2
I bond sono finiti nei portafogli di molti investitori: gestori di fondi comuni
d’investimento, compagnie d’assicurazione, grandi speculatori internazionali,
fino al piccolo investitore.
D’altronde, la fiducia degli investitori sembrava ben riposta: i bilanci del gruppo
alimentare di Parma beneficiavano della certificazione di amministratori, collegio
sindacale e revisori. Le agenzie di rating consigliavano l’acquisto dei titoli
Parmalat fino ad un mese dal crollo. Un comunicato stampa diffuso dalla società,
non più tardi dell’ 11 novembre 2003, ribadiva “la grande solidità della struttura
economico-finanziaria del gruppo”.
Nemmeno un paio di mesi e il caso Parmalat sarebbe esploso in tutta la sua
gravità: bilanci non veritieri, falsificati per più di dieci anni, avevano tenuto
nascosto alla comunità finanziaria che il gruppo Parmalat, a fronte dei 4 miliardi
di euro di liquidità dichiarati, aveva le casse vuote, che i debiti netti erano il
triplo di quelli dichiarati, che gli utili erano semplicemente frutto di artificiali
operazioni contabili.
Il crollo improvviso della Parmalat ha messo in crisi le regole e la fiducia nel
sistema finanziario italiano: l’intero sistema dei controlli sui conti e sulla
gestione della società si è rivelato insufficiente. Banca d’Italia e Consob hanno
subito dure critiche per non aver vigilato adeguatamente sui risparmi di famiglia,
in Parlamento maggioranza ed opposizione si sono rinfacciati errori e
connivenze, l’intero sistema bancario ha subito un danno reputazionale enorme,
il ruolo delle agenzie di rating è stato messo in discussione.
Con questo lavoro ci proponiamo l’obiettivo di ricostruire il caso Parmalat,
provare a capire i processi decisionali aziendali, la struttura di corporate
governance dell’azienda di Collecchio, la rete di gatekeepers ed evidenziare
quali siano stati i reali motivi che hanno trascinato il gruppo verso l’insolvenza.
Si cercherà di comprendere poi, come sia stato possibile che tutto il sistema dei
controlli non sia riuscito neanche ad intravedere la reale situazione del gruppo.
3
Spiegheremo quale sia stato l’anello debole della catena e cercheremo di
comprenderne i motivi, con l’obiettivo di fornire le soluzioni più adeguate tra
quelle proposte, al fine di colmare le lacune normative che il default ha
evidenziato; descriveremo poi criticamente quali soluzioni sono state accolte,
seppur ancora in via provvisoria, dall’organo legislativo.
Il lavoro si propone, inoltre, di fare un minimo di chiarezza in ordine alle
conseguenze che il caso Parmalat e il relativo fallimento del sistema dei controlli
hanno avuto sui mercati finanziari, sul sistema bancario e sui risparmiatori.
Analizzeremo nel dettaglio il ruolo che alcuni istituti hanno avuto nella vicenda
al fine di capire se gli stessi siano stati vittime, così come sostengono, o
corresponsabili del default del gruppo.
Verificheremo, in conclusione, come vittime certe del fallimento di Parmalat,
siano stati i risparmiatori: al momento del default in ben 85000 avevano nel
proprio portafoglio titoli obbligazionari del gruppo di Collecchio.
Rispetto all’impostazione articolata del tema, il lavoro è stato suddiviso in sette
capitoli.
Nel primo capitolo, di carattere meramente introduttivo, faremo una breve
introduzione circa i principi fondamentali che stanno alla base dell’ordinamento
dei mercati finanziari.
Nel secondo capitolo entreremo nel vivo del lavoro di tesi: ricostruiremo la
nascita e l’evoluzione del gruppo Parmalat evidenziando i passaggi decisivi che
lo hanno condotto verso la crisi; analizzeremo poi le prospettive di risanamento,
anche alla luce delle nuove possibilità offerte dal Decreto Legge del 23
dicembre 2003, n. 347, poi modificato ed integrato dal Decreto Legge del 3
maggio 2004, n. 119, approvato in tempi brevissimi dal governo al fine di
facilitare il salvataggio industriale del gruppo.
Nel terzo capitolo descriveremo alcune inchieste della magistratura al fine di
ricostruire nel particolare alcune tra le operazioni più discusse della gestione di
Calisto Tanzi.
4
Nel quarto capitolo analizzeremo nel dettaglio alcune emissioni obbligazionarie
ed altre operazioni finanziarie tra il gruppo Parmalat e alcuni istituti bancari che,
soprattutto per la loro scarsa trasparenza, sono finite all’attenzione della stampa,
dei risparmiatori, di Enrico Bondi e della magistratura; gli inquirenti intendono
inoltre verificare se le banche, pur essendo a conoscenza delle difficoltà del
gruppo, abbiano comunque proceduto a finanziarlo e ad emettere i suoi bond.
Nel quinto capitolo andremo ad analizzare quali siano stati i soggetti coinvolti, al
fine di comprendere quale sia stato il loro ruolo nella vicenda, cercando di
isolarne e distinguerne le responsabilità.
Nel sesto capitolo faremo alcune considerazioni in merito a ciò che è avvenuto
dopo il caso Parmalat. Tratteremo del Disegno di Legge a tutela del risparmio
approvato alla Camera e di come il commissario straordinario Enrico Bondi si
stia operando per il risanamento industriale del gruppo; descriveremo
criticamente le azioni giudiziarie promosse dai risparmiatori e, in ultimo, faremo
delle considerazioni sull’enorme liquidità dichiarata dal gruppo Parmalat negli
anni 2002 e 2003.
Nel settimo ed ultimo capitolo riconsidereremo tutto il caso Parmalat; nella prima
parte indagheremo le cause che hanno portato al fallimento del sistema dei
controlli, cercando di individuare i possibili rimedi; nella seconda verificheremo
le conseguenze che il contemporaneo fallimento del gruppo e del sistema dei
controlli hanno avuto sul lavoro delle agenzie di rating, sul mercato finanziario e
sul sistema bancario.
5
Capitolo I
Il mercato finanziario e principi di
regolamentazione
1.1. La regolamentazione del sistema finanziario
Con il termine regolamentazione ci riferiamo al quadro normativo che disciplina
l’attività degli intermediari finanziari e dei mercati finanziari, costituiti sia da
leggi che da norme amministrative. Le prime spesso definiscono solo i principi
generali della disciplina e i poteri delle autorità incaricate di regolamentare e
sorvegliare il sistema finanziario alle quali, quindi, viene demandato il compito
di dare concreta attuazione a tali principi attraverso l’emanazione di regolamenti
e circolari (le norme amministrative appunto).
Nei Paesi dell’Unione Europea, gerarchicamente sovraordinati alle legislazioni
nazionali, stanno i regolamenti e le direttive, che rappresentano gli strumenti
attraverso cui il legislatore comunitario esercita il proprio potere normativo
nell’ambito delle competenze attribuitegli.
Più in generale, anche l’attività degli organismi internazionali ha un forte impatto
sul quadro regolamentare dei sistemi finanziari dei singoli paesi, senza peraltro
avere forza di legge.
6
Si pensi, ad esempio, al Comitato di Basilea
1
o allo IOSCO
2
i cui obiettivi sono
quelli di individuare e diffondere le “best practices” nella supervisione bancaria e
finanziaria che possono essere utilizzate come linee guida dalle autorità nazionali
competenti. Analogamente le istituzioni multilaterali, come la Banca Mondiale e
il Fondo monetario internazionale, sono attivamente coinvolte nella diffusione di
standard e codici di comportamento consolidati a livello internazionale in grado
di rafforzare la stabilità e migliorare l’efficienza dei sistemi finanziari sia dei
paesi in via di sviluppo o emergenti che dei paesi industrializzati. In complesso si
sta assistendo ad un rilevante processo di convergenza internazionale della
disciplina sui mercati e sugli intermediari.
Il termine regolamentazione si trova di solito accompagnato al termine vigilanza
o supervisione, che identifica l’attività di controllo, svolta dalle autorità a ciò
preposte, finalizzata a verificare che le regole del gioco, fissate dalla
regolamentazione, trovino reale applicazione nel quotidiano funzionamento
dell’industria finanziaria.
1
Il Comitato di Basilea per la Vigilanza bancaria è un organismo di cooperazione internazionale
composto di rappresentanti delle banche centrali e delle autorità di Vigilanza bancaria dei Paesi del
Gruppo dei Dieci. Esso venne istituito nel 1974 in seguito a gravi episodi intervenuti sui mercati valutari
e creditizi internazionali, al fine di assicurare ai paesi membri un luogo di consultazione e coordinamento
in materia di supervisione bancaria. Il Comitato di Basilea si riunisce presso la Banca dei regolamenti
internazionali ed è formato dai rappresentanti delle banche centrali o delle autorità di vigilanza bancaria
dei paesi del G-10 più Svizzera e Lussemburgo.
Il Comitato non può essere considerato una vera e propria autorità sovranazionale, gli atti da esso emanati
non hanno un preciso valore giuridico, la loro introduzione negli effettivi ordinamenti giuridici è infatti
rimessa all’unilaterale e autonoma implementazione da parte degli Stati componenti. Tuttavia, le proposte
elaborate dal Comitato rivestono un importanza considerevole negli ordinamenti giuridici nazionali in
concreto la loro efficacia è superiore a quella che normalmente si ricollega alle elaborazioni di un
organismo informale prive di portata giuridica. Assume particolare rilievo, nel procedimento di
formazione delle principali proposte del Comitato, la prassi della cosiddetta consultazione del sistema
bancario internazionale, consistente nella preventiva sottoposizione delle elaborazioni del Comitato ai
soggetti vigilati e nella considerazione delle loro osservazioni e contributi per le definitive decisioni.
Il principale contributo del Comitato all’introduzione di regole nell’attività bancaria internazionale è
rappresentato sicuramente dall’elaborazione di una metodologia di valutazione delle condizioni di
stabilità degli enti creditizi , l’Accordo sul capitale del 1988, oggi rivisto con il New Adequacy
Framework, attualmente oggetto di consultazione in vista della definitiva approvazione.
2
Acronimo di International Organisation of Securities Committee. E’ un organizzazione mondiale delle
autorita' di vigilanza dei mercati cui aderisce la Consob.
7
1.2. I fondamenti del controllo sul sistema finanziario
Nella società civile le azioni e la condotta umana non sono lasciate al libero
arbitrio ma vengono codificate in conformità a regole in forza delle quali la
libertà di ciascuno è disciplinata per garantire che essa non si affermi a danno
della libertà altrui. Se dunque tutte le forme in cui si esplica l’attività economica,
in quanto attività umana, sono sottoposte a qualche criterio di disciplina, non
deve stupire che anche l’attività finanziaria sia regolamentata
3
.
Il sistema finanziario è dunque una parte dell’economia sottoposta a diverse
forme di controllo da parte dei pubblici poteri. Anche nei Paesi tradizionalmente
caratterizzati da un forte orientamento ai principi del “libero mercato”, possiamo
osservare la presenza di articolati sistemi di regolamentazione e di vigilanza che
si rivolgono, seppur con intensità e metodi non sempre uniformi, all’attività
finanziaria: ai mercati e agli intermediari finanziari, così come agli operatori non
finanziari (imprese) quando questi si rivolgono ai risparmiatori.
Le ragioni fondamentali del controllo pubblico sul sistema finanziario sono
riconducibili ai quattro punti seguenti:
ξ La funzione monetaria e il governo “monetario” dell’economia;
ξ La tutela del risparmio e la protezione degli investitori;
ξ L’esternalità negativa;
ξ L’asimmetria informativa e il “fallimento” del mercato.
Ai fini del lavoro di tesi, c’interessa particolarmente il secondo punto da noi
elencato: il sistema finanziario svolge l’importante funzione di mobilitazione e
trasferimento del risparmio finanziario dalle unità in surplus verso quelle in
deficit. Vi è in particolare un interesse generale nel fare in modo che il
risparmiatore (ossia l’unità in surplus) rafforzi la propria fiducia nei confronti dei
“prenditori di fondi”: fra loro, in primis, gli intermediari finanziari.
3
Bongini P., Di Battista M., Nieri L., Patarnello A., Il Sistema Finanziario, Il Mulino, Bologna, 2004.
8
Ciò significa che è opportuno fissare regole cui devono sottostare i soggetti
(intermediari e operatori non finanziari), che offrono forme di investimento ai
risparmiatori; le regole servono (o dovrebbero servire) a rafforzare l’affidabilità
dei debitori (prenditori di fondi) e ad accrescere la capacità di valutazione da
parte dei creditori (datori di fondi).
Se i debitori che si considerano sono le banche, allora la crisi e l’insolvenza
assumono un rilievo che va al di là della tutela del singolo investitore: la crisi
bancaria può provocare esternalità negative per il sistema economico, sotto forma
di contagio verso altre istituzioni finanziarie, sfiducia e panico dei depositanti e
conseguente corsa agli sportelli per il ritiro dei depositi. E’ quindi evidente che
una crisi del sistema bancario avrebbe conseguenze fortissime nei confronti della
stessa economia reale.
L’ultimo punto, riferibile ai problemi di “asimmetria informativa e il conseguente
fallimento del mercato”, parte dal presupposto che il rapporto debitore-creditore
sia intrinsecamente caratterizzato da un difetto d’informazione a danno del
creditore. Ne deriva un limite all’efficace selezione dei prenditori di fondi: in
particolare, l’informazione non è sufficiente a stabilire una precisa graduatoria di
rischio e, quindi, a definire il “prezzo” del credito in funzione del rischio. Il
pericolo è quello che i prezzi tendano verso un livello medio che non discrimini
in base alla qualità del prenditore: i migliori pagano prezzi troppo alti, la fascia di
qualità bassa paga un premio al rischio insufficiente (si veda in particolare cosa è
accaduto nel caso Cirio). Se così fosse, i prenditori di qualità migliore, sarebbero
costretti a rinunciare ai fondi perché non vorrebbero pagare un prezzo e un
premio al rischio ingiustificato, con la conseguenza che la qualità media dei
prenditori di fondi finirebbe per ridursi: il premio al rischio medio aumenterebbe
ancora, inducendo un’ulteriore caduta di domanda da parte del segmento di
buona qualità.
9
Ripetendo questo percorso per più volte, si arriverebbe a dimostrare che le
“carenze informative”, finiscono per determinare il fallimento del mercato
4
.
Appare dunque evidente che lo scambio di beni come strumenti finanziari, per i
quali il prezzo è strettamente legato all’informazione, non può raggiungere un
equilibrio se è lasciato alle “libere forze di mercato”: è quindi evidente che è
interesse e dovere delle autorità fissare regole per rafforzare lo spessore e la
qualità dell’informazione disponibile agli investitori.
4
Si veda nota n. 156 del presente lavoro per ulteriori approfondimenti.
10
1.3. L’assetto istituzionale delle autorità di controllo
I ragionamenti precedenti spiegano perché l’attività finanziaria meriti una
particolare attenzione da parte dei pubblici poteri. Questa attenzione si traduce in
interventi a diversi livelli dei poteri dello stato:
ξ Legislativo per quanto attiene alla normativa primaria volta a creare un
quadro di regole base per tutte le aree componenti il sistema finanziario;
ξ Esecutivo, con riguardo ai poteri d’intervento attribuiti al governo o a
comitati di ministri, o a singoli ministri e che si traducono o in politiche
d’indirizzo rivolte al livello istituzionale e tecnico, o in normazione
secondaria;
ξ Amministrativo, rappresentato dalle autorità di controllo indipendenti,
competenti per specifiche materie e che operano attraverso le politiche e
gli strumenti di regolamentazione e vigilanza.
L’assetto istituzionale del sistema finanziario italiano prevede la presenza di
diverse autorità
5
:
ξ Banca d’Italia, cioè la Banca Centrale.
ξ Consob, Commissione nazionale per la società e la borsa
ξ Isvap, Istituto per la Vigilanza sulle assicurazioni private e d’interesse
collettivo
ξ Covip, Commissione di Vigilanza sui fondi pensione
ξ Antitrust, ossia l’autorità garante della concorrenza e del mercato.
5
Forestieri G., Mottura P., Il Sistema Finanziario, Egea, Milano, 1999.
11
Il quadro sintetico evidenzia la relativa complessità del sistema dei controlli:
sorge, in altre parole, il problema del coordinamento e dell’integrazione delle
competenze e delle funzioni delle diverse Autorità quando queste hanno poteri
d’intervento sullo stesso oggetto
6
. Infatti, apparentemente, ogni autorità di
vigilanza ha un campo di competenza che corrisponde ad un’area istituzionale
del sistema finanziario (una categoria d’intermediari finanziari), o ad una
particolare area di attività finanziaria, o ancora a riguardo di particolari finalità.
In realtà la situazione è più complessa perché i confini tra aree di attività non
sono netti
7
. Il Testo Unico cerca di rimediare a queste sovrapposizioni creando
una distinzione per finalità del controllo da parte delle diverse Autorità
8
.
La stessa posizione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato
propone qualche interrogativo. E’ vero che i suoi fini appaiono complementari
rispetto a quelli di vigilanza, tuttavia vi sono anche aspetti conflittuali.
Per esempio l’interesse della Banca d’Italia per la stabilità del sistema bancario
potrebbe portare in linea all’accettazione di livelli di concentrazione del mercato
più elevati rispetto a quanto determinabile secondo un criterio di
massimizzazione dei benefici per l’utilizzatore dei servizi
9
. In effetti, per banche
e assicurazioni, data la presenza di apposite autorità di vigilanza settoriale, si è
dovuto stabilire le regole del rapporto tra queste e l’Autorità garante.
6
A titolo di esempio possiamo citare il caso dello stesso intermediario finanziario controllato da più
Autorità ognuna per il proprio profilo d’interesse.
7
Sempre a titolo di esempio, le banche possono svolgere attività di intermediazione mobiliare: entrano
quindi in quel campo in cui la Consob deve vigilare per quanto attiene a trasparenza delle informazioni e
correttezza di comportamento. Come si accorda il suo intervento con quello della Banca d’Italia?
Vedremo più avanti che anche nel recente DDl sul risparmio da poco approvato dalla Camera, ci sono
diversi provvedimenti volti ad aumentare la collaborazione tra agenzie qualora ne sia necessità.
8
Nel caso d’esempio prima citato, alla Banca d’Italia viene riservata la responsabilità dei controlli di
stabilità degli intermediari, sentita la Consob; alla Consob, sentita la Banca d’Italia, viene riservata
l’attività di controllo ai fini della trasparenza e della correttezza, così come disposto dall’art. 6 del Testo
Unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria.
9
Queste tematiche saranno affrontate anche più avanti nel lavoro di tesi.
12
1.4. Gli obiettivi del controllo del sistema finanziario
Gli obiettivi della regolamentazione e della vigilanza possono essere
estremamente sintetizzati negli obiettivi di stabilità, efficienza e trasparenza del
sistema finanziario. L’obiettivo della stabilità risponde fondamentalmente
all’esigenza di tutela del risparmiatore, mentre l’obiettivo dell’efficienza può
essere visto nella duplice accezione di efficienza operativa (cioè in termini di
costo per l’economia reale dell’attività finanziaria) e di efficienza allocativa
(ossia in termini di qualità del processo di distribuzione delle risorse verso
impieghi alternativi).
Gli obiettivi di stabilità ed efficienza sono interdipendenti, ossia per alcuni
aspetti possono essere in contrasto, mentre in altri sono complementari:
ξ In certi casi avremo un trade-off, ossia quando la massimizzazione dei
risultati finisce per comportare costi crescenti
10
;
ξ Efficienza e stabilità, tuttavia, possono essere viste anche in un rapporto
di complementarità. In qualche misura, ciò avviene, per esempio quando
la regolamentazione dell’informazione sul mercato finanziario assicura le
condizioni di corretto ed efficiente funzionamento del mercato stesso e
limita anche i pericoli di eccesso di volatilità dei prezzi, volatilità che
potrebbe tradursi in crisi di sfiducia da parte degli investitori. In senso più
10
A titolo d’esempio, si può cercare di minimizzare il rischio d’instabilità: ciò comporta una rigida
regolamentazione, anche di carattere amministrativo del funzionamento del sistema finanziari, le regole di
controllo strutturale essere necessariamente molto intense: i controlli all’entrata sottoforma di
autorizzazione preventiva a costituire nuovi intermediari o ad aprire nuove sedi vengono posti alla base
della regolazione della struttura del mercato e quindi dell’intensità della concorrenza. La ricerca di
stabilità può portare alla fissazione di prezzi amministrati. La determinazione di prezzi e quantità per via
amministrativa, comportano effetti depressivi sull’intensità della concorrenza e quindi dell’efficienza:
vengono mantenuti sul mercato intermediari finanziari con performance inadeguate; mancano gli stimoli
per migliorare le performance; l’allocazione efficiente delle risorse è condizionata dalle regole
amministrative.
13
ampio, spostando il ragionamento oltre il breve termine, il rafforzamento
dell’efficienza degli intermediari finanziari è condizione necessaria per
accrescerne la capacità competitiva e, quindi, la stabilità.
La nozione di efficienza allocativa riguarda la capacità del sistema finanziario di
adempiere la propria funzione di collegamento tra le risorse fornite dai
risparmiatori sui diversi progetti d’investimento proposti. Tale condizione è
assicurata quando la regolamentazione consente un’adeguata articolazione del
sistema finanziario per strumenti e istituzioni, minimizzando le segmentazioni tra
comparti d’intermediazione, creando le condizioni per un’efficiente divisione del
lavoro tra mercati ed intermediari. Al tempo stesso, è altresì necessario che i due
circuiti d’intermediazione operino un’adeguata selezione delle iniziative
imprenditoriali e finanzino progetti d’investimento dai rendimenti più elevati a
parità di rischio. Ciò ha indotto, in tempi più recenti, ad approcci regolamentari
mirati ad incentivare negli intermediari lo sviluppo di adeguati sistemi di analisi
e valutazione del merito creditizio delle potenziali controparti. Dato il ruolo di
sostegno dell’economia attribuito al sistema finanziario e in particolare alle
banche, solo la realizzazione di scelte di portafoglio efficienti a livello di singolo
intermediario consente all’intero sistema economico di crescere stabilmente nel
lungo periodo. Processi di selezione e monitoraggio della clientela affidata
inadeguati o assenti costituiscono, da un lato, la causa principale dei dissesti
bancari e, dall’altro, la fonte dell’incapacità di alcuni sistemi di risolvere una
recessione economica generata da una crisi finanziaria.
La nozione di efficienza tecnico-operativa si riferisce alla capacità degli
intermediari e dei mercati organizzati di raggiungere una dimensione ottima, vale
a dire un volume di produzione alla quale corrisponde il minimo costo unitario;
ciò significa che il singolo intermediario deve operare al punto di minimo della
curva di costo medio. Fino alla fine degli anni ’80, i sistemi finanziari di tutti i
paesi industrializzati erano assoggettati ad una serie, più o meno ampia, di
14
controlli volti ad incidere sull’operatività degli intermediari e finalizzati alla
limitazione della concorrenza, considerata nociva alla stabilità del sistema. Si
definivano, pertanto, precisi vincoli di specializzazione operativa e temporale
degli stessi, limiti all’apertura di nuovi sportelli e di nuove banche. Oggi, la
ricerca di una maggiore efficienza del sistema poggia sulla promozione e sulla
tutela della concorrenza, dove per promozione s’intende l’eliminazione di
controlli d varia natura che ne impediscono il pieno dispiegarsi; mentre il termine
tutela fa riferimento all’applicazione della normativa antitrust all’industria
finanziaria, normativa che disciplina i casi di “abuso di posizione dominante”,
derivante da operazioni di concentrazione tra intermediari, e di “intese restrittive
della concorrenza”, a danno soprattutto del cliente dei servizi finanziari.
L’obiettivo della trasparenza si configura in due diverse accezioni a seconda che
lo si analizzi da un punto di vista macroeconomico ovvero microeconomico.
Nel primo caso, esso si riferisce alla capacità del sistema dei prezzi dei titoli
negoziati sul mercato di riflettere, in ogni istante, tutte le informazioni disponibili
e quindi di fornire segnali appropriati agli operatori. In questo senso, la nozione
di trasparenza coincide con quella di efficienza normativa, concetto sviluppato
dalla teoria finanziaria. Le imperfezioni dei mercati, in primis il problema della
distribuzione asimmetrica delle informazioni, tendono a ridurre la suddetta
capacità segnaletica dei prezzi; si rende pertanto necessario un intervento da
parte delle autorità sotto forma di regole di diffusione delle informazioni che
realizzino una parità di condizioni per tutti gli operatori nonché di norme in
grado di assicurare efficienti meccanismi di formazione dei prezzi delle attività
finanziarie.
Da un punto di vista microeconomico, l’obiettivo della trasparenza individua il
livello ottimo di informazioni da offrire al mercato e alla clientela. Si fa
riferimento, da un lato, alla trasparenza del rapporto intermediario-cliente e,
dall’altro, alla quantità e alla qualità dei dati contabili ed extracontabili resi
disponibili al pubblico affinché i meccanismi di mercato esercitino una corretta
15
disciplina sugli intermediari. Per disciplina di mercato, o meccanismi di mercato,
s’intende l’attività di selezione e monitoraggio svolta sugli intermediari dai
creditori finali (unità in surplus). Tale attività si rende necessaria dal momento in
cui anche gli intermediari si rivolgono al mercato in qualità di emittenti di
passività finanziarie. L’obiettivo è quello di garantire l’instaurarsi, tra
intermediari e clienti, di rapporti negoziali equi e trasparenti; il presupposto è lo
stato di “inferiorità informativa” e contrattuale della clientela, in particolare
quella risparmiatrice, che deve quindi essere messa in condizioni di valutare
correttamente e compiutamente la convenienza dei servizi offerti dagli
intermediari nonché la loro affidabilità. In questo senso, la nozione
microeconomica di trasparenza sottende un obiettivo più generale di tutela
dell’utilizzatore di servizi finali che si realizza imponendo agli intermediari
regole di corretto comportamento. I confini e i contenuti di queste regole, per
loro natura, sono di difficile definizione poiché rientrano nella sfera della
business etich; nondimeno i recenti casi di malpractices emersi anche in sistemi
finanziari molto evoluti, come quello nordamericano, hanno indotto le autorità a
qualificare ulteriormente la normativa relativa alle condotte gestionali e ad
intensificare controlli e sanzioni.