Presentazione
valutare e aiutare, dar sostegno a chi non è riuscito a creare quel ponte
necessario a ristabilire un equilibrio, un’armonia con la vita vera.
Chi ha rotto questo equilibro, di sua volontà o meno, ha certamente bisogno
di una guida, di un punto di riferimento per riuscire pian piano ad acquisire
coscienza dei propri errori, per essere stimolato a migliorarsi, per credere
ancora in se stesso, per poter vincere quella paura di non essere più accettati
nella società che affligge molti detenuti. Paura questa che, se in parte fondata,
deve essere superata per poter iniziare quel percorso graduale che porterà il
recluso a sentirsi una persona nuova, diversa, avente diritti e doveri come tutti
i cittadini, dotato di risorse e pregi, per non essere solo un numero, un detenuto
appunto. L’art. 2 della Costituzione Italiana su questo punto è molto chiaro:
“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come
singolo sia come persona nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità e richiede l’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà
politica economica e sociale”. Portare fuori queste potenzialità insite in
ciascuno è quindi compito di tutta la rete istituzionale e sociale, in particolare
degli operatori del carcere che con il loro compito portano speranza e un aiuto
per costruire quel ponte tra l’interno e l’esterno che il detenuto potrà un giorno
attraversare con la consapevolezza di essere una persona diversa, portandosi
dietro senza dimenticare il bagaglio del suo passato, conscio dei suoi sbagli ma
più forte nel credere che fuori c’è ancora qualcuno e qualcosa che lo aspetta,
forse diversa da quella che aveva prima ma non per questo meno dignitosa. La
prospettiva di poter conoscere una vita giusta fuori dal carcere è uno dei più
importanti compiti che hanno gli operatori per far nascere nel recluso la
consapevolezza dei propri errori, aiutarlo ad elaborarli, analizzarli, e fare in
modo che egli stesso, attraverso la propria volontà, possa migliorarsi e farsi
apprezzare.
Il processo da attuare è proprio la trasformazione di sé stesso. Il programma
deve essere personalizzato e calibrato sulla singola persona. Non si può
imporre nulla al detenuto, nessun educatore può costringerlo a dialogare se ciò
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Presentazione
non prende principio dalla sua volontà. Senza questa volontà di cambiare si
può far ben poco. Tuttavia, una persona privata della propria libertà in un modo
o nell’altro cerca sempre una via per riaverla, e, durante l’esperienza in carcere,
sono state osservate di persona le tantissime richieste per avere dei colloqui con
educatori e psicologi: molti detenuti sanno che ci sono delle persone
competenti e qualificate che vedono in loro non solo il reietto ma soprattutto la
persona cosi com’è, nella sua fragilità, nella sua rabbia e sofferenza, ed è
necessario affidarsi a qualcuno per essere guidati e sostenuti in un cammino
difficile come quello del carcere, spinti soprattutto dalla consapevolezza di ciò
che si è fatto ma anche di ciò che si potrà fare fuori per poter ricostruire la
propria vita, perché “dietro il delitto esiste un passato, ma davanti vi è un
avvenire; dopo qualche tempo questo stesso è un uomo completamente
diverso da quello che ha commesso il delitto” (Nicolò Amato).
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Capitolo 1:
Le misure alternative alla detenzione
Capitolo 1:
Le misure alternative
alla detenzione
Le misure alternative alla detenzione sono previste dall’Ordinamento
Penitenziario (legge n. 354 del 2975), danno la possibilità di scontare la pena
non in carcere (o solo in parte) e vengono concesse solo a determinate
condizioni. Esse si applicano unicamente ai detenuti definitivi perché si
attengono esclusivamente alla esecuzione della pena e tendono alla
risocializzazione del condannato.
Consideriamo ora i vari tipi di misure, con i benefici di competenza della
Magistratura di Sorveglianza e le loro finalità.
1.1. Affidamento in prova al servizio sociale.
Questa è considerata la misura alternativa alla detenzione per eccellenza
poiché si svolge totalmente nel territorio, mirando ad evitare al massimo i
danni derivanti dal contatto con l’ambiente penitenziario e dalla condizione di
privazione della libertà.
E’ regolamentata dall’art 47. dell’Ordinamento Penitenziario e consiste
nell’affidamento al servizio sociale del condannato fuori dall’istituto per un
periodo uguale a quello della pena da scontare.
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Capitolo 1:
Le misure alternative alla detenzione
Sul soggetto in questione si esercita il supporto e la supervisione di appositi
servizi e controllo e assistenza da parte del CSSA (Centro di Servizio Sociale
per Adulti) dell’amministrazione penitenziaria.
L’affidamento è concesso se la pena inflitta, o residuo pena, non è superiore
ai tre anni. E’ necessaria l’osservazione della personalità, condotta in istituto,
in cui si ritiene che il provvedimento contribuisca alla rieducazione del reo e
assicuri la prevenzione del pericolo che commetta altri reati, avendo tenuto un
comportamento tale da consentire un giudizio positivo sul soggetto. Quindi il
requisito fondamentale deve essere la mancanza di pericolosità sociale del
condannato.
Accertato questo requisito si dovrà verificare che il soggetto sia disponibile
e idoneo alla rieducazione tramite questa misura. Ciò avviene attraverso la
stessa osservazione della personalità che deve protrarsi per almeno un anno. E’
previsto un affidamento senza osservazione quando il soggetto dopo aver
commesso il reato ha assunto un comportamento tale da far pensare che la
concessione della misura possa contribuire alla sua rieducazione e si escluda il
pericolo che commetta altri reati.
Il Tribunale concede la misura dopo aver svolto un’inchiesta sociale in cui
avrà raccolto informazioni sul soggetto su vari elementi valutativi.
Le prescrizioni indispensabili durante il periodo di prova sono:
• divieto di svolgere attività o avere rapporti personali che possano
portare al compimento di reati;
• avere un lavoro;
• divieto di frequentare particolari ambienti;
• libertà di locomozione;
• avere una dimora;
• conservare rapporti con l’Ufficio di Esecuzione Penale esterna.
Qualora il soggetto violi le prescrizioni, i divieti, gli obblighi e compia
reati il provvedimento può essere revocato, mentre l’esito positivo della prova
estingue la pena.
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Le misure alternative alla detenzione
1.2. Detenzione domiciliare.
La detenzione domiciliare è stata introdotta dalla legge 663 del 10/10/1986
di modifica dell’Ordinamento Penitenziario.
Con questo beneficio si è voluto ampliare l’opportunità delle misure
alternative consentendo la prosecuzione delle attività di cura, di assistenza
familiare, di istruzione professionale già in corso nella fase di custodia
cautelare nella propria abitazione (arresti domiciliari) anche dopo il passaggio
ingiudicato della sentenza, evitando cosi la carcerazione e le relative
conseguenze negative.
L’art. 47 ter è stato modificato dalla legge n. 165 del 27/05/1998, la quale ha
ampliato la possibilità di fruire di questo beneficio.
La misura consiste nell’esecuzione della pena nella propria abitazione o in
un altro luogo di privata dimora, ovvero in un luogo pubblico di cura,
assistenza e accoglienza.
Questa misura è riservata a coloro che hanno una pena detentiva inflitta, o
anche residuo pena, non superiore ai quattro anni nei seguenti casi:
• donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci con lei
convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti
assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole;
• persona in condizioni di salute particolarmente gravi che richiedono
costanti contatti con i presidi sanitari territoriali;
• individuo di età superiore ai sessant’anni, se inabile anche
parzialmente;
• persona di età minore ai ventuno anni per comprovate esigenze di
salute, studio, lavoro e/o famiglia.
La detenzione domiciliare può essere applicata in caso di pena inflitta, o
anche residuo pena, non superiore ai due anni nei casi in cui non ricorrono i
presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale e che questa misura
sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati, sempre
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Le misure alternative alla detenzione
che non si tratti di condannati che hanno commesso i reati di particolare gravità
specificati nell’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario.
Come per le altre misure il beneficio può essere revocato quando il soggetto
attua comportamenti contrari alla legge o alle prescrizioni ritenuti incompatibili
con la prosecuzione della misura, quando il soggetto è denunciato per evasione
(art. 385), quando vengono a cessare i requisiti indispensabili per beneficiare
della misura e quando l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna informa i
Magistrati di Sorveglianza di un nuovo titolo di esecuzione di altra pena
detentiva che fa venir meno le condizioni per una prosecuzione provvisoria
della misura (art. 51 bis).
1.3. Semilibertà.
Può essere considerata una misura alternativa impropria in quanto,
rimanendo il soggetto in stato di detenzione, il suo reinserimento nell’ambiente
sociale è parziale.
E’ regolamentata dall’art. 48 dell’Ordinamento Penitenziario e consiste
nella concessione al condannato o all’internato di trascorrere parte del giorno
fuori dall’istituto di pena per partecipare ad attività lavorative, istruttive o
comunque al reinserimento sociale, in base ad un programma di trattamento, la
cui responsabilità è affidata al Direttore dell’istituto di pena. Il ritorno in
istituto è previsto per la sera.
Gli orari, il tipo di attività e la limitazione dei movimenti sono stabiliti dal
Tribunale che provvede ad accertare l’effettiva esistenza del posto di lavoro o
di studio, assume informazioni sul soggetto, compresa l’osservazione
scientifica che è abitualmente eseguita.
Durante il giorno, oltre a eseguire le attività previste, il semilibero ha la
possibilità di trascorrere alcune ore in famiglia e in libertà il fine settimana
secondo quanto gli è stato descritto dal Tribunale.
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Le misure alternative alla detenzione
Egli non potrà frequentare pregiudicati, allontanarsi dalla sua dimora e avrà
limiti precisi riguardo la sua libertà di spostamenti. Sarà denunciato per
evasione se tornerà in carcere con un ritardo superiore a 12 ore.
I requisiti per la concessione della misura sono:
• pena dell’arresto e pena della reclusione che non superino i sei mesi
se il condannato non è affidato al servizio sociale (comma 1, art. 50
dell’Ordinamento Penitenziario);
• espiazione di almeno metà della pena o, se si tratta di condannato
per uno dei delitti indicati nel comma 1 dell’art. 4 bis, di almeno
due terzi della pena (comma 2, art. 50);
• prima dell’espiazione di metà della pena nei casi previsti dall’art. 47
se mancano i presupposti per l’affidamento in prova al servizio
sociale e la condanna è per un reato diverso da quelli indicati nel
comma 1 del suddetto art. 4 bis;
• espiazione di almeno 20 anni di pena per i condannati all’ergastolo;
• essere sottoposto ad una misura di sicurezza detentiva (internato).
La revoca della misura giunge nel caso in cui il soggetto non sia ritenuto
idoneo al trattamento o in caso di sopravvenienza di un altro titolo di
esecuzione che faccia venir meno le condizioni di cui all’art. 50.
1.4. Affidamento in prova in casi particolari.
E’ una particolare forma di affidamento in prova rivolta ai tossicodipendenti
e agli alcooldipendenti che intendano intraprendere o proseguire un programma
terapeutico.
La legge n. 297 del 21 giugno 1985 ha introdotto l’art. 47 bis
dell’Ordinamento Penitenziario (affidamento in prova in casi particolari), che è
poi stato modificato dalla legge n. 663/86 (Gozzini). Tale misura alternativa è
stata infine recepita dal Testo Unico in materia di stupefacenti (D.P.R. n.
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Capitolo 1:
Le misure alternative alla detenzione
309/90) come art. 94, che è oggi l’ultimo ed unico riferimento normativo dopo
che la legge n. 165 del 27/05/1998 ha abrogato l’art. 47 bis.
I requisiti per la concessione consistono nell’avere una pena detentiva
inflitta, o residuo pena, non superiore a quattro anni. Il condannato deve essere
una persona tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso o intenda
sottoporsi ad un programma terapeutico di recupero. Tale programma deve
essere concordato dal condannato con una ASL o con altri enti pubblici e
privati espressamente indicati dalla legge 8 (art. 115 del D.P.R. n. 309/90). Una
struttura sanitaria pubblica deve attestare lo stato di tossicodipendenza o di
alcooldipendenza e la idoneità ai fini del recupero e del programma terapeutico
concordato.
Il beneficio dell’affidamento in prova non può essere concesso più di due
volte.
Dovrà essere accertato dal Tribunale di Sorveglianza che il programma sia
reale e non concordato solo per poter fruire del beneficio. Sono altresì previste
forme di controllo per verificare, nel corso della prova, l’effettiva esecuzione
della cura, il cui abbandono può comportare la revoca dell’affidamento.
Il beneficio ha esclusive finalità terapeutiche dal momento che viene meno
la necessità di un periodo anche minimo di osservazione in carcere, dove il
soggetto potrà anche non entrare purché prosegua o inizi il trattamento
specifico.
E’ irrilevante il peso della previsione di recidiva (che è quasi sempre
presente nei tossicomani inveterati) nel presupposto che, curando la
tossicomania, venga presumibilmente meno anche la pericolosità sociale ad
essa legata. Il legislatore si è però cautelato nei confronti dell’uso solo
strumentale dell’affidamento in questione da parte del soggetto al fine di
evitare il carcere.
Il tossicodipendente può fruire, ove ne ricorrano i presupposti, degli altri
benefici previsti dalla legge, e quindi anche dell’affidamento in prova ex art. 47
dell’Ordinamento Penitenziario.
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Capitolo 1:
Le misure alternative alla detenzione
E’ importante il significato non imperativo di questa misura che è
volontariamente scelta dal soggetto e che non è pertanto assimilabile a quelle
ove la cura è imposta in alternativa al carcere. Questo tipo di affidamento si
prefigge di incentivare l’accesso al trattamento riabilitativo di chi ancora non
l’abbia intrapreso e si proponga di farlo, fruendo di questa opportunità.
1.5. Un quadro sulle misure alternative in Europa.
Occorre chiedersi quali siano i rischi connessi alla criminalità e le strategie
per ridurli. E’ indubbio che i cittadini si sentano più al sicuro quando qualcuno
è trattenuto dal commettere reati non solo dalla minaccia di una pena più
severa o dai dispositivi di una prigione, ma anche quando colui che delinque
sceglie di non farlo di sua spontanea volontà.
Una giustizia penale che assicuri la sicurezza non deve essere repressiva, ma
progettare e mettere in campo misure che prevengano alla radice gli illeciti e
reintegrino dignitosamente l’autore del reato. Al riguardo prevale
nell’ambiente giuridico europeo un vivo interesse per le misure alternative alla
detenzione. Il trattamento del condannato in ambiente libero, se da un lato
costituisce un efficace strumento per ridurre il problema del sovraffollamento
delle carceri, dall’altro esprime anche e soprattutto la presa d’atto che misure
prevalentemente clemenziali, non accompagnate da specifici interventi di aiuto,
sostegno e controllo nei confronti del condannato, non possano ottenere
immediati, temporanei e benefici effetti sul sistema penitenziario
(alleggeriscono la pressione del sovraffollamento sugli Istituti di Pena, ma non
hanno in sé nessuna valenza rieducativa, non incidono sulla storia personale del
soggetto che ne fruisce e rivestono esclusivamente il carattere di semplice
indulgenza senza il corrispettivo di una riduzione della recidiva).
Da cosa nascono, quindi, le misure alternative? La loro origine è nella crisi
della pena detentiva, per secoli medesima risposta a tutte le violazioni possibili
della Legge Penale. Il carcere, che aveva sostituito la tortura e le pene
corporali, respinte in nome dei principi umanitari e civili dapprima da pochi
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