comunità, il disegno dell'indagine arrivava a toccare anche il livello dei notabili,
degli amministratori, della classe dirigente ecc., come aspetti specialmente politici
e locali, dopo aver preso in considerazione i livelli morfologico, organizzativo,
della famiglia, dei gruppi, delle associazioni e così via attraverso la
fenomenologia sociologica.
L'immagine della famiglia meridionale vista come struttura pervasiva
dell'insieme delle relazioni individuali e affettive, sociali, economiche e politiche
si presenta come un tratto costitutivo della rappresentazione del Mezzogiorno
d'Italia,La categoria tradizionalmente usata per espnmere questa capacita di
Inglobare e segnare Sia i percorsi individuali sia i comportamenti collettivi è
quella di familismo.
Il termine "familismo" è stato coniato dal politologo americano Edward C.
Banfield per interpretare il sistema delle relazioni di un contesto specifico, una
piccola comunità lucana, chiamata Montegrano, caratterizzata da estrema povertà
e arretratezza.
Il familismo si presenta per Banfield come un comportamento specifico di
singoli individui volto a massimizzare gli interessi all'interno della propria cerchia
familiare e si traduce nell'incapacità di costruire solidarietà allargate al di fuori di
essa.
Per questo egli vi aggiunge l'aggettivo amorale. Ciò che colpisce
l'osservatore Banfield è "l'incapacità degli abitanti di agire insieme per il bene
comune, o, addirittura per qualsivoglia.fine che trascenda l'interesse materiale
immediato della.famiglia nucleare"(1); i principi regolativi che caratterizzano
l'agire familiare e comunitario sono la reciprocità positiva all'interno del gruppo
familiare e la reciprocità negativa all'esterno di esso.
A Montegrano è assente la famiglia multipla, che, a differenza di quella
nucleare, è in grado di diffondere nel tessuto sociale capacità organizzative e
relazioni altruistiche. Scarsi e fortemente controllati sono i legami parentali e
amicali: anche "avere amici è un lusso che i montegranesi ritengono di non
potersi permettere" (2).
Il familismo è "amorale" perchè manca di morale pubblica, nel senso che
i principi di bene e di male rimangono e vengono applicati solo nei rapporti
familiari. L'amoralità non è quindi relativa ai comportamenti interni alla famiglia,
ma all'assenza di ethos comunitario, all'assenza di relazioni sociali morali tra
famiglie, tra individui all'esterno della famiglia.
Poche ricerche furono come questa sottoposte ad una miri ade di commenti e di
critiche, tesi soprattutto a dimostrare che l'arretratezza non deriva dai
comportamenti familiari, ma da altri fatti, quali la marginalità storica e la
subordinazione di classe (Pizzorno, Colombis, Davis), il sistema agricolo arretrato
(Silverman).
Con l'ausilio dei mezzi di comunicazione di massa, il familismo, che già
nella versione di Banfield aveva fatto da copertura ideologica all'imperialismo
culturale americano dal momento che esso attribuiva la responsabilità del
mancato sviluppo del Terzo Mondo non ai paesi capitalistici avanzati, ma alle
popolazioni che non sono spinte ad associarsi e ad organizzarsi- col passare del
tempo ha assunto una nuova etichetta, che serve a spiegare semplicisticamente
vari fenomeni sociali e ad alimentare lo stereotipo del meridionale che pensa solo
alla famiglia, incapace di organizzarsi, non amante del lavoro, assenteista,
mafioso, prepotente ed ignorante.
Non a caso il concetto di familismo, nonostante le critiche e per effetto
della scarsa ricerca sul tema della famiglia fino agli inizi degli anni settanta, ha
avuto un'enorme diffusione, e, pur essendo usato per descrivere un
comportamento specifico in un contesto specifico, ha finito per costituire, come
ha osservato Domenico De Masi, nell'introduzione alla seconda edizione italiana
del volume "Le basi morali di una società arretrata" (1976) "una descrizione
accreditata della realtà meridionale nel suo insieme" (3).
Ne è quasi conseguita una rappresentazione di maniera, tesa a
differenziare il Mezzogiorno dalle altre realtà italiane, nelle quali le relazioni
familiari meno esclusive non costituirebbero un ostacolo a forme di solidarietà
allargate di tipo orizzontale.
Concludendo, vorrei ricordare che Gramsci, a proposito dei contadini
meridionali, scrisse: "è noto quale ideologia sia stata diffusa in forma capillare dai
propagandisti della borghesia tra le masse del Settentrione: il Mezzogiorno è la
palla di piombo che impedisce più rapidi progressi allo sviluppo civile dell'ltalia: i
meridionali sono biologicamente degli esseri inferiori per destino naturale; se il
Mezzogiorno è arretrato, la colpa non è del sistema capitalistico o di qualsivoglia
altra causa storica, ma della natura che ha fatto i meridionali poltroni,
incapaci..."(4).
D'altra parte se ci sono delle difficoltà, come la recessione economica, la
disoccupazione, o la criminalità, seguiamo Gramsci nell'opporre ad un eventuale
pessimismo dell'intelligenza l'ottimismo della volontà: volendo, c'è proprio molto
da fare sia a Chiaromonte e sia nel resto del Mezzogiorno.
NOTE:
1) Banfield E.C., Le basi morali di una società arretrata, a cura di D.
De Masi, Il Mulino, Bologna, ] 976, p.38
2) cfr, E.C. Banfield, op. cit., p.137
3) cfr, E.C. Banfield, op. cit., p.19
4) Gramsci A., La questione meridionale, Editori Riuniti, Roma, 1966,
CAPITOLO PRIMO:
IL RAPPORTO TRA STORIA E SOCIOLOGIA
1) STORICITA' DELLA SOCIOLOGIA
P.Abrams, autore di un libro significativamente intitolato "Sociologia
Storica" ribadisce che la "storia e la società sono il prodotto di un'azione
individuale costante epiù o meno orientata allo scopo, e l'azione individuale, per
quanto intenzionale essa sia, èprodotta dalla storia e dalla società".(1)
Questo sembra l'indirizzo più promettente della sociologia contemporanea:
il filone della Sociologia Storica. Essa trova le sue origini nella tradizione
classica, in una linea di pensiero che si muove da Durkheim a Weber, da Marx a
Tönnies, da Mannheim a Parsons, a Wright Mills, a Gouldner ecc. ; secondo
questi autori, nonostante le pur profonde differenze che intercorrono tra l'uno e
l'altro, si tratta di correlare le azioni e gli orientamenti mentali degli uomini con il
contesto storico-sociale, strutturale, politico, economico, culturale in cui essi sono
inseriti.
L'aspetto che più ci interessa in questo contesto è che la capacità della
sociologia storica di far crollare le distinzioni fra storia e sociologia, un tempo
auspicate o date per scontate, dipende non tanto dallo stile di discorso adottato,
quanto dal tipo di domande che ci si pone e dalle strategie teoriche (latenti o
manifeste) adottate nella ricerca delle risposte.
E' ad esempio un complesso apparato concettuale quello che occorre sottoporre a
revisione critica come le classiche dicotomie del pensiero sociologico
Tradizione/Modernità o Comunità/Società Il problema del Mezzogiorno, ad
esempio, che negli anni '50 sembrava mteressare solo il meridione d'Italia, appare
oggi di portata mondiale in quanto si inserisce nell'ambito più generale del
problema dello sviluppo di quelle aree un tempo denominate "sottosviluppate" e
che ora vengono chiamate "aree in via di sviluppo".
La Sociologia Storica, si interessa principalmente di:
A. una Transizione all'Industrialismo, a cui potremmo aggiungere un
interesse alle trasformazioni dell'industrialismo stesso;
B. delle Forme di Libertà e Costrizione entro cui si modellano le storie di vita
degli individui, nei mondi personali della vita sociale quotidiana: famiglia,
ospedale, scuola, chiesa, ecc. ;
C. del Rapporto tra l'Individuo, inteso come attore dotato di fini, aspettative e
motivazioni, e la Società, intesa come un insieme di istituzioni, valori e norme
che tendono a conservarsi nel tempo.
Pertanto, quando si parla di Sociologia Storica, si intende un elemento
centrale della Sociologia nel suo insieme, ci si chiede di vedere il passato non
solo come matrice del presente, ma come l'unica materia prima
da cui si può costruire il presente. Questi richiami sono provenuti da fonti
disparate: C.W.Mills insisteva sull'impossibilità di separare la storia dalla
sociologia E.A.Shils sottolineava il fatto che il tempo è una proprietà costitutiva
anche della società J.Barnes ha avuto il merito di indicare l'importanza della
durata e della successione temporale P.Bourdieu ha affermato con forza
l'efficacia della nozione di riproduzione sociale come modo di concepire i
processi sociali che mediano tra la struttura e la prassi.
Ma la sociologia era anche diventata storica in modi più specifici: il
periodo di fine secolo e il primo Novecento costituiscono una fase cruciale nella
storia dell'Occidente. La maturazione della società urbano-industriale va
ridimensionando le tradizionali forme di attività (agricoltura, artigianato) e
d'insediamento (villaggi) .All'interno degli stati, le istituzioni pubbliche si
rafforzano, crescono le loro competenze, diventa capillare la loro presenza sul
territorio, ad opera di folte burocrazie. La politica liberale, basata su reti di
notabili locali e sul governo di èlites patrimoniali, sta cedendo il passo al sistema
dei partiti moderni e dei politici di professione.
Non stupisce che, durante questa lunga, complessa congiuntura,
caratterizzata, secondo taluni, dall'agonia e dalla sconfitta finale dell'Ancien
Regime europeo, maturino con vigore le scienze dell'uomo: la Psicologia, la
sociologia, l'economia, l'antropologia, la geografia. Nè stupisce che gli storici,
consapevoli anch'essi dell'esigenza di svecchiare il proprio lavoro si
familiarizzino con gli scritti degli scienziati sociali da Weber a Marx, da Freud a
Le Bon, da Durkheim a Malinowski, da Keynes a Vidal de la Blache; inizia così
la lunga e controversa stagione dell'interdisciplinarità.
E' in questo contesto che nel 1929, viene fondata la rivista "Annales
d'Histoire Economique et Sociale" e prende l'avvio quella scuola francese che è
considerata come l'esperienza storiografica più significativa e influente del
Novecento. Promotori delle Annales sono Marc Bloch (1886-1944) e Lucien
Febvre (1878-1956), due storici vivacemente impegnati nel dibattito culturale del
tempo.
L'ambiente intellettuale dell'Università di Strasburgo è particolarmente
vivace: qui, negli anni dell'occupazione tedesca (1870-1918), aveva lavorato il
sociologo Georg Simmel. Con il primo dopoguerra, restituita la città alla Francia,
a Strasburgo insegnano e frequentano proficuamente sociologi (come M.
Halbawachs e G. Le Bras), psicologi, geografi, economisti, matematici, storici;
riorganizzata dai francesi con l'obiettivo di fornire agli studenti i mezzi per
decifrare le trasformazioni sociali che scuotono la Francia e l'Europa, l'università
alsaziana sperimenta nuove forme di didattica, che cercano di rispettare il rigore
delle singole specializzazioni e vogliono, al tempo stesso, sintetizzarle in una
visione culturale d'insieme: il contesto insomma è esplicitamente
interdisciplinare.
Partecipi del clima di Strasburgo, Bloch e Febvre, sono inseriti d'altronde
in un clima culturale e in una rete di relazioni intellettuali che vanno ben oltre la
città alsaziana. Nella Francia del primo dopoguerra, la storia e le scienze sociali
appaiono in una fase di transizione e di feconda instabilità: l'una resta influenzata
dal tradizionale taglio storico-politico e dalla credenza nel carattere oggettivo
della propria conoscenza (ancora forte è, in Francia l'egemonia del positivismo),
le scienze sociali, per parte loro, sono nell'orbita di una sociologia che, con E.
Durkheim, vuoI essere una scienza sintetica, la quale comprenda e inglobi tutte le
altre discipline dell'uomo, ponendo ad esse una teoria generale.
Vivaci polemisti, Bloch e Febvre prendono decisamente le distanze dagli
assunti della storiografia positivista, non a caso, Febvre ripeterà spesso che il
passato è " creato dallo storico, inventato e fabbricato per mezzo di ipotesi e di
congetture" (2) e che non è rilevante in sé ma a seconda dei problemi che, per
mezzo suo, si vogliono risolvere.
Sulla medesima linea, Bloch scriverà che "mai, in nessuna scienza,
l'osservazione ha prodotto alcunchè di.fecondo".(3)