceti abbienti di far
dormire i figli coi domestici, anche se in precedenza questi avevano
abusato di loro sessualmente, Accadeva spesso che fossero proprio
costoro, balie e servi, che iniziavano al sesso i piccoli.
7
Del resto era
logico che, a causa dell’atteggiamento distaccato e rigido che i genitori
dovevano mostrare, i vezzeggiamenti fisici, le carezze e uno stretto
legame affettivo si instaurassero tra i bambini e chi li allevava.
Alice Miller
8
riporta un passo del resoconto di Ariès tratto dalle
memorie del medico di corte, Héroard, che ci racconta che il piccolo
Luigi XIII era sottoposto a continui giochi sessuali fin dalla nascita da
parte di balie e servi, e che veniva coinvolto in quegli stessi giochi con
la sorellina e con la madre, quando non aveva ancora quattro anni.
Pur se l’atteggiamento verso le cose del sesso varia col variare
delle epoche, dell’ambiente e di conseguenza della mentalità., la Miller
ci fa notare che nessuno si occupava di verificare cosa accadesse nello
stato d’animo di un bambino così “trastullato”, al quale veniva negato
quel rispetto proprio nell’ambito in cui gli adulti lo pretendevano.
Commenta anche che, difficilmente, a queste condizioni un bambino
potrà trovare un’altra forma di rielaborazione che non sia il riprodurre
nuovamente tale abuso.
9
Della frequenza con la quale le violenze sessuali venivano
tramandate nel tempo, in particolare nei ceti più poveri, ci fornisce un
quadro uno studio del Greco sul reato di stupro nel Mezzogiorno d’Italia
tra ‘800 e ‘900. Circa il 10% delle vittime era costituito da bambini di
età compresa tra i quattro e i dieci anni e complessivamente il 92% era
compreso tra i quattro e i venti anni .Da una ricerca effettuata dalla
Sohn sulla Francia dal 1870 al 1939, l’86% delle bambine aveva meno di
15 anni (3/4 al massimo 13 anni e ¼ meno di 10).
10
La violenza sessuale avveniva spesso nei confronti di vittime
mentalmente deficienti o così piccole da non capire neppure cosa stesse
loro accadendo, che si accorgevano solo del male fisico che provavano.
7
DE MAUSE L. op. cit. p.66.
8
MILLER A., Il bambino inascoltato. Realtà infantile e dogma psicanalitico,
Bollati Boringhieri, Torino, 1993, p.119.
9
MILLER A., op. cit. p. 121
10
SOHN A., “L’oltraggio al pudore delle bambine e la sessualità nella vita
quotidiana. (Francia, 1870 – 1939)”, in CORBIN A., (a cura di) La violenza sessuale
nella storia, Laterza, Bari, 1992, pag. 67.
5
Venivano prevalentemente attirate con promesse di tipo
alimentare, in un contesto in cui la fame era onnipresente. Non
mancavano le violenze fisiche e le minacce, talvolta le uccisioni per
convincere i bambini a non parlare dell’accaduto, onde evitare genitori
intenzionati a chiedere risarcimenti o a permettere all’aggressore di
sfuggire un processo penale.
Frequenti erano i contagi da malattie veneree, come la sifilide,
che, non riconosciuta e adeguatamente curata, poteva condurre anche
alla morte. Un’opinione diffusa del secolo scorso voleva, infatti, che i
malati di sifilide potessero guarire se defloravano bambine o ragazzine;
di questa cura inutile è giunta notizia attraverso i processi intentati agli
aggressori.
11
Un’altra forma frequente di abuso sessuale sulle bambine era
quella perpetrata nei confronti delle piccole serve o bambinaie,
costrette a subire gli abusi e le violenze dei padroni o dei datori di
lavoro. Della condizione di servitù e di stupri ai quali venivano
sottoposte le bambine andate a servire, si ritrovano testimonianze in
tempi anche molto recenti: Nuto Revelli riporta le parole di una donna
delle Langhe, nata nel 1903, che racconta di come, venduta per 5 lire a
nove anni ad un ambulante, fosse stata trattata da schiava e violentata,
e di come fosse poi scappata per sfuggire a nuove violenze.
Cita poi un vecchio ambulante che raccontando di aver comprato
per 5 lire una bambina di 9 anni, continuava dicendo “ce n’era tanta di
gente disgraziata allora, oh ne ho avute delle bambine così. Si
compravano con 5 lire e ne facevi tutto quello che volevi.”
12
Di bambini sfruttati nel lavoro minorile e poi abusati
sessualmente con la minaccia di licenziamento si trova riscontro in vari
autori: in Italia, la condizione di sfruttamento e maltrattamento dei
bambini-operai ha perdurato più a lungo che nel resto d’Europa, poiché
fino all’inizio del secolo XX non esistevano norme a tutela dei piccoli
lavoranti. Il lavoro notturno nelle fabbriche lasciava le bambine e i
bambini alla mercé degli operai adulti che, spesso, li maltrattavano e
abusavano di loro.
Anche peggiore era la condizione dei bambini venduti dalle
famiglie più povere di alcune zone d’Italia (Veneto, Alta Toscana,
11
CAMBI F. – ULIVIERI S., Storia dell’infanzia nell’età liberale, La Nuova
Italia, Firenze, 1988, p. 174.
6
Calabria e Lucania) a procacciatori ambulanti e girovaghi, che li
avviavano alla prostituzione o al furto nelle città europee, nelle quali
vivevano in un quadro di quotidiane angherie e deprivazioni.
In questo contesto di violenze e abusi, ruolo non secondario
avevano gli incesti, perpetrati dai padri naturali come da conviventi o
dai compagni delle madri che vivevano in famiglia.
Ce ne offre una testimonianza, il Buttafuoco
13
, nella sua ricerca
sull’istituzione laica milanese “Asilo Mariuccia” in cui erano rieducate le
piccole vittime d’abbandono e sfruttamento: le vittime di stupro e
incesti rappresentavano il 70% delle bambine ricoverate. L’autore ci
dice subito che questo non rappresentava una situazione marginale, ma
rispecchiava fedelmente comportamenti generalizzati nella società.
Andreoli ci ricorda che le attenzioni erotiche di cui i bambini sono
sempre stati oggetto, in modo più o meno consapevole, erano dettate
spesso dalla freddezza dei rapporti coniugali, al punto che nella società
contadina, per le madri si rivelava molto più piacevole attaccare i figli
al seno che non fare l'amore con i mariti. L'allattamento ed il contatto
fisico col corpo del bambino erano importanti sostituti erotici.
Del resto "per i padri, chiusi in un mutismo affettivo quasi
istituzionale, costretti dal moralismo imperante a una sessualità
frettolosa o mercenaria, le bambine diventavano gli esseri di sesso
femminile con cui era più facile stabilire un contatto fisico.
14
L’incesto e la violenza sessuale sui minori erano tanto ricorrenti
da essere spesso vissuti, anche dalle vittime, come un “normale”
aspetto della quotidianità familiare” e gli aggressori non ne accettavano
la condanna. In alcuni processi, (peraltro non dissimilmente da quanto
avviene anche oggi) le giustificazioni da essi addotte erano volte a
rivendicare il diritto sul corpo delle figlie come “proprietà da
salvaguardare da altri maschi” o il diritto di “iniziarle alla vita” o,
addirittura di avviarle alla prostituzione come investimento economico.
Da questo quadro storico emergono alcuni importanti spunti di
riflessione:
12
REVELLI N., citazione da ULIVIERI S., "Ieri e l'altro ieri. Per una storia della
violenza all'infanzia", in CAMBI F. - ULIVIERI S. (a cura di) opera citata.
13
BUTTAFUOCO A., Le Mariuccine. Storia di un’istituzione laica. L’Asilo
Mariuccia, Angeli, Milano, 1985, p. 108.
14
ANDREOLI V., op. cit. pag.19.
7
1.Pedofilia, incesto e sfruttamento sessuale dei bambini non sono
un male tipico di questa fine secolo, ma un retaggio del passato che
non siamo riusciti ad eliminare;
2. Di fronte a questo fenomeno, a cambiare è l’atteggiamento
culturale della società, che può ritenerlo inaccettabile e condannarlo
oppure ignorarlo;
3. A lungo la coscienza collettiva ha negato e tollerato gli abusi
sui bambini; con l’Età Moderna si è affermato un nuovo sentimento
dell’infanzia che ha portato a riconoscerla come portatrice di diritti che
meritano tutela;
4. Ciononostante, oggi, in gran parte del Mondo, la condizione
dell’infanzia non è affatto diversa da quella che la storia ci ricorda e gli
abusi e le violenze spesso rimangono privi di sanzione. Neppure
l’Europa è estranea a forme di violenza, di abuso sessuale e
sfruttamento dei bambini;
1.2.1. Freud e psicanalisi: quali responsabilità nella negazione
dell’abuso?
Le violenze fisiche e sessuali sui bambini hanno accompagnato la
storia dell’infanzia dalle sue origini fino ai giorni nostri e, niente fa
supporre che cesseranno di farlo, eppure per trovare qualche denuncia,
peraltro isolata, del fenomeno bisogna attendere la seconda metà
dell’Ottocento.
“Il legame tra il bisogno d’amore dei genitori e il loro diritto di
abusare e al tempo stesso di punire il bambino è un fattore integrato
così bene nella nostra cultura, che finora pochi sono stati coloro che ne
hanno messo in discussione la legittimità.”
15
Questa frase di Alice Miller ci illumina sui uno dei motivi reconditi
che hanno condotto alla massiccia rimozione collettiva della
vittimizzazione dell’infanzia. Le radici del fenomeno “abuso” vanno
cercate all’interno del nucleo familiare, come fatti di cronaca ed atti
giudiziari mostrano quotidianamente. E’ innegabile che i maltrattamenti
si verifichino quasi esclusivamente ad opera dei genitori e gli abusi
sessuali presentino una frequenza maggiore di incesti rispetto agli atti
di “pedofilia” ad opera di estranei.
15
MILLER A., op. cit. pag.117.
8
L’accusa, condivisa da numerosi autori ed operatori di vari
settori, è verso una cultura che ha fatto della famiglia una “zona
franca” all’interno della quale non devono esserci intromissioni, tanto
che persino il diritto positivo tende a concedere delle attenuanti al
genitore violento.
In questo meccanismo di rimozione della realtà degli abusi, la
classe medica ha responsabilità storiche e ancor oggi non è esente da
colpe. Per secoli non ha voluto vedere i segni dei maltrattamenti e la
sofferenza dei bambini violati, avallando col suo silenzio un metodo
educativo basato sulle punizioni corporali e sugli abusi.
Per avere una qualche denuncia “ufficiale” si è dovuta attendere
la seconda metà del XIX secolo; Liliane Daligand
16
ci sintetizza le tappe
fondamentali di questa evoluzione, nella presa di coscienza della classe
medica, del fenomeno della violenza sui minori. Nel 1860, il fondatore
della Scuola di Medicina Legale di Parigi, Ambroise Tardieu, scrisse un
libro intitolato “Attentas aux moeurs”, dedicandone un terzo allo stupro;
vi dichiarò che dei 616 casi di cui si era occupato personalmente, più
della metà (339) erano relativi a bambini (prevalentemente di sesso
femminile) al di sotto degli undici anni, ne descrisse quindi i segni
clinici dei maltrattamenti.
Nel 1886 un altro medico legale lionese, Alexandre Lacassagne,
in un articolo sugli “attentati al pudore delle bambine” sottolineò che un
terzo dei casi giudicati in Francia dalle Corti d’Assise era costituito da
questo tipo di reato.
Va detto che all’epoca in Francia, nella cultura medico-legale,
erano presenti due orientamenti di pensiero in merito agli abusi sessuali
sui bambini. L’uno, minoritario, si ricollegava a Tardieu e a Paul
Bernard, e sottolineava il carattere reale, effettivo degli stupri e delle
aggressioni sessuali denunciate dai bambini; l’altro, maggioritario,
inaugurato da Alfred Fournier e sviluppato da Brouardel (successore alla
“Morgue” di Tardieu), era interessato allo studio del bambino che mente
e che “si costruisce fantasie di violenza”.
17
Per le due scuole evidentemente il peso delle dichiarazioni delle
piccole vittime era ben diverso e l’attenzione della classe medica verso i
maltrattamenti all’infanzia non poteva non esserne influenzata.
16
DALIGAND L., “La victimologie des enfants maltraités", in Revue
Internationale de Police Criminelle, n. 428, 1991.
9
Fournier (1880) in un suo saggio, cita testualmente l’amico
Brouardel: “le ragazze accusano i loro padri di violenze immaginarie su
loro stesse o su altri bambini, al fine di ottenere le loro libertà per darsi
alle debosce.”
Motivazione sorprendentemente simile a quelle addotte oggi dai
familiari incestuosi a loro discolpa!
Da allora sino alla seconda metà del secolo XX si sono susseguite
isolate denunce di medici che segnalavano che, traumi, le cui cause
erano ritenute misteriose, fossero più semplicemente dovuti a
maltrattamenti e sevizie.
L’avvento delle radiografie segnò una tappa importante nella
diagnosi di maltrattamento, perché diventava possibile dimostrare che
talune patologie erano dovute a lesioni traumatiche. Nel 1944 un
neurochirurgo americano, Ingraham, diagnosticò l’origine traumatica
dell’ematoma subdurale dei lattanti e nel 1946 un radiologo, Caffey,
approfondì quello studio, giungendo alle medesime conclusioni, senza
che neppure questa volta la classe medica le accettasse.
Nel 1953 un altro radiologo, Silverman, ottenne la certezza che i
maltrattamenti in famiglia erano all’origine di vari e gravi traumi
infantili. Nuovamente il corpo medico e il pubblico rifiutarono di
accettare l’idea che i genitori potessero volontariamente seviziare i
propri figli.
Gli abusi sessuali, più difficili da rilevare, sia perché solitamente
non presentano segni evidenti sia perché rientranti nella sfera
dell’intimità personale, sono dunque stati negati anche più tenacemente
dei maltrattamenti.
A lungo parlare delle “cose del sesso” è stato ritenuto
sconveniente e l’eventualità che dei bambini potessero essere in
qualche modo coinvolti in relazioni di tipo sessuale con adulti, un fatto
increscioso nel quale le vittime potevano anche avere delle
responsabilità, sempre che il fatto fosse “veramente” accaduto.
Che poi, le violenze potessero avvenire all’interno del nucleo
familiare, era una realtà impensabile, difficile da accettare senza
mettere i discussione l’intero sistema sociale.
Per avere uno studio sistematico e scientifico del fenomeno
bisogna attendere la seconda metà del ‘900, cui risalgono le prime
17
ROSSATI A., L’itinerario intellettuale di Freud e la nascita della psicoanalisi,
Centro Scientifico Torinese, Torino, 1995, p.122.
10
ricerche. Fu Kempe, un pediatra americano, che nel 1962 descrisse la
“syndrome of battered child”, per indicare tutta una serie di
comportamenti infantili conseguenti i maltrattamenti subiti nell’ambito
familiare.
Fu solo nel 1976 che, lo stesso Kempe definì il “child abuse and
neglect”, (insieme di comportamenti abusivi e omissivi da parte dei
genitori sui figli), comprendendovi, tra le forme di maltrattamento
fisico, l’abuso psicologico e sessuale, gli stati d’abbandono e la
malnutrizione. Da allora si sono sviluppate numerose ricerche, in
particolare nei paesi anglosassoni, mentre in Italia, sono molto più
tardive.
Eppure, già alla fine del secolo scorso, la psicanalisi dell’origine
considerò che l’esistenza di un trauma sessuale potesse essere la causa
di profonde turbe psichiche; Freud, nella sua “Eziologia dell’isteria”
(1896) fece risalire ad uno o più episodi di esperienza sessuale precoce
della prima infanzia, l’origine dei casi d’isteria.
In quello scritto riferisce del suo studio su 18 casi di isteria
(dodici donne e sei uomini) nei quali gli era stato possibile, durante
l’analisi, scoprire la rimozione di un abuso sessuale subito ad opera di
adulti o fratelli maggiori, che a loro volta erano stati sedotti da un
adulto. Freud riteneva che nessuno dei suoi pazienti avrebbe potuto
sviluppare quei sintomi se avesse avuto memoria del trauma subito.
Come sappiamo, però, egli nel 1897 negherà il trauma sessuale
infantile come patogenesi della nevrosi, dando luogo alla teoria delle
pulsioni, meglio nota come teoria edipica.
Numerosi autori cercheranno di capire cosa abbia dato origine ad
un così radicale cambiamento di pensiero e, per questo, muoveranno
varie critiche a Freud, in particolare, dagli anni ’70, con l’avvento del
femminismo e con il riconoscimento “empirico” della dimensione
dell’abuso all’infanzia, si leveranno molte voci contro l’oscuramento
della realtà dell’abuso sessuale intrafamiliare e dei suoi effetti sullo
sviluppo della personalità, operato dalla psicanalisi e dal suo fondatore.
1.2.2. La critica di Alice Miller.
Tra i più noti accusatori della psicanalisi per le sue responsabilità
nella negazione dei maltrattamenti all’infanzia troviamo Alice Miller, ex
11
psicanalista svizzera di formazione freudiana che, lasciò la Società di
Psicanalisi in aperta polemica coi metodi e le teorie psicanalitiche.
Nel 1981 pubblica “il bambino inascoltato”
18
, un saggio in cui
analizza le responsabilità di Freud e della psicanalisi nell’occultamento
dei maltrattamenti e degli abusi sessuali sui bambini.
Per fare questo, analizza la figura dell’uomo Freud ed i suoi
rapporti col padre, riconsidera la sua opera ed i casi dei suoi pazienti,
dandone una lettura, in un certo qual modo “psicanalitica”,
conducendoci attraverso l’evoluzione della teoria della seduzione fino
alla sua negazione che si manifesterà nella teoria freudiana delle
pulsioni.
Ci presenta un Freud figlio del suo tempo, sempre tentato di non
credere a quanto aveva scoperto, costretto a lottare contro l’incredulità
e lo scetticismo della gente e dei suoi stessi colleghi. Ma che, nel 1896,
scriveva “la realtà delle scene sessuali infantili è ulteriormente
convalidata da tutta una serie di altre prove. Innanzi tutto, l’uniformità
di certi particolari, uniformità che deve risultare dalle premesse simili
che si ritrovano in tutti questi episodi; naturalmente sempre che non la
si voglia attribuire ad un accordo segreto stretto tra i singoli pazienti. E
poi, il fatto che non di rado i malati descrivono come innocuo un
episodio il cui significato essi evidentemente non afferrano, dato che, in
caso contrario, ne sarebbero inorriditi; oppure il fatto che i pazienti
raccontano, senza darvi alcun valore, particolari che solo una persona
ricca di esperienza può conoscere e apprezzare come sottili tratti del
reale.”
Ma la coscienza collettiva non era disposta a credere che in una
famiglia “normale” e integrata socialmente potessero verificarsi episodi
di tal fatta, e tantomeno che la cosa avvenisse anche con una certa
frequenza. Non tanto diversamente da quanto ancor oggi avviene. Se
era possibile credere che un padre impazzito avesse violentato la figlia,
ciò poteva avvenire solo in una mente “malata”, in una famiglia
deviante o socialmente disadattata. Dunque la sua teoria aveva dato
scandalo e scosso profondamente la puritana società viennese che lo
isolò non meno di quanto avesse fatto l’ostracismo della comunità
medico-scientifica.
Secondo la Miller, Freud stanco di lottare contro il suo tempo e le
continue critiche che gli erano mosse; nel settembre del 1897, accortosi
18
.MILLER A., op. cit. 1990.
12
“dell’inattesa frequenza dell’isteria, dovuta ogni volta alle medesime
condizioni,” si trovò di fronte all’impossibilità di credere ad una
“diffusione così estesa della perversione nei confronti dei bambini. (La
perversione dovrebbe essere enormemente più frequente dell’isteria,
dato che la malattia può instaurarsi solo dove ci sia un accumulo di
esperienze e dove sia subentrato un fattore che indebolisce la difesa.)
Stava abbandonando la teoria della seduzione, che
“ufficialmente” si evolverà in quella edipica, spostando l’attenzione dal
mondo della realtà a quello della psiche.
La Miller ritiene che Freud si sia tirato indietro dopo aver visto
una verità tanto difficile da accettare, lasciando di nuovo a sé stesso il
bambino e la sua realtà,
19
perché non aveva alternativa, viste la sua
educazione e i tempi in cui viveva.
Poiché l’evoluzione teorica freudiana ufficialmente deriva dalla
sua autoanalisi (risalente all’epoca in cui muore il padre, Jacob Freud),
egli non fu in grado di continuare il suo cammino teorico, per la
necessità di lasciare intatta l’immagine paterna che l’autoanalisi stava
facendo pericolosamente vacillare.
Così da quel momento tratterà come fantasie le comunicazioni dei
suoi pazienti e costruirà una teoria che permetterà di risparmiare gli
adulti e farà derivare i sintomi dei malati dalla rimozione (non di un
trauma, ma N.d.R.) dei loro stessi desideri sessuali infantili. La teoria
delle pulsioni, spostando l’attenzione dai fatti traumatici subiti dal
bambino alle fantasie e ai conflitti sessuali infantili, lasciava intatta la
necessaria idealizzazione dei genitori, che la sua epoca richiedeva.
Ma l’aver spostato definitivamente l’attenzione sulle fantasie
inconsce, come cause del conflitto mentale, fece sì che il trauma come
patogenesi perda progressivamente interesse per la ricerca e la
terapia.
20
Le critiche più aspre, la Miller, le riserva, ai successori. Essa
ritiene che la teoria delle pulsioni sia diventata una sorta di dogma, che
ancora a distanza di quasi un secolo produce, sul piano operativo, una
pericolosa tendenza a sottovalutare la realtà e le gravi conseguenze
dell’incesto.
Si può ritenere plausibile che, ciò possa valere specialmente per
la formazione di psicologi clinici e psicoterapeuti, per i quali l’enfasi
19
MILLER A., op. cit. pagg. 115 – 126.
13
posta sui conflitti inconsci e sulla realtà psichica, unita ad una
conoscenza superficiale delle problematiche relative all’abuso sessuale
intrafamiliare, ha mostrato una certa tendenza da parte degli operatori
a minimizzare il problema e le sue conseguenze.
21
Ci sono stati autori che, accettando, strumentalmente, le
“perverse” fantasie sessuali infantili, hanno elaborato teorie, secondo le
quali il bambino ha una sua responsabilità nell’accaduto. Autori
discutibili, come Bender e Blau, che arriveranno ad teorizzare la
“seduttività” infantile all’origine dell’abuso, rendendola di fatto, una
sorta di scriminante per l’aggressore, al punto che i loro scritti sono
citati come testi scientifici di riferimento, dalle associazioni pedofile.
Personalmente, e confortata dai molti che condividono il mio
stesso pensiero, ritengo valida buona parte della critica milleriana,
soprattutto come interessante spunto di riflessione, in particolare in
sede di prevenzione e di trattamento. La lucida analisi che fa del
rapporto genitori–figli, della condizione di impotenza del bambino di
fronte alla violazione della sua intimità e dei meccanismi psicologici di
difesa, che interessano l’abusato e, un domani, (forse) l’abusante,
diventano spunti per comprendere i motivi reconditi che spingono un
individuo verso la pedofilia o verso comportamenti incestuosi.
1.2.3. Le posizioni di Masson, Ferenczi e Krüll.
Nel 1982 viene pubblicato un libro intitolato “Assalto alla verità:
la rinuncia di Freud alla teoria della seduzione.” L’autore, Jeffrey
Moussaieff Masson è l’ex curatore dei “Sigmund Freud Archives”,
anch’egli, come la Miller, abbandona la Società di Psicanalisi, in aperta
polemica coi metodi dei freudiani. Nel suo libro accusa il padre della
psicanalisi di aver rinunciato alla teoria della seduzione sessuale
infantile per amore della rispettabilità “borghese” e per evitare
l’ostracismo della comunità medico-scientifica, insomma, per
vigliaccheria.
Afferma che Freud nel cambiare le sue convinzioni non era in
buona fede, ma mentì sapendo di mentire e per dimostrare ciò, Masson
utilizza i carteggi e i manoscritti di cui era curatore.
20
MALACREA M. - VASSALLI A., (a cura di) Segreti di famiglia, Cortina, Milano,
1986, p.35.
14
Suppone innanzitutto che il soggiorno parigino (3.10.1885 –
28.2.1886) abbia avuto una notevole influenza sulla tesi freudiana,
secondo cui il nucleo centrale dei disturbi nevrotici sarebbe costituito
da traumi sessuali realmente subiti nell’infanzia. (Basandosi sulle idee
di Tardieu, relative alla frequenza degli stupri) In realtà è possibile che
l’influenza si sia verificata anche a sfavore di quella tesi, in quanto
l’idea predominante nella cultura medico-legale francese sosteneva che
i bambini fantasticano di essere violentati e/o sedotti dai loro genitori.
Lo scritto di Masson è stato criticato e ritenuto eccessivamente
carico di vis polemica, tuttavia è piuttosto interessante la lettura che dà
del caso di Ferenczi: questi presentò al XII Congresso Internazionale di
psicoanalisi di Wiesbaden nel 1932, la relazione “Confusione delle
lingue tra adulti e bambini”, nella quale tornava sulle prime intuizioni
freudiane, dandone una diversa interpretazione in molti concetti
analitici posteriori.
Il cambiamento di direzione non fu affatto gradito agli
psicanalisti “ortodossi” che ne rimasero scandalizzati e, Masson parla a
questo proposito di una vera e propria ”congiura del silenzio” che
circondò la pubblicazione del magiaro, della quale fece parte anche
Freud, maestro ed amico di Ferenczi.
Masson è stato considerato un critico ingiusto e tacciato di
“ingenuità” e, indirettamente, di grossolanità
22
, ma rimane certamente
interessante come spunto di discussione in merito al cruciale passaggio
freudiano del 1896 –1897.
Tra le varie osservazioni fatte al padre della psicanalisi
sull’evoluzione della sua teoria originaria, di particolare interesse si
rivela quella del suo discepolo, Sàndor Ferenczi
23
, che nel 1932 scrisse
un saggio, ancor oggi, di grande attualità, intitolato: “Confusione delle
lingue tra adulti e bambini”,
In quello scritto, l’autore rimprovera a Freud di aver privilegiato
l’inconscio del bambino rispetto a quello dell’adulto. Ferenczi, definisce
la sessualità infantile linguaggio della tenerezza e quella adulta
linguaggio della passione: è questa che irrompendo nel mondo del
21
VASSALLI A., op. cit.
22
ROSSATI A., op. cit. p.130
23
Sandor Ferenczi era amico di famiglia e discepolo di Freud. Durante la prima
guerra mondiale diede rifugio alla famiglia Freud, diffuse la psicoanalisi in Ungheria e
all’inizio degli anni ’30 si ammalò di un’anemia perniciosa che lo portò alla morte nel
’33.
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bambino costituisce una grave violenza, la seduzione è insita nella
condizione stessa di dipendenza del bambino rispetto all’adulto.
Ferenczi pone al centro della scena psicanalitica non le perverse
fantasie sessuali infantili, ma la relazione adulto-bambino,
analizzandone le possibili conseguenze in presenza di tendenze
patologiche. Ribalta così la “nuova” concezione freudiana, affermando
che la seduzione è operata dall’adulto e non viceversa. Ne spiega così
le modalità:
“Un bambino e un adulto nutrono affetto reciproco: il bambino ha
la fantasia di fare per gioco la parte della madre con l’adulto. Questo
gioco può assumere forme erotiche, pur rimanendo al livello delle
manifestazioni di tenerezza. Ma le cose vanno diversamente quando
l’adulto ha tendenze patologiche, specialmente se il suo equilibrio e il
suo autocontrollo sono alterati da qualche disgrazia o dall’uso di
sostanze che ottundono la coscienza. Allora egli scambia gli scherzi del
bambino per desideri di una persona sessualmente sviluppata, oppure si
lascia andare ad atti sessuali senza valutarne le conseguenze. Sono
all’ordine del giorno effettivi atti di violenza su bambine che hanno da
poco superato la primissima infanzia, atti analoghi di donne adulte su
bambini di sesso maschile, e, naturalmente, anche violenze di natura
omosessuale.”
Il bambino violato nel suo desiderio infantile dalla passionalità
adulta, prova sensazioni di disgusto ed odio, ma le reazioni difensive
sono paralizzate dall’immensa paura, derivante dal potere e dall’autorità
adulta, di fronte ai quali, i bambini troppo indifesi moralmente e
fisicamente, non riescono a reagire.
Non gli resta che sottomettersi alla volontà dell’aggressore,
cercando di indovinarne ed anticiparne i desideri, dimentico del proprio
sé e, arrivando ad identificarsi con l’aggressore. E’ da questa
identificazione che scaturiscono le più gravi conseguenze: la figura
dell’aggressore smette di essere una realtà esterna per divenire una
realtà intrapsichica, facendo sì che la vittima introietti il senso di colpa.
Il gioco innocente è diventato azione colpevole, di cui il bambino si
sente responsabile (N.d.R.).