INTRODUZIONE
Il presente lavoro si propone di analizzare e discutere il fenomeno degli
Hikikomori, una sindrome comparsa solo di recente che si sta diffondendo come una
pandemia interessando circa un milione di giovani giapponesi con le proprie
manifestazioni: ritiro sociale dalle normali attività, dipendenza dalla rete Internet,
abbandono della progettualità ed espressioni di violenza.
Una prima parte del lavoro si occupa di esplorare il contesto storico-culturale in
cui i giovani interessati dalla sindrome sono inseriti, con il tentativo di comprendere
quali meccanismi sociali, psicologici e culturali possano entrare in gioco nell’eziologia
della patologia.
Il secondo capitolo si occupa di analizzare il ruolo svolto dalla rete Internet nel
mantenimento della patologia, l’influenza del sistema educativo tipico giapponese
(impregnato di significati e valori rimasti immutati quali espressioni della più antica
tradizione culturale) e la sua profonda relazione con particolari caratteristiche
psicologiche dei soggetti Hikikomori, l’espressione frequente del bullismo “ijime”
quale causa principale di abbandono scolastico.
Infine, nel terzo capitolo, ci si focalizza sulle possibilità di intervento terapeutico
applicato alla sindrome Hikikomori. Si apprende dalla letteratura come in Giappone
non vi siano che poche strutture dedicate, per lo più organizzazioni no-profit che si
occupano principalmente del reinserimento lavorativo dei soggetti. Un intervento più
squisitamente psicologico è qui proposto in forma integrata, nelle varianti sistemico-
relazionali, cognitivo-comportamentali, cognitivo-causali e dell’auto-mutuo-aiuto.
1
CAPITOLO I
IL FENOMENO DEGLI HIKIKOMORI E LA CULTURA
GIAPPONESE
1.a. Definizione e contestualizzazione degli Hikikomori
La terra del Sol Levante è un arcipelago del continente asiatico collocato tra
l’Oceano Pacifico e il Mare del Giappone. Malgrado conti quasi tremila isole,
solamente quattro sono quelle nelle quali risiede la quasi totalità della popolazione. Dal
momento che circa il 73% del paese è montuoso, esso risulta difficilmente edificabile
per la numerosa popolazione che si concentra pertanto in nuclei urbani delimitati e ad
altissima densità demografica.
Oggi il Giappone rappresenta la terza potenza economica mondiale, caratterizzata
da un alto costo della vita, tradizioni fortemente radicate ed un codice di condotta molto
ristretto. Il tasso di natalità negli ultimi anni si è abbassato fino a 1,3 figli per donna:
questo ha portato il nucleo familiare ristretto a caricare di aspettative e speranze il
figlio, unica immagine di genitorialità della coppia. Le elevate aspettative genitoriali,
insieme con la cultura che caratterizza l’arcipelago, il sistema scolastico ed il sistema
valoriale distante da quello cui siamo abituati in Occidente potrebbero essere le vie da
percorrere per conoscere e caratterizzare un fenomeno sociale che negli ultimi anni si è
molto diffuso in Giappone e che comincia a fare la sua comparsa anche nei Paesi
Occidentali. La sindrome cui si fa riferimento prende il nome di Hikikomori.
Il termine Hikikomori indica un individuo che si isola e si ritira dalla società: la
parola giapponese unisce hiku, “tirare”, con komoru, “ ritirarsi”, veicolando insieme il
concetto di “frenarsi ed isolarsi”.
I dati ufficiali enumerano circa un milione di individui, circa il 2% della
popolazione giovanile, tra gli adolescenti che hanno fatto del ritiro e dell’isolamento la
“loro filosofia di vita”. In particolare i ragazzi colpiti dalla sindrome di Hikikomori
sarebbero maschi in circa il 90% dei casi, primogeniti o figli unici, di estrazione sociale
medio-alta, con il padre laureato che occupa una posizione dirigenziale e la madre
2
anch'essa laureata ma quasi sempre casalinga.
Come affermato da Michael Zielenziger
1
, giornalista tra i primi ad occuparsi degli
Hikikomori, gli individui oggetto del nostro focus sono spesso giovani adulti
intelligenti, ricchi di interessi, di mentalità aperta, ricettivi e pieni di idee valide sulla
società e su se stessi, inseriti in una società che predica l'importanza dell'obbedienza,
della disciplina, dell'inibizione di sé, della coesione di gruppo, in un mondo di adulti
che investe principalmente su valori consumistici e sul successo personale.
Una visione più ampia del fenomeno viene fornita da Amy Borovoy
2
che nel suo
articolo Japan’s Hidden Youths: Mainstreaming the Emotionally Distressed in Japan
attribuisce le cause e l'enorme diffusione del fenomeno alle istituzioni giapponesi che si
occupano di salute mentale, sottolineando come esse dedichino poca attenzione alla
cura delle malattie mentali fornendo poche strutture per accogliere persone con
problemi e dimostrandosi reticenti nel fare diagnosi e trattamenti riabilitativi individuali
che prevedano anche l'utilizzo di farmaci. La Borovoy evidenzia che parte della
responsabilità del fenomeno degli Hikikomori sarebbe inoltre da attribuire alle agenzie
educative giapponesi, che utilizzano pratiche educative fortemente incentrate sulla
conformità e l'uguaglianza tra gli individui allo scopo di incorporare tutti entro il
sistema di valori della classe media, lasciando poco spazio e rilevanza alle
caratteristiche particolari che differenziano le persone. Quello che l'autrice tende a
mettere in risalto nell'articolo è la tendenza della società e delle istituzioni giapponesi a
preferire un oscurantismo dei problemi piuttosto che un intervento attivo per risolverli.
Possiamo pertanto ipotizzare che il duplice aspetto della personalità e delle
capacità del ragazzo da un lato e delle regole e di una cultura altamente condizionante
dall’altro, possano determinare nell’individuo l’insorgenza di un conflitto in grado di
generare ritiro e una completa chiusura in sé.
I tentativi compiuti da alcuni autori di risalire all'eziologia del fenomeno hanno
portato a rilevare degli elementi comuni nella vita dei ragazzi affetti, quali le violenze
subite a scuola, la pressione delle aspettative genitoriali ed una incapacità di omologarsi
al gruppo.
1
Zielenziger M., Non voglio più vivere alla luce del sole, 2008 Elliot Edizioni s.r.l
2
Borovoy A., Japan’s Hidden Youths: Mainstreaming the Emotionally Distressed in Japan. Published
on-line: 26 September 2008 Springer Science+Business Media, LLC 2008
3
La loro volontaria e ostinata forma di auto-reclusione che si origina durante
l’adolescenza e che nei casi più gravi può protrarsi anche per più di una decina di anni
tende a estendersi rapidamente finendo con il tradursi in un evitamento dei rapporti più
intimi interni alla famiglia e di quelli connessi alla rete amicale.
Nella primavera del 2003 il Ministero della Sanità, del Lavoro e delle Politiche
Sociali giapponese ha pubblicato delle “linee guida” per tratteggiare formalmente la
natura degli Hikikomori.
Il Ministero fornisce i seguenti criteri specifici per identificare la sindrome:
- assenza di motivazione ad andare a scuola o al lavoro
- assenza dei criteri per la diagnosi di schizofrenia, in particolare negli
Hikikomori mancano le allucinazioni, i deliri e l'eloquio disorganizzato
- assenza di altri disturbi mentali quali psicosi o agorafobia (a differenza
degli agorafobici che, pur non uscendo di casa riescono ad instaurare delle
relazioni, gli Hikikomori tagliano ogni relazione)
- durata della sintomatologia per più 6 mesi.
Dal Ministero non arriva nessuna informazione rispetto alle cause, alle possibili
cure o ai motivi per cui tale sindrome sembra essersi sviluppata solo in Giappone.
1.b. Il concetto di Amae e le ripercussioni sul sistema di attaccamento
In considerazione della forte localizzazione del fenomeno Hikikomori, la sua
conoscenza e comprensione passa necessariamente attraverso la presa in analisi di
alcuni valori cardine della cultura giapponese.
Il termine Amae, che può essere approssimativamente tradotto con “dipendere
dalla benevolenza altrui”, è un concetto chiave per comprendere la struttura psicologica
dei giapponesi
3
.
In Giappone l'Amae indica il fondamento necessario al mantenimento di relazioni
equilibrate; esso poggia su altri valori giapponesi quali la “riservatezza”, il “dovere
3
Doi T. (1973), The Anatomy of Dependence, Kondansha International (trad. it. 1991, Anatomia della
Dipendenza, Cortina Milano)
4
sociale” e la “vergogna”, capisaldi della cultura giapponese che caratterizzano tutte le
fasi della vita, sin dal grembo materno, definendo e modellando ogni rapporto che
l’individuo instaura: madre-figlio, marito-moglie, lavoratore-datore di lavoro, allievo-
insegnante, seguace-leader, ecc.
L'Amae nasce nel bambino nel momento in cui egli acquista la consapevolezza di
essere un individuo separato dalla madre e si trova “costretto” ad accettarne la
separazione fisica nonostante ne avverta come indispensabile la vicinanza. Veicolato
quale valore imprescindibile anche nei soggetti affetti da Hikikomori, esso potrebbe
essersi accompagnato in questi casi ad una “risposta non adeguata” da parte della madre
alla segnalazione del primo comportamento di attaccamento del bambino: potremmo
ipotizzare la formazione di un attaccamento di tipo ansioso-ambivalente, ove il
messaggio principalmente veicolato al bambino potrebbe essere stato “Non sono in
grado di fungere per te da figura di riferimento. Tieni innanzitutto alla forma e al
rispetto dell'altro, più valevole e più meritevole di te, giacché - separato da me, che
rimango bisognosa di te - avrai necessità del suo sostegno”. Il bambino - futuro
Hikikomori - potrebbe aver sperimentato pertanto nelle prime fasi della formazione del
legame con la prima figura di riferimento una “paura senza sbocco” quale conseguenza
della discontinuità della possibilità di affidamento e della colpa indotta, ed aver
sviluppato ipercoscienziosità ed iperresponsabilizzazione con repressione degli affetti
ambivalenti. Struggimento e collera repressi, tuttavia, potrebbero finire con l'agire
come sistemi attivi sulla personalità e, laddove l'individuo non si percepisca più in
grado - immaginativamente o realmente - di attendere alle aspettative genitoriali, egli
potrebbe scegliere di dare inizio ad un distacco progressivo dalla relazione con la
madre, poi per estensione con le altre figure significative ed infine con il resto del
mondo.
Tale processo non sarebbe privo di frustrazione per l’individuo, che, esortato a
fare diversamente attraverso il richiamo rinnovato alla responsabilità e al rispetto
dell'altro, potrebbe arrivare ad esercitare violenza nei confronti dei propri genitori.
5