Il legame tra il tifo e il cinema è invece risultato quantomai
utile come punto di osservazione di questo tema e della sua
evoluzione nel corso dei decenni.
La mancanza di una letteratura specifica, capace di chiarire
gli aspetti esistenziali del fenomeno ultras, mi ha indotto a
tracciare una serie di profili dei tifosi di ieri, di oggi e di
domani.
L’avvento di internet e le problematiche legate all’invasione
dei media, mi hanno permesso di mostrare la situazione
attuale in cui versa il tifo e quella che potrebbe essere il
contesto in cui agiranno milioni di tifosi nei prossimi decenni.
Sono questi elementi, l’amore per lo sport, il contatto
quotidiano con centinaia di tifoserie, culture e lingue
straniere, che mi hanno spinto ad intraprendere un’avventura
che ho affrontato attraverso la documentazione e la ricerca
nel rispetto di chi, come me, coltiva questa passione e per chi,
in ogni angolo nel mondo, ha fede in quello che crede.
Il mio augurio è che questo lavoro possa essere di aiuto a
quanti in futuro vorranno analizzare in maniera più specifica
la formazione del tifo nei vari paesi al solo scopo di produrre
una “cultura del tifo” che nel 2005 ancora non esiste, nel
rispetto di chi ha perso la vita per questa causa.
1. STORIA DEL TIFO
1.1 NEL MONDO
1.1.1 Il fenomeno inglese
Il tifo emette i suoi primi vagiti con la nascita del calcio in
Inghilterra nel XIX secolo ma raggiunge il suo apice con la
comparsa degli hooligans. Il termine deriva dal nome di una
famigerata banda giovanile, la Hooley’s Gang, la quale
risiedeva nell’East Side londinese ed era formata da ragazzi di
origine irlandese. Secondo i racconti dell’epoca, gli hooligans
manifestano subito atteggiamenti teppistici connotati da un
forte senso della supremazia territoriale, atti di vandalismo nei
pubs inglesi e nei locali pubblici, rapine in stato di ebbrezza,
violenza negli stadi, aggressioni ai danni degli stranieri e uno
spiccato senso di opposizione alle forse dell’ordine. Il 16
Novembre del 1900, il Daily Graphic li presentò così:
“Senza cappello, colletto e cravatta, portano una sciarpa attorcigliata al
collo, un berretto poggiato scostumatamente in avanti, ben calcato sugli
occhi, pantaloni molto aderenti al ginocchio e larghi alle caviglie. La parte
più caratteristica dell’uniforme è la cintura dei pantaloni, che ha una
pesante fibbia in ferro. Non è un ornamento, né è intesa come tale”.
Con la creazione delle prime manifestazioni sportive cresce
anche il numero di gruppi di tifosi al seguito della propria
squadra. Il fenomeno hooligan si espande rapidamente dalla
fine del secolo XIX fino alla prima guerra mondiale, poi
subisce l’inevitabile arresto dovuto alle vicende belliche. I
primi celebri drappelli sono i Victorian Boys, seguiti dai Forty
Row, Bengal Tiger, Bulgall Boys, Alum Street e tantissimi altri
al seguito di uno sport che lentamente stava per invadere il
Mondo.
Le imprese degli hooligans riprenderanno solamente dopo il
secondo conflitto mondiale. Nel 1953 nascono i Teddy Boys,
giovani ragazzi di periferia tendenti al modello americano
(capelli lunghi e abiti vistosi) ma indicati dalla stampa e
dall’opinione pubblica come simbolo della delinquenza
giovanile. Gli anni Cinquanta e i numerosi atti vandalici
portano la loro firma.
Gli anni Sessanta vedono invece la nascita dei Mods (da
modernist) che, a differenza dei Teddy Boys, assumono un
atteggiamento decisamente più convenzionale (capelli corti)
senza però tralasciare il fenomeno della violenza. I contorni
sociali e l’onda del boom economico creano una divisione tra i
Mods. Da una parte si schierano i soft Mods (che si
identificano con la classe media) e dall’altra si presentano gli
hard Mods (legati alla cultura operaia giovanile). Solo nel
1967 gli hard Mods prenderanno il nome di Skinheads (teste
rasate) assumendo atteggiamenti estremi (esaltazione della
forza fisica, sciovinismo, passione per il football e la birra,
tendenze xenofobe) e un look ben delineato (capelli rasati,
scarponi da lavoro e jeans con bretelle). L’aspetto che
maggiormente distingue gli Skinheads è la loro xenofobia nei
confronti delle diverse etnie che in quegli anni già popolavano
i sobborghi londinesi. L’aggressione rituale del sabato sera
contro gli immigrati di origine asiatica (detto paki-bashing da
pakistani) è uno solo dei tanti segni di distinzione del gruppo
perché gli Skinheads si schierano contro tutti coloro che hanno
opinioni diverse dalle loro (hippies, studenti, immigrati e
omosessuali). Da queste prime ed importanti aggregazioni
nacquero i Boot Boys (letteralmente “ragazzo scarpone”,
deriva dagli scarponi di combattimento adoperati dal gruppo),
quelli che oggi sono considerati i precursori degli ultras
moderni.
Ma nel momento in cui la politica inizia a considerare il calcio
e il suo seguito come un fenomeno di massa, e quindi di
propaganda, all’interno di gruppi come gli Skinheads avviene
una triplice frattura. Si creano tre filoni di pensiero: gli
original (apolitici e apartitici, tendenzialmente antirazzisti), i
red skins (legati all’estrema sinistra) e i bonehead (legati alla
destra radicale). Soprattutto i bonehead, per le loro condizioni
filonaziste e xenofobe, sono destinati a lasciare strascichi nel
tempo. Tra di loro si distinguono gli Headunters (cacciatori di
teste) dove la razza bianca rappresenta ancora oggi una
condizione essenziale per far parte del gruppo. Le tre anime
del tifo inglese e gli altri gruppi del tempo iniziarono il loro
cammino di violenza incoronando Londra come regina del
teppismo calcistico e non solo del punk. Queste tifoserie si
radunano in un settore specifico dello stadio (detto
genericamente curva/end), organizzano le prime invasioni con
lo scopo di occupare la curva nemica (si diffonde l’espressione
to take an end, ovvero prendi la curva!) utilizzando oggetti
contundenti, bottiglie, armi da taglio e, una volta giunti sul
luogo lasciavano la calling card, una specie di biglietto da
visita per testimoniare il loro passaggio. Le battaglie dentro e
fuori lo stadio inducono il governo britannico ad alzare il
livello di guardia. I gruppi rispondono con la rinuncia al look
appariscente e ad essere meno riconoscibili dando vita ad uno
stile detto casual. Questo nuovo “vestito” permetterà agli
holligans di depistare più volte la polizia esportando la loro
violenza anche oltremanica soprattutto nel corso delle rassegne
mondiali. Tuttavia questo modo di agire, e la conseguente
riorganizzazione delle forze dell’ordine, ha avuto breve durata.
Negli ultimi tempi il frazionamento delle frange più agguerrite
di hooligans ha permesso a quest’ultimi di potersi riunire in
ridotti drappelli, senza leadership, e con la libertà di
raggiungere una meta anche singolarmente (per aggirare i
controlli) prima di riaggregare il branco per sferrare l’attacco.
La risposta dello Stato, in special modo dopo la strage
dell’Heysel, dove perirono trentanove persone in seguito agli
incidenti, si concretizzò nel 1986 con il “Public Order Act” e
nel 1991 con il “Football Offences Act”. Questi due
emendamenti permettono l’arresto in flagranza di coloro che si
rendono autori di episodi di violenza all’interno degli stadi e
garantiscono la presenza in ogni impianto sportivo di
telecamere a circuito chiuso.
Agli hooligans resta il merito di aver apportato dei
cambiamenti di grande rilievo all’interno della curva. Furono i
primi a non limitare l’apporto dei propri beniamini con
semplici applausi. A quest’ultimi aggiunsero cori, l’uso di
sciarpe e bandiere contribuendo a colorare gli stadi britannici.
1.1.2 Il resto del Mondo
Il Mondo si accorge delle prime schermaglie legate al tifo a
partire dagli anni Sessanta. In precedenza solo qualche
episodio sporadico aveva creato allarmismi. Il tifo e la
passione, soprattutto verso il gioco del calcio, permettono a
tantissime città di organizzare la loro “curva”, intesa nel senso
folcloristico del termine. Tuttavia è ancora presto per parlare di
organizzazione perché lo sport, e il calcio in particolare, sono
oggetto della violenza esportata dagli hooligans con
cambiamenti profondi che ancora oggi portano i segni di ciò
che avvenne in Europa dagli anni Sessanta in poi.
In Germania, i primi episodi di violenza si registrano negli
anni Ottanta. I tifosi tedeschi in un primo momento imitano gli
skineheads inglesi. Qualche anno dopo diventano autonomi
creando un modello filonazista improntato non solo sulla
xenofobia, ma anche sul militarismo e sul machismo. Negli
stadi tedeschi si intravedono i primi gruppi di ragazzi con
bomber, teste rasate e scarponi anfibi che mostrano senza
pudore la croce uncinata, striscioni con tematiche antisemite e
inneggiano al Fuhrer con saluti nazisti. Il nazionalismo tedesco
produce un seguito notevole soprattutto nei riguardi della
selezione nazionale al motto “Wir sind Deutsch” (Noi siamo
tedeschi). Nel 1983, a Berlino, Germania e Turchia, gara di
qualificazione agli Europei, è macchiata da frasi come
“Kreutzberg muss brennen” (Kreutzberg, quartiere turco di
Berlino, deve bruciare). Ed è proprio all’interno della
Germania dell’Est (l’ex DDR) che, prima della caduta del
Muro, si manifesta il fenomeno prettamente neonazista degli
ultras della Dinamo Berlino. Fortunatamente l’ondata
nazionalista di destra e il movimento skinhead perdono colpi
con l’avvento degli anni Novanta fino a ridursi, ma non ad
esaurirsi del tutto.
Al confine meridionale con la Germania, l’Austria non ha mai
avuto grandi problemi a controllare i gruppi ultras grazie alla
grande tradizione delle discipline invernali. In Svizzera il
fenomeno è ben delineato: la frammentazione dei Cantoni
separa la tranquillità della zona meridionale (specialmente in
Canton Ticino) dalla focosità di quella settentrionale dove i
giovani sono divisi in supporters e hooligans. I primi, vestiti
con i colori delle proprie squadre, restano ad un livello di
partecipazione spontaneo mentre i secondi, organizzati in
bande di casuals, ripudiano l’aspetto semplicemente
folcloristico.
Per quanto concerne i Paesi Bassi, la lezione inglese
rappresenta un fenomeno da emulare. L’ondata di violenza
investe l’Olanda verso la fine degli anni Ottanta, con
particolari differenze rispetto ai cugini del Belgio. L’uso di
ordigni e di stupefacenti permette agli ultras del paese dei
tulipani di non essere perseguibili dalla legge con una
conseguente diffusione del consumo di droghe leggere fuori e
all’interno degli stadi. In Belgio i giovani tifosi violenti si
organizzano nei cosiddetti “gruppi di contatto” (near groups),
si definiscono “Sides” e fanno la loro comparsa a metà degli
anni Settanta inglobando diversi membri legati agli skinheads.
Nei Paesi Nordeuropei la tradizione calcistica vanta diversi
adepti ma a prevalere sono sempre gli sport invernali. Tuttavia
non mancano le eccezioni, talvolta completamente opposte tra
di loro. In Svezia la nascita del Black Army di Stoccolma è
datata 1977. Si tratta di un movimento che segue le orme
inglesi diventando addirittura uno dei più violenti d’Europa.
Dall’altra parte si contrappone la Danimarca, la quale
diffonde un modello di tifo del tutto particolare e in
contrapposizione con quanto esportato dalla Gran Bretagna. Il
tifo danese è condizionato dal movimento roligan (da rolig che
significa tranquillità) che sin dall’inizio ha sempre dichiarato
le sue intenzioni pacifiste. In Norvegia e Finlandia non si
sono quasi mai registrati fenomeni legati alla violenza
sportiva.
L’Europa composta dai Paesi Latini appare frammentata circa
la disposizione e la formazione dei vari gruppi ultras. In
Spagna si può iniziare a parlare di tifo organizzato solamente
dopo i Mondiali di calcio del 1982 quando gli ultras italiani
esportarono il loro modello con l’aggiunta dei candelotti
colorati e dei razzi. Fino a quel momento il tifo spagnolo era
scandito da battiti di tamburi e dall’apparizione delle bandiere
e non era abituato alle “trasferte” data l’estensione del
territorio. Prima di allora lo stile degli skinhead aveva raccolto
consensi tra gli estremisti di destra legati alla tradizione
franchista. A completare il quadro della penisola iberica ci
pensa il Portogallo dove ogni manifestazione del tifo è
saldamente legata, per un fenomeno storico-culturale, a quella
brasiliana. L’influenza sudamericana porta alla nascita di
alcuni gruppi che si organizzano dietro il nome di torcidas, ma
anche qui l’influenza italiana sarà determinante. L’arrivo
tardivo del modello bonehead inglese ha cambiato negli ultimi
tempi il modo di presentarsi di alcune torcidas.
Come in Spagna, anche in Francia il tifo affonda le radici
negli anni Ottanta con l’avvento degli skinheads. Questi
trovano terreno fertile nella curva del massimo club della
capitale, il Paris Saint-Germain, facendo leva sui rancori dei
parigini verso gli immigrati, prima di dilagare in tutto il
territorio transalpino. Ma la repressione del governo francese
incomincia presto e viene vietato l’ingresso allo stadio a
numerosi tifosi con le teste rasate.
Dando uno sguardo ad Est, il tifo organizzato tra i paesi
balcanici compare solamente negli anni Ottanta. Motivi come
l’appartenenza ad un’etnia diversa sono alla base degli scontri
che vedono come protagonisti gli ultras della Stella Rossa di
Belgrado con atteggiamenti di stampo antialbanese.
Non mancano all’appello anche Ungheria e Polonia. Negli
stadi magiari, dove si segue il modello inglese, si arriva alla
proibizione negli stadi di aste di bandiera. In Polonia gli
skinhead si annidano tra i tifosi della nota squadra nazionale
del Legia Varsavia ma gli scontri sono acuiti anche dall’uso
sconsiderato di alcool e stupefacenti. In tantissime curve
polacche si notano stendardi rappresentanti Benito Mussolini e
i simboli nazisti.
Prima della scissione in Repubblica Ceca e Slovacchia, ogni
partita, tra le squadre delle due regioni e nel derby di Praga tra
Sparta e Slavia, era occasione per creare disordini e incidenti
grazie soprattutto agli skinhead.
In Romania il tifo organizzato è circoscritto alla città di
Bucarest, dove sono nati sul finire del secolo alcuni gruppetti
ultras a sostegno della Steaua Bucarest, ma lentamente è in via
di espansione.
Nell’ex Unione Sovietica sono attivi da alcuni anni movimenti
ultras paragonabili a quelli occidentali. Comunque la tifoseria
più numerosa è quella dello Spartak Mosca, nella quale ogni
gruppo rappresenta un quartiere di Mosca. Questi gruppuscoli
hanno sempre operato in semiclandestinità e in dipendenza dal
regime politico al quale erano costretti a sottostare. Con
l’indipendenza, il tifo è uscito dalla clandestinità del periodo
precedente: sono nati in molte città club ufficiali a sostegno
delle squadre locali. Gli atti di violenza e di teppismo sono
abbastanza rari, dovuti quasi sempre all’abuso di vodka.
Nonostante la vittoria nel campionato greco sia ristretta a
Panathinaikos, Olympiakos, Aek Atene e Paok Salonicco, non
c’è nessun paese in Europa in cui i tifosi abbiano causato tanti
danni come in Grecia. Il movimento ultrà ellenico nasce negli
anni Settanta, ma è negli anni Ottanta che questi gruppi
s’ingrandiscono e gli scontri diventano frequentissimi. Dopo la
grande tragedia del febbraio 1981, con la morte di ventuno
persone dopo la gara Olympiakos-Aek Atene, il problema
della violenza negli stadi si diffonde tra l’opinione pubblica. A
differenza degli altri Stati, in Grecia lo stile casual non si è mai
diffuso ed è rimasta la difesa dei valori legati al nazionalismo
che si fondono con il codice del tifo ellenico. L’ultrà greco
rivendica la propria aggressività facendo largo uso di droghe,
come amfetamine o LSD, e alcolici e assiste sempre alla
partita a torso nudo, soprattutto d’inverno.
L’ampia panoramica europea è chiusa dalla Turchia, dove la
temibile polizia turca ha sempre limitato gli scontri con una
feroce repressione nei confronti di gruppi non ancora
considerabili come ultras, ma in via di organizzazione.
1.2 IN ITALIA
1.2.1 Prima metà del XX secolo
Il calcio rimane lo sport più seguito e i gruppi di tifosi si
aggregano presso impianti sportivi che, almeno fino agli anni
Trenta, non presenteranno una capienza degna del fenomeno
che ospitano. Tuttavia il calcio, a quei tempi, rimane un
fenomeno d’élite che coinvolge soprattutto giocatori della
stessa città dove essi risiedono. Non essendo possibile
spostarsi con facilità, le grande masse di tifosi si ritrovano
durante le esibizioni delle Nazionali (ai campionati del Mondo
e d’Europa di calcio) o alle Olimpiadi dove il colpo d’occhio
inizia a garantire al calcio una spiccata popolarità. La stessa
che già in Inghilterra si era manifestata colmando gli storici
stadi inglesi, mentre in Brasile gli stadi mastodontici
ospitavano folle oceaniche incantate dalla classe dei talenti
carioca. Anche il ciclismo gode di un buon seguito, ma la
relegazione dello sport tra le ultime pagine dei giornali pone
tutte le discipline all’ombra dei grandi problemi politici che
interessavano il Mondo.
1.2.2 Anni Cinquanta
Con la cessione delle ostilità belliche, la gente ritorna a vivere.
La guerra non aveva mutato i colori. Le maglie e le casacche
dei giocatori conservavano intatte le loro tradizioni
cromatiche; le squadre di nuova formazione, o risorte dopo più
o meno lunghi periodi di inattività, recuperavano i vecchi
simboli della memoria locale
1
.
1
A. PAPA, G. PANICO, Storia sociale del calcio in Italia, Il Mulino, Bologna 2000, pag. 12.
Il cinema rimaneva il padrone dei divertimenti degli italiani,
ma più degli altri è il ciclismo lo sport che riesce a coinvolgere
gli sportivi nell’età postbellica. Ancora oggi nuclei di
appassionati seguono la carovana di ciclisti dei vari Tour, Giro
d’Italia, Vuelta inseguendoli a piedi e incoraggiandoli lungo il
loro cammino.
Lentamente si ripopolano anche gli stadi con il calcio che
ritorna a far sognare un popolo ancora stordito dai
bombardamenti e dalle conseguenze del secondo conflitto. La
nascita della televisione di Stato in molti paesi permette alle
manifestazioni sportive di ottenere maggiore risalto, anche se i
primi risultati relativi all’audience non sono confortanti.
1.2.3 Anni Sessanta
Gli anni del boom economico, della voglia e della ricerca del
tempo libero permettono a fenomeni come lo sport di adescare
nuovi adepti. La cronaca sportiva prende lentamente quota (si
pensi agli incontri di boxe) seguita da un pubblico di nicchia,
tra i quali si distinguono gli scommettitori più che i tifosi.
Mentre in Inghilterra gli hooligans hanno già lasciato le prime
impronte, nel Mondo, soprattutto in Italia, si organizzano i
primi gruppi di sostenitori.
<<E’ proprio sul finire di quegli anni che nascono in Italia i
primi nuclei di ultrà, “gruppi di sostenitori fra i 15 e i 20 anni
che si distaccano nettamente dal modello “classico”, adulto,
dello spettatore calcistico. Gli ultrà manifestano
immediatamente una serie di caratteristiche che li rende un
fenomeno originale nel calcio italiano: dal senso di
identificazione con il proprio “territorio”, ovvero quel settore
di curva delimitato da uno o più striscioni con il nome e il
simbolo del gruppo, a un look paramilitare ripreso da quello in
voga nelle organizzazioni politiche estremiste: eskimo, anfibi,
tute mimetiche e giacconi militari ricoperti di “toppe” della
propria squadra, a cui si aggiunge la sciarpa con i colori sociali
della squadra […]>>
2
. L’internazionalizzazione del tifo
permette uno scambio interculturale tra le diverse curve circa il
modo di sostenere, in maniera sempre più originale e
chiassosa, la propria squadra.
<<Dalle “torcidas” brasiliane viene ripreso l’uso di trombe e
tamburi; dalle tifoserie inglesi la “sciarpata” (le sciarpe
vengono alzate e distese dai tifosi, dando l’effetto ottico delle
onde del mare) e i cori.
I cori d’incitamento non si limitano più a sottolineare
un’azione offensiva o una fase di gioco esaltante, ma
divengono costanti, fino ad assumere un carattere ossessivo
volto a incoraggiare i propri beniamini e a frastornare e
intimidire i giocatori avversari. Il tifo viene dunque
considerato parte della strategia e della tattica adottate per
vincere un incontro: diviene il cosiddetto “dodicesimo
giocatore”. Un altro aspetto peculiare degli ultrà è il forte
senso di territorialità. Le curve, infatti, vengono a poco a poco
abbandonate dai club dei tifosi cosiddetti “normali”, che
trasferiscono altrove i propri vessilli per lasciare spazio agli
striscioni ultrà>>
3
.
2
F. BRUNO, Storia del movimento ultrà in Italia, in V. Marchi(a cura di), Ultrà. Le
sottoculture giovanili negli stadi d’Europa, Koinè, Roma, 1994, pp. 217-219.
3
Ibidem.
Sono tre i filoni che contribuiscono alla nascita del fenomeno:
<<In primo luogo, l’autonomia dalla tutela paterna di una
parte di giovani che erano stati normalmente socializzati al
rito domenicale della partita; in secondo luogo, i modelli
parapolitici di coesione del gruppo dati dalla comune
appartenenza a un gruppo politico di estrema destra o estrema
sinistra; in terzo luogo, l’assimilazione per via imitativa delle
forme inedite di tipo hooligan, che imperversavano negli stadi
già da una decina d’anni>>
4
.
1.2.4 Anni Settanta
Il tifo viene dunque considerato parte della strategia e della
tattica adottate per vincere un incontro: diviene il cosiddetto
“dodicesimo giocatore”. Si diffonde inoltre l'uso di articoli
pirotecnici (fuochi a mano per segnalazioni marittime,
candelotti fumogeni, razzi e bengala a luce colorata), destinati
a dare un tocco di vivacità supplementare alle gradinate.
Subentra così per la prima volta il concetto di "coreografia
della curva", una pratica del tutto originale che si evolverà di
pari passo con il grado di organizzazione dei gruppi ultrà. La
coreografia diviene il marchio dello stile italiano con spettacoli
e scenografie su vasta scala, di grande impatto,
fantasmagoriche, enormi, multicromatiche.
4
A. ROVERSI, Calcio e violenza in Italia, in A. Roversi (a cura di) Calcio e violenza in
Europa, Il Mulino, Bologna 1990, pp. 94-95.