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però, questi obiettivi sono raramente raggiunti, data la difficoltà da parte del centro
di controllare l’operato della periferia. Inoltre, il sistema prevede limitatissime
possibilità di adattare l’offerta dei servizi alla realtà delle varie aree del paese e alle
preferenze espresse dai loro cittadini. Si tratta dunque di un sistema che è entrato
in crisi nei paesi sviluppati.
Il secondo modello di governo territoriale è quello della devoluzione, o
decentralizzazione spaziale. In esso le responsabilità e le competenze nelle varie
materie sono ripartite fra governi di diverso livello. Oltre a quello centrale, esistono
quelli locali, o più in genere sub-nazionali, che sono dotati di autorità politica, che
trovano la propria legittimazione nell’elezione popolare dei propri organi, e che
hanno competenza su una determinata area del territorio. Ogni governo, o
giurisdizione, è in genere responsabile di un certo numero di competenze e
dispone di un bilancio e, di norma, di entrate proprie. Le unità locali, infatti, sono
autonome, indipendenti e considerate chiaramente come livelli separati di governo,
sui quali le autorità centrali esercitano un esiguo livello di controllo, quando lo
esercitano.
Si può concludere quindi che il modello della devoluzione o decentralizzazione
spaziale pone l’attenzione in particolar modo sulla responsabilità e sulla
soddisfazione delle preferenze differenziate dei cittadini.
Il terzo modello di governo territoriale è costituito dai sistemi federali. Un sistema
federale nasce da un accordo fra stati federati e quindi assegna ad essi non tanto e
non solo maggiori competenze che in un sistema di decentralizzazione spaziale,
ma soprattutto maggiori garanzie sul mantenimento delle competenze e soprattutto
della loro autonomia. Infatti la modificazione delle competenze degli stati federati
può avvenire in ogni caso solo con un processo di revisione costituzionale e , in
taluni sistemi, con l’approvazione della maggioranza degli stati federati.
In definitiva, un sistema federale può assicurare un grado elevato di
decentralizzazione, mantenibile nel tempo con maggiore sicurezza delle altre
versioni di governo decentralizzato.
Le diverse discipline sociali hanno dedicato largo spazio all’individuazione dei
vantaggi e degli svantaggi dei sistemi di governo territoriale decentralizzati. Tra
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queste, focalizzeremo l’attenzione sulla scienza politica e sulla sociologia
dell’organizzazione.
Gli apporti del pensiero politico sono i più antichi e sono molto rilevanti. La
posizione favorevole al governo locale si basa su un’affermazione principale: la
decentralizzazione rende il governo più vicino al popolo, favorisce il coinvolgimento
dei cittadini nella gestione degli affari pubblici, ne rafforza le possibilità di controllo
sui governanti.
Per dirla con Montesquieu “ In una democrazia di piccole dimensioni, l’interesse
pubblico diventa più evidente, meglio compreso e più alla portata dei cittadini”.
Anche Jefferson, fra i padri fondatori della democrazia americana, scrive “ Non è
attraverso il consolidamento o la concentrazione di poteri, ma attraverso la loro
distribuzione che si stimola il buon governo”.
Il cittadino ripone nel comune la sua ambizione, in questa sfera ristretta che è alla
sua portata, cerca di governare la società, s’abitua alle forme in mancanza delle
quali la libertà potrebbe avanzare solo tramite rivoluzione penetra nel loro spirito,
prende gusto all’ordine, comprende l’armonia dei poteri e si fa infine idee chiare e
pratiche sulla natura dei suoi doveri e sull’estensione dei suoi diritti.
Oltre alla garanzia e alla tutela della libertà attraverso la partecipazione e la
funzione di educazione all’amministrazione della Res Publica, il pensiero politico ha
attribuito un terzo vantaggio alla decentralizzazione del potere: quello della tutela
delle minoranze nelle società etnicamente molto differenziate. Tipico il caso odierno
delle minoranze linguistiche in molti paesi europei.
La posizione contraria al governo locale si concentra , invece, sul problema
distributivo. A livello locale minore è la possibilità di composizione degli interessi,
anche perché minori sono le competenze di governo e quindi le politiche attuabili. È
dunque difficile che una forte decentralizzazione permetta la realizzazione delle
politiche redistributive tipiche delle democrazie moderne.
Un secondo profilo, ancora extra-economico, per valutare i pro e i contro della
decentralizzazione è offerto dalla teoria sociologica dell’organizzazione. La tesi
tradizionale, sposata anche da economisti come Stuart Mill, sosteneva che limiti
evidenti alla capacità amministrativa di un governo centrale. La decentralizzazione
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era dunque una via obbligata per aumentare o semplicemente per rendere
accettabili i livelli di efficienza amministrativa.
Gli sviluppi della teoria dell’organizzazione tendono infatti a favorire le piccole
dimensioni, perché la catena del comando è più corta. Le decisioni prese al vertice
sono trasmissibili facilmente alla base. In aggiunta, vi sono meno perdite e
distorsioni nella trasmissione delle informazioni in senso inverso, cioè dalla base al
vertice.
Oltre ai teorici delle discipline classiche, anche numerosi economisti hanno
elaborato alcune giustificazioni dei sistemi di governo decentralizzato.
Secondo la teoria del “ federalismo competitivo “, che è la teoria più interessante
elaborata in anni recenti, il maggior vantaggio di un sistema di governo
decentralizzato sta nella concorrenza fra i poteri che esso induce e negli effetti
positivi che da ciò derivano sul funzionamento complessivo del settore pubblico.
Infatti in un sistema decentralizzato i cittadini possono appellarsi per soddisfare una
propria necessità, volta a volta, al governo centrale o ai governi locali dove
risiedono, oppure confrontare il governo del proprio comune con il governo di un
altro comune, ponendo in tal modo in concorrenza il governo centrale con quelli
locali, oppure i governi locali fra loro.
Siamo abituati a considerare come benefica la concorrenza in economia, ma a
rifletterci bene la concorrenza fra poteri e fra istituzioni politiche è altrettanto
vantaggiosa.
1.3 La decentralizzazione come soddisfazione delle preferenze individuali
Secondo un modello sviluppato negli anni ’70 da Wallace Oates, la
decentralizzazione trae principale giustificazione dalla sua capacità di soddisfare le
preferenze di un numero maggiore di cittadini rispetto ad un sistema centralizzato.
Il modello si basa su due ipotesi fondamentali . La prima è che un governo di tipo
centralizzato sia in grado di produrre un’unica politica su tutto il territorio. Per avere
dunque differenziazione, occorre introdurre un sistema decentralizzato. L’ipotesi
presa in considerazione da Oates è eccessiva, nel senso che diversità territoriali
nelle politiche sono possibili anche in un sistema governato totalmente dal centro.
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La seconda ipotesi è che le giurisdizioni locali sono disegnate in maniera tale da
contenere al loro interno persone che hanno preferenze omogenee circa le
politiche locali. Questa seconda ipotesi è valida probabilmente solo in società con
forti differenziazioni di tipo etnico o linguistico, ma non corrisponde alla maggior
parte delle società odierne. Comunque il modello serve a mettere in evidenza
alcune proprietà dei governi decentralizzati.
Supponiamo che la collettività nazionale sia divisa in due gruppi di persone che
formano due comunità geograficamente distinte che chiamiamo C ed A, e che il
problema sia di individuare la quantità da produrre di un certo bene X ( con
processo di produzione in condizione di rendimenti di scala costanti ).
Supponiamo ancora che in ognuna delle due giurisdizioni tutti i cittadini abbiamo
gusti identici, cosicché esiste una sola curva di domanda per ognuna.
La situazione è rappresentata nella figura 1 che segue .
FIGURA 1
DC è la curva di domanda della prima giurisdizione. DA quella della seconda.
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Con la soluzione decentralizzata si produrrebbe QC nella prima e QA nella seconda.
La soluzione centralizzata non può che essere una mediazione fra le quantità
preferite delle due comunità : supponiamo la quantità QB . La soluzione, come si
vede, obbliga i cittadini della prima giurisdizione a consumare, dato il prezzo, una
quantità maggiore di quella che avrebbero desiderato consumare, se avessero
potuto decidere da soli. Il contrario, cioè un consumo inferiore a quello desiderato,
vale per la seconda giurisdizione.
La soluzione accentrata fornisce un livello di X pari a QB che non tiene conto della
differenziazione delle preferenze. Entrambe le giurisdizioni subiscono una perdita di
benessere dovuta per A al fatto che veniva domandata una quantità QA > QB per la
quale si era disposti a pagare un prezzo più alto rispetto a quello pagato con una
perdita quindi di benessere.
Per C vale il discorso opposto, ovvero che ottiene di più di quanto domanda ad un
prezzo superiore con una risultante perdita di benessere.
La soluzione decentrata, al contrario, consentirebbe ad entrambe le comunità di
realizzare la quantità ottimale domandata, la soluzione decentrata è quindi Pareto
superiore alla soluzione accentrata.
Ci sono però alcune svantaggi nell’utilizzo della teoria di Oates.
In primo luogo le ipotesi sono molto restrittive, il modello risulta essere quindi molto
rigido. Per esempio abbiamo già visto che è possibile che lo stato centrale sia in
grado di erogare servizi differenziati.
Un altro elemento di criticità nei confronti della teoria proposta da Oates è il fatto
che il costo marginale dell’offerta del bene non è detto che sia costante. Di
conseguenza potrebbero risultare curve non lineari con effetti di benessere non
così chiari.
1.4 Alcune teorie sulla formazione dei governi locali
Storicamente i governi locali hanno avuto modi diversissimi di formazione. Esistono
però alcuni modelli che analizzano in termini teorici la formazione dei governi locali
astraendo dalle peculiarità storiche ed istituzionali.
Il primo modello che analizzeremo sarà la teoria economica dei club.
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La teoria dei club, sviluppatasi a partire da un famoso articolo di J. Buchanan del
1955, è una delle più importanti teorie che mirano alla spiegazione delle dimensioni
ottimali dei livelli di governi decentrati. In questa teoria si pensa alla popolazione
come ad un gruppo di individui accomunati da preferenze analoghe, come se
fossero appunto membri di un club. Diverse sono poi le ipotesi che rendono
possibile l’utilizzo di questa teoria. Si ipotizza che :
• Esista un meccanismo di rivelazione delle preferenze
• Le variabili rilevanti siano la popolazione e la quantità di beni offerti
• Sia possibile costruire una funzione di produzione del servizio una volta
fissato il livello desiderato delle attività
• Il costo del servizio sia decrescente rispetto al numero di cittadini, ovvero
diminuisca il costo all’aumentare del numero dei cittadini
• I costi marginali siano costanti
• Vi sia corrispondenza tra offerta del servizio e livello amministrativo
• Vi siano preferenze omogenee all’interno delle comunità locali
Tralasciando la giustificazione matematico- finanziaria della teoria dei club poiché
non fondamentale per la nostra trattazione, consideriamo ora la conclusione alla
quale suddetta teoria giunge. La conclusione sta nel fatto che per definire la
dimensione ottimale di un ente locale ( quanti individui deve servire) occorre
determinare simultaneamente il numero dei cittadini e la quantità del servizio offerto
realizzando un compromesso tra essi.
La teoria dei club infatti offre una misura della dimensione del decentramento,
ovvero fino a quale livello è opportuno creare centri di governo.
Sintetizzando :
La teoria sociologica dei club viene applicata per l’analisi del funzionamento dei
governi locali.
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IPOTESI
N = Popolazione del club
Q = Quantità di servizio prodotta
OBIETTIVO= Massimizzazione del beneficio pro-capite netto
Max Bn = B(N,Q) – C (N,Q) dove B (N,Q) rappresenta i benefici netti derivanti dal
servizio e C(N,Q) = aQ/N rappresenta invece i
costi dello stesso
TRADE OFF TRA:
Vantaggi (al margine):
•Maggiore Q (quota di costo decrescente per saturazione)
•Maggiore N (condivisione dei costi)
Svantaggi (al margine):
•Maggiore Q (a è una quota costante dei costi)
•Maggiore N (congestione del servizio)
FIGURA 2