3
romanzi, il suo essere un particolare narratore fantastico, uno
straordinario scrittore di “favole” felicemente leggere. Anche Contini
lo riteneva più versato nei racconti e lo stesso scrittore affermava di sé
«mi trovo meglio a scrivere racconti, per essere un romanziere
bisogna essere pazienti»
3
. Ciò non toglie che anche i romanzi, alcuni in
particolare – Il Baratro per citarne uno – abbiano sicuramente
un’importanza fondamentale per l’opera di questo scrittore.
Appena iniziamo a leggere Miracoli quotidiani, individuiamo subito
una prima caratteristica comune alla maggior parte dei racconti
fantastici di Enrico Morovich: la compresenza di due piani, quello
fantastico e quello realistico che sembrano perfettamente integrati e
fusi.
Prendendo in esame quello che si può chiamare lo sfondo, la cornice
dei racconti in cui Morovich fa svolgere le azioni dei suoi personaggi,
si nota che sono per lo più paesaggi di campagna, prati, boschi, piccoli
borghi, nei quali la vita è ancora semplice e umile e dove lo
stravolgimento della realtà sembra avvenire in maniera più naturale.
Si prenda in considerazione l’affermazione di Giorgio Bàrberi
Squarotti relativa proprio al paesaggio narrativo dei racconti dello
scrittore fiumano: «Morovich predilige paesaggi di boschi e di
montagne, con rocce, torrenti, prati, piccoli borghi contadini e
montanari, come gli spazi dove l’invenzione fantastica più
naturalmente trova la possibilità di svolgersi, quasi garantita da una
maggiore credibilità nelle solitudini montane e campestri»
4
. Così il
fantastico di Enrico Morovich sembra aver proprio bisogno di queste
3
Così lo stesso MOROVICH nel risvolto di copertina di Miracoli quotidiani, Palermo,
Sellerio, 1988.
4
G.BÀRBERI SQUAROTTI, Invenzione e allegoria: il «fantastico» degli anni trenta, in La
forma e la vita: il romanzo del novecento,Milano, Mursia, 1987, p. 214.
4
descrizioni “bozzettistiche” per potersi meglio esprimere: nella
quotidianità e semplicità della vita di campagna lo straordinario e il
fantastico trovano una maggiore libertà di espressione. La stessa
impostazione è riscontrabile anche in alcuni romanzi – si pensi a
L’abito verde o Contadini sui monti – in cui la natura e la campagna
fanno da sfondo alle vicende fantastiche narrate da Morovich. Bàrberi
Squarotti sottolinea che «boschi e torrenti sono ne L’osteria sul torrente
(1938), ma con scarsissime concessioni a vere e proprie invenzioni
fantastiche su un seguito di vicende senza tempo, fra boscaioli e
abitanti di un piccolo paese di montagna. Più immersi in un’atmosfera
di incanto o di stregoneria sono i racconti de I ritratti nel bosco (1939)»
5
.
Così, tra i paesaggi rupestri, tra boschi e aperte campagne, la realtà
apparentemente più banale viene deformata grazie al filtro “magico”
caro all’autore. «Le apparizioni sono possibili e, anche, avvertibili e
significanti là dove ancora si crede ad esse»
6
, cioè in quegli ambienti
rimasti lontani rispetto alla realtà e all’esistenza moderne: questo è il
motivo per cui le vicende fantastiche dei protagonisti dei racconti di
Morovich si svolgono in luoghi campestri e, per certi versi, ancora
primitivi. Così il mondo narrato dallo scrittore fiumano è quello delle
campagne proprio perché là sembra ancora più naturale e più stretto
il legame fra i vivi e i morti e «la sopravvivenza delle anime ha una
forma familiare, consueta, quotidiana»
7
. Proprio questo è il fantastico
di Enrico Morovich che più mi ha affascinato: il legame tra l’aldilà e la
vita normale, la compresenza di vivi e morti nello stesso mondo. Ma
ciò che mi colpisce ulteriormente è che Morovich non vuole stupire o
5
Ibidem.
6
Ibidem.
7
Ibidem.
5
sconvolgere in modo accentuato il lettore: gli spettri, gli angeli, la
Morte stessa sono presenze reali, ma non spaventano; l’incontro fra i
vivi e i morti è naturale e quasi casuale e non intacca quasi per niente
l’esistenza normale degli uomini. Proprio riguardo alla presenza di
questi personaggi “fuori del comune” voglio analizzare i racconti di
Miracoli quotidiani.
I primi ad apparire, leggendo in ordine i racconti della raccolta, sono i
fantasmi, gli spettri: Rita Guerricchio, nella sua postfazione a Il baratro,
pensa che le fonti di questo aspetto della narrativa di Morovich siano
databili nell’Ottocento e sostiene che gli spettri non sono mai
minacciosi, ma «ansiosi di mettersi alla pari con i viventi, di
controllare da vicino le mosse, addirittura di porsi in concorrenza con
loro per obbiettivi ancora di mondana e precaria utilità»
8
. Si possono
così considerare fantasmi mansueti, innocui e spesso burloni nei
confronti degli esseri umani. Un esempio è il racconto Fantasmi, un
racconto brevissimo, che forse all’inizio sembra essere macabro: i
cinque o sei fantasmi protagonisti del racconto ogni notte spaventano
la piccola Emma e sono «fantasmi di ragazzi che nessuno li voleva,
neppure all’inferno»
9
. Inoltre può sembrare angosciante ( ma il
termine è sicuramente troppo forte ) la descrizione della bambina
impaurita che piange spaventata affondando la testa nel cuscino, che
si lamenta con i genitori che però non credono all’esistenza dei
fantasmi e che alla fine muore di spavento; il tutto si risolve con la
bambina, divenuta anche lei fantasma, che si diverte a spaventare
babbo e mamma che «quando la vedono comparire hanno paura e
8
RITA GUERRICCHIO, Postfazione a E. MOROVICH, Il baratro, Torino, Einaudi, 1990, p.
148.
9
Miracoli quotidiani, op. cit., p. 71.
6
nascondono il volto tra i guanciali proprio come faceva lei quando era
viva»
10
. Si vede così come, nonostante la presenza degli spettri, il
racconto sia tutt’altro che spaventoso e, anzi, nel finale riesca a far
sorridere della sorte degli increduli genitori.
Altro racconto breve dove si rovescia in divertimento il tema macabro
è Gli spettri sulla corda, citato anche da Giorgio Bàrberi Squarotti: «i
due spettri dei banditi uccisi in casa di Silvestro che erano andati a
derubare e ad assassinare vogliono farlo morire di paura e, per
attenderlo con maggiore comodità, si posano sulla corda della
biancheria: ma Silvestro, al ritorno a casa, li scambia per la biancheria
stesa dalla moglie ad asciugare e li assicura alla corda con le
mollette»
11
. Ancora una volta un racconto che sembra dover
spaventare il lettore, si chiude con un finale a sorpresa che suscita una
risata proprio perché la “disfatta” di quelli che dovevano essere dei
temutissimi fantasmi portatori di morte avviene per mano di un
contadinotto ubriaco che non fa altro che un gesto di ordinaria
normalità: mettere delle mollette sulla biancheria. In questo scontro
tra la realtà più semplice e gli spaventosi abitanti dell’aldilà questi
ultimi in Morovich hanno spesso la peggio: si pensi al diavoletto
protagonista del racconto Il diavoletto rosso che viene accolto dalla
bambina prima in maniera affettuosa, come un compagno di giochi,
ma in un secondo momento viene maltrattato e umiliato solo per il
capriccio di avere la sua pelle per ricavarne un giubbetto rosso
smagliante. Ancora una volta è la presenza venuta dall’oltremondo ad
avere la peggio: il diavoletto lascia la pelle alla bambina ma diviene
10
Ibidem
11
G.BÀRBERI SQUAROTTI, Invenzione e allegoria: il «fantastico» degli anni trenta, cit., p.
215.
7
talmente nero e brutto che la fanciulla lo scaccia via ( questo racconto
sembra la trascrizione in forma narrativa del detto “le donne ne sanno
una più del diavolo” ). Ovviamente oltre ai fantasmi e agli spettri,
fanno spesso capolino nelle vicende narrate da Enrico Morovich anche
gli Angeli, ( il Diavolo, fra l’altro, compare solo in questo racconto ).
Queste presenze in realtà non fanno altro che tracciare un ambito che
resta comunque familiare, dove «non mancano risvolti macabri e
orrorosi, ma in grado di conseguire effetti di innocua se non ludica
risonanza»
12
.
Un racconto in cui la figura dell’angelo compare in tutta la sua infinita
grazia è L’angelo dove «la bambina con la stella in fronte»
13
danza e si
esibisce davanti ad un pubblico che rimane affascinato dalla sua
bellezza e dalla sua eleganza: più volte quella bambina viene associata
ad un angelo ( prima per il volto angelico, anche se potrebbe essere
stato reso così dal trucco, poi per le perfette ali, anche se potrebbero
essere state costruite con una tecnica moderna ), ma sono soltanto
paragoni; alla fine «la piccola danzatrice muove le ali, s’alza in volo
[…] sparisce»
14
mentre il pubblico del circo è in giubilo. Proprio
adesso però si scopre l’amara verità: il direttore del circo corre nel
camerino della bambina e la trova sul letto morta, «per lei, per la
piccola morta, ha danzato, l’ultima volta, un angelo vero del
paradiso»
15
. In un racconto pieno di atmosfere magiche, Morovich
nasconde la tragedia della morte di una bambina, dimostrandone il
lato più sereno grazie alla figura dell’angelo. Sicuramente meno aulico
è l’altro racconto che vede come protagonista un angelo – L’angelo
12
RITA GUERRICCHIO, Postfazione , cit., p. 149.
13
Miracoli quotidiani, op. cit., p. 72.
14
Ibidem.
15
Ivi, p. 73.
8
ferito ‐; ancora una volta la gente resta affascinata dalla presenza
ultraterrena ospitata in casa da un contadino che l’ha trovata, ferita ad
un’ala, nel suo orto. Già dall’inizio però si capisce che gli uomini di
questo racconto hanno “fini più materiali”: infatti, la moglie di un
signore (si sente la contrapposizione con il contadino che ha accolto
l’angelo) «trovò che la casa del contadino poco si addiceva a un ospite
così di riguardo; il quale, appena guarito e ritornato in paradiso, non
avrebbe mancato di riferire sulle accoglienze avute in terra […]
L’angelo si sarebbe trovato assai meglio nella sua ricca casa, fornita di
ogni conforto»
16
. Sembra quasi ridicolo questo ragionamento della
ricca signora che proietta i suoi valori e la sua mentalità terreni nei
bisogni della creatura celeste. Sarà proprio il “figlio del cielo” a
punire, a suo modo, la donna; infatti, dopo alcuni momenti di
esitazione, il contadino cede al marito della signora l’angelo ferito (
«per alcune monete di bel valore»
17
: evidente ancora la materialità
terrena ) il quale verrà sistemato nel bel salotto dei ricchi signori e
potrà essere ammirato da tutti gli invitati; ma questo scambio rende la
creatura celeste brutta e smorta, quasi a voler rispecchiare con la sua
bruttezza quella dei materialisti signori. L’angelo tornerà in cielo
mostrando per l’ultima volta la sua reale bellezza alla servetta ( che
cadrà in ginocchio ammirandolo ), non regalando alcuna
soddisfazione alla signora che tanto l’aveva voluto per lo sciocco
capriccio di vantarsene.
In un racconto come questo sembra quasi esserci una
“disapprovazione moralistica” dell’autore nei confronti degli uomini,
ma è solo un’impressione poiché dietro le vicende narrate dallo
16
Ivi, p. 87.
17
Ivi, p. 88.
9
scrittore fiumano non sempre sembra esserci un’intenzione morale
molto forte. In realtà la grandezza di Enrico Morovich sta nel
dimostrare un’estrema naturalezza nel presentare questi personaggi
fantastici preludendo ad uno svolgimento mai inquietante, tragico o
troppo serio.
Possiamo includere nell’“angelologia” – come la definisce Giorgio
Bàrberi Squarotti – anche un altro racconto, gli Amorini, dove il
contadino protagonista cattura una di queste creature celesti che
giocava in un prato insieme ad altri suoi scintillanti compagni; ma
come lo ebbe prigioniero l’angiolino inizia a piangere e richiama uno
stormo di amorini che emettono alte grida verso il contadino
costringendolo a lasciare libero l’angioletto. Ancora una volta
Morovich contrappone la scioccaggine degli uomini alla semplice
magia degli esseri celesti che popolano lo stesso mondo con estrema
naturalezza, la stessa con cui l’autore fiumano ci narra queste vicende
fantastiche.
Abbiamo fin qui visto e sottolineato come molti racconti di questa
raccolta hanno come protagonisti Angeli, fantasmi e diavoli che
dimostrano la grande capacità di Morovich di far convivere queste
presenze ultraterrene con gli esseri umani: non c’è mai stupore o
sbigottimento in queste apparizioni, l’aldilà e la vita terrena
convivono senza problemi, come se l’uno fosse la continuazione
diretta dell’altra e tra le due realtà non ci fosse nessun distacco o
differenza importante, «l’oltremondo ‐ dice Rita Guerricchio ‐ restava
contenuto nel mondo»
18
. Tutto ciò si vede molto bene leggendo Gli
spiriti innamorati dove il protagonista Livio, innamorato di Aria che
18
RITA GUERRICCHIO, Postfazione, cit., pp. 148‐149.
10
però non si accorge di lui a causa dello stuolo di accompagnatori che
ogni giorno la corteggiano, muore di dolore. Ben presto però si
accorge che l’aldilà non è molto diverso dalla vita che ha lasciato:
infatti, nemmeno come fantasma riesce a stare accanto alla sua amata
che viene corteggiata non solo dai vivi ma anche da alcuni spiriti
innamorati che hanno avuto la sua stessa sorte; poi, come se non
bastasse, anche il fantasma del cagnolino di Aria gli si avventa contro
con una furia inspiegabile e lo respinge lontano dalla fanciulla amata.
Chiara è la lezione di Morovich che mostra come «i morti abitano
ancora gli stessi luoghi della loro vita, hanno conservato gli stessi
sentimenti»
19
, e rappresenta un uomo consapevole, nella maggior
parte dei casi, dell’esistenza di ʹaltroʹ oltre la realtà comune e capace di
non sorprendersene, in quanto è comunque situazione normale.
L’incontro‐scontro con l’aldilà è presente in altri due racconti: Le rivali
e La paura di morire. Nel primo alcuni angeli vendicano la morte di Lia,
causata dal tradimento del fidanzato Metodio, riportandola in vita e
facendo morire al suo posto la ragazza con la quale il giovane aveva
tradito la futura sposa: tutta la scena degli angeli che trasportano la
bara e sostituiscono le due giovani avviene sotto gli occhi curiosi dei
contadini che assistono sorpresi, ma mai spaventati, a questa
vendetta ultraterrena. Sicuramente diverso l’altro racconto che ha
come protagonista un povero contadino in prigione, tormentato dal
rimorso di aver ucciso la moglie; una notte la donna gli appare in
sogno per calmarlo e per prepararlo alla morte dicendogli che
all’interno della bara in cui sarà messo sarà inserita una leva per farlo
19
G.BÀRBERI SQUAROTTI, Invenzione e allegoria: il «fantastico» degli anni trenta, cit., p.
217.