7
CAPITOLO I
Il federalismo fiscale nel nuovo art.
119 Cost.
§ 1.1 - Premessa : dalla Legge Bassanini alla riforma
del Titolo V della Costituzione
Poche parole, nel linguaggio giuridico, hanno conosciuto lo
straordinario successo del “federalismo”, e poche parole presentano
un analogo tasso di ambiguità.
Nato per indicare una specifica forma di organizzazione del
potere politico, quella designata dalla Costituzione degli Stati Uniti
d’America, il termine “federalismo” è passato a definire qualsiasi
assetto organizzativo nel quale il potere è diviso su base
territoriale
1
. Si tratta di un processo dinamico, messo in moto dalle
comunità politiche territoriali, che può interessare ordinamenti non
necessariamente coincidenti con gli Stati federali. Il federalismo
viene pertanto a essere svincolato dalla questione della sovranità, e
viene piuttosto visto come un principio per l’organizzazione della
1
Tale esp ression e, entrata nell’uso co mune, presenta forti asp etti di ambiguità
in quanto, nel contesto statunitense le istituzioni si dicono federali quando so no
alle dipenden ze del go verno centrale, mentre d a no i questa espressione è stata
assunta a simbolo del localismo della tassazione. G. Scarlata, “Il Diritto,
enciclopedia giu ridica d el sole 24 ore”, 2007, p. 382-386.
8
comunità politica, che può articolarsi in diversi gradi a seconda
delle relazioni tra governo, territorio e cittadini. Certo, ci sono dei
criteri e dei requisiti costituzionali senza i quali non si può
nemmeno parlare di federalismo come: l’autonomia legislativa
residuale in capo al singolo territorio; un assetto dei poteri
centro/periferia equilibrato, dove l’uno non tracima sull’altro; una
giustizia costituzionale arbitro dei conflitti tra governo centrale e il
governo periferico; una camera parlamentare rappresentativa delle
realtà territoriali; il riconoscimento dell’autonomia finanziaria di
entrata e di spesa in capo ai singoli territori
2
.
In Italia, l’opzione federalista fu scartata già al momento
della fondazione della Repubblica democratica, infatti, la
Costituzione del 1947 (ispirandosi in parte a quella della Seconda
Repubblica spagnola) delineò per il nostro Paese la forma di Stato
regionale, tipo ritenuto “intermedio” fra lo Stato accentrato e lo
Stato federale vero e proprio. La Regione, come scrisse M. Ruini
nella sua relazione, “non sorge federalisticamente”, perciò, nel
momento in cui il suo Statuto è approvato dalla legge dello Stato, lo
Stato fa “atto di propria sovranità”.
3
2
T. E. Frosini, “Pa ese che va i, fed eralismo (fisca le) che trovi…”, in
www.asso ciazion edeicostituzionalisti.it
3
A. Barbera C. Fusaro, “Corso di diritto pubblico ”, Bologna, 2008, p. 307-
332.
9
Lo Stato regionale, forma all’epoca assolutamente
innovativa, mirava a far fronte alle differenze geografiche ed
economiche esistenti tra le varie parti del Paese e a rispondere a
concrete richieste di autonomia provenienti da alcune aree insulari
o di confine come la Sicilia, la Valle d’Aosta, l’Alto Adige, ove si
erano già insediati governi autonomi.
Il modello costituzionale di Stato decentrato si fondava su un
regionalismo differenziato, obbligatorio, esteso all’intero territorio.
Per le Regioni a Statuto ordinario le condizioni di autonomia erano
(e sono) definite dal Titolo V della Parte II della Costituzione, la
cui disciplina era alquanto deludente rispetto alla solenne
affermazione contenuta all’interno dell’articolo 5 Cost.
4
, che
qualificava l’autonomia e il decentramento quali principi
fondamentali e immodificabili, caratterizzanti la forma di Stato.
4
L’art. 5 della Co stitu zione fa riferimen to ad u n ordinamento saldamente
unitario, “la Repubblica una e indivisibile”; una Repubblica imp egnata a
pro muovere le autono mie lo cali, attu are il più ampio decentramen to
amministrativo, ad eguare contenuti e modo stesso d i fare leggi all’esigenza di
distribuire il potere po litico sul territorio (<<riconosce e pro muo ve le
autono mie locali …. adegua i principi e metodi della sua legislazione alle
esigenze dell’autono mia e del decentramento>>): ma una. Nessuno ha mai
pensato di modificare l’art. 5 Cost., che riman e l’architrave su cui poggia an che
la riforma d el Titolo V approvata n el 2001.
1 0
La funzione legislativa regionale era esclusivamente di tipo
concorrente
5
e le funzioni amministrative seguivano quelle
legislative; erano previsti controlli di legittimità e di merito tanto
sugli atti legislativi che amministrativi ed assai limitati erano i
raccordi con lo Stato e le forme di partecipazione delle Regioni alle
funzioni statali.
Dopo una prima lunga fase di inattuazione (l’istituzione delle
Regioni ordinarie avvenne solo nel 1970), l’azione congiunta di
Stato e giurisprudenza costituzionale ha contribuito a dar vita ad
uno Stato regionale nel quale l’autonomia delle Regioni era
circoscritta, e in cui queste si caratterizzavano soprattutto come
enti di amministrazione.
La debolezza delle Regioni e la mancanza di meccanismi di
partecipazione alle funzioni statali hanno impedito la nascita di un
compiuto modello cooperativo, dando luogo, invece, ad un sistema
stato centrico. Vari sono stati gli strumenti utilizzati.
5
Nel sen so che le materie elencate dall’art. 117. Co mma 1 Co st. non eran o
dalla Costituzione affidate alla discip lina integrale d elle sole Regioni, bensì ad
una co mp etenza che, p er i principi fondamentali era rimasta d ello Stato (cio è
della legge del Parlamen to), mentre per tutto il resto veniva attribuita alla
Regione. In altre p arole, in tutta una serie di materie la Region e avrebbe potu to
legiferare, ma tenendosi all’interno d el quadro tracciato dalle leggi co rnice
dello Stato, cui sp ettava il co mpito di stabilire i principi fondamen tali della
materia. Inoltre, la legge della Regione do veva risp ettare alcuni limiti ulteriori
co me l’interesse nazionale e quello delle altre Regioni, oltre che naturalmen te
il limite territoriale ed altri costruiti pro gressivamente dalla giu risprud en za
della Corte Co stitu zionale.
1 1
In primo luogo, la definizione delle materie è avvenuta sulla
base delle funzioni amministrative trasferite alle Regioni, per cui
l’ampiezza delle competenze legislative dipende da quella delle
competenze amministrative.
In secondo luogo, l’interesse nazionale, previsto nella
Costituzione come limite esterno alle competenze regionali, è stato
utilizzato come titolo giustificativo di interventi statali di dettaglio
nelle materie regionali, che hanno portato alla espropriazione di
interi settori di competenza.
Infine, il sistema “leggi statali di principio-leggi regionali di
dettaglio” è stato superato nella prassi, riconoscendo la possibilità
di rintracciare i principi fondamentali anche nelle leggi statali
precedenti e consentendo al legislatore statale di dettare una
disciplina di dettaglio cedevole nelle materie regionali. Il sistema
preventivo di impugnativa delle leggi regionali da parte dello Stato,
sommandosi con i ritardi accumulati dalla Corte Costituzionale, ha
paralizzato per anni le leggi regionali oggetto di ricorso
governativo. La finanza regionale è stata configurata
essenzialmente come derivata dello Stato, mentre assai circoscritte
sono risultate le risorse proprie delle Regioni.
1 2
Solo a partire dagli anni Novanta i temi del decentramento
6
dei compiti amministrativi e di una maggiore attribuzione di poteri
alle Regioni e agli Enti locali (Comuni e Province) entrarono
prepotentemente nel dibattito politico e istituzionale; emerse con
evidenza la necessità di una riforma dello Stato regionale italiano.
Una particolarità, risiede nel fatto che importanti riforme
7
incidenti sull’ordinamento nazionale, vennero realizzate attraverso
la legislazione ordinaria, senza portare variazioni alla Carta
costituzionale, ed è questo il senso dell’espressione, ricorrente nel
linguaggio politico di “federalismo a Costituzione invariata”. Tra i
vari provvedimenti adottati in questo periodo, quello più incisivo è
la legge 15 marzo 1997, n. 59, meglio nota come Legge Bassanini
avente ad oggetto il trasferimento di nuove funzioni amministrative
6
Principio del d ecentramento, cioè la rip artizione dei poteri tra un’auto rità
centrale di go verno ed Enti territoriali autono mi, dotati di p roprie funzioni e
co mp eten ze.
7
Si possono rico rdare la riforma avente ad o ggetto la riduzion e dei controlli
sugli atti amministrativi, l’individuazione di un ruolo comunitario delle
Regioni, la riforma dell’o rdinamento lo cale (d.lgs. 267/2000), l’introduzione di
un nuovo sistema elettorale p er i consigli regionali, l’eliminazione di tutti i
fin anziamen ti vin colati e la loro trasformazion e in co mp artecipazione ai trib uti
erariali (d.lgs. 56/2000).
1 3
dallo Stato agli Enti territoriali
8
. Le leggi di conferimento di
funzioni statali a Regioni, Province e Comuni furono più di una, ma
la caratteristica ricorrente è stato l’accoglimento di un principio già
presente nella normativa europea, ossia, il principio di
sussidiarietà, secondo il quale, la generalità delle funzioni
amministrative è attribuita agli Enti locali con la sola eccezione di
quelle che devono essere esercitate necessariamente a livello
regionale.
Con tale riforma, si è compiuto per la prima volta dal secolo
scorso, uno sforzo coerente e coordinato per ammodernare tutta
l’amministrazione italiana, non limitandosi ad intervenire solo
sull’amministrazione statale o solo sul sistema degli Enti pubblici
nazionali o, ancora, soltanto sul sistema di governo regionale e
locale, ma cercando invece di delineare un processo riformatore
8
Va precisato ch e con la l. n. 59 del 1997 non si provvide direttamente a un
con ferimento di funzioni, ma si è instaurato un processo a cascata, n el sen so
che, fissati a livello nazion ale i principi direttivi da seguire per il
decentramento, la concreta attu azione dello stesso fu affid ata ad una serie di
decreti d elegati (dei qu ali il più importante per amp iezza fu il d.p.r. n. 112 del
1998), nonché a leggi regionali per il con ferimento di fun zioni agli Enti locali e
a decreti d el Presidente d el Con siglio dei Ministri, volti a trasferire e ripartire
le risorse necessarie per l’espletamento d elle fu nzioni trasferite a livello
decentrato, alleggerendo le strutture centrali. Parallelamente, regolamenti
go vern ativi do vevano riorganizzare le fun zioni interessate d ai trasferimenti. I
principi che dovevano presied ere al trasferimento di fun zioni erano individuati
nella sussidiarietà, nella fun zionalità, e n ella resp onsabilità. G. Vezzo so “Il
federalismo fiscale: dalle innovazioni costitu zionali del 2001 al disegno di
legge Calderoli”, Diritto e pratica tributaria, 2008, p. 862-895.
1 4
profondamente innovativo e intrinsecamente coerente in tutte le sue
diverse parti.
Malgrado il trasferimento delle competenze dal centro alla
periferia, ci si rese conto che senza una adeguata riforma
costituzionale, tutto il sistema legato alla Legge Bassanini avrebbe
corso un duplice rischio ossia: non essere pienamente compatibile
con il quadro costituzionale vigente, ove questo fosse stato
interpretato ed applicato in modo rigorosamente restrittivo; essere
comunque una riforma “instabile” perché sempre modificabile e
revocabile in tutto o in parte con una semplice legge statale
ordinaria.
Tutto ciò ha portato più parti politiche ad un acceso dibattito
sull’opportunità di modificare l’assetto territoriale dello Stato,
allontanandosi dalla tradizionale configurazione regionale, per
tendere sempre più verso un modello “federale” ( o comunque verso
una forte accentuazione delle competenze delle istituzioni locali) .
Tuttavia, il federalismo – vale a dire l’attuazione all’interno
dell’organizzazione dello Stato di un decentramento il più ampio
compatibile con la sua unità – o è anche fiscale o non è
federalismo
9
. Non può infatti concepirsi che la suddivisione delle
9
M. Bertolissi “Fed eralismo fiscale: una nozione giuridica”, Fed eralismo
fiscale: rivista di diritto ed econo mia, 2007, p. 9-37.
1 5
funzioni tra i vari livelli di governo coesista con una situazione di
dipendenza finanziaria (derivazione) della periferia dal centro,
giacché, se cosi fosse, lo Stato centrale potrebbe sempre influire sul
concreto esercizio di quelle facoltà, che pure il sistema devolve agli
Enti sub-statali.
1 6
§ 1.2 - La riforma del Titolo V della Costituzione
Soltanto alla fine degli anni Novanta si è posto mano alla
riforma costituzionale, che in due tappe, ha portato ad una profonda
modifica del Titolo V della Costituzione, stabilendo le basi per una
maggiore autonomia istituzionale ed amministrativa degli Enti
territoriali italiani.
Con la prima tappa, ossia con la Legge costituzionale del 22
novembre 1999, n. 1, intitolata “Disposizione concernenti
l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e
l’autonomia statutaria della Regioni”, è stata riconosciuta alle
Regioni piena autonomia statutaria, anche per quanto attiene alla
forma di governo, attraverso la sottrazione degli Statuti regionali
all’approvazione parlamentare. In via transitoria, e in assenza di
contraria decisione regionale, si è introdotta l’elezione diretta del
Presidente della Regione.
Di ben maggior rilievo, ai fini che qui interessano, è la legge
costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, che ha modificato il Titolo
V della Costituzione
10
, nell’obiettivo di perseguire un’evoluzione in
senso federale dello Stato italiano, innovando profondamente la
10
In p articolare, o ggetto di revisione furono gli articoli 114-133 della Carta
Costitu zionale.
1 7
ripartizione dei poteri tra Stato, Regioni e poteri locali, e
tracciando anche le linee di una nuova configurazione del sistema
fiscale
11
.
In pratica, attraverso la conferma di alcuni articoli,
l’abrogazione di altri e la modifica di altri ancora, è stato cambiato
in profondità l’ordinamento della Repubblica, abbandonando
l’originaria impostazione voluta dai costituenti. Tuttavia, pur
essendosi accentuata la spinta a favore del processo di
federalizzazione è stata mantenuta la specificità della forma di
Stato italiana, che a differenza dei tradizionali modelli federali, non
affida i poteri ordinamentali sugli Enti locali alle Regioni ma li
conserva in capo allo Stato. Questa opzione si riflette, con grande
nettezza, anche nella configurazione dell’art. 119 Cost., che
accomuna Regioni ed Enti locali nella disciplina dell’autonomia
finanziaria
12
.
11
G. Vezzoso “Il fed eralismo fiscale: dalle inno vazioni costitu zionali
del 2001 al disegno di legge Calderoli”, Diritto e pratica tributaria, 2008, p.
862-895.
12
R. Bilfu co “Osservazio ni sulla legg e 42 del 2009 in materia di federalismo
fisca le” in www.astrid.it .
1 8
Quanto alla organizzazione istituzionale, le Regioni, così
come Comuni, Province e Città metropolitane, sono definiti dal
secondo comma dell’art. 114 Cost. “Enti autonomi con propri
Statuti, poteri e funzioni” “secondo i principi fissati in
Costituzione”: ciò significa che l’assetto delineato, al di là del
linguaggio corrente, non può dirsi federale
13
. Infatti, con questa
formula il legislatore costituzionale indica che siamo comunque di
fronte a Enti derivati e non originari, dovendosi considerare
originario e sovrano solo l’ordinamento repubblicano.
Gli Stati federali, del resto, nascono da un processo di
aggregazione fra più Stati sovrani, che danno vita ad una
Costituzione federale ma mantengono Costituzioni originarie, pur
subordinando queste ultime alla nuova Costituzione.
13
L’Italia non è e non potrà mai essere, per Co stitu zione, un vero Stato
federale. Un esempio di autentico federalismo è dato dal modello americano; il
X emend amento della Co stituzione americana preved e ch e i poteri non attribuiti
agli Stati Uniti dalla Costituzione, né proibiti dalla stessa ai singoli Stati, son o
riservati rispettivamente ai sin goli Stati o al popolo. È questa la cosidd etta
clau sola di residualità (emblematica d el vero Stato federale), che ritro viamo,
sia pure con delle sfu ma ture, in Germania, dove la statalità è suddivisa nel
doppio livello d el Bund e dei Land er. L’Italia, al co ntrario, “una e indivisibile,
riconosce e pro muo ve le autono mie lo cali”. Co me si ved e, il con cetto di
federalismo è in realtà impiegato, in Italia, in modo improprio. Il vero
federalismo è un mo vimen to che va, p er co sì dire, d alla periferia verso il cento;
parado ssalmente, è un moto di accentramen to e non di decentramento. Il nostro
federalismo, in vece, è un a spinta che va d al centro alla p eriferia.