Fig. 1.1 Il modello biopsicosociale applicato all’eziopatogenesi dei
Disturbi del Comportamento Alimentare.
Fig. 1.2 Fattori predisponenti e scatenanti nella genesi dei Disturbi del
Comportamento Alimentare
BIO
PSICOSOCIALE
BIO
PSICO
SOC I A L E
BIO
PSICO
SOCIALE
BIOPSICO
SOCIALE
BIOPSICO
SO C IA L E
EZIO PATO GENESI DEI DC A
Ba si g enetiche
Ruolo dei
n eu ro tra sm et tit o ri
Fa ttori so cio cultura li
Ruolo della Fam iglia
I p o t e s i p s ico d in a m ich e
Ipotesi cognitivo-
comportamentali
Tem p e ra m en t o e
ca ra t tere
Eziopatogenesi (adattato da Garner, Garfinkel, 1982).
• FATTORI PREDISPONENTI
INDIVIDUALI
• Storia dello sviluppo della personalità
• Problemi riguardanti l’identità, la separazione,
l’autonomia e l’autostima.
• Disturbi nella sfera percettiva
• Disturbi di tipo cognitivo
• Preoccupazione eccessiva per il peso corporeo
• Traumi perinatali
• Abusi nell’infanzia
FAMILIARI
• Caratteristiche sociodemografiche
• Le possibili componenti genetiche
• La familiarità per DCA, Dist Umore, Alcoolismo.
• Le specifiche modalità interattive genitori-
bambino
CULTURALI
• Esaltazione della forma fisica e della magrezza
• Eccessiva valorizzazione delle performances
individuali
• FATTORI SCATENANTI
• Separazioni e perdite (life
events)
• Alterazioni dell’omeostasi
familiare.
• Nuove richieste ambientali
• Minaccia di perdita diretta
dell’autostima
• Malattie organiche
Il notevole sforzo che negli ultimi anni i ricercatori di tutto il mondo hanno
compiuto per aumentare la comprensione dell’eziopatogenesi dei DCA, ha consentito di
attuare interventi terapeutici strutturati che si sono dimostrati efficaci sia nel ridurre la
sintomatologia che nel migliorare l’outcome a breve e lungo termine.
Sebbene i risultati non siano ancora definitivi l’approccio farmacologico si è
dimostrato efficace soprattutto nella Bulimia Nervosa e nel Disturbo da Alimentazione
Incontrollata, mentre nell’Anoressia Nervosa esistono ancora poche evidenze di una
sicura efficacia di un approccio prevalentemente farmacologico, probabilmente anche in
considerazione del fatto che gli effetti neurochimici della denutrizione giocano un ruolo
importante nella risposta al trattamento stesso.
Quindi notevole importanza riveste l’approccio psicoterapeutico nei DCA sia per
quanto detto rispetto alla mancanza d’efficacia delle terapie farmacologiche
nell’Anoressia Nervosa, sia perché anche laddove i farmaci riducano i sintomi del
disturbo alimentare, in mancanza di un intervento psicologico il funzionamento globale,
la qualità della vita ed il decorso a lungo termine del disturbo sono peggiori (A.P.A.
Guidelines, 2000).
Diversi tipi d’interventi psicoterapeutici sia individuali che di gruppo, sia
familiari, si sono dimostrati più efficaci dei controlli di normale routine ambulatoriale
nel trattamento dei DCA, ma mancano ancora evidenze consistenti (studi randomizzati
controllati) per alcuni di questi modelli di intervento (in particolare per le psicoterapie
psicodinamicamente orientate).
L’attenzione dei ricercatori è attualmente rivolta, e non solo nei DCA,
soprattutto al modo di poter combinare ed integrare trattamenti farmacologici e
psicoterapeutici. Recenti meta-analisi hanno studiato nei DCA l’efficacia e la
tollerabilità d’interventi singoli e combinati nel trattamento dei DCA (Bacaltchuk et al.,
2000), rilevando come la terapia combinata si dimostri nella maggior parte dei casi più
efficace dei singoli trattamenti. Secondo alcuni autori però il combinare i trattamenti
farmacologici e psicoterapeutici non è la via migliore di trattare molti disturbi psichici,
in quanto la maggior parte dei pazienti risponde al trattamento singolo, ma poi ricade.
Il problema principale sarebbe quindi trovare una corretta sequenza (“approccio
sequenziale”) dei trattamenti (Fava, 1999) che garantisca un miglioramento “a breve
termine” dei sintomi ma anche un minor rischio di ricadute “a lungo termine”. Tali
autori pongono l’accento inoltre su come il trattamento a lungo termine con farmaci non
rappresenti con certezza l’unica via di prevenzione delle ricadute, ma la “propaganda”
sostenuta da interessi economici rischi di non consentire la ricerca in ambito
psicoterapeutico (Fava, 2002).
La necessità di articolare in maniera non contraddittoria e non iatrogenica
trattamenti nutrizionistici, farmacologici, psicoterapeutici e socioriabilitativi nella
strategia terapeutica dei DCA ha portato, infatti, all’applicazione presso il Centro per la
Diagnosi e la Cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare di un modello
d’intervento biopsicosociale (Engel, 1980), multifattoriale (Garner e Garfinkel, 1982),
di Rete (Rovera et al., 1984). All’interno dell’intervento di Rete un ruolo centrale spetta
al percorso psicoterapeutico, che in particolare è un intervento di Psicoterapia Breve (a
tempo limitato) secondo l’Individual Psiciologia (vd Cap. 4).
La Psicoterapia Breve rappresenta talora “l’unica psicoterapia possibile”
(Fassino, 2002) e praticabile nei Disturbi del Comportamento Alimentare nell’ambito
della Sanità Pubblica, ma mentre in alcuni casi si struttura come intervento di crisi
inferiore rispetto a quanto le condizioni cliniche e personologiche richiederebbero, altre
volte consente un primo e talora definitivo “cambiamento” (Fassino, 2002).
Quindi molto si è scritto e molto ancora si scrive in letteratura sul trattamento
dei Disturbi del Comportamento Alimentare, ma numerose questioni rimangono aperte.
In particolare un ambito di ricerca trascurato dai ricercatori sino ad alcuni anni fa
ed attualmente invece ritenuto di notevole importanza, è lo studio della compliance ai
trattamenti. Il problema della mancata aderenza ai trattamenti prescritti o preposti dal
medico è infatti di grande attualità e non solo in Psichiatria: secondo recenti statistiche
quasi il 50 % dei pazienti non segue per nulla oppure segue scorrettamente le
indicazioni terapeutiche; le ricadute sia sulla salute che sulla finanza pubblica appaiono
così essere molti gravi, rendendo difficile un corretto impiego delle risorse nella
prevenzione sia primaria che secondaria.
In Psichiatria tale problema è accentuato dalle caratteristiche di egosintonia di
molti disturbi psichici: i DCA rappresentano anche in quest’ambito una “patologia
emblematica e di confine” (Fassino, 2002). Molte di queste pazienti o sono spinte al
trattamento da parenti o amici, oppure cercano autonomamente le cure solo dopo anni di
malattia, e molto spesso con solo parziale motivazione e scarso insight; questo perché i
sintomi alimentari e gli effetti sul corpo e sulle emozioni hanno una profonda radice
autoprotettiva (Fassino, 2002). Così questi sintomi tendono ad automantenersi ed
autorafforzarsi e non infrequentemente divengono intrattabili, cronici ed inaccessibili al
trattamento (Kaplan e Garfinkel, 1999).
Le peculiari caratteristiche di questi disturbi e la frequente comorbilità in Asse II
rendono inoltre molto difficile la costruzione di un’alleanza terapeutica stabile e
duratura; pazienti affetti da DCA evocano talora intensi sentimenti di rabbia, ostilità,
disperazione e stress nel terapeuta.
Le cause sottostanti a queste reazioni controtransferali sono ancora poco
esplorate: per questo è di grande interesse lo studio psicopatologico della personalità e
dei profili specifici della rabbia e dell’impulsività delle pazienti che interrompono
precocemente (dropout) o che non sono responsive alle cure (Fassino, 2002).
In particolare lo studio del fenomeno dell’interruzione precoce e
dell’abbandono del trattamento (dropout) da parte di pazienti affette da DCA riveste
notevole importanza soprattutto per le sue implicazioni cliniche (vd capitolo 8),
consentendo di identificare sin dall’inizio del trattamento (sia singolo che combinato)
un sottogruppo di soggetti per cui il mantenimento dell’alleanza terapeutica è più
difficoltoso.
È possibile, infatti, che molti degli interventi che risultano efficaci negli studi
clinici siano tarati su un campione di soggetti estremamente selezionato, di media
gravità, molto motivato e poco rappresentativo della popolazione totale: i dropout
precoci (che comprendono anche quei soggetti che dopo un primo contatto con le
strutture sanitarie non cominciamo i trattamenti proposti) ed i dropout veri e propri (di
soggetti che hanno cominciato i programmi terapeutici) possono rimanere esclusi
dall’attenzione dei ricercatori sia in campo farmacologico che psicoterapeutico, in
quanto vissuti talora come “fallimenti” terapeutici non previsti.
Lo studio di tali fenomeni può consentire invece di renderli maggiormente
“prevedibili” e “comprensibili”, di aggiungere significato anche ai successi terapeutici,
e di aumentare la conoscenza dei fattori prognostici sia positivi e negativi, consentendo
inoltre di modulare i trattamenti adattandoli ai singoli individui.
CAP. 2
Il trattamento farmacologico dei disturbi del comportamento
alimentare: recenti evidenze e nuove prospettive.
2.1 Anoressia Nervosa
L’AN è una malattia che colpisce prevalentemente giovani donne ed è
caratterizzata, secondo i criteri diagnostici stabiliti dal DSM-IV-TR, dal rifiuto di
mantenere il peso corporeo almeno all’85% del normale peso corporeo, alterazioni
dell’immagine corporea, intensa paura di ingrassare ed amenorrea secondaria nelle
donne.
Il DSM-IV-TR suggerisce inoltre due categorie dell’AN: il sottotipo con
restrizioni e quello con abbuffate e condotte d’eliminazione.
Le pazienti anoressiche presentano tratti personologici e cognitivi caratteristici,
come ossessività, rigidità, alta persistenza, ed inoltre gravi alterazioni a livello
internistico-endocrinologico conseguenti allo stato di deperimento fisico, incluse
leucopenia, aritmie, intervallo QT prolungato, anormalità endocrine ed osteoporosi.
Il trattamento dell’AN presenta pertanto importanti difficoltà legate in parte
all’atteggiamento di rigida negazione e manipolazione spesso assunto da queste pazienti
nonché alle complicanze mediche che il grave stato di denutrizione comporta. A causa
della limitata efficacia dei trattamenti esistenti, molte pazienti anoressiche vanno
incontro ad una cronicizzazione della malattia e a frequenti ricadute. Bisogna inoltre
ricordare che l’AN presenta la mortalità più alta fra tutte le malattie psichiatriche
(Sullivan, 1995).
In considerazione di queste difficoltà e sulla base dell’intreccio eziopatogenetico
di nodi causativi biologici, psicologici e sociofamiliari, la strategia terapeutica deve
articolarsi, in maniera non contradditoria e non iatrogenica, in interventi nutrizionistici,
farmacologici e psicoterapeutici (Fassino, 2002).
Nonostante l’ampio utilizzo di farmaci nell’AN, gli studi farmacologici non
hanno ancora identificato un principio attivo in grado di determinare un miglioramento
consistente dei sintomi dell’AN.
Sono stati esaminati numerosi farmaci soprattutto nella fase acuta dell’AN con
solo isolati e spesso inconsistenti successi.
Antipsicotici
L’uso d’antipsicotici nella cura dell’anoressia fu proposto inizialmente
ipotizzando un accentuato tono dopaminergico in questa condizione, responsabile
secondo alcuni dell’iperattività fisica e del ridotto introito alimentare.
I primi studi sono stati condotti da Dally negli anni ’60 (Dally e Sargont, 1960;
1966) con l’utilizzo della clorpromazina; sebbene le pazienti raggiungessero un iniziale
e rapido aumento di peso, riportavano anche considerevoli effetti collaterali incluse
aumentate condotte di eliminazione. Inoltre nel follow-up a lungo termine non furono
constatate differenze significative in confronto ad altri farmaci. Successivamente sono
stati esaminati altri antagonisti della dopamina (pimozide e sulpiride) in studi in doppio-
cieco placebo-controllati, che hanno evidenziato l’efficacia sull’aumento ponderale
della pimozide ma non in modo significativo della sulpiride rispetto al placebo
(Vandereycken et al., 1982; 1984). Nessuno di questi due agenti ha migliorato gli
atteggiamenti e i comportamenti delle pazienti.
In considerazione degli effetti collaterali degli anitipsicotici tradizionali e
dell’inadeguata evidenza della loro efficacia, sono emerse poche ragioni per considerare
il loro uso di routine nel trattamento dell’AN.
Recentemente sono stati invece studiati i nuovi farmaci antipsicotici, che
presentano un profilo d’effetti collaterali più favorevole a questa condizione
psicopatologica. Il loro utilizzo sembra sempre mirato alla riduzione dell’alterazione
dell’immagine corporea, che faciliterebbe l’accettazione di un aumento ponderale
derivato dalla terapia.
In particolare, recenti case-report hanno evidenziato l’utilità dell’olanzapina nel
trattamento dell’AN (Jensen e Mejlhede, 2000). Entrambi gli studi hanno riportato
importanti miglioramenti nei loro soggetti, caratterizzati da un incremento ponderale e
dal mantenimento di questo nonché da una riduzione dell’agitazione e della resistenza al
trattamento. Un recente studio in aperto, ha confermato che il trattamento con
olanzapina in associazione ad incontri psicoeducazionali di gruppo centrati
sull’aderenza alle terapie è in grado di determinare nella maggior parte delle pazienti un
rapido aumento di peso (Powers et al., 2002).
Litio
È noto che il litio, ampiamente utilizzato per il trattamento dei disturbi
dell’umore, presenta fra i suoi effetti collaterali l’aumento ponderale. Tuttavia il
meccanismo di questo fenomeno non è ancora stato chiarito. Uno studio placebo-
controllato ha mostrato che questo stabilizzatore dell’umore è associato con un piccolo
incremento ponderale nelle pazienti AN, ma lo studio era limitato dall’esiguità del
campione e dalla breve durata (Gross et al., 1981). Inoltre è necessario tenere in
considerazione l’alta tossicità di questo farmaco, soprattutto nell’eventuale
somministrazione in pazienti particolarmente defedate nelle quali bisognerà porre
attenzione al dosaggio degli elettroliti e al monitoraggio cardiografico.
Antidepressivi
L’inizio dell’uso degli antidepressivi nella gestione dell’AN, è legato
all’osservazione di frequenti sintomi depressivi, incluso umore depresso, perdita di
interesse ed isolamento sociale presenti in questa condizione.
I triciclici e gli IMAO furono primi antidepressivi ad essere utilizzati, anche
nell’intento di sfruttare l’effetto sull’induzione dell’appetito ottenuta con questi farmaci
attraverso l’azione stimolante alfa-adrenergica a livello del nucleo paraventricolare
ipotalamico.
Uno studio placebo-controllato di Lacey e Crisp con clomipramina non ha
evidenziato significative differenze sull’aumento di peso nel follow-up a lungo termine
(1980). Risultati analoghi, con assenza di risultati sull’incremento ponderale così come
sulla riduzione della preoccupazione riguardo alla forma e al peso sono emersi da trials
con l’amitriptilina (Biederman et al., 1985; Halmi et al., 1986). Dati recenti sul legame
tra TCA e morte improvvisa in persone giovani (Wilens et al., 1996), accoppiata con un
aumentata propensione per aritmie cardiache a basso peso corporeo, fornisce ulteriori
controindicazioni all’uso dei TCA nel trattamento dell’AN.
Più recentemente è stato introdotto l’uso degli SSRI, che si sono dimostrati utili
non tanto nel determinare un più rapido recupero di peso, quanto nel diminuire i sintomi
ossessivi e depressivi che rendono più difficile la partecipazione attiva al trattamento da
parte delle pazienti anoressiche.
Studi in aperto con fluoxetina su piccoli campioni di pazienti malati in acuto
hanno evidenziato l’efficacia di questo farmaco sia nell’aumento ponderale che nel
miglioramento dell’umore (Ferguson, 1997; Gwirtsman et al., 1990). Uno studio
placebo-controllato ha mostrato che la fluoxetina non ha conferito significativi benefici
rispetto al placebo nel trattamento di donne ospedalizzate per AN (Attia et al., 1998).
Dati incoraggianti sono invece emersi da uno studio in aperto placebo-
controllato di Kaye et al (Kaye et al., 2001), che ha evidenziato l’efficacia della
fluoxetina nella prevenzione delle ricadute che seguono il recupero ponderale ottenuto
con l’ospedalizzazione.
Ferguson e collaboratori (1999) hanno dimostrato inoltre che gli SSRI non
hanno alcun effetto sulle anoressiche gravemente sottopeso che hanno chiari sintomi di
denutrizione. Ciò viene attribuito dagli autori alla carenza di triptofano e alla
sregolazione degli steroidi gonadici che, a loro volta, regolano i recettori serotoninergici
cerebrali.
Uno studio aperto controllato ha esaminato gli effetti della sertralina in un
campione di 11 pazienti anoressiche, dimostrando l’efficacia di questo farmaco nel
migliorare i sintomi depressivi, l’inefficienza, la mancanza di consapevolezza
enterocettiva ed il perfezionismo in maniera significativa rispetto al gruppo controllo
(Santonastaso et al., 2001).
Più recentemente il nostro gruppo ha condotto uno studio su pazienti anoressiche
con citalopram, che ha evidenziato un miglioramento del tono dell’umore, dei sintomi
ossessivi-compulsivi, dell’impulsività e della rabbia di tratto (Fassino et al., 2002).
Ciproeptadina
La ciproeptadina è un potente antagonista serotoninergico e istaminico. Il suo
utilizzo nelle manifestazioni allergiche ha messo in luce anche una sua induzione
all’aumento ponderale. Gli studi effettuati sull’azione della ciproeptadina sono
discordanti. Uno studio placebo-controllato di pazienti con AN non ha mostrato un
significativo miglioramento con ciproeptadina (Vigersky e Loriaux, 1977). Mentre un
altro studio effettuato su un campione più grande e con un dosaggio più elevato di
ciproeptadina, ha evidenziato un significativo effetto sull’aumento ponderale, sebbene
solo in pazienti con le forme più gravi della malattia (Goldberg et al., 1979). Risultati
piuttosto diversi sono emersi dal terzo trial in cui un effetto differenziale è stato trovato
sul sottotipo dell’anoressia, dimostrando una maggiore efficacia nel sottotipo con
restrizioni rispetto al sottotipo con abbuffate/condotte d’eliminazione (Halmi et al.,
1983). Nonostante questo farmaco sia ben tollerato ed il suo effetto sedativo avesse il
vantaggio di ridurre l’iperattività motoria, gli effetti della ciproeptadina sono risultati
comunque limitati e pertanto questo agente non è stato ampiamente utilizzato nel
trattamento dell’AN.
Tetraidrocannabinolo
In considerazione delle proprietà stimolanti l’appetito e antiemetiche del
tetraidrocannabinolo, alcuni autori hanno studiato i suoi effetti in pazienti con AN. In
uno studio crossover in doppio-cieco di 4 settimane in 11 pazienti che ha confrontato il
THC orale al diazepam, non è stato riscontrato alcun effetto significativo sull’introito di
cibo o l’aumento di peso (Gross et al., 1983). Pazienti che ricevevano il THC hanno
sperimentato alcuni effetti collaterali negativi, tra cui disturbi del sonno. Pochi pazienti
sono usciti dallo studio a causa di disforia, paranoia e sensazione di essere fuori
controllo.
Cap. 9
Riassunto
Nel Capitolo 1 viene introdotto l’argomento del dropout dalla psicoterapia e dai
trattamenti in genere nei DCA, con particolare riferimento all’eziopatogenesi
biopsicosociale di tali disturbi e alle difficoltà metodologiche insite nello studio del
processo psicoterapeutico. Lo studio dei dropout, ed in particolare delle caratteristiche
correlate all’interruzione precoce della psicoterapia, rappresenta un tentativo innovativo
e coraggioso di approfondimento nel campo della ricerca in psicoterapia psicodinamica.
Nel Capitolo 2 viene presentata una ampia sintesi della più recente letteratura
riguardante il trattamento farmacologico dei DCA, con particolare riferimento alle
difficoltà di interpretazione dei risultati degli studi presentati e delineando le nuove
prospettive nell’ambito del trattamento farmacologico dei DCA.
Nel Capitolo 3 viene presentata una ampia sintesi della più recente letteratura
riguardante il trattamento psicologico dei DCA, con particolare riferimento alle
difficoltà di interpretazione dei risultati degli studi presentati e delineando le nuove
prospettive. Nel capitolo vengono presi in considerazione sia trattamenti individuali che
di gruppo, sia familiari, e secondo i modelli teorici di riferimento più studiati e
perfezionati.
Nel Capitolo 4 viene presentato il trattamento psicologico a cui sono state
inviate le pazienti affette da DCA dei due contributi clinici presentati, vale a dire
l’Adlerian-Brief Psychodynamic Psychotherapy (A-BPP). Presupposti teorici,
indicazioni terapeutiche, obiettivi terapeutici e peculiarità tecniche sono illustrate alla
luce delle ricerche condotte sia dai primi studiosi dell’Individual Psicologia di Alfred
Adler, sia dei più recenti autori internazionali di formazione Adleriana.
Nel Capitolo 5 vengono illustrati i materiali e metodi utilizzati nei contributi
clinici per lo studio delle caratteristiche personali, cliniche e psicometriche associate al
fenomeno del dropout.
Nel Capitolo 6 è illustrato lo studio del fenomeno del dropout condotto su di un
campione di pazienti anoressiche presso il Centro per la diagnosi e la cura dei DCA
dell’Università di Torino.
Nel Capitolo 7 è illustrato lo studio del fenomeno del dropout condotto su di un
campione di pazienti bulimiche presso il Centro per la diagnosi e la cura dei DCA
dell’Università di Torino. A differenza del primo contributo clinico, nel secondo il tipo
di trattamento (combinato psicoterapia-farmacoterapia) poneva peculiari problemi
metodologici, che vengono affrontati nel corso della discussione.
Nel Capitolo 8 si sottolineano le implicazioni terapeutiche di un tale tipo di
studio e si traggono le conclusioni legate agli aspetti emergenti e a quelli che invece
necessiteranno di ulteriori approfondimenti.