“Tolte un paio di grandi Case automobilistiche, tutti i grandi costruttori hanno almeno
provato a partecipare al mondiale di Formula Uno”
Luca Cordero di Montezemolo
Gli albori
Le corse automobilistiche nacquero verso la fine del XIX Secolo, come gare o di durata o
di spostamento tra due città, e acquisirono lo status di “Gran Premi” a partire dagli anni
’20.
Soprattutto alla Francia si devono i primi sviluppi della disciplina; è in questa nazione,
infatti, che nel 1895 si disputò la prima sfida tra autovetture, e che, tra il 1900 ed il
1920 si svolse il “Gordon Bennet trophy” il quale, con il suo successo, portò, in primo
luogo, all’istituzione dell’Association International des Automobile Clubs Reconnus
(AIACR), un ente con il compito di legiferare su questo nuovo sport e di dirimere le
controversie regolamentari e, in secondo luogo, all’idea di collegare il colore della livrea
della monoposto alla nazione di provenienza dei concorrenti. Le tinte decise in quella
circostanza furono blu per la Francia, rosso per l’Italia, verde per l’Inghilterra, bianco per
la Germania e giallo per il Belgio; sarebbero state mantenute anche nel mondiale di
Formula 1, fino alla fine degli anni ’60, quando vennero soppiantate da quelle degli
sponsor dei rispettivi team.
Tra gli anni ’20 e ’40 la popolarità delle sfide automobilistiche aumentò
considerevolmente e vennero realizzati i primi circuiti permanenti, per poter sfruttare al
meglio le possibilità di guadagno che questo sport cominciava ad offrire. Nel frattempo,
l’egemonia sulle competizioni tra vetture, sia a livello di vittorie che a livello di
organizzazione di eventi, passò dalla Francia all’Italia con la Fiat e l’Alfa Romeo assolute
protagoniste di tale evoluzione, le quali giocarono un ruolo determinante nella
costruzione, nel 1922, dell’autodromo nazionale di Monza.
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Le origini di quello che poi sarebbe stato il mondiale di Formula 1 risalgono al 1925,
quando l’ “Automobile Club d’Italia” organizzò un campionato del mondo Marche
articolato in quattro gran premi, da svolgersi in Belgio, Francia, Italia e Stati Uniti (500
Miglia di Indianapolis).
L’idea, però, fallì presto e già dal 1929 non si sentì più parlare di campionato del mondo
Marche.
Un nuovo tentativo venne fatto tra il 1935 ed il 1939 con un campionato europeo
denominato “Grandes Epreuves”, ma lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale impedì
all’esperimento di protrarsi a lungo e al campionato di acquisire una forma definitiva ed
una fama consolidata.
La Formula Uno venne creata dalla Commissione Sportiva Internazionale della FIA
(Fédération Internationale de l’Automobile), allora AIACR, nel 1946, con la
denominazione Formula A, poi trasformata in Formula 1 con l’avvento della Formula 2,
in modo da evidenziare la gerarchia di valori esistente tra le monoposto appartenenti
alle due categorie.
L’appartenenza ad una formula dipendeva dalla cilindrata del motore: della Formula 1
facevano parte vetture con motore aspirato da 4.5 litri, o supercompresso da 1.5 litri,
montati sulle monoposto da Grand Prix precedenti allo scoppio della guerra.
Dal 1946 al 1949 vennero disputati solo gran premi a sé stanti (circa una ventina ogni
anno), per lo più su circuiti cittadini, visto che la maggior parte degli autodromi
permanenti era stata distrutta dai bombardamenti avvenuti durante la guerra.
Il primo Gran Premio di Formula 1 si disputò a Torino e venne vinto dall’Alfa Romeo che
poi si impose come protagonista assoluta dei primi due campionati del mondo di questa
categoria.
L’idea di un campionato mondiale nacque nel 1949, in risposta all’iniziativa della
Federazione Motociclistica Internazionale che nello stesso anno ne aveva varato uno.
Vennero quindi scelti dalla FIA sette circuiti su cui far svolgere le gare valide per il titolo
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e il 13 maggio 1950, sul circuito di Silverstone in Gran Bretagna, prese ufficialmente il
via il “Campionato del mondo piloti di Formula 1”.
Gli anni ‘50
Innovazioni tecniche
Le monoposto che debuttarono nel 1950 erano vetture aerodinamicamente molto
arretrate, che derivavano da studi ingegneristici sviluppati prima dello scoppio della
Seconda Guerra Mondiale. L’irrompere di quest’ultima, infatti, aveva obbligato molti
costruttori automobilistici a convertirsi in fabbriche per la produzione bellica e, nei pochi
anni che erano trascorsi tra la fine del conflitto e l’inizio del mondiale di Formula 1, la
scarsità di risorse finanziarie e la necessità di riconvertire nuovamente la produzione,
avevano impedito alle “Marche” di presentarsi sullo schieramento di partenza con
vetture costruite ad hoc per la nuova Formula, la cui nascita era stata possibile solo
grazie ai fondi ottenuti da alcuni Stati europei con il Piano Marshall. Per questo le
monoposto erano derivate da modifiche apportate a vetture stradali o, come nel caso
dell’Alfa Romeo, risalenti agli anni ’30 (la vincitrice delle prime due edizioni del Mondiale,
progettata da Enzo Ferrari, risaliva al 1937). Anche i propulsori di 1500 centimetri cubici
sovralimentati (con compressore volumetrico), utilizzati durante i primi anni da alcune
scuderie, come l’imbattibile Alfa Romeo, seppur piuttosto potenti, diventarono presto
obsoleti. Fu così che nel corso degli anni ’50 si assistette allo sviluppo del motore
aspirato, di 4500 centimetri cubici, introdotto dalla Ferrari, il quale, nonostante il
maggiore peso e la potenza inferiore (380 CV contro i 430 del sovralimentato), si
dimostrò subito più adatto a questa Formula, soprattutto grazie al risparmio di
carburante che riusciva a garantire.
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Era un decennio in cui si riteneva che fosse il motore il fulcro della monoposto,
l’elemento che poteva determinare la vittoria e la sconfitta, e questo portò a prestare
pochissima attenzione allo sviluppo del telaio, concentrando tutti gli sforzi su propulsore,
freni e, talvolta, ammortizzatori.
La prima grande rivoluzione tecnica arrivò nel 1954 con l’ingresso in Formula 1 della
Mercedes, che presentò una vettura completamente carenata (per ottenere una
maggiore velocità sui rettilinei), dotata di un telaio reticolare e sospensioni a ruote
indipendenti, nonché di un propulsore ad iniezione diretta al posto del tradizionale
carburatore.
Per un’ulteriore evoluzione aerodinamica degna di nota si dovette aspettare il 1957,
quando la Cooper introdusse la prima monoposto a motore posteriore, molto più leggera
e con una migliore distribuzione dei pesi rispetto alle concorrenti, che le assicurava
maggior maneggevolezza soprattutto in curva ed in fase di accelerazione, minor
consumo degli pneumatici, migliore capacità di scaricare la potenza del propulsore al
suolo ed un abbassamento del posto di guida che rendeva la monoposto più filante e
quindi più veloce.
Costruttori e piloti
La “Marca” protagonista di questo decennio fu sicuramente la Ferrari, con quattro titoli
piloti vinti (il mondiale Costruttori venne introdotto solo nel 1958) ed una presenza
costante nelle varie edizioni del campionato. Entrata in Formula 1 per volontà del
proprio fondatore Enzo Ferrari, che, licenziato dall’Alfa Romeo nel 1939, cercava una
rivincita nell’ espressione dell’eccellenza motoristica, la Scuderia è tuttora l’unica “Casa
automobilistica” ad aver partecipato a tutti i campionati del mondo di Formula 1 dal
1950 ad oggi, nonché la detentrice del maggior numero di titoli, sia piloti che costruttori.
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Tuttavia, almeno per quanto riguarda gli anni ’50, sono altre le squadre che, seppur
meno titolate e longeve della Ferrari, meritano una particolare menzione, in quanto
hanno contribuito in maniera sostanziale allo sviluppo del campionato ai suoi albori,
dominando alcuni mondiali ed introducendo le innovazioni tecniche che avrebbero, col
passare degli anni, dato origine alle moderne monoposto di Formula 1.
Prima fra queste, l’Alfa Romeo, vincitrice delle prime due edizioni del campionato del
mondo nonostante una vettura risalente alla fine degli anni ’30, comunque l’unica ad
essere stata progettata appositamente per le corse automobilistiche e quindi dotata di
un certo vantaggio intrinseco rispetto alle altre vetture. Nel 1950 la superiorità del
costruttore italiano fu disarmante: nel primo gran premio, le sue monoposto occuparono
interamente sia la prima fila dello schieramento (allora composta da quattro vetture) sia,
nel giorno seguente, il podio. Nell’arco della stagione l’Alfa vinse tutte le gare, eccetto la
500 miglia di Indianapolis a cui non partecipò alcun costruttore europeo, collezionando
anche quattro secondi e due terzi posti, spesso infliggendo distacchi abissali a tutti gli
altri concorrenti, sia in qualifica che in gara. Leggermente peggio andò nel 1951 quando,
pur vincendo il mondiale all’ultima gara, l’Alfa Romeo vide gradualmente ridurre il
proprio margine di vantaggio, non potendo più apportare grandi modifiche ad una
macchina che, nell’insieme, era stata concepita quattordici anni prima. A fine anno, persi
i contributi statali e necessitando di ingenti fondi per sviluppare una nuova monoposto in
grado di adattarsi ai cambiamenti regolamentari, l’Alfa Romeo fu costretta al ritiro.
La seconda “Marca” che ha lasciato un marchio indelebile nel primo decennio di Formula
1 è la Mercedes, già grande protagonista delle corse automobilistiche disputate prima
della guerra. Entrata nella categoria nel 1954 per supportare la propria immagine e dare
nuovi impulsi alla ricerca tecnologica, fu uno dei principali simboli della Germania
(occidentale) che rinasceva, che cominciava a ricostruire le proprie città e fabbriche, ma
soprattutto i propri rapporti con il resto del mondo. In soli due anni, il costruttore
tedesco riuscì a spezzare il dominio italiano della Formula 1, con una monoposto
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talmente innovativa, veloce ed affidabile da essere definita “un’ astronave” rispetto alle
altre vetture in gara. La Mercedes, infatti, si era presentata sin dal suo primo gran
premio con una monoposto con le ruote carenate, perfetta per sfruttare al massimo i
flussi aerodinamici sui rettilinei, le prese d’aria ai lati dell’abitacolo ed un motore otto
cilindri ad iniezione diretta. Tutti questi elementi, uniti all’ingaggio del miglior pilota in
circolazione, Fangio, e del miglior pilota emergente, Moss, fecero sì che i mondiali del
1954 e del 1955 fossero annichiliti dalla supremazia del costruttore tedesco (anche se il
mondiale del 1954 venne vinto insieme alla Maserati con cui Fangio aveva disputato le
prime gare in attesa del debutto della Mercedes). Inoltre, la Mercedes, fu anche il primo
team a coprire la propria monoposto con un telo per impedire ai concorrenti di carpirne i
segreti, costringendo i propri meccanici a lavorare sotto tale rivestimento nonostante le
grandi critiche suscitate in tutto il circus. Alla fine del 1955, però, il costruttore decise di
ritirarsi per “consolidata superiorità tecnica”, non prima di essere entrato nella storia
come primo a produrre una vettura di Formula 1 in grado di percorrere un giro di pista
ad una media di oltre 200km/h. In realtà la scelta fu dovuta sia al fatto di aver
raggiunto tutti gli obiettivi che la Mercedes si era prefissata entrando in Formula 1
(crescita industriale, dimostrazione di essere ritornata ai massimi livelli sportivi), sia alla
necessità di non disperdere il lavoro di ingegneri e tecnici su due fronti, produzione
stradale e da corsa, in un momento di scarsità di risorse e di ricostruzione. Tuttavia, il
motivo determinante, fu probabilmente il senso di responsabilità dovuto ad un’uscita di
pista di una loro monoposto durante la “24 ore di Le Mans”, che aveva provocato la
morte di ottanta spettatori.
L’ultima scuderia degna di nota è la Cooper, fondata nel 1947 da Charles Cooper per
gareggiare in formule minori, la quale aveva debuttato nel 1957 con una vettura il cui
motore era montato dietro il pilota e non più davanti, piuttosto piccola nelle dimensioni
e quindi più leggera e maneggevole. Rispetto alle rivoluzioni introdotte dalla Mercedes,
quella della Cooper passò inizialmente un po’ in sordina, visto che nel 1957 il team non
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ottenne alcun risultato di rilievo. La rivincita, però, arrivò già nel 1958, quando Stirling
Moss fece ottenere a questa squadra privata (prima a debuttare in Formula 1 senza
essere una Casa costruttrice vera e propria), la sua prima vittoria in un gran premio. Fu
il preludio all’alloro mondiale che sarebbe arrivato nel 1959 e che avrebbe segnato
l’inizio del dominio dei costruttori inglesi, che avrebbe caratterizzato gli anni ’60.
Altri team che hanno lasciato un’impronta nella Formula 1 nel decennio sotto analisi
sono la Maserati che, seppur con monoposto tradizionali e senza innovazioni di rilievo,
riuscì a conquistare due mondiali grazie alla bravura di Fangio, e la Vanwall, vincitrice
della prima edizione del mondiale costruttori (nel 1958) nonché prima vettura non
italiana o tedesca ad imporsi in un gran premio.
Per quanto riguarda i piloti, pur non dimenticando le imprese di Ascari (unico pilota
italiano a vincere un campionato), o Moss, il campione simbolo di questo decennio è
sicuramente Juan Manuel Fangio, vincitore di cinque titoli mondiali nonostante la non
giovane età. Nel 1950 Fangio fu l’unico pilota non europeo a partecipare al mondiale di
Formula 1, grazie al supporto del generale Peròn che, “intuito il valore in termini di
immagine dello sport dell’automobile, aveva investito energie e denari per trovare,
allevare e sovvenzionare piloti” per poi farli diventare i migliori ambasciatori del proprio
regime. Ciò che distingueva Fangio erano soprattutto la sensibilità meccanica ed il senso
della misura nello sfruttare al massimo il mezzo a sua disposizione senza mai
oltrepassare il limite, l’attenzione al dettaglio ed alla forma fisica, la professionalità
nonché il carattere freddo e cinico, tutte caratteristiche che hanno fatto di lui il primo
pilota moderno, l’antesignano dei professionisti super allenati ed attenti alla
comprensione tecnica della monoposto che caratterizzano la Formula 1 dei giorni nostri,
la versione “antica” di quello che sarà l’unico campione in grado di battere il suo record
di titoli vinti, Michael Schumacher.
Con il suo ritiro, avvenuto nel 1958, nello stesso anno dell’ultima vittoria di una vettura a
motore posteriore (Ferrari), finì ufficialmente la prima era dell’automobilismo sportivo,
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caratterizzata dalla supremazia della scuola latina, sia in termini tecnici, con i costruttori
italiani che si aggiudicarono otto campionati su dieci (4 la Ferrari, 2 l’Alfa Romeo, 2 la
Maserati), che a livello di guida, con Fangio – argentino - ed Ascari e Farina – italiani –
che conquistarono altrettanti allori mondiali (5 per Fangio, 2 per Ascari, 1 per Farina).
Nazioni
Nei suoi primi anni, il campionato di Formula 1 restò prevalentemente relegato ad una
dimensione europea: nel 1950 si disputarono sette gran premi validi per il titolo, di
questi solo uno si corse fuori dal vecchio continente. Si tratta della 500 Miglia di
Indianapolis, inserita in calendario soprattutto per giustificare la denominazione
“mondiale” del campionato, a cui però non partecipò alcun costruttore o pilota europeo,
visto che comunque, per la vittoria del titolo, venivano conteggiati solo i quattro risultati
migliori. L’unico tentativo da parte di una Casa europea di partecipare alla 500 miglia
venne fatto dalla Ferrari nel 1952, su spinta del suo pilota di punta Alberto Ascari. La
spedizione si rivelò però un fallimento, sia dal punto di vista dei risultati che da quello
economico. Ascari, dopo una deludente qualifica, fu costretto al ritiro in gara; inoltre, il
disinteresse generale del mondo delle corse americano nei confronti dei costruttori
europei, nonostante la netta superiorità delle vetture progettate da questi ultimi, impedì
alla Ferrari di trovare uno sponsor disposto a finanziare la trasferta, che quindi si
concluse con una consistente perdita di denaro.
Tuttavia, già nel 1953, il campionato divenne mondiale a tutti gli effetti grazie
all’ingresso del Gran Premio d’Argentina, fortemente voluto da Peròn, entusiasta
sostenitore delle corse automobilistiche, considerate, tra l’altro, come un ottimo veicolo
di propaganda, vista la loro grande popolarità soprattutto tra gli immigrati provenienti
dall’Europa. Il primo gran premio disputato a Buenos Aires si concluse in tragedia,
nell’indifferenza generale, a causa del mancato rispetto delle più basilari misure di
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sicurezza ma, nonostante i morti avessero superato la dozzina, l’evento venne
considerato un grande successo visto l’incredibile afflusso di spettatori e l’Argentina
continuò ad essere una tappa del campionato di Formula 1 anche dopo la caduta di
Peròn, avvenuta nel 1955.
Tra il 1954 ed il 1957 il numero di gran premi disputati in una stagione si assestò su
otto, con la presenza fissa dei Gran Premi di Gran Bretagna, Italia, Francia, Belgio e
Principato di Monaco, salvo poi aumentare nel 1958 e nel 1959, grazie all’ingresso di
nuove gare extra-europee come il Gran Premio del Marocco e degli Stati Uniti, disputato
in aggiunta alla 500 Miglia di Indianapolis.
Nel frattempo, erano aumentate in maniera significativa le corse disputate dalle vetture
di Formula 1 non valide per il mondiale, soprattutto al di fuori del vecchio continente,
ferma restando la totale assenza delle nazioni appartenenti al blocco sovietico, le quali
sarebbero entrate nel circus della Formula 1 solo a partire dagli anni ‘80.
Per quanto riguarda i Paesi europei che hanno ospitato gare valide per il mondiale nei
primi anni, è interessante notare come queste fossero nazioni che durante la guerra
avevano fatto parte dell’Alleanza Atlantica (USA, Inghilterra, Francia) o erano rimaste
neutrali (Svizzera, Belgio, Spagna, Olanda, Principato di Monaco). L’unica eccezione è
rappresentata dalla Germania che, nonostante il veto di partecipazione alle corse
internazionali impostole dopo il conflitto e la pesante sanzione economica, politica e
territoriale sopportata, riuscì ad inserirsi nel calendario mondiale a partire dal 1952.
Aspetti economici e manageriali
Sin dagli albori emerse il potenziale economico e politico derivante dalle corse
automobilistiche. La costruzione di circuiti permanenti in tutta Europa e negli Stati Uniti,
a partire dai primi decenni del Novecento e gli ingenti finanziamenti riservati da due
dittatori come Hitler e Peròn a questo sport, sono entrambi segnali dell’elevato
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coinvolgimento e dell’influenza sulla vita ed i comportamenti del popolo che le sfide tra
monoposto sono sempre riuscite a garantire. Basti pensare che al primo gran premio
della storia del Mondiale di Formula 1, disputato a Silverstone, nonostante un’economia
ancora debole, presenziarono oltre 100000 spettatori, compreso il re Giorgio VI.
A livello economico, la nascita del campionato del mondo di Formula 1 accompagnò la
rinascita dell’Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale. In tal senso, è
interessante notare come tra i Paesi inizialmente coinvolti nel mondiale, quelli con il
tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo maggiore tra il 1950 ed il 1960,
rispettivamente Germania ed Italia, siano anche quelli da cui provenivano i costruttori
più titolati dello stesso decennio (Ferrari, Mercedes ed Alfa Romeo).
Fonte dati: L’economia mondiale tra crisi e benessere (1945-1980) di H. Van Der Wee
Il bisogno di ritornare ad una vita normale, di integrare le economie uscite distrutte dal
conflitto per favorirne lo sviluppo, di investire per sviluppare nuove tecnologie rimaste
sopite durante il confronto armato e di cercare una sicura fonte di guadagno (vista la
passione delle masse per le corse automobilistiche e la possibilità di far loro pagare un
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