IV
Ho quindi proceduto ad un’analisi accurata degli spettacoli teatrali censurati
dal governo fascista, facendo luce sui motivi e sulle problematiche
riscontrati nei provvedimenti presi dal censore stesso.
Ho proseguito il mio studio ponendo l’attenzione sulla figura di Mussolini
come coautore di opere drammaturgiche insieme a Giovacchino Forzano.
Ricerca che non è stata semplice per la scarsità del materiale, ma è stata
molto interessante per conoscere e approfondire la partecipazione
personale al teatro, e in particolare alla scrittura teatrale, del duce stesso.
Infine, ho completato il lavoro corredandolo con particolari immagini,
fotografie e documenti funzionali ad una migliore lettura del documento.
1
Capitolo primo
Teatro-cultura e teatro di massa ai tempi del fascismo
Il significato del teatro varia in relazione al periodo storico e al contesto
sociale cui si fa riferimento. Nel Novecento ciò che contraddistingue il teatro
non è più la finzione ma invece la messa in scena della vita contemporanea.
L’Italia si vede investita da un processo di politicizzazione della vita
pubblica negli anni dopo il 1922, quando l’influenza dello Stato fascista
diviene determinante col progressivo consolidarsi del regime. In effetti,
l’intervento dello Stato nei confronti del teatro è sempre stato prima di
quegli anni molto modesto, mentre in questo periodo il governo di
Mussolini s’impegna ad attivare una propria politica culturale favorendo una
serie di interventi legislativi e la fondazione di molti istituti culturali.
Per tutti gli anni Venti il teatro vede progressivamente diminuire il suo
pubblico a vantaggio del cinema a causa delle difficili condizioni
economiche in cui versa e ciò mette in gravi difficoltà il governo fascista
che in quegli anni non è mai riuscito ad agire in modo determinato di fronte
a questa situazione.
2
Il clima muta, invece, a partire dagli anni Trenta, quando lo stato fascista
comincia ad occuparsi seriamente del teatro e a vederlo come un settore
non più secondario, impegnandosi su tutti i fronti possibili: sistemi di
finanziamento pubblico, repertori, calendari delle stagioni, censura dei testi,
riorganizzazioni delle filodrammatiche, controllo delle compagnie e tournèes
all’estero.
E’ importante ricordare gli aspetti più interessanti dell’orientamento teatrale
fascista: nel 1929 vengono costituiti i Carri di Tespi1, teatri itineranti; nel
1930 è istituita la Corporazione dello spettacolo che ha lo scopo di studiare
e ricercare, in armonia con gli interessi dell’economia nazionale, le soluzioni
dei problemi riguardanti le industrie del teatro e del cinematografo e le altre
affini e di assicurare un luogo di collaborazione permanente fra i datori di
lavoro e i “prestatori d’opera, intellettuale e manuale, comunque interessati
ai rami dell’industria su sindacati”. Un decreto governativo ha affidato alla
Corporazione, la cui presidenza è stata offerta a Silvio D’Amico, la
possibilità di emanare norme sulle condizioni di lavoro delle categorie
rappresentate e promuovere tutte le iniziative necessarie alla migliore
organizzazione dell’attività teatrale e cinematografica2.
Più tardi, nel 1934 è costituita l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, il
cui statuto prevede la nomina di un Presidente, un Direttore, una
1
Vd. capitolo seguente.
3
Commissione Artistica e un Consiglio dei professori. Nel corso triennale gli
insegnamenti per gli allievi attori consistono in due materie fondamentali:
recitazione e storia del teatro, poi viene la danza, la ginnastica, la scherma ed
elementi di canto. Alla fine del triennio gli allievi attori e registi devono
dimostrare le tecniche acquisite attraverso un saggio finale da loro
rappresentato. Vi era poi la proibizione di partecipare, senza autorizzazione
della scuola, ad attività teatrali fuori dall’Accademia e l’obbligo d’iscrizione
al Partito Nazionale Fascista. I primi anni scolastici vedono la presenza in
Accademia di maestri come Tatiana Pavlova e Guido Salvini e attrici come
Irma Grammatica e Wanda Capodaglio 3.
Segue nel 1935 la nascita dell’Ispettorato del Teatro alle dipendenze del
sottosegretariato di Stato per la Stampa e Propaganda: istituzione che
prevede la centralizzazione della censura4. Secondo criteri uniformati nei
confronti delle proposte delle compagnie teatrali, questa istituzione evita che
ogni copione sia sottoposto a vis ti e pareri diversi a seconda delle piazze in
cui si è ospitati.
Tale iniziativa viene molto apprezzata perché, praticamente, sin da quando il
fascismo è arrivato al potere, critici teatrali e drammaturghi parlano di una
“crisi” del teatro, sia lirico che di prosa, crisi caratterizzata dalla bancarotta
2
Cfr. Gianfranco Pedullà, Il teatro italiano nel tempo del fascismo , Bologna, Il Mulino, 1994, p. 126.
3Ivi, pp. 180-181.
4
finanziaria, dalla disoccupazione e da un diminuire dell’interesse del
pubblico. Nel 1923, infatti, le varie associazioni di scrittori, proprietari di
teatri e attori si uniscono nella Corporazione nazionale del teatro allo scopo
di trovare una soluzione comune dei loro problemi. L’anno successivo
tengono a Milano una conferenza in cui viene approvato un ordine del
giorno in cui si chiede un più efficace intervento del governo nazionale nella
vita del teatro italiano (una richiesta che in seguito sarebbe stata ripetuta
spesso). La reazione di Mussolini alla crisi assume la forma di una circolare
che ordina ai prefetti di offrire appoggio e assistenza agli attori e alle
compagnie teatrali locali. Con l’aggravarsi della depressione e il
peggioramento della situazione, Mussolini interviene concedendo sussidi ad
alcuni dei teatri più importanti, e richieste di aiuto arrivano molteplici da tutta
Italia. Il risultato è stato l’inizio di quella fatale politica di sussidi permanenti
che aveva caratterizzato l’approccio mussoliniano alla crisi del teatro
durante l’intera vita del regime5.
Viene così a costituirsi un pensiero nazionale dello spettacolo, nel cui vigile
e costante esercizio si progetta la “norma” drammaturgica, l’ottimizzazione
di quello che è corretto e conveniente argomentare secondo l’etica e il buon
gusto.
4
La competenza della censura passa nel 1931 dalle prefetture al Ministero degli Interni, dove rimarrà fino a
che nel 1935 si formerà il Ministero per la Stampa e la Propaganda, trasformato poi, due anni dopo, in
Ministero della Cultura Popolare.
5
Cfr. Philip V. Cannistraro, La fabbrica del consenso , Roma-Bari, Laterza, 1975, pp.109-110.
5
Insomma la centralizzazione della censura e la creazione di scuole nazionali
d’arte drammatica lasciano intendere la volontà di una politica che trova
nella cultura lo strumento di un’espressione nazionale degli apporti
tradizionali: sono ritenuti minori i pericoli di una omologazione rispetto a
quelli di una serie di manifestazioni. Quindi, attraverso le numerose decisioni
governative prese, s’intuisce come il fascismo sia riuscito a realizzare una
ristrutturazione della vita teatrale nazionale tramite un’impegnativa azione
dello Stato. Sicuramente fu una politica deprecabile perché regolata da una
concezione assolutista dello Stato, ma nonostante questo, oggi, non se ne
possono negare gli aspetti positivi.
Un altro punto da chiarire è l’interesse di Mussolini nei confronti del
teatro: non è vero, come molti sostengono, che egli non si occupa della vita
teatrale, anzi, è estremamente attento in materia e non manca di dare il
proprio aiuto politico e finanziario alle iniziative avviate dagli autori
drammatici più importanti o più promettenti. Questa tesi è avvalorata
dall’importantissimo discorso che il Duce stesso tiene il 28 aprile 1933, al
teatro Argentina di Roma, in occasione del cinquantenario della SIAE
(Società Italiana Autori e Editori) parlando agli scrittori:
Ho sentito parlare di crisi del teatro. Questa crisi c’è, ma è un errore
credere che sia connessa con la fortuna toccata al cinematografo.
Essa va considerata sotto un duplice aspetto, spirituale e materiale.
L’aspetto spirituale concerne gli autori: quello materiale, il numero dei
posti. Bisogna preparare il teatro di masse, che possa contenere 15 o
20 mila persone. La “Scala” rispondeva allo scopo quando un secolo fa
6
la popolazione di Milano contava 180 mila abitanti. Non risponde più
oggi che la popolazione è di un milione. La limitazione dei posti crea la
necessità degli alti prezzi e questi allontanano le folle. Invece il teatro,
che, a mio avviso, ha più efficacia educativa del cinematografo, deve
essere destinato al popolo, così come l’opera teatrale deve avere il
largo respiro che il popolo le chiede. Essa deve agitare le grandi
passioni collettive, essere ispirata ad un senso di viva e profonda
umanità, portare sulla scena quel che veramente conta nella vita dello
spirito e nelle ricerche degli uomini. Basta con il famigerato
“triangolo”, che ci ha ossessionato finora. Il numero delle complicazioni
triangolari è ormai esaurito... Fate che le passioni collettive abbiano
espressione drammatica, e voi vedrete allora le platee affollarsi. Ecco
perché la crisi del teatro non può risolversi se non sarà risolto questo
problema6.
Con questo discorso il Duce precisa la necessità di un teatro di grandi
passioni collettive da presentare alle masse. Egli auspica un teatro “di
masse” che significa “per masse” di spettatori, non di attori.
Alcuni autori, però, interpretano queste parole troppo alla lettera, pensando
che per “teatro di masse” s’intenda teatro dove agiscono migliaia di attori
per un pubblico di dieci o venti mila spettatori.
Infatti, esattamente un anno dopo questo appello, il 29 aprile 1934, un
gruppo di autori (Alessandro Pavolini, Luigi Bonelli, Gherardo Gherardi,
Sandro Feo, Raffaele Melani, Corrado Sofia, Carlo Lisi e Giorgio
Venturini) con la regia del giovane Alessandro Blasetti7, porta sulla scena lo
6
Il discorso di Mussolini è riportato da Roberto Forges Davanzati, Mussolini parla agli scrittori, in
“Nuova Antologia”, n°3, maggio-giugno 1933, p. 191.
7
Alessandro Blasetti: direttore e insegnante di recitazione della prima scuola di cinema con sede
all’Accademia di S. Cecilia, patrocinata dal Ministero dell’Educazione Nazionale e dalla Corporazione dello
Spettacolo, dal 1932 al 1934 e dal 1935, anno d’inaugurazione del Centro Sperimentale di Cinematografia, al
1942 insegnante di regia e recitazione in questa scuola. Regista cinematografico di molti film, tra cui: Sole
(1929), suo primo film, incentrato sulla bonifica delle paludi Pontine, che ottiene la lode di Mussolini e di
7
spettacolo che avrebbe dovuto realizzare l’assunto mussoliniano del teatro
di masse.
Il 18 BL8, questo è il suo titolo, viene allestito a Firenze, sulla riva dell’Arno
che fronteggia le Cascine, sopra un palcoscenico di oltre 250 metri, davanti
a circa venti mila spettatori, ma si risolve in un avvenimento scenico
piuttosto confuso e stucchevole. La rappresentazione si svolge in tre quadri
e mostra la storia che ha per protagonista un camion militare - il Fiat 18 BL
appunto - che nel primo quadro riesce insieme all’autista, a giungere fino
alle trincee nemiche, rendendo possibile la vittoria dell’esercito italiano; nel
secondo quadro l’autocarro serve a sbaragliare la sovversione comunista
all’interno di una fabbrica, prima di avviarsi a partecipare alla marcia su
Roma. Nel finale, invece, dopo la vittoria mussoliniana, il vecchio camion
assiste ad immagini di vita lavorativa nei campi della nuova Italia fascista9.
La scelta attuata da Alessandro Pavolini di un camion come martire/eroe
può non sembrare ovvia, se si pensa alla posizione di preminenza che il
sistema ferroviario occupa nell’immaginario fascista. Infatti, a partire dalla
fine dell’ottocento i treni erano divenuti un simbolo privilegiato di
modernizzazione e progresso in tutto il mondo, e soprattutto in un paese
molti critici per il suo populismo fascista e per la sua fusione di crudo realismo e di idealismo eroico;
Resurrectio (1929), il primo film sonoro italiano; 1860 (1933), forse il migliore tra i suoi primi film, anticipa
numerose tecniche che più tardi sarebbero diventate canoniche nel cinema del neorealismo; Vecchia
Guardia (1934); Quattro passi tra le nuvole (1942). Mentre per il teatro nel dopoguerra segue la regia di: Il
tempo e la famiglia Conway (1945), Ma non è una cosa seria (1945), La foresta pietrificata (1947) e La
regina degli insorti (1951).
8
Vd. Appendice iconografica (foto n. 30, p. 198).
8
arretrato come l’Italia. Inoltre, i treni rappresentavano in qualche modo il
potere di un governo centrale, in contrasto con l’automobile, identificata, fin
dai tempi del Manifesto di fondazione del futurismo (1909), con
l’individualismo moderno.
Quindi, sospesi tra i treni e le automobili, stanno i camion10. Questi sorgono
come emblema della collettività agli albori della storia dei
trasporti moderni in virtù del loro legame, condiviso con gli autobus, con
l’industria e il proletariato urbano, da una parte e, in coppia coi trattori, con
l’agricoltura e il mondo contadino dall’altra. A differenza dei treni, la
collettività dei camion non può immediatamente identificarsi con lo stato; e
anzi, dato l’eccezionale grado di autonomia e la libertà di movimento di
questo sistema di trasporto, camion e camionisti furono da sempre associati
non tanto con la società quanto con il mondo duro del proletariato
fuorilegge11.
Allora, nel momento in cui compare il problema di come rappresentare gli
inizi della rivoluzione nell’ambito del primo “teatro di masse per masse”, il
gruppo di autori riuniti da Pavolini raggiunge facilmente un accordo. La
rivoluzione e la guerra mondiale che l’ha preceduta possono essere
9
Cfr. Gianfranco Pedullà, Il teatro italiano cit., p. 202.
10
Vd. Appendice iconografica (foto n. 1, p. 175).
11
Jeffrey T. Schnapp, “18 BL” Mussolini e l’opera d’arte di massa , Milano, Garzanti, 1996, pp. 71-72.
9
impersonate molto efficacemente da un camion, il veicolo per definizione
della “nazione proletaria”12.
Come già accennato precedentemente, le redini di questo spettacolo
Pavolini le affida alla giovane regia del trentatreenne Alessandro Blasetti.
Blasetti, però, avrebbe affermato che era stato Mussolini in persona
a chiamarlo a dirigere il 18 BL: <Mussolini immaginò uno spettacolo per
una folla di ventimila spettatori e volle che fossi io a dirigerlo. Creai uno
spettacolo dal titolo 18 BL, il nome di un camion… Fu il più grande fiasco
nella storia del teatro internazionale. Questa fu… la sola volta che Blasetti
ricevette i complimenti di Mussolini… Disse: “Ciò ha dimostrato una
capacità d’iniziativa, di forza, di resistenza, di solidità. Straordinario”>13.
Ma, poiché Blasetti distorce lievemente il concetto di teatro di massa di
Mussolini e omette di menzionare qualsiasi altra occasione in cui il duce
intervenne in suo favore, vi sono buone ragioni per dubitare di questa
affermazione. Fonti d’archivio indicano che fu Pavolini ad organizzare il 18
BL e a sceglierne i principali protagonisti. Sicuramente Mussolini fu tenuto
al corrente dei progetti per i Littoriali, ma il suo relativo distacco è
confermato dalla sua decisione di non intervenire alla rappresentazione di 18
12
Ivi, p. 74.
13
Elaine Mancini, Struggles of the Italian Film Industry during Fascism 1930-35, Boston, G. K. Hall &
Co., 1986, p. 113.
10
BL. Pavolini scelse di ricorrere a Blasetti soltanto verso la fine del gennaio
del 1934, quando il processo di stesura era già avviato da tempo14.
Sta di fatto che per questo spettacolo il giovane regista deve affrontare
numerose difficoltà, tra cui una delle più grandi, risulta
essere senza dubbio la costruzione di un teatro all’aperto in grado di poter
ospitare circa ventimila persone (proprio in base alle disposizioni del duce).
Non si scoraggia, anche se ha a disposizione poco tempo, circa due mesi,
si mette all’opera attorniato da validi scenografi e coreografi, nonché da
dozzine di operai e ruspe che si cimentano per la creazione di questa
immensa arena15.
Il luogo scelto per il 18 BL era utilizzato come discarica, perciò il progetto
di Blasetti risulta anche come una sorta di bonifica suburbana. Il posto in
questione, chiamato l’Albereta dell’Isolotto, infatti, era tagliato in due da un
profondo vallone che però ora viene fatto allargare per trasformarlo in una
cabina di regia e in una postazione per luci. Come osserva Cipriano
Giachetti:
14
Jeffrey T. Schnapp, “18 BL”: Mussolini e l’opera cit., p. 97.
15
Nella descrizione di Pavolini, l’impresa fu realizzata con l’assistenza della città e dell’esercito: “Operai
reclutati fra i fascisti privi di occupazione sterrano l’immensa platea, modificando il profilo delle colline,
terminano le strade, in unione agli operai e alle macchine del Comune di Firenze, il quale in questa
occasione ha dato, coi suoi dirigenti e coi suoi uffici, alto esempio di come una mentalità aggiornatissima
sappia pervadere le pubbliche amministrazioni. Uguale esempio ci hanno fornito, in collaborazione
cordialissima e piena di comprensione, le Autorità militari, le quali sono venute incontro in mille modi,
ponendo a disposizione compagnie di zappatori per i lavori di sterro, sezioni fotoelettriche, mitragliatrici,
batterie di artiglieria e molto altro indispensabile materiale umano e meccanico”. L’affermazione di Pavolini
11
Una collina con un fronte di 250 metri ha servito da palcoscenico:
un’altra collina, quasi del tutto artificialmente, in faccia alla prima, sulla
riva dell’Arno, è stata utilizzata per la platea: fra le due un vallo
profondo, che era un po’ la fossa dell’orchestra e il posto di
rifornimento, la cuffia del suggeritore e la cabina di direzione16.
I lavori sono faticosi e complicati, Blasetti lungo le pendici delle colline
artificiali fa ricavare una dozzina di piazzole per la preparazione delle scene
dello spettacolo, come strade, trincee e botole per i movimenti degli attori,
dell’artiglieria, dei cavalli e dei camion. Inoltre vengono installati dei telefoni
da campo per facilitare la comunicazione tra le piazzole e la cabina di regia.
Durante la rappresentazione un elemento che il regista cura con particolare
attenzione è senza dubbio l’illuminazione, l’alternanza di
luci e ombre. Questo anche perché, non potendo esistere un sipario, e
dovendo seguire gli spostamenti dei protagonisti da una scena all’altra,
Blasetti ha bisogno della luce come coordinatrice dell’azione: mentre potenti
riflettori illuminano lo svolgimento della scena, altre scene possono venir
preparate nelle zone rimaste nell’ombra.
Un secondo elemento di fondamentale importanza per rendere la tensione
drammatica del 18 BL, è il sonoro e più in particolare l’avvicendamento di
sulla collaborazione delle autorità è smentita da numerosi documenti contenuti nell’Archivio Blasetti che
rivelano la disperazione del regista per la loro lentezza e incompetenza. (Ivi, p. 98).
12
silenzio e suoni “rumorosi”. Le dimensioni del palcoscenico sono tali che
vengono collocati microfoni un po’ ovunque per garantire la diffusione dei
pochi, tersi monologhi, dialoghi e momenti corali dell’opera. La partitura
musicale, le canzoni e gli effetti sonori sono tutti preregis trati per essere
trasmessi dagli stessi altoparlanti utilizzati dai microfoni17.
Per quanto concerne i posti a sedere, la platea è ideata a forma di
rettangolo, con un lato curvo, cinta tutt’intorno da un argine d’erba di circa
tre metri d’altezza; palchi e loggioni vengono abbandonati a favore di un
solo settore piano per non creare differenze di visibilità.
Viene fatta però una distinzione: tra i più costosi biglietti riservati (5000
posti sono venduti a dieci, venti o cinquanta lire l’uno) che sono disposti
lungo l’asse centrale del teatro, e i “popolari” (15000 posti venduti a tre lire
l’uno) relegati invece ai lati della platea. Questa distinzione tra settori di
posti ha anche lo scopo di corrispondere ad un’elaborata coreografia
sociale, a sua volta riflessa nella rappresentazione, che l’opera propone,
della dialettica tra l’uomo di massa e l’individuo eroico. Inoltre, non
vengono distribuiti biglietti omaggio e il solo sconto concesso è per i
dopolavoristi18.
16
Cipriano Giachetti, Il teatro ai Littoriali di Firenze, in “Comoedia” n. 16, giugno 1934, p. 18.
17
Jeffrey T. Schnapp, “18 BL”: Mussolini e l’opera cit., p. 80.
18
Ivi, p. 85.
13
Il regista all’inizio pensa alla creazione di un unico ingresso per accedere al
teatro, cioè attraverso un doppio ponte di barche illuminato da torce. Subito
dopo, però, deve cambiare obbligatoriamente idea, visto che la dotazione di
imbarcazioni fluviali militari risulta insufficiente.
Decide, quindi, di adottare una soluzione che prevede una doppia entrata
19
.
L’ingresso sul lato d’Oltrarno del fiume è riservato ai possessori di biglietti
“popolari”, i quali, una volta entrati nello stadio immerso in una cortina di
fumo, sarebbero rimasti affascinati dallo spettacolo di dieci immensi libri
aperti, sormontati da baionette. Potenti fasci luminosi vengono puntati, poi,
contro le pagine bianche dei libri in modo che questi ne riflettano la luce
sulla platea
20
.
Il pubblico “d’élite”, invece, raggiunge i suoi posti numerati seguendo un
itinerario limitato al versante cittadino del fiume. Dopo l’attraversamento dei
quartieri eleganti e delle sedi delle ambasciate della Firenze ottocentesca,
giunge fino alla vera entrata del teatro, un ponte di barche fluviali illuminato
da torce rette da barcaioli.
19
Vd. Appendice iconografica (foto n. 2, p. 176).
20
Jeffrey T. Schnapp, “ 18 BL”: Mussolini e l’opera cit., p. 86.