6notiamo quanto il fascismo sia riuscito a cambiare non solo la vita ma anche il
volto della città, resa protagonista dell’impresa etiopica, con le Opere del regime;
infine il terzo periodo riguarda i difficili anni del conflitto mondiale e la caduta di
Mussolini.
Il quarto capitolo rappresenta la parte centrale del nostro lavoro. Vengono
introdotte le fotografie scattate dagli operatori del Luce a Napoli per presentarci i
vari aspetti da prendere in considerazione nella nostra tesi. Innanzitutto
effettueremo mediante delle tabelle un’analisi quantitativa delle fotografie
scattate nel periodo preso in esame. Nella seconda parte del capitolo
introdurremo le fotografie, da noi considerate più significative, e ne spiegheremo
attraverso diverse chiavi di lettura le caratteristiche ricorrenti e principali.
L’analisi quantitativa assieme a quella qualitativa delle fotografie, può in tal
modo far comprendere quali possano essere stati i criteri di selezione delle stesse
e mostrarci i soggetti e gli eventi a cui agli operatori del periodo erano
maggiormente interessati.
È proprio alle foto assenti, cioè quelle fotografie che per determinati motivi erano
state scartate o non potevano essere scattate dagli operatori del Luce, che è
dedicato il quinto capitolo. È stato possibile consultare altri archivi on line:
quello dell’agenzia Magnum, dove sono catalogate le foto scattate da Robert
Capa e altri fotografi al servizio della rivista Life durante il conflitto, e quelli
della stessa rivista appena citata.
Si è così cercato di comprendere quali fossero i punti di contatto e quali le
differenze, tecniche e propagandistiche, tra le immagini codificate dal Luce
durante il ventennio, e quelle dei fotografi alleati negli anni dell’occupazione.
6
7Capitolo 1
La fotografia come fonte per la ricostruzione storica
1.1 Un documento silenzioso
Nella società e nella cultura contemporanee il ruolo della fotografia e il suo
valore di fonte per lo studio della storia offrono sia risorse e spunti di
approfondimento inediti che insidie nella lettura di un documento considerato più
immediato della parola scritta, ma al tempo stesso veicolo di messaggi
intenzionali e non.
La fotografia è il primo documento “oggettivo” dell’età contemporanea e precede
tutti i fenomeni di massa (la radio, il cinema) di una società industriale
caratterizzata dalla riproducibilità, dalla ripetitività e dalla costante minaccia di
omologazione culturale. È una fonte in cui sono fortemente interessate la
soggettività del produttore, degli osservatori contemporanei, delle generazioni
successive e di quelle odierne: una fotografia può conservare, sullo sfondo di
immagini ufficiali o dimenticate, elementi precedentemente trascurati da sguardi
distratti.
Jacques Le Goff ha sostenuto che la memoria collettiva e la sua forma scientifica,
la storia, si applicano a due tipi di materiali: i monumenti, eredità del passato che
sono solo in minima parte testi scritti e scelti dallo storico, e i documenti.
In tal modo si è fatta spazio l’idea di un documento che non può essere
“oggettivo, innocuo, primario” e che, anzi,
è sempre e comunque il risultato dello sforzo compiuto dalle società storiche per
imporre al futuro – consapevolmente od inconsapevolmente – quella data
immagine di se stesse.
1
7
1
J. LE GOFF , “Documento / monumento”, in Enciclopedia, vol. V , Einaudi, Torino, 1978, p.46.
8Lo storico francese Lucien Febvre allo stesso modo ha affermato che la storia si
può fare con i documenti scritti, ma in assenza di questi è la stessa ingegnosità
dello studioso a dover cercare fonti alternative, come possono esserlo le stesse
fotografie, “mute” ma capaci anch’esse di fornirci una testimonianza delle
società che le hanno prodotte.
2
La storia tradizionale si limitava a trasformare in documenti i monumenti del
passato: oggi la storia è quella che trasforma i documenti in monumenti e che,
anche a fronte di una grande mole di dettagli, si sforza di costruire un insieme,
isolando, raggruppando e mettendo in relazione gli elementi pertinenti.
La fotografia nasce intenzionalmente come monumento, come “edificatrice” di
una memoria familiare o collettiva; al contempo, come documento nel suo
significato originario, è uno specchio della realtà o una prova.
Demitizzando i significati apparenti contenuti in questi documenti, lo studioso
può comprendere la storia della società che li ha generati e anche delle epoche
successive nelle quali hanno continuato a vivere e a essere manipolati.
Gabriele D’Autilia indica anche il valore che può avere la fotografia per gli
storici contemporanei: non più “prova” come per la cultura positivista, ma
“indizio”:
Non esiste un documento-verità: ogni documento è menzogna. Ogni documento è
nello stesso tempo vero – anche quelli falsi – e falso; anche ogni fotografia è vera
e falsa e le foto di propaganda politica sono spesso “oggettivamente” false.
3
8
2
Cfr. L. FEBVRE, Problemi di metodo storico, Torino, Einaudi, 1992.
3
G. D’AUTILIA, L’indizio e la prova – la storia nella fotografia, Milano, La Nuova Italia, 2001, p.9.
91.2 Fotografia e società
La nascita della fotografia ha modificato la percezione della realtà e il rapporto
dell'uomo con essa. Basti pensare all'impatto che ebbe sui contemporanei uno
strumento che permetteva di vedere anche l’invisibile.
Come agente di storia, la fotografia ha esercitato una straordinaria influenza sia
sulla vita individuale sia sulla vita collettiva. Ha rivoluzionato la percezione della
realtà, permettendo di vedere ciò che non si era mai visto: dal più piccolo (i
batteri) al più grande (il territorio attraverso le fotografie aeree), al non visibile
(l’interno del corpo tramite le radiografie); modificando la visione del reale, ha
condizionato il rapporto dell’uomo con esso. La fotografia è stata ed è uno
strumento di conoscenza e un mezzo di conservazione della memoria privata e
collettiva.
Alla sua invenzione nel 1839 il nuovo mezzo scatenò subito accese discussioni
sul valore scientifico o estetico della riproduzione meccanica della realtà: la
tecnica fotografica annunciava la scomparsa dei pittori commerciali e allo stesso
tempo era una prova a favore dell’ottimismo della cultura positivista che
riponeva totale fiducia nel progresso e nella scienza. Solo alla fine dell’Ottocento
la stampa delle fotografie su libri e riviste divenne qualitativamente
soddisfacente: con la loro immediatezza di lettura e l’impatto cronachistico
modificarono la ricezione delle notizie.
In Italia la fotografia anticipò di due decenni l’unità politica del nuovo Stato e nel
nostro paese la storia e questo tipo di documento si sono spesso intrecciati.
Le molteplici possibilità, anche politiche, offerte dalla fotografia vennero
sperimentate in Italia molto presto: durante la lotta al brigantaggio non solo i
soldati mostravano nelle foto i cadaveri dei ribelli, ma gli stessi briganti si
mettevano in posa per scatti che dimostravano quanto il ruolo simbolico e
“sociale” del mezzo fotografico si fosse già affermato. Sarà in generale la Grande
Guerra a sconvolgere le sensazioni dell’uomo, “mondiale” e “moderna” proprio
in quanto sottopose tutte le nazioni coinvolte alle stesse inedite sollecitazioni
9
10
visive e acustiche, raggiungendo anche i ceti più bassi (i soldati italiani erano
soprattutto contadini), non ancora toccati dalle meraviglie tecnologiche della
società industriale di massa.
Le fotografie invasero le trincee attraverso manifesti, volantini, giornali, sotto
forma di cartoline illustrate o ritratti familiari. Gli stessi soldati, dotati di
apparecchi fotografici, testimoniarono con crudo realismo una verità sulla guerra
al fronte ancora sconosciuta a molti.
1.3 La narrazione storica attraverso la fotografia
Raccontare la storia d’Italia usando l’immagine fotografica significa
non solo limitarsi a individuare le fonti iconografiche dei grandi
avvenimenti e dei grandi personaggi, ma anche e soprattutto documentare
la storia della società e della mentalità di un paese unificato politicamente,
ma ancora oggi alla ricerca di un’identità.
4
Così nel loro lavoro Crescenti e D’Autilia spiegano l’importanza della selezione,
in una narrazione storica che voglia usare le fotografie come supporto: le
immagini permettono di rendere il racconto delle vicende e degli eventi
“affascinante e spettacolare”, oltre che avvincente, ma è lo studioso a riunire
determinate immagini, operando una motivata critica delle fonti.
5
Un libro fotografico è spesso composto da immagini che in origine avevano uno
scopo diverso (documentazione scientifica, memoria familiare, ecc.), osservate
oggi attraverso una visione totalmente diversa da quella del produttore originario.
L’esempio lampante che riguarda questo studio è proprio l’uso fatto dal regime
fascista di “storie fotografiche” dell’Italia o della stessa rivoluzione fascista, con
10
4
L. CRISCENTI – G. D’AUTILIA, Autobiografia di una nazione: storia fotografica della società
italiana, Roma, Editori Riuniti, 1999, p.61.
5
Ibidem.
11
immagini prodotte dalle stesse istituzioni, capaci in ogni caso di sviluppare
l’interesse degli italiani dell’epoca.
Il valore storico di determinate operazioni resta comunque basato sulle fonti
scritte che costituivano la base di informazione, mentre le fotografie assumevano
esclusivamente il ruolo di sostegno illustrativo a discorsi storici già impostati in
precedenza.
6
II contributo alla conoscenza del regime fascista offerto da questo tipo di lavori
è innegabile, ma significa sottovalutare le possibilità della fotografia: la grande
quantità di immagini, spesso ordinate cronologicamente, non fanno che fornire
la stessa immagine parziale che il fascismo voleva appunto far prevalere.
Delle ricerche parallele, limitate nei temi e nei tempi, al fine di approfondire
solo alcuni aspetti di un determinato periodo storico – in questo caso il
ventennio fascista – possono invece essere più fruttuose, soprattutto
nell’affiancarsi a lavori di carattere generale, e nell’approfondire alcuni aspetti
che non hanno finora trovato spazio rispetto a quelli più noti.
1.4 Gli approcci di studio
Se la fotografia è stata spesso utilizzata come supporto narrativo per la storia, con
minore frequenza è stata presa in considerazione come fonte dagli storici.
Nell’analisi storica è fondamentale porre attenzione su ciò che è inconsapevole:
nella fotografia, tornando alla distinzione tra monumento (eredità del passato) e
documento (selezionato dallo studioso), distinguere tra intenzionalità o meno, su
soggettività e oggettività, è ancor più difficile.
Peppino Ortoleva ha delineato l’evoluzione del rapporto tra storia e fotografia,
passato dall’entusiasmo iniziale degli storici ottocenteschi, convinti di avere a
disposizione un mezzo che documentasse con fedeltà assoluta la realtà, alla
negazione della obiettività dell'immagine fotografica da parte degli studiosi
contemporanei. La riproducibilità dell'immagine nel giornalismo e il carattere
11
6
L. LANZARDO, Immagine del fascismo: fotografie, storia, memoria, Milano, Angeli, 1991, p.56.
12
ambiguo avuto nella politica dei regimi dittatoriali hanno messo in crisi la
fiducia nella naturale democraticità insita nel mezzo. Ortoleva ha indicato le
motivazioni di questo atteggiamento in quattro cause fondamentali:
1. Il carattere “istantaneo” della fotografia è incompatibile con il fluire del
tempo. Un’immagine che fissa un singolo evento è un documento storico
fedele, ma la gestione di fotografie appartenenti a un lungo periodo è più
difficile per la storiografia;
2. Il rapporto tra fotografia, individuo e massa: la fotografia è un fenomeno
di massa che riproduce infinite individualità, fornendo dati e dettagli
praticamente incontrollabili;
3. Il problema del linguaggio: lo storico, quando ha a che fare con documenti
non testuali, deve in ogni caso tradurli attraverso la parola scritta;
4. L’apparenza di realtà: la fotografia è stata trascurata in quanto fonte dalla
cultura occidentale, la quale è andata alla ricerca di strutture più profonde,
a svantaggio di un documento ritenuto troppo sensibile.
7
La fotografia per sua natura è portata quindi a creare confusione tra la realtà e la
verità, rende diffidenti gli storici per la facilità con cui può sollevare la pietà o la
collera degli spettatori, come sostiene anche Sorlin:
L’immagine non è, in sé, né falsa né vera, non offre che un aspetto della
realtà che si estende ben al di là di quanto mostri.
8
Nella lettura dell’immagine, ha un ruolo prioritario il delicato rapporto tra
percezione e interpretazione (entrambe connesse a fattori storico-culturali). Uno
12
7
P. ORTOLEVA, La fotografia, in Il mondo contemporaneo: enciclopedia di storie e scienze sociali, Vol.
II, Firenze, La Nuova Italia, 1981, pp.1123-1125.
8
P. SORLIN, L’immagine e l’evento: l’uso storico delle fonti audiovisive, Torino, Paravia, 1999, pp.
11-12.
13
studio che tenga conto della peculiarità dell’immagine fotografica si basa su
alcuni obblighi richiesti allo storico nell'approccio a questo tipo di documento.
Innanzitutto, bisogna fare una distinzione tra l’autenticità (authenticity) e
l’attendibilità (truthfulness). La prima consiste in una critica delle fonti
(l’individuazione, non sempre facile, della data, del luogo, dell’evento e del
committente); la seconda riguarda la lettura degli indizi che esso contiene, allo
scopo di legittimare la verità del suo contenuto e quindi il suo valore di prova.
Inoltre, lo storico deve prendere in considerazione la relazione esistente tra
singoli documenti, attraverso un lavoro condotto sulla quantità e sulla serialità.
A tal proposito la fotografa Margaret Bourke-White ha scritto:
Una singola fotografia può darsi che menta, ma un gruppo di fotografie non
può mentire. [...] Le fotografie devono dire la verità; la loro somma
costituisce un'interpretazione vera.
9
Non va tralasciato poi il confronto della fotografia con altre fonti (orali, cartacee,
audiovisive). Le fotografie prese singolarmente non contengono elementi
sufficienti per l'analisi storica, “trasmettono materiale grezzo senza definirlo”.
10
Un altro vincolo a cui lo storico si deve attenere consiste nello studio dei codici
di rappresentazione e auto-rappresentazione, delle loro origini e delle motivazioni
che li hanno prodotti. Per esempio lo studio dei generi fotografici e delle tecniche
fotografiche (la sfocatura degli oggetti in primo piano o sullo sfondo pilota la
nostra attenzione, ecc.).
Infine occorre verificare la congruenza dei documenti fotografici con l'oggetto di
studio scelto, l’approfondimento della fruizione del corpus fotografico che
s'intende studiare e la soggettività dello storico.
Questo ultimo fattore è probabilmente il più importante. Prima di osservare una
fotografia come fonte e strumento a supporto di un lavoro, lo storico deve
prendere coscienza di alcuni ostacoli che la propria soggettività gli pone dinanzi,
13
9
Cit. riportata in F. FERRAROTTI, Dal documento alla testimonianza: la fotografia nelle scienze sociali,
Napoli, Liguori, 1974, p.18.
10
S. KRACAUER, Teoria del film, Milano, Il Saggiatore, 1962, p.75.
14
per poterli superare: la pietas, così come definita da Bevilacqua
11
, cioè il
coinvolgimento emotivo dello studioso nei confronti della sua materia, è uno di
questi. Oppure può prevalere nell’analisi delle immagini una tesi già dimostrata
in altri tipi di documenti: è il complesso problema del rapporto tra fonti primarie
e secondarie.
12
I rischi sono due: porre troppa fiducia nella fonte visiva, oppure cercare di
strappare alle immagini del passato testimonianze “involontarie” di mentalità e
stati d’animo.
1.4.1 L’approccio semiologico
Anche la semiologia, definita come “scienza generale dei segni” dal linguista
Ferdinand de Saussure partendo dal principio che la lingua non fosse l’unico
“sistema di segni esprimente idee” utile alla comunicazione
13
, è andata alla
ricerca del linguaggio specifico dell'immagine, di ciò che la differenzia dal
linguaggio verbale.
Innanzitutto all'interno del quadro dell'immagine si organizzano differenti
categorie di segni: le immagini nel senso teorico del termine, cioè “le
rappresentazioni” (segni iconici); i colori, la composizione, le forme, ecc. (segni
plastici); il linguaggio verbale (segni linguistici). La relazione tra questi segni
produce un senso che lo spettatore ha imparato a decifrare, ma che con
un’osservazione più sistematica può essere compresa meglio.
14
Nel suo saggio “La camera chiara”, Roland Barthes evidenzia i due elementi che
sono presenti in ogni fotografia: lo studium, che consiste nell’interessamento
culturale o personale, proveniente dal soggetto studioso e rivolto verso la
14
11
P. BEVILACQUA, Sull’utilità della storia: per l’avvenire delle nostre scuole, Roma, Donzelli, 1997, p.
53.
12
C. GINZBURG, Miti, emblemi, spie, Torino, Einaudi, 1986, p.51.
13
Cfr. F. DE SAUSSURE, Corso di linguistica generale, Bari, Laterza, 1967.
14
M. JOLY, Introduzione all'analisi dell'immagine, Torino, Lindau, 1999, p.42.
15
fotografia; e il punctum, l'impatto psicologico soggettivo, che può dipendere dal
vissuto individuale e dai condizionamenti emozionali, una sorta di ferita
provocata da una freccia che parte dalla fotografia e raggiunge il soggetto
studioso, a carpire la sua attenzione e disturbare lo studium.
15
Il primo problema che incontra lo storico quando affronta la fotografia è quello
della definizione della sua natura. La fotografia ferma il flusso degli eventi,
mostra qualcosa che non siamo abituati a vedere, sembra in contraddizione con la
concezione storica del tempo. Secondo Barthes, la fotografia è un monumento
effimero, un oggetto attorno al quale si è costruito il mito dell’oggettività e che
invece mostra una realtà “intrattabile”.
Barthes fu uno dei primi a utilizzare l'immagine pubblicitaria per verificare gli
strumenti dell'allora nascente semiologia dell'immagine.
16
Per Barthes i materiali che costituiscono il messaggio visivo sono: il messaggio
linguistico, il messaggio iconico non codificato e il messaggio iconico codificato.
Il messaggio linguistico, appartenendo a un sistema di segni meno ambiguo
dell’immagine, è il più facilmente decifrabile, quando presente. Il messaggio
iconico non codificato rimanda all’immagine in sé, a quello che, sostanzialmente,
ci mostra una realtà fotografata. Il messaggio iconico codificato, infine, è
costituito da un insieme di segni: questi comunicano un messaggio letterale (o
“denotato”) e un messaggio simbolico (o “connotato”), legato a ciò che è già
noto sia chi dal “lettore” che dal produttore dell’immagine.
Barthes introduce poi il concetto di “retorica dell'immagine” che egli intende in
diversi modi: lo stile, l’argomentazione e la persuasione. Soffermandoci su
quest’ultima, la persuasione sta nel concetto di connotazione, la possibilità cioè
di leggere un significato secondario (simbolico) da un significato primario, a
partire dallo stesso significante.
Dato che quella pubblicitaria è un'immagine intenzionale, che deve raggiungere il
maggior numero di persone e rendere perciò chiare le sue componenti, è un tipo
15
15
R. BARTHES, La camera chiara: nota sulla fotografia, Torino, Einaudi, 1980, p.28.
16
Idem, “Retorica dell’immagine”, in L’ovvio e l’ottuso, Torino, Einaudi, 1985, p.22 sgg.
16
di intenzionalità particolare, perché ha obiettivi diversi dagli altri tipi di
immagine; proprio come nella fotografia di propaganda, l'esistenza di regolarità e
convenzioni, nello spazio e nel tempo, aiutano anche lo storico a orientarsi in un
settore che ha esercitato un'enorme influenza nella costruzione dell'immaginario
collettivo.
1.5 Fotografie e parole
Da quando la fotomeccanica ha permesso la pubblicazione delle immagini, la
prima cosa che un osservatore comune cerca dentro (e fuori) le fotografie sono
quindi gli indizi verbali, che comunichino qualcosa sul contesto e su che cosa
stava accadendo nel momento dello scatto. Quando questi indizi sono assenti, il
documento perde molti dei connotati necessari per il suo utilizzo come fonte.
La testimonianza orale, che pone problemi analoghi a quelli posti dalla fotografia
(essendo innanzitutto soggettiva), si è rivelata spesso necessaria
all’interpretazione di documenti fotografici, poiché solo chi ha vissuto le vicende
riprodotte nelle immagini è in grado di fornire significati alle tracce lasciate nella
fotografia.
17
Per lo stesso motivo le immagini vengono da sempre pubblicate con un testo
usato come “conferimento di senso” alle fotografie: la didascalia. Il testo
d’accompagnamento è a volte indispensabile ma allo stesso tempo assume una
funzione preponderante rispetto alla fotografia.
Ogni immagine può essere ricontestualizzata, manipolata e falsificata, anche
semplicemente attraverso il testo che l'accompagna. Dal punto di vista dello
storico, anche questo tipo di fotografie accompagnate da un testo falso
costituiscono “documenti autentici”.
16
17
Cfr. L. LANZARDO, op. cit. Nel suo lavoro Lanzardo sceglie di intervistare “semplici consumatori” di
propaganda fascista, mettendo in relazione le fotografie dell’epoca con i ricordi personali.
17
La didascalia – che sia scritta dall’autore stesso della foto o no - è
un'irruzione di intenzionalità che vuole rendere monumento il documento
fotografico.
18
1.5.1 Il concetto di intenzionalità
Filologicamente, il “falso” era sempre stato considerato dalla metodologia
positivista un documento che, pur riproducendo un originale perfettamente,
restava comunque una sua riproduzione manuale e quindi materialmente diverso;
la distinzione tra gli originali e le copie era il caposaldo strategico per la critica
delle fonti.
La fotografia, col suo ingresso tra i documenti storici, ha ridisegnato il concetto
di “falso” storico. Nell'analisi critica di questo tipo di fonte, la distinzione tra la
verifica preliminare dell’esattezza e dell’autenticità e il successivo
accertamento dell'intenzionalità si è progressivamente azzerata: la ricerca delle
manipolazioni e delle falsificazioni coincide con lo studio del “progetto
intenzionale che ha segnato la costruzione della fonte”.
19
È proprio questo
studio del rapporto tra l’eventuale falso e l’intenzionalità di chi l’ha costruito
che diventa primario.
La ricerca del “vero” e del “falso” è quindi diventata la verifica
“dell'intenzionalità della fonte”, che cancella la distinzione, tipica della
metodologia positivista, fondata sulla coppia documento-monumento.
De Luna misura l’intenzionalità non sul piano dell'affidabilità della fonte
quanto su quello dei connotati specifici che essa è in grado di imprimere ai
singoli documenti, applicando un’analisi critica delle fonti e dei media
contemporanei che sia specificamente novecentesca.
20
Dopo aver rifiutato un
17
18
G. D’AUTILIA, op. cit., 2001, p.179.
19
G. DE LUNA, La passione e la ragione. Fonti e metodi dello storico contemporaneo, Firenze, La
Nuova Italia, 2001, p.203.
20
Idem, pp.211-212.
18
esame separato dell'autenticità, dell'esattezza e dell'intenzionalità,
modificando quindi l’approccio tradizionale, De Luna introduce il concetto
della “verifica dell'intenzionalità”, composto da due operazioni distinte e
successive: la prima è riconoscere “le intenzioni” dell'autore, il progetto
politico e culturale al quale aderisce, il suo retroterra psicologico; la seconda
operazione, immediatamente successiva, è quella di far parlare quei
documenti “malgrado se stessi”, scavalcando le intenzioni dell'autore e
valorizzando quegli elementi “non intenzionali”, sfuggiti persino al controllo
degli stessi autori.
Nel caso delle fotografie, quanto più esse sono pubbliche, ufficiali, visibili,
destinate alla comunicazione, tanto più la loro intenzionalità è esplicita,
dichiarata al punto tale da costituire essa stessa – come nei “falsi” –
un'informazione a sé stante racchiusa nel documento fotografico.
Una foto “falsa”, quindi dotata di un'intenzionalità molto connotata, diventa
documento per lo storico quanto una foto “vera”. Ne sono l’esempio più
lampante le fotografie ufficiali dei regimi totalitari, con i loro intenti celebrativi,
o le democrazie occidentali che con l’esasperata esigenza di
spettacolarizzazione delle fotografie utilizzate dai media ci hanno abituati a
considerare l’intenzionalità come naturalmente subordinata all'eventualità della
manipolazione. Le fotografie costituiscono dunque la rappresentazione e l'auto-
rappresentazione di un'epoca e di una società; sono sempre in relazione con le
ideologie che le ispirano e che si traducono non solo nella scelta del contenuto,
ma anche in precise scelte formali.
1.6 La verità nei media
Marshall McLuhan ha definito la fotografia “creatrice di un mondo di
transitorietà accelerata”
21
che ha modificato il rapporto dell’uomo con la realtà
18
21
M. MCLUHAN, Gli strumenti del comunicare, Milano, Garzanti, 1986, p.206.
19
circostante, attraverso la sua natura che la rende differente dagli altri media: essa
ha creato una nuova consapevolezza dovuta all’onnipresenza dell’obiettivo,
mercificando in tal modo tutte le esperienze.
In relazione agli altri media (a loro volta strumenti di rappresentazione e auto-
rappresentazione) la fotografia assume tuttavia un significato diverso sia come
fonte sia come agente.
L’informazione attraverso i media è inserita in un sistema commerciale per cui in
essi la fotografia diventa parte di un meccanismo molto complesso e
l’interpretazione dell’immagine nel loro contesto deve tener conto di una
complicata rete di significati. L’esempio più evidente è quello già affrontato della
lettura pilotata delle fotografie, che nei media vengono usualmente accompagnate
da un testo, scritto od orale. Questa analisi è valida non solo per un osservatore
comune ma anche per lo storico: è più semplice dedurre il significato di
un’immagine da un contesto fortemente costruito, piuttosto che da un documento
muto. Lo storico, tuttavia, nell’interpretazione di immagini pubblicate dalla
stampa, non può basarsi solo su dati come la sequenza delle foto di un servizio, la
didascalia e l’articolo che le accompagna, la storia del periodico, la data di
pubblicazione, perché indizi solo apparentemente “sicuri”, in realtà ambigui e
quindi condizionanti.
Questo ragionamento sui media conduce anche al problema dell’uso politico
delle immagini: molte delle fotografie scattate dai fotoreporter per testimoniare i
fatti, per motivi svariati, non vengono pubblicate. Quelle invece scelte come
documentazione di un evento diventano monumenti, dimostrando alla collettività
l’effettivo svolgersi della storia. Lo studioso spesso ha a disposizione solo queste
immagini tramandate: il suo compito è di interpretarle con la consapevolezza
della loro reperibilità “controllata”. Diverso il discorso se invece ci si accosta a
immagini private, che per loro stessa natura non prevedono un uso pubblico, ma
ugualmente in grado di svelare – se confrontate con le fotografie-monumento –
particolari inediti di eventi pubblici e non. Nel caso dell’Italia, solo con la
Seconda Guerra Mondiale e la sconfitta del fascismo si apre una nuova fase nella
19