INTRODUZIONE
Ogni Stato ha un determinato modello di rapporto centro-periferia che distri-
buisce competenze di spesa e competenze d'entrata, quindi tributarie, tra i diversi livelli di
governo. Il federalismo fiscale in sostanza determina la politica dei rapporti finanziari tra i
diversi livelli di governo, che a livello teorico può essere: centralista, in cui cioè gli enti de-
centrati hanno funzioni minime e il centro controlla funzioni, servizi e fonti di finanzia-
mento; regionale, in cui i territori hanno maggiori funzioni e autonomia parziale ma non
hanno potestà tributaria; federale, in cui i territori sono Stati autonomi con potestà tributa-
ria ma agiscono comunque secondo obiettivi comuni. In Italia prima della riforma del 2001
esisteva un modello regionale. Tale riforma ha trasformato l'assetto istituzionale avvicinan-
dosi ad un modello federale; infatti alle Regioni è stata concessa potestà legislativa e pote-
stà di istituire tributi propri. Il punto critico dell'assetto istituzionale così delineato dalla ri-
forma del 2001 è che sulla carta gli enti territoriali sono dotati di ampie funzioni e autono-
mia sia di spesa sia di entrata, in pratica invece l'autonomia di spesa è stata esercitata nel
corso degli anni, causando anche un aumento esponenziale della spesa pubblica dovuto
principalmente ad un sistema di finanziamento che non ha mai responsabilizzato gli enti
territoriali e anche ad un mal governo dei territori, e l'autonomia di entrata non è mai stata
esercitata. Il problema dell'autonomia di entrata è il problema maggiore del federalismo fi-
scale in Italia. Infatti nel corso degli anni gli enti territoriali si sono trovati in una situazio-
ne in cui i trasferimenti, quindi le risorse raccolte sul territorio e redistribuite dallo Stato
centrale, hanno costituito un'alta percentuale delle fonti di finanziamento, non consentendo
mai quindi un' appropriazione diretta del gettito del territorio e in cui le altre fonti di finan-
ziamento (esclusi i tributi propri) sono state caratterizzate principalmente da addizionali e
compartecipazioni a tributi erariali, quindi fondamentale da fonti vincolate. Questo manca-
to coordinamento tra fonti di finanziamento, quindi autonomia di entrata, e autonomia di
spesa ha causato una mancata responsabilità nella funzione allocativa, funzione propria de-
gli enti decentrati. Quindi gli anni del federalismo fiscale in Italia sono stati caratterizzati
principalmente da sprechi, inefficienze e da un sistema non improntato sulla virtuosità. Il
capitolo primo di questo lavoro in particolare illustra le riforme essenziali dal 2001 ad
oggi; riforme che tuttavia rimangono ancora sulla carta. Nella prima parte del capitolo ter-
zo invece vengono illustrate le conseguenze che questo decentramento incompiuto ha cau-
sato nei rapporti tra gli enti territoriali e in generale nella finanza pubblica.
1
Il tutto è stato profondamente aggravato da due problemi fondamentali. Il pri-
mo riguarda le profonde differenze territoriali presenti in Italia riguardanti distribuzione del
reddito e gestione dei territori locali; queste differenze tuttavia sono state attenuate nel cor-
so degli anni da un sistema di trasferimenti che ha fondamentalmente aumentato le ineffi-
cienze, togliendo risorse agli enti virtuosi. Il secondo invece riguarda la crisi finanziaria e il
peso sempre crescente del debito pubblico. Questi problemi di finanza pubblica hanno an-
cora di più ostacolato l'autonomia territoriale, in quanto lo Stato centrale ha effettuato una
serie di manovre volte a raccogliere il maggior numero di risorse dai territori, e quindi vol-
te a privare gli enti territoriali della propria autonomia. Inoltre questo ha anche portato a
quello che è l'argomento essenziale del secondo capitolo di questo lavoro: il Patto di stabi-
lità interno. Introdotto a fine anni 90 il Psi ha indubbiamente influenzato il processo di de-
centramento e l'autonomia degli enti territoriali. Nella seconda parte del terzo capitolo ven-
gono analizzati gli effetti del Patto di stabilità interno (Psi), che si possono tradurre princi-
palmente in una riduzione delle spese in conto capitale.
Ciò che emerge da questo lavoro nel suo insieme è che l'unione di un federali-
smo fiscale mal attuato e l'introduzione di vincoli europei, il tutto aggravato da differenze
territoriali e crisi finanziaria, ha portato a risultati principalmente negativi (aumento della
spesa pubblica e del debito pubblico, aumento della pressione fiscale, non risoluzione delle
differenze territoriali presenti nel Paese).
Tuttavia se si arrivasse ad una vera attuazione del federalismo fiscale, e quindi
se fosse realizzato quel binomio territorialità del prelievo – responsabilità di spesa e anche
un sistema solidale di trasferimenti efficiente (basato ad esempio sui costi standard, come
propone la legge delega del 2009 ancora inattuata), si potrebbero risolvere i problemi di
malgoverno locale e di inefficienza allocativa. Resta comunque il fatto che fino a quando
non sarà risolto del tutto il problema della finanza pubblica e del debito pubblico, il federa-
lismo fiscale non avrà facile attuazione.
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CAPITOLO 1
DECENTRAMENTO INCOMPIUTO
1.1 PREMESSA
Il federalismo, e in particolare il federalismo fiscale, è stato un tema ampia-
mente dibattuto in Italia a partire dalla seconda metà degli anni novanta. Le conclusioni
che si possono trarre circa vent'anni dopo sono che da un lato c'è stata una forte richiesta,
incompiuta, di decentramento verso il basso di funzioni politiche e amministrative, dall'al-
tro invece un progressivo trasferimento delle funzioni nazionali a livelli superiori, ovvero
all'Unione Europea. Ne deriva quindi un quadro istituzionale poco chiaro che ha prodotto
risultati a volte opposti rispetto ai principi cardine della teoria del federalismo fiscale. Il fe-
deralismo fiscale infatti punta a massimizzare l'efficienza in riferimento ai rapporti tra di-
versi livelli di governo attraverso la maggiore responsabilizzazione delle amministrazioni
locali, il rispetto della diversità delle preferenze dei cittadini dei governi locali e la maggio -
re crescita economica
1
.
In sostanza la teoria del federalismo fiscale ruota attorno al concetto di bene
pubblico locale, ovvero al fatto che membri di diverse comunità hanno preferenze diverse e
quindi l'offerta di servizi pubblici deve essere differenziata a livello territoriale, con la na-
turale conseguenza che gli enti territoriali devono avere risorse autonome per gestire la
propria spesa ottimale. A livello teorico in un sistema federale l'attività pubblica e le sue
funzioni essenziali, ovvero stabilizzazione, distribuzione e allocazione (Musgrave 1989),
sono ottimizzate se le prime due sono gestite a livello centrale e l'ultima a livello decentra-
to (Oates 1999). La funzione allocativa gestita a livello decentrato ottimizza il benessere
complessivo dei residenti di una comunità in quanto tiene conto delle variazioni nelle pre-
ferenze riguardo alla composizione nella fornitura di beni e servizi pubblici tra i cittadini
che compongono le diverse comunità locali.
In Italia l'assetto Costituzionale prevede cinque livelli di governo: Comuni,
Province, Città metropolitane, Regioni e Stato (articolo 114 Costituzione). In generale le
Regioni hanno una funzione di programmazione e controllano una delle più importanti fun-
zioni della spesa di welfare, ovvero il sistema sanitario, ai Comuni spettano funzioni di of-
1 Bordignon M. (2005), Alcune tesi su federalismo fiscale all'italiana, Economia Italiana n.2, pagina 2
3
ferta di servizi pubblici locali e le Province e le Città metropolitane (recentemente introdot -
te) secondo gli orientamenti attuali sarebbero destinate a diventare enti di secondo livello
rispetto a Comuni e Regioni.
Tuttavia questo decentramento di funzioni deve necessariamente essere accom-
pagnato da un decentramento di entrate, evento che non si è verificato in maniera definitiva
in Italia, dove per molti anni ci si è affidati ad un sistema di trasferimenti a destinazione
non vincolata con finalità perequativa che hanno premiato l'inefficienza invece di diminuir-
la. A questa mancanza di risorse proprie si è aggiunto un sistema di controlli inefficace da
parte del centro. Infatti il decentramento dovrebbe avere come conseguenza che i governi
locali siano autonomi negli ambiti di loro competenza, ma che comunque agiscano nell'am -
bito dell'interesse nazionale e siano sottoposti a controlli da parte del centro. Invece nel
corso degli anni sono solo aumentati i controlli dei patti di stabilità interni che si sono fatti
sempre più invasivi dell'autonomia locale senza impedire che si accumulassero sprechi e
inefficienze in molte Regioni
2
.
Il punto fondamentale è che il federalismo italiano non è mai riuscito ad accen-
tuare quel binomio di autonomia e responsabilità che ne rappresenta l'essenza e i trattati
Europei stipulati per ridurre le inefficienze hanno in realtà creato degli effetti distorti che
verranno analizzati nel capitolo terzo di questo lavoro. Questo primo capitolo mira a forni-
re un riepilogo delle politiche italiane dalla riforma costituzionale del 2001 ai decreti attua-
tivi del biennio 2010-2011 e agli orientamenti attuali, in quanto per analizzare l'effetto del-
le politiche Europee è necessario comprendere il contesto con il quale l'Italia si è avvicina-
ta a tali politiche.
1.2 LA RIFORMA COSTITUZIONALE DEL 2001
La riforma costituzionale 18 ottobre 2001, n.3, ha innovato radicalmente l'as-
setto istituzionale dello Stato, che prima di tale riforma era caratterizzato dalla preminenza
del ruolo dello Stato centrale. Il cardine del nuovo assetto è sicuramente rappresentato dal-
l'articolo 114 il quale individua Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni come enti
autonomi con funzioni e statuti propri, sottolineando quindi l'importanza di tali enti nell'as-
setto istituzionale. Tale articolo è orientato verso una visione pluralista dell'ordinamento
che considerato congiuntamente all'articolo 5 (“La Repubblica, una e indivisibile, ricono-
2 Bordignon M. , Dalla babele del Titolo V un decentramento da rifare, Il Sole 24 Ore , 25 maggio 2013
4
sce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più am-
pio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione
alle esigenze dell'autonomia e del decentramento”) sembra essere contrario a qualsiasi
operazione legislativa volta ad intaccare le autonomie territoriali.
Tuttavia tale articolo fa anche riferimento ad una Repubblica “una e indivisibi-
le”. Di conseguenza l'ente territoriale minore si trova in una sorta di tensione tra decentra-
mento ed unità
3
.
La nuova disciplina ha indubbiamente rafforzato il ruolo degli Enti Locali, in
particolare quello del Comune, che diventa il primo punto di riferimento vicino al cittadino
con ampia competenza amministrativa.
Gli articoli fondamentali per comprendere il nuovo assetto istituzionale sono
gli articoli 117, 118 e 119. I primi due regolano la ripartizione delle funzioni legislative e
amministrative mentre il 119 si concentra sulle fonti di finanziamento. Ed è proprio l'in-
completo collegamento tra il contenuto di questi articoli uno dei maggiori problemi del de-
centramento attuale.
1.2.1 IL RIPARTO DELLE COMPETENZE. L'ARTICOLO 117
Il riparto delle competenze, e quindi delle funzioni di spesa, dipende da come è
articolata la potestà legislativa, che l'articolo 117 affida allo Stato e alle Regioni. In partico-
lare tale articolo individua una potestà esclusiva dello Stato e una potestà concorrente dello
Stato e delle Regioni. Mentre nel testo antecedente alla riforma erano individuate esplicite
materie di competenza regionale, il nuovo testo inverte il criterio e quindi individua le
competenze regionali in via residuale per esclusione. Infatti il comma 4 di tale articolo di-
spone che “Spetta alle regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non
espressamente riservata alla legislazione dello Stato”.
A livello teorico
4
una buona ripartizione delle funzioni dovrebbe tener conto
che ci sono dei beni pubblici nazionali per i quali non è ammissibile la regionalizzazione, e
dei beni pubblici locali in cui una differenziazione di offerta è giustificabile da diversità di
preferenze e diversi livelli di reddito. A questo proposito l'articolo 117 secondo comma in-
3 Mastromarino A. (2012) , L'autonomia tributaria degli enti substatali in Italia : Il quadro costituzionale
di riferimento, Centro di studi sul Federalismo, pagine 6-7
4 Russo V ., Il riparto delle competenze nel nuovo articolo 117 della Costituzione e le proposte di modifica,
Società italiana di economia pubblica, Pavia, Università 3-4 ottobre 2003, pagina 5
5
dividua delle funzioni esclusive dello Stato quali la politica estera, l'immigrazione, la dife-
sa, la moneta, il sistema tributario, l'ordine pubblico, la cittadinanza etc. che necessaria-
mente sono ricondotte alla potestà legislativa statale in quanto rappresentano un interesse
pubblico nazionale non differenziabile a livello locale.
Particolare attenzione va posta sulla lettera e) di tale comma che indica tra la
materie esclusive la “perequazione di risorse finanziarie”. Tale funzione appare dal punto
di vista teorico giustamente affidata allo Stato, in quanto fa parte della funzione di redistri-
buzione. Tuttavia nel contesto italiano caratterizzato da doppi canali di trasferimento dal
governo centrale a Regioni ed Enti locali e dal ruolo dell'Unione Europea tale funzione do-
vrebbe forse rientrare tra le materie di competenza condivisa.
Un altro punto che merita di essere preso in considerazione è la lettera m) che
indica tra le competenze esclusive la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazio-
nale”. Tale lettera individua dei beni pubblici nazionali per i quali gli standard devono es-
sere uguali per tutti a prescindere da preferenze e livelli di reddito. Cioè individua i livelli
essenziali delle prestazioni che rappresentano il nucleo essenziale del welfare state come la
tutela della salute e la previdenza sociale. Nel contesto italiano caratterizzato da forti squi-
libri, meccanismi tali di perequazione e garanzia di standard omogenei risultano fondamen-
tali. Ed è proprio questa attenzione posta sull'assicurare a tutti i nuclei territoriali dei livelli
minimi essenziali che porta a definire il federalismo italiano come cooperativo, e non come
competitivo
5
.
Per quanto riguarda le materie di legislazione concorrente esse riguardano fon-
damentalmente attività di carattere economico e attività del welfare state, nelle quali assu-
me particolare importanza la “tutela della salute”. Tale funzione era precedentemente alla
riforma affidata alle Regioni, infatti essa costituisce una grandissima percentuale del loro
bilancio ed è anche una delle voci principali dello squilibrio regionale. Mantenere tale fun-
zione tra quelle condivise da un lato tiene conto dell'impossibilità di togliere una funzione
ad un ente una volta assegnata e dall'altro lascia al governo centrale compiti di coordina-
mento di un bene pubblico essenziale
6
. Infatti per tutte le materie concorrenti è stabilito che
“spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi
fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”. In sostanza secondo tale disposizio-
5 Corazzo U. Martini L. (2009), Il federalismo fiscale e la finanza degli enti territoriali, Enti locali, Halley
editrice , pagina 55
6 Russo V ., Op.cit., pagina 10
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