4
titolarità di tale diritto, che compete ai genitori, sia naturali che adottivi. Si
guarda, infine, all’ambito di operatività del medesimo diritto, che non è
circoscritto al solo insegnamento elementare.
Il secondo capitolo del presente lavoro si occupa della Corte europea dei Diritti
dell’Uomo: della sua organizzazione e del suo funzionamento. Per ciò che
concerne l’organizzazione, si esamina la distinzione originaria tra Commissione,
Corte e Comitato dei Ministri, soffermandosi sulle loro strutture, sulle
competenze, sui ruoli; si fa menzione, poi, della riforma che è stata attuata
dall’Undicesimo Protocollo e che ha portato alla creazione di una Corte unica:
partendo dai motivi che hanno reso necessaria la riforma, si indica il percorso
seguito per arrivare all’adozione del suddetto Protocollo. Si rilevano sia gli
elementi rimasti immutati sia le differenze rispetto alla precedente disciplina.
Circa il funzionamento, invece, si illustrano i due tipi di ricorsi: interstatale e
individuale. Si esaminano le loro condizioni di ricevibilità, la legittimazione attiva
e passiva, i tipi di composizione della controversia, la sentenza, la riparazione.
Il terzo capitolo riguarda la genesi e l’interpretazione dell’art. 9 della
Convenzione. Con riferimento alla genesi, si presenta puntualmente l’iter seguito
per arrivare alla stesura finale: le diverse visioni e versioni degli Stati aderenti alla
Convenzione; le diverse varianti, sino al testo definitivo. Circa l’interpretazione,
si disquisisce sul concetto di libertà religiosa, sulle libertà ad essa connesse, sulle
modalità di manifestazione e, con riferimento al secondo paragrafo dell’articolo,
sui limiti posti all’esercizio di tale libertà, menzionando i criteri da rispettare
perché le limitazioni non siano arbitrarie. Si fa cenno al fatto che la Convenzione
ha stabilito, oltre ai limiti espressamente citati nel par. 2 dell’art. 9, un sistema
generale di deroghe e clausole restrittive del regime di garanzie da essa stessa
istituito.
Lo studio si chiude, infine, con un capitolo dedicato alla condizione giuridica
delle Confessioni religiose negli orientamenti della Corte di Strasburgo. Nella
premessa si fa, anche in questo caso, un excursus relativo ai Paesi direttamente
coinvolti nelle vicende giudiziarie prese in esame. Si guarda alla loro storia, alla
posizione e al ruolo che le Confessioni religiose hanno avuto in essa.
5
Vengono analizzate cinque pronunce della Corte di Strasburgo in materia
religiosa, prendendo lo spunto dalle vicende giudiziarie nazionali che ne sono alla
base.
La scelta di queste sentenze è mirata ad un duplice scopo: verificare la
posizione che la Corte assume rispetto alla presenza, in diversi Stati europei, di
Chiese “ufficiali” o “nazionali”, cercando di capire se essa esprima o non esprima
una posizione precisa al riguardo; e ricercare l’incidenza del problema del
“riconoscimento” statale delle Confessioni religiose nella giurisprudenza di
Strasburgo, verificando se la Corte espliciti un orientamento o una preferenza al
riguardo.
6
CAPITOLO I
IL CONSIGLIO D’EUROPA
E LA CONVENZIONE EUROPEA
DEI DIRITTI DELL’UOMO
1. Il Consiglio d’Europa
Gli orrori della Seconda Guerra Mondiale impedirono alla politica europea di
sposare l’idea di una forma federale fra Stati, i quali, invece, preferirono affidarsi
al vecchio e sperimentato concetto di Stato-nazione. L’idea di un’unione federale
era, però, già da qualche tempo sul tavolo di alcune influenti cancellerie. Infatti,
sia Aristide Briand, Ministro degli Affari Esteri francese dal 1925 al 1932, che
Gustav Stresemann, che in Germania ricoprì lo stesso incarico dal 1923 al 1929,
dopo la Prima Guerra Mondiale, avevano auspicato con forza quest’unione
federale al fine di evitare il ripetersi di un’altra tragedia.
E’indicativo ricordare che il 5 gennaio del 1918, il futuro Presidente della
Repubblica italiana, Luigi Einaudi, scrisse al Corriere della Sera una lettera in cui
esprimeva il suo vivo desiderio di una rinuncia degli Stati europei alla loro
sovranità nazionale seguendo l’esempio degli Stati Uniti d’America
1
.
Fra la seconda metà del 1945 e il 1947, il clima politico fra Unione Sovietica e
Potenze occidentali si deteriorò. Nel gennaio e nel marzo del 1945 Stalin aveva
chiesto un ingente prestito agli Stati Uniti. Tale richiesta non fu accolta dal
Dipartimento di Stato che, forte del primato atomico, pose ai Sovietici condizioni
che essi ritennero inaccettabili. Scontri di natura politica ed economica segnarono
l’inizio del raffreddamento delle relazioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica che,
con l’abolizione dell’Internazionale comunista nel 1943, avevano conosciuto un
momento di distensione. Stalin reagì ideando un piano di ricostruzione
1
Cfr. BERTOZZI S., Crocevia della grande Europa: il Consiglio d’Europa, l’Unione Europea e
l’Osce, Bologna, Clueb, 2001, pp. 17 ss.
7
dell’industria pesante con il proposito di assicurare l’indipendenza economica al
Paese, mentre gli Stati Uniti continuarono a ritenere che il possesso della bomba
atomica e delle risorse finanziarie potesse essere una garanzia.
Nel marzo del 1945 il progetto federalista fece nuovamente la sua comparsa
grazie al primo congresso dell’Europa federale, che si tenne a Parigi e a cui
parteciparono Albert Camus e George Orwell. Fu qui che venne condannato il
sistema Stato-nazione come responsabile delle due guerre mondiali e che emerse
il desiderio di trasferire la sovranità popolare ad una nuova Autorità.
Questo intento è presente nel pensiero del premier inglese Winston Churchill
che, in un discorso del 19 settembre del 1946 a Zurigo, afferma testualmente:
“Occorre un rimedio che, come per miracolo, trasformerebbe la situazione e,
nello spazio di qualche anno, renderebbe tutta l’Europa così libera e felice come
lo è adesso la Svizzera… Noi dobbiamo creare una sorta di Stati Uniti
d’Europa”
2
.
Le spinte verso un’integrazione europea vennero però “gelate” dal durissimo
inverno del 1946/1947 che, accrescendo il fabbisogno di carbone, contribuì al
collasso delle finanze europee, già fragili. E fu così che il 21 febbraio del 1947 il
Governo britannico comunicò al Dipartimento di Stato che non avrebbe più
mantenuto la sua presenza in Grecia né avrebbe aiutato finanziariamente la
Turchia. Il Dipartimento di Stato ritenne che ciò avrebbe non solo permesso
all’Unione Sovietica di impadronirsi di un accesso sul Mediterraneo, ma avrebbe
potuto attirare sotto il giogo comunista anche l’Italia e la Spagna.
La reazione degli Stati Uniti fu immediata: nel maggio del 1947 il Presidente
Truman ottenne, dal Congresso, un aiuto di quattrocento milioni di dollari per la
Grecia e per la Turchia. Intanto nel gennaio precedente il Segretario di Stato,
James Byrnes, aveva rassegnato le sue dimissioni e gli era succeduto George
Marshall. E fu proprio Marshall, nel suo discorso del 2 giugno del 1947
all’Università di Harvard, ad annunciare il cosiddetto Piano Marshall
3
.
Il Piano prevedeva prodotti e prestiti concessi dal Governo americano, al fine
di ricostruire il tessuto economico di tutti i Paesi europei danneggiati dal conflitto
mondiale, inclusa l’Unione Sovietica.
2
Cfr. SITO INTERNET DEL CONSIGLIO D’EUROPA (<http://www.coe.int>).
3
Il vero nome del Piano Marshall era “European Recovery Program”. Cfr. BERTOZZI S., op.
cit., p. 19.
8
Il Ministro degli Affari Esteri francese Georges Bidault e quello britannico
Ernest Bevin furono i fautori della Conferenza che si tenne a Parigi il 26 giugno
del 1947 per riunire i Paesi beneficiari.
Il Ministro Molotov considerava condizione imprescindibile che ogni Nazione
decidesse autonomamente il proprio piano di ricostruzione nazionale. La Gran
Bretagna e la Francia opposero un netto rifiuto a tale proposta e Molotov, irritato,
abbandonò i negoziati e costituì immediatamente il Bureau di informazione
comunista. Inoltre, impose la sua stessa linea comportamentale a Polonia e
Cecoslovacchia, che invece sarebbero volute rimanere per giovarsi degli aiuti. Il
rifiuto russo aprì le porte della Conferenza all’Italia, che era stata esclusa.
Nell’agosto del 1947 gli altri Paesi giunsero ad un accordo e presentarono un
programma quadriennale di aiuti per un valore pari a ventotto miliardi di dollari.
Il Presidente Truman accettò, anche se presentò al Congresso un piano di
diciassette miliardi di dollari, che divennero, alla fine del marzo 1949, quattro
miliardi di dollari per finanziare i primi quindici mesi di attuazione del Piano
Marshall.
Quest’ultimo, dal punto di vista politico, voleva raggiungere lo scopo di legare
all’area economica americana i Paesi europei ed allontanare la minaccia sovietica
dall’Europa occidentale. Il Dipartimento di Stato, inoltre, auspicava che i Paesi
europei stabilissero un legame politico ed economico per amministrare al meglio
gli aiuti ricevuti. Pertanto, dinanzi alle pressioni americane, i singoli Stati europei
si convinsero della necessità di dar vita ad una struttura economica di
coordinamento. Il 16 aprile del 1948 nacque l’Organizzazione Europea per la
Cooperazione Economica (OECE), con il compito di distribuire gli aiuti
americani e di verificare il funzionamento stesso di tale operazione
4
.
I Paesi europei continuavano, però, a nutrire diffidenze e a temere per la pace e
per l’esile stabilità politica. Ne è una riprova il Trattato di Dunkerque, stipulato da
Francia e Gran Bretagna nel marzo del 1947 con un intento antitedesco. Nel
4
“Gli Stati che danno vita all’OECE sono: Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Irlanda,
Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Svezia, Svizzera e
Turchia.
L’organo principale dell’OECE è il Consiglio, in cui siede un rappresentante per ogni Stato
membro. Le deliberazioni sono adottate all’unanimità, salvo che il Consiglio stesso,
all’unanimità, non disponga altrimenti. Tra gli atti che il Consiglio può emanare figurano anche
le decisioni, che sono dotate di carattere vincolante per gli Stati membri”. Cfr. DANIELE L.,
Diritto dell’Unione europea, dal piano Schuman al progetto di Costituzione per l’Europa.
Sistema istituzionale-Ordinamento-Tutela giurisdizionale, Milano, Giuffrè, 2004, p. 4.
9
febbraio dell’anno successivo i Paesi del Benelux (Belgio, Lussemburgo e
Olanda), che avevano già stipulato una Convenzione per armonizzare le rispettive
politiche economiche, venivano invitati da Francia e Gran Bretagna a partecipare
al loro Trattato. Il 17 marzo del 1948 veniva firmato il Trattato di Bruxelles, nato
come difesa contro le minacce di Germania e Unione Sovietica, che un mese
prima aveva occupato la Cecoslovacchia. L’11 giugno del 1948 il Senato votò a
favore della risoluzione di adesione degli Stati Uniti al Trattato. Questo voto aprì
la strada alla creazione della NATO, che avvenne il 4 aprile del 1949
5
.
E’ in questo contesto che si deve collocare la nascita del Consiglio d’Europa,
avvenuta il 5 maggio del 1949. Il primo Congresso europeo, organizzato dal
Movimento Federalista Europeo e svoltosi all’Aja tra il 7 e il 10 maggio del 1948,
accelerò il progetto di integrazione. A questo Congresso, tenutosi nel Parlamento
olandese, parteciparono la Regina Giuliana d’Olanda, Winston Churchill in veste
di presidente, politici, scrittori, giornalisti, tutti desiderosi di realizzare
l’unificazione europea.
Il Trattato di Bruxelles, o Unione dell’Europa Occidentale (UEO)
6
,
rappresentò un punto fondamentale per la nascita del Consiglio d’Europa. Infatti,
fu proprio in seno alla Commissione permanente della UEO che si svolsero le
discussioni per creare un’Assemblea consultiva europea. Nell’ottobre del 1948 si
opposero due diverse posizioni: la Gran Bretagna, affiancata dai Paesi scandinavi,
premeva per la creazione di un “Comitato di Ministri” che sarebbe stato
coadiuvato da un’Assemblea puramente rappresentativa con poteri limitati; il
5
“La NATO (Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico), fondata con il Trattato di
Washington del 4 aprile 1949, non è un’organizzazione europea in senso geografico, posto che ad
essa aderiscono anche Stati extra-europei: gli Stati Uniti d’America e il Canada. Tuttavia, il
teatro d’operazione più importante è costituito dal territorio degli Stati dell’Europa occidentale.
L’organo principale è costituito dal Consiglio del Nord Atlantico, composto dai rappresentanti
permanenti degli Stati membri o, quando si riunisce a livello ministeriale, dai Ministri degli
Esteri, dai Ministri della Difesa o dai Capi di Stato e di Governo. Le decisioni sono prese
all’unanimità”. Cfr. IBIDEM, p. 3.
6
“L’UEO viene fondata con il Trattato di Bruxelles del 17 marzo 1948, aggiornato con gli
Accordi di Parigi del 23 ottobre 1954. Ad essa aderiscono come membri, a pieno titolo, Belgio,
Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Regno Unito.
Altri Stati partecipano ai lavori dell’organizzazione come osservatori e altri ancora godono dello
status di membri associati, per un totale di ventotto Stati.
L’organo principale è il Consiglio, composto dai rappresentanti permanenti degli Stati o,
quando si riunisce a livello ministeriale, dai Ministri degli Esteri e della Difesa. Le delibere sono
prese all’unanimità. Lasciata a lungo in quiescenza, la UEO è stata “rivitalizzata” nel 1984 ed è
diventata, con i Trattati di Maastricht del 1992 e di Amsterdam del 1996 lo strumento attraverso
cui attuare la componente relativa alla sicurezza e alla difesa comune della PESC (prospettiva
abbandonata con il Trattato di Nizza)” . Cfr. IBIDEM, p. 3.
10
Belgio e la Francia, invece, proponevano un’Assemblea consultiva indipendente
dai Governi, con competenze molto estese.
Nella riunione dei Ministri degli Affari Esteri del 28 gennaio 1949 prevalse la
soluzione britannico-scandinava e l’Assemblea venne relegata ad un ruolo
puramente consultivo, benché indipendente dai Governi. Le ragioni di questo
compromesso erano da ritrovare nei timori delle varie cancellerie europee che,
allora, ritennero l’unificazione un’avventura troppo azzardata.
La cooperazione franco-britannica aveva registrato, a livello europeo, un
insuccesso, dal momento che con la nascita del Consiglio d’Europa non si
realizzava un’unione né di tipo federale né confederale, bensì un’organizzazione
internazionale europea di tipo classico, con lo scopo di favorire una più stretta
coordinazione tra gli Stati membri.
I dieci Paesi fondatori del Consiglio d’Europa (Belgio, Danimarca, Francia,
Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda e Svezia) “hanno
saputo realizzare un foro di incontro e di collegamento di una ampiezza senza
precedenti”
7
; hanno saputo incarnare un compromesso politico molto importante,
senza il quale non si sarebbe mai arrivati alla sua istituzione.
Le differenti impostazioni di questo compromesso si ritrovano nel dettato dello
Statuto del Consiglio. La posizione franco-belga è rappresentata dal
perseguimento di nobili e generali obiettivi, mentre quella britannico-scandinava è
garantita dalla cooperazione internazionale di tipo classico. Nonostante i numerosi
emendamenti, la ratio del compromesso politico è rimasta inalterata. Il Consiglio
d’Europa non è riuscito a divenire un ente sovranazionale, come è accaduto per le
Comunità europee.
L’accordo multilaterale che istituisce il Consiglio d’Europa, è racchiuso in un
Preambolo e 42 articoli, riuniti in dieci capitoli.
Nel Preambolo dello Statuto si affermano i valori sui quali poggia
l’Organizzazione. Gli Stati membri vi hanno proclamato:
7
Cfr. ANDREOTTI G., Consiglio d’Europa, foro di incontro e di collegamento, in “Rivista di
studi politici internazionali”, LI (1984), 3, p. 411.
11
“il proprio attaccamento ai valori spirituali e morali, che sono il patrimonio
comune dei loro popoli e la vera fonte dei princìpi di libertà individuale, di
libertà politica e di preminenza del Diritto, sui quali si fonda ogni vera
democrazia”.
L’art. 1 dello Statuto prevede che scopo del Consiglio d’Europa è di:
“conseguire una più stretta unione fra i suoi Membri per salvaguardare e
promuovere gli ideali e i princìpi che costituiscono il loro comune patrimonio e
di favorire il loro progresso economico e sociale”.
E tale scopo sarà perseguito attraverso l’attività degli organi del Consiglio
d’Europa, con l’esame di questioni di interesse comune, con la conclusione di
accordi e con l’adozione di un’azione comune; in particolare:
“con la salvaguardia e l’ulteriore sviluppo dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali”.
E’ duplice il compito assegnato dagli Stati al Consiglio d’Europa:
salvaguardare i diritti e le libertà, per preservarli da misure arbitrarie dei pubblici
poteri; sviluppare tali diritti e libertà, ampliandone i contenuti ed inserendoli in
testi normativi vincolanti, la cui osservanza è controllata da organi internazionali.
Gli Stati membri sono vincolati al rispetto di specifici obblighi. L’art. 8 dello
Statuto accentua l’importanza di questi obblighi, prevedendo misure sanzionatorie
a carico di quegli Stati che non vi si adeguassero:
“Ogni Membro del Consiglio d’Europa che violi gravemente le disposizioni
dell’art. 3, può essere sospeso dal suo diritto di rappresentanza ed invitato dal
Comitato dei Ministri a ritirarsi nelle condizioni previste dall’art. 7. Qualora
esso non ottemperi a tale richiesta, il Comitato dei Ministri può decidere che il
membro di cui si tratta ha cessato di appartenere al Consiglio a partire dalla data
che sarà determinata dal Comitato stesso”
8
.
Attualmente il Consiglio d’Europa raggruppa quarantasei Stati, tra cui ventuno
Stati dell’Europa centrale e orientale; ha ricevuto la candidatura della Bielorussia
8
Cfr. DE SALVIA M., La Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, terza edizione, Napoli,
Editoriale Scientifica, 2001, pp. 39-41.
12
ed ha accordato lo statuto di osservatore ad altri cinque soggetti: Santa Sede, Stati
Uniti, Canada, Giappone e Messico.
La sua sede è a Strasburgo, in Francia: città simbolo di lotte fratricide e oggi
esempio di cooperazione ed integrazione europea.
Le lingue ufficiali del Consiglio e dei suoi organi sono l’inglese e il francese.
Oltre all’affermazione del princìpio della preminenza del Diritto e a quello in
virtù del quale ogni persona, posta sotto la sua giurisdizione, debba godere dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, negli ultimi anni, il Consiglio ha
rivolto la sua attenzione anche allo studio di misure contro la criminalità
economica e di misure efficaci a tutelare l’infanzia. Ha monitorato la situazione
nei Balcani e nel territorio dell’ex-Jugoslavia, nonché in Turchia e in Iraq.
Di recente, ha mostrato interesse per le problematiche legate ad Internet ed alle
nuove tecnologie. Certo della necessità di efficaci misure volte a proteggere la
società dal cybercrime, si è fatto promotore di forme di collaborazione tra il più
alto numero possibile di Paesi europei.
Uno degli interventi più importanti degli ultimi anni è stata, poi, la promozione
della “Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della Dignità
dell’Essere umano rispetto alla utilizzazione della biologia e della medicina”
firmata il 19 novembre del 1996 dai rappresentanti dei Paesi aderenti al Consiglio
d’Europa, nonché dai Paesi membri dell’Unione europea, da Stati Uniti, Canada,
Giappone e Santa Sede
9
.
Dopo aver promosso la Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la Biomedicina
10
,
ha dato impulso al Protocollo Addizionale alla Convenzione per la protezione dei
Diritti dell’Uomo e della Dignità dell’Essere umano rispetto all’utilizzazione della
biologia e della medicina sul divieto di clonazione di esseri umani, firmato a
Parigi il 12 gennaio del 1998, che vieta “ogni trattamento finalizzato a creare un
essere umano geneticamente identico ad un altro essere umano vivente o
morto”
11
.
9
Cfr. ROMANO G. – PELLEGRINI M. G. – PARROTTA D. A., La nuova Corte europea dei
Diritti dell’Uomo per un effettivo giusto processo, Milano, Giuffrè, 1999.
10
L’art. 18 della Convenzione stabilisce il divieto di formazione di embrioni a scopo di ricerca; è
evidente che questa disposizione sarebbe già sufficiente ad impedire gli esperimenti di clonazione
condotti su embrioni umani, nonché la clonazione di embrioni, non utilizzati a fini scientifici, ma a
scopo terapeutico.
11
La proposta iniziale aveva come obiettivo della tutela la “persona umana” e non “l’essere
umano” (espressione ritenuta maggiormente comprensiva). Peraltro, l’Explanary Report, che
13
Periodicamente organizza conferenze, nelle quali si analizzano i grandi
problemi di settore e sono favoriti i contatti tra le amministrazioni dei vari Stati
membri.
Il Consiglio d’Europa ha una struttura che, nel 1949, veniva considerata
innovativa. Essa poggia su due organi, detti statutari, il Comitato dei Ministri e
l’Assemblea Parlamentare e su altri organi principali quali la Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo, il Congresso dei Poteri Locali e Regionali d’Europa ed il
Segretariato Generale. Tra gli organi sussidiari, si ricorda il Comitato Misto,
creato per coordinare l’attività del Comitato dei Ministri con quella
dell’Assemblea Parlamentare; l’Ufficio del Commissario per i Diritti dell’Uomo e
il Consiglio di cooperazione culturale.
Il Comitato dei Ministri è l’organo di decisione ed esecutivo
dell’Organizzazione ed è un foro di discussione politica. Nel suo àmbito vengono
discusse questioni di interesse generale che attengono alla cooperazione europea.
Spetta a tale organo, fra l’altro, decidere in merito all’adesione ed esclusione degli
Stati. Esso vota il bilancio dell’Organizzazione, che è a carico degli Stati membri.
E’ composto dai Ministri degli Affari Esteri dei singoli Stati. Si riunisce solo due
volte l’anno a livello ministeriale, in occasione del cambio di presidenza (che ha
luogo ogni sei mesi). Ogni Paese, infatti, presiede a rotazione i lavori di tale
organo. Per tutte le attività statutarie, il Comitato si riunisce almeno una volta la
settimana a livello di delegati di Ministri, vale a dire di Ambasciatori o di Ministri
Plenipotenziari accreditati presso il Consiglio d’Europa.
Inoltre, per rafforzare il dialogo intergovernativo, si svolgono anche riunioni di
Ministri responsabili di altri settori, quali ad esempio la giustizia, la famiglia,
l’ambiente, la cultura.
Le decisioni prese dal Comitato dei Ministri assumono la forma di
“raccomandazioni” e sono formali inviti, rivolti a singoli Stati o alla totalità degli
Stati aderenti al Consiglio d’Europa, a adottare interventi normativi e a adeguare i
propri ordinamenti nazionali ai princìpi espressi in seno al Consiglio.
A volte tali decisioni possono prendere la forma di “progetti di convenzioni” e
di “accordi europei” che divengono vincolanti soltanto per gli Stati che li
accompagna il documento, stabilisce che sarà compito dei singoli legislatori nazionali attribuire un
significato più o meno allargato all’espressione. Cfr. SIROTTI GAUDENZI A., I ricorsi alla
Corte europea dei Diritti dell’Uomo – Guida pratica alla tutela dei Diritti umani in Europa,
Rimini, Maggioli editore, 2001, p. 23.
14
ratificano. Il Comitato dei Ministri approva anche “dichiarazioni” o “risoluzioni”
che trattano questioni politiche di attualità.
Vigila sull’effettiva attuazione delle Convenzioni e degli Accordi conclusi tra
gli Stati membri e, infine, controlla l’esecuzione, da parte degli Stati, delle
sentenze emesse dalla Corte.
L’Assemblea Parlamentare (all’inizio denominata Assemblea Consultiva) non
ha poteri decisionali vincolanti per gli Stati membri; pur tuttavia, essa rappresenta
la coscienza democratica dei popoli che compongono il nostro continente. E’
composta da membri designati dai vari Parlamenti nazionali. Il numero dei
rappresentanti, legato alla consistenza della popolazione, varia da un minimo di
due ad un massimo di diciotto, mentre dispongono del numero massimo di
diciotto rappresentanti i quattro “grandi Paesi” storici: Francia, Italia, Germania e
Regno Unito. Ad essi, nel febbraio del 1996, si è aggiunta anche la Federazione
Russa.
L’Assemblea è costituita da cinque gruppi politici: il gruppo socialista, quello
del partito popolare europeo, quello dei democratici europei, il gruppo liberale,
democratico e riformatore; infine, quello della sinistra unitaria europea. I
Parlamenti possono anche non iscriversi ad alcun gruppo. Il Presidente è eletto
dall’Assemblea tra i suoi membri e rimane in carica per tre anni.
L’Assemblea si riunisce quattro volte l’anno, in sessione plenaria pubblica,
nell’emiciclo del Palazzo d’Europa a Strasburgo. A queste sedute plenarie si
aggiungono due sedute della Commissione Permanente, che svolge le funzioni
dell’Assemblea plenaria, quando non è in sessione. Durante le sessioni ed al di
fuori di esse, i Parlamenti si riuniscono in Commissioni che trattano diversi
aspetti dell’attività politica e parlamentare. Queste Commissioni, di regola, si
riuniscono una volta al mese. Le più importanti sono la Commissione politica e la
Commissione delle Questioni Giuridiche e dei Diritti dell’Uomo, competente per
quanto riguarda tutte le attività dell’Organizzazione relative alla protezione dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
A seguito della risoluzione 1031 (1994), che è all’origine della procedura di
controllo (“monitoring”) destinata soprattutto a consolidare la democrazia negli
Stati membri dell’Europa centrale e orientale, è stata creata nel 1997 (risoluzione
1115) una Commissione di controllo che è tenuta a presentare, almeno una volta